|
|
| << | < | > | >> |Pagina 75La mattina dopo per prima cosa andai a casa della sciocca Katja e le infilai nella cassetta della posta una busta con i soldi estorti allo pseudo-Basil. Poi decisi di occuparmi di Sof'ja Rogova. Quella signora, che aveva preso sotto la sua protezione Maja, non mi era per niente piaciuta. Aveva avuto una bella faccia tosta a mettere nei guai un'amica, per giunta in miseria. La cosa non era affatto carina, dal momento che la stessa madame Rogova, da quel che vedevo, era più che benestante. L'indirizzo che mi aveva dato la Kolosova mi portò alla periferia di Mosca, quasi in campagna, in una bella casa a due piani protetta da una palizzata piuttosto alta. Poco distante dal cancello rallentai, mi accesi una sigaretta e decisi di pensare a come era meglio presentarsi; ma a questo punto il cancello si aprì, lasciando uscire una lussuosa Mercedes rossa. Al volante era superbamente piazzata una bionda platinata sulla trentina. "Sof'ja Nikolaevna!" gridò a squarciagola qualcuno dal cortile. "Ha dimenticato la borsa." La Mercedes frenò e la donna socchiuse la portiera. Una ragazza in vestito blu e grembiule bianco si precipitò verso di lei agitando una borsetta a bauletto di pelle. "Dai qua", mormorò fra i denti la padrona, e rimise in moto. Senza pensarci tanto le andai dietro. Volevo vedere da che parte andava quella simpaticona di Sof'ja Nikolaevna, magari intanto mi veniva in mente come abbordarla. Buttai via l'intera giornata a seguirla, e la cosa mi riuscì con estrema facilità. La signora guidava piano e con prudenza, non percorreva tratti molