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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 9 Il Rinascimento in Italia Filippo Brunelleschi Firenze, San Lorenzo, Sagrestia vecchia 15 Cappella Pazzi in Santa Croce 21 Rotonda di Santa Maria degli Angeli 27 Ospedale degli Innocenti 30 Chiesa di San Lorenzo 34 Chiesa di Santo Spirito 40 Cupola di Santa Maria del Fiore 48 Tribune morte - Lanterna 53 Leon Battista Alberti Firenze, Palazzo Rucellai 59 Rimini, Tempio Malatestiano 62 Mantova, San Sebastiano 67 Firenze, Rotonda della SS. Annunziata 69 Sepolcro Rucellai 71 Mantova, Sant'Andrea 74 Bernardo Rossellino Pienza 78 Luciano Laurana Urbino, Palazzo ducale 83 Francesco di Giorgio Martini Urbino, San Bernardino 85 Cortona, Santa Maria delle Grazie al Calcinaio 87 Donato Bramante Milano, Santa Maria presso San Satiro 90 Tribuna di Santa Maria delle Grazie 93 Roma, Tempietto di San Pietro in Montorio 95 Chiostro di Santa Maria della Pace 98 Giuliano da Sangallo Prato, Santa Maria delle Carceri 100 Michelangelo Buonarroti Firenze, San Lorenzo, Sagrestia nuova 102 Biblioteca Laurenziana 106 Roma, Campidoglio 109 Michelangelo Buonarroti (Antonio da Sangallo il Giovane e Vignola) Roma, Palazzo Farnese 116 Antonio da Sangallo il Vecchio Montepulciano, San Biagio 120 Raffaello Sanzio Roma, Sant'Eligio degli Orefici 123 Cola da Caprarola Todi, Santa Maria della Consolazione 125 Jacopo Barozzi detto il Vignola Roma, Sant'Andrea in via Flaminia 127 Sant'Anna dei Palafrenieri 129 Chiesa del Gesù 130 Andrea Palladio Venezia, San Giorgio Maggiore 134 Chiesa del Redentore 138 da Bramante a Bernini Roma, San Pietro in Vaticano 142 Il Rinascimento a Napoli L'eredità di Roberto d'Anjò 157 L'arrivo di Alfonso il Magnanimo 166 Fonti per la storia artistica della città 176 Alcune testimonianze iconografiche 187 Cappelle Carafa nel duomo di Napoli e Caracciolo di Vico in San Giovanni a Carbonara 194 Chiostro del platano nel complesso benedettino dei SS. Severino e Sossio 210 Campanile di San Lorenzo maggiore 214 Villa Carafa a Pizzofalcone 223 Palazzo Orsini di Gravina 234 L'attività napoletana di Giorgio Vasari 246 Note 256 La grammatica dell'architettura nei trattati del Rinascimento di ROSA MARIA GIUSTO Leon Battista Alberti De re aedificatoria libri decem, manoscritto 1442-1452 265 Antonio Averlino detto Filarete Trattato di architettura, manoscritto 1460 ca. 278 Francesco di Giorgio Martini Trattato di architettura civile e militare, manoscritto. Codex Magliabechianus II.I.141, copia, 1489-1492 ca. 294 Sebastiano Serlio Tutte l'opere d'architettura et prospettiva, edizione completa, Venezia 1619 305 Jacopo Barozzi da Vignola Regola delli cinque ordini d'architettura, Roma 1562 323 Andrea Palladio I quattro libri dell'architettura, Venezia 1570 293 Note 344 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Questo testo sull'architettura rinascimentale, dal dichiarato intento didattico, richiede alcune precisazioni non tanto per spiegare gli autori e le opere scelti, quanto per giustificarne le assenze a volte notevoli. Artisti non ricordati, realizzazioni del tutto trascurate o intere aree alle quali non è stata dedicata alcuna riflessione. Michelozzo, Galeazzo Alessi, Giulio Romano, Gerolamo Genga, Sansovino, Scamozzi e Sanmicheli, per fare solo qualche nome o tutta l'area meridionale, della quale, come meglio diremo, abbiamo privilegiato solo alcune opere napoletane, rendono l'idea delle enormi, eppure necessarie, lacune. Non volendo riprendere in considerazione le definizioni critiche che molti autori, ormai, hanno fornito di questa lunga e, per molti versi, complessa stagione artistica, in un testo dedicato a questo periodo occorre, quanto meno, indicare un inizio, ossia una datazione in base alla quale si è preferito un autore, anziché un altro, oppure un'opera trascurando molte altre che pure presentavano tutte le qualità per entrare in questo studio. In altri termini è necessario stabilire quali caratteristiche, compositive e più in generale di linguaggio figurativo, individuano il percorso progettuale attraverso il quale, alcune opere architettoniche segnano una rottura rispetto alle precedenti esperienze, ossia un nuovo processo che, sia pure con sperimentazioni affatto diverse, si sviluppa lungo tutto un determinato arco di tempo fino a caratterizzarlo. Individuare, quindi, ed indicare alcune possibili chiavi di lettura, risulta, allora, una condizione ineludibile per iniziare l'indagine critica di opere identificate, appunto, come paradigmatiche, ossia come realtà artistiche nelle quali si riflette, innanzitutto, un rivoluzionario rapporto fra committenza ed artisti e, da parte di questi, una rilettura critica delle precedenti esperienze classiche scelte come punto di partenza giungendo, poi, ad un diverso approccio progettuale; un iter progettuale che, anche in funzione dei nuovi strumenti di progettazione e di controllo spaziale, come, ad esempio, la prospettiva, approda ad una concezione artistica in cui l'architettura, e non solo, ricopre un diverso ruolo nella rappresentazione del potere, in cui è certo cresciuto anche il prestigio dell'artista. Aver considerato il rinascimento un periodo storico ben individuabile nelle sue caratteristiche figurative e temporali, non ha, in un certo senso, facilitato lo studio delle opere per le quali, per molti anni, una certa storiografia tendeva a limitare, se non ad escludere del tutto, le connessioni con le precedenti esperienze progettuali. La più moderna critica storiografica ha, ormai, ristabilito un più corretto collegamento del rinascimento non soltanto con il mondo classico, rapporto mai messo in discussione, ma anche con la pratica, tipologica, costruttiva e spaziale, di quelle testimonianze architettoniche più prossime la cui realizzazione, a volte, aveva visto, fra i testimoni, se non addirittura fra gli artefici, quegli stessi architetti protagonisti, poi, della nuova stagione rinascimentale. Queste considerazioni, che non hanno certo la pretesa di individuare un unico e definitivo principio di indagine storiografica, avvalorano almeno la necessità, già espressa, di chiarire i parametri, temporali e culturali, all'interno dei quali abbiamo scelto quelle opere individuate come significative del periodo storico preso in esame. Un criterio di indagine, ormai entrato a pieno diritto nei manuali, è la lettura per temi anche se questo metodo può ingenerare delle ambiguità per cui, ad esempio, scegliendo il solo parametro del classicismo, a non pochi storici, è sembrato corretto ampliare il periodo ben oltre i due secoli canonici ossia XV e XVI ai quali, comunque, preferiamo dedicare la nostra maggiore attenzione non risultando facile dirimere la complessa questione della periodizzazione. Analisi storiografiche, ormai anch'esse canoniche, hanno individuato un'ulteriore chiave di lettura nella tipologia la quale, senza per questo escludere altre possibili indagini, anch'esse valide, ai fini didattici possiede il grande merito di facilitare la comprensione del fenomeno artistico inserendo le diverse realizzazioni in una determinata area culturale ed in un preciso momento storico oltre che nella produzione di ogni singolo architetto. Individuati i rapporti con l'antico, come premessa culturale, e la tipologia come approccio di lettura delle opere, occorre ritornare, ancora una volta, all'argomento già accennato ossia ad una possibile periodizzazione pur con tutti i limiti già sottolineati. Appare evidente, allora, che un primo approccio allo studio dell'architettura rinascimentale, può essere riassunto, sia pure in maniera estremamente riduttiva, riflettendo su quando, dove, chi e come. Interrogativi, forse banali, che possono valere per qualsiasi periodo, ma che, comunque, hanno il merito di facilitare l'indagine storiografica inserita, appunto, in uno schema di riferimenti storici ed operativi; in altri termini si tratta di giustificare la scelta delle opere e degli autori richiamati in questo testo. In realtà poiché, come apparirà evidente dalla lettura critica delle opere, di fatto, i diversi aspetti del problema non sono separati ricordiamo, innazitutto, quei luoghi e quegli autori ai quali la critica ha assegnato un ruolo significativo e determinante nella storia artistica. Ai fini della sistematizzazione della complessa materia e considerando che gli esiti figurativi, riconducibili ad una comune matrice culturale, occupano un periodo molto ampio la scelta di letture ed indagini, svolte per aree geografiche, appare la più convincente anche se i risultati potranno riflettere parametri differenti a seconda delle influenze locali nelle quali si riflette, innanzitutto, la storia che ha determinato quella realtà territoriale. Per consolidata interpretazione storico-critica, dunque, anche questo testo ha privilegiato i secoli XV e XVI, come inizio di un cambiamento nella maniera del fare artistico, e le aree, toscana prima e romana poi, notoriamente individuate come luoghi in cui una concomitanza di fattori politici, economici e culturali, determinerà le condizioni ideali per il superamento della maniera gotica e la successiva affermazione di quelle nuove forme che definiscono la cultura figurativa rinascimentale. Maggiori difficoltà, com'è noto, si presentano nel momento in cui si tenta di individuare i primi significativi progetti, le prime esperienze compositive che possono essere comprese in un nuovo regesto di opere con le quali viene abbandanata la precedente stagione gotica. Compito non facile, come si può immaginare poiché il percorso storico non sempre avanza in maniera lineare verso nuove stagioni; ancora recentemente, una mostra, organizzata a Firenze e dedicata alla personalità di Arnolfo di Cambio, è stata intitolata Arnolfo, alle origini del Rinascimento fiorentino legando questa stagione artistica già alla produzione di questo protagonista il quale, il primo aprile del 1300, viene ufficialmente incaricato della costruzione della nuova cattedrale cittadina, quella chiesa di S. Maria del Fiore il cui completamento, con la costruzione della cupola da parte di Filippo Brunelleschi, sancirà, per accettata scelta storiografica, la nascita, appunto, del rinascimento. | << | < | > | >> |Pagina 15FILIPPO BRUNELLESCHI (1377-1446)
Firenze, San Lorenzo, Sagrestia vecchia (1422-28)
La maggior parte degli storici ha individuato, fra il 1422 ed il 1428, l'arco di tempo durante il quale Filippo Brunelleschi si occupò della realizzazione della Sagrestia Vecchia. Sul piano critico questa datazione implica che, a non voler tener conto della precedente cappella Barbadori nella chiesa fiorentina di Santa Felicita, la Sagrestia costituisce il primo approccio alle problematiche della pianta centrale da parte del Brunelleschi il quale le riprenderà, poi, in altre esperienze progettuali quali la Cappella Pazzi nel chiostro di Santa Croce (1430), le tribune morte di Santa Maria del Fiore (1438) e l'incompiuto Oratorio di Santa Maria degli Angeli, i cui lavori iniziano nel 1438. Ma per intendere il vero significato della Sagrestia, come costruzione a pianta centrale, bisogna anche considerare le continue «addizioni» che hanno trasformato il rapporto iniziale di questo ambiente con la vicina chiesa di San Lorenzo. Un'immagine di che cosa dovesse essere la primitiva fabbrica ci è restituita dal codice Rustici in cui l'antica basilica è rappresentata ancora preceduta da un atrio. La Sagrestia, invece, appare già terminata e completamente isolata rispetto alla chiesa. Le principali trasformazioni subite dalla Sagrestia, oltre agli interventi all'interno, dovuti a Donatello, riguardano la zona absidale. Questa, infatti, presentava un'articolazione della parete ripartita in tre spazi: uno centrale, corrispondente al vano dell'altare coperto dal cupolino (quello affrescato con la rappresentazione astrologica) e due laterali con altra funzione. All'esterno le coperture ripetevano lo stesso schema tripartito: un timpano triangolare concludeva lo spazio centrale mentre due falde spioventi coprivano i vani laterali. Le trasformazioni, avvenute dopo il 1425, hanno completamente alterato il rapporto fra l'esterno e l'interno. Tutto l'invaso absidale, infatti, è stato «inscatolato» da un cornicione, con angeli e graticole, allusive del martirio di San Lorenzo, che unisce la Sagrestia alla nuova chiesa realizzata dallo stesso Brunelleschi. | << | < | > | >> |Pagina 48Cupola di Santa Maria del Fiore (1418)La descrizione di Leon Battista Alberti, «erta sopra 'e cieli, [la cupola] ampla da coprire con la sua ombra tutti 'e popoli toscani» e quella, dopo qualche anno, di Giorgio Vasari, «veggendosi ella [la cupola] estollere in tant'altezza, che i monti attorno a Fiorenza paiono simili a lei» colgono il significato della realizzazione della cupola di Santa Maria del Fiore intesa come una costruzione riferita non soltanto alla fabbrica ma alla città intera nel cui spazio urbano essa segna il centro intorno al quale si organizza la nuova realtà rinascimentale. Ma la costruzione della cupola determina anche quella data fittizia a partire dalla quale gli storici parlano di Rinascimento. Un momento in cui, come ha splendidamente detto Saalman, tutte le tecniche, le possibilità speculative, nonché politiche e sociali, rendono possibile la realizzazione di una simile struttura. Il che vuol dire che se la cupola appartiene certo al suo autore è pur vero che solo quel clima culturale, che si è venuto maturando a Firenze in quegli anni, rende possibile una simile impresa. Il progetto arnolfiano per la chiesa di Santa Maria del Fiore probabilmente già prevedeva una cupola come farebbe pensare anche l'affresco di Andrea Bonaiuto, La Chiesa militante, dipinto nel cappellone degli Spagnoli della chiesa di Santa Maria Novella, nel quale la cattedrale è rappresentata coperta da una cupola ottagonale. Ma quest'immagine presenta non poche differenze con la cupola realizzata, poi, da Brunelleschi. Infatti nell'affresco del Bonaiuto, il tamburo sul quale poggia la cupola, è formato da un solo ordine per cui la cupola s'innesta direttamente sulla navata senza, cioè, l'innalzamento dovuto al settore del tamburo occupato dai grandi finestroni circolari; inoltre i costoloni disegnano una curva quasi semicircolare secondo il modello classico, ben diverso da quello effettivamente realizzato. Le difficoltà che Brunelleschi deve affrontare riguardano, innanzitutto la tecnologia da utilizzare per una simile realizzazione e non certo l'opportunità di coprire l'ottagono con una cupola la cui forma, in un certo senso, è già determinata, almeno in pianta, dal vano ottagonale. Inoltre quando nel 1418 Brunelleschi partecipa al concorso bandito dai Consoli dell'Arte della Lana ben conosce i problemi che presenta la costruzione della cupola del duomo nel cui cantiere era già impegnato, sembra fin dal 1409, per suggerire la tecnica muraria più adatta per aprire gli otto grandi occhi circolari nel tamburo. Una volta realizzato quest'ultimo elemento le difficoltà tecniche per la cupola aumentano in quanto il piano d'imposta era ormai giunto a circa 56 metri. Il concorso, quindi, prevedeva il completamento della fabbrica, con la costruzione della cupola, in una situazione semmai peggiorata perché la maggior altezza del tamburo faceva definitivamente escludere l'impiego di centine ed impalcature direttamente poggiate sul pavimento della chiesa. La necessità di voltare la cupola con un sesto acuto, rifiutando il modello del Pantheon, rappresenta, quindi, oltre che una scelta formale, la logica conseguenza statica dovendo recuperare come base di appoggio per la cupola il tamburo già esistente il quale per il suo esiguo spessore non consentiva l'assorbimento di forti spinte laterali compito che, com'è noto, nel Pantheon è assicurato dalla massiccia muratura perimetrale. Ma se si tiene conto che certo la copertura del Pantheon dovette essere realizzata senza armatura, data l'impossibilità anche allora di trovare legname per costruire centine di quella dimensione, si comprende come l'antica costruzione romana possa comunque essere stata vista come un modello per l'architetto fiorentino anche se poi la logica costruttiva, e soprattutto la resa spaziale che questi realizzerà sarà completamente diversa. La legge geometrica che regola la definizione costruttiva della cupola è, in buona parte, un problema ancora tutto da studiare anche se recenti tentativi, condotti con l'ausilio di tecniche sofisticate, tentano di «leggerla» come cupola di rotazione. Molto, invece, si conosce sulla tecnica muraria e sulla organizzazione spaziale. Di certo sappiamo che la muratura fu realizzata per anelli successivi la cui struttura doveva risultare autoportante in modo da consentire agli operai di avanzare ponendo successivi filari di mattoni. La connessione tra i successivi filari era assicurata da un magisterio, individuato da Sanpaolesi e definito a spinapesce, che assicurava un perfetto collegamento verticale fra i vari settori. La cupola, così come essa ci appare nel suo volume, è formata da una doppia calotta sorretta da un sistema strutturale costituito da otto costoloni, poggiati sugli spigoli del tamburo, che individuano otto vele. Ogni vela presenta, all'interno della sua superficie, due costoloni minori e nove archi orizzontali i quali formano un'intelaiatura anch'essa portante. Gli otto costoloni principali con un andamento a sesto rialzato, convergono in una ghiera, anch'essa ottagonale, sulla quale poggerà poi la lanterna. La doppia calotta, oltre a rendere possibile l'utilizzo dell'intercapedine fra le due cupole permise di diminuire notevolmente il peso. | << | < | > | >> |Pagina 83LUCIANO LAURANA (1420-1479)
Urbino, Palazzo ducale (1468-1472)
Quel programma di rinnovamento urbanistico che caratterizzò molti centri italiani nel XV e XVI secolo, ad Urbino si concretizzerà in un intervento di ampliamento della città, volto ad inserire il palazzo ducale nel tessuto edilizio, attraverso un processo di completa ristrutturazione del palazzo stesso, voluta da Federico da Moltefeltro, perché meglio rispondesse al suo ruolo di reggia. Per Luciano Laurana, l'architetto al quale la critica attribuisce la maggiore responsabilità dei lavori, il problema della ricostruzione dell'edificio implica la fusione del vecchio castello medioevale con il palazzo, detto della Jole, ed il superamento del forte dislivello orografico esistente fra il piano del suolo a disposizione per l'ampliamento e la sottostante zona del «mercatale». La distribuzione planimetrica dell'edificio, estremamente libera ed articolata, deriva, innanzitutto, da queste esigenze. Anche per questi motivi, l'architetto attribuisce la maggior importanza compositiva alla nuova facciata, da erigere rivolta verso la valle, ed al cortile. Infatti, se con la prima cambia il rapporto del palazzo con la città ed il territorio circostante, con il secondo crea un punto di raccordo di tutti i percorsi interni dell'edificio e, contemporaneamente, un elemento di ordine in una pianta estremamente confusa. La facciata dei torricini è realizzata obliquamente rispetto all'edificio proprio per sfruttare la migliore posizione di visibilità per chi, proveniente dalla strada per Roma, entra in città dalla porta Mercatale realizzata con la nuova espansione urbana. Fra le torri cilindriche, per tre piani, è inserita una loggia coperta da una volta a botte retta, negli angoli esterni, da colonne corinzie e, lungo le pareti di imposta, da lesene dello stesso ordine che inquadrano una porta d'ingresso agli ambienti interni. Un fastigio, formato da una doppia voluta, conclude la trabeazione terminale a mo' di timpano. Una lanterna ottagonale, con copertura conica, sovrasta i torricini al cui interno è ricavata una scala circolare che attraversa tutto il corpo di fabbrica. Al cortile, invece, è affidato il compito di creare un luogo di rappresentanza, una sorta di piazza interna sulla quale si affacciano gli ambienti più rappresentativi del palazzo. Un atrio, coperto da volte a botte, aperto sull'unico lato, in parte ristrutturato, del vecchio edificio della Jole, immette nel cortile rettangolare. Poiché i lati di questo sono formati da un diverso numero di campate (cinque e sei) i percorsi lungo gli assi di simmetria risultano differenziati. In un caso, infatti, l'asse, inquadrato da una campata, e quindi da un vano, sottolinea l'attraversamento di tutto l'edificio sul lato corto, dall'atrio di ingresso fino ai giardini posteriori, mentre l'asse trasversale, imperniato com'è su due colonne, resta, per così dire, all'interno del cortile stesso. Le quattro facciate sul cortile sono impaginate da due ordini il primo dei quali presenta archi sorretti da colonne corinzie; una trabeazione, con una scritta dedicatoria, tangente agli archi, funge da davanzale per le finestre del secondo ordine. Questo è formato da paraste, anch'esse corinzie, le quali, allineate con le colonne inferiori, spartiscono le pareti di mattoni in campate in cui si aprono le finestre. Una trabeazione, molto più accentuata, contenente anch'essa una scritta in caratteri romani, conclude il cortile (gli attuali ultimi due piani sono il risultato di successive sopraelevazioni). Tondi, di brunelleschiana memoria, sono inseriti fra gli archi. Rispetto ai modelli precedenti – innanzitutto il fiorentino palazzo Medici - quest'edificio presenta un'innovazione che risulterà di notevole importanza per la tipologia dell'edilizia rinascimentale successiva.
La sostituzione della colonna d'angolo con un pilastro ad L, infatti,
risolve il problema del proporzionamento dell'ultima campata. Il pilastro del
palazzo ducale è articolato in maniera da rendere ogni facciata autonoma
architettonicamente rispetto a quella contigua; le paraste, infatti, presentano,
nell'angolo un elemento «distanziatore» in modo che il modulo rimanga costante.
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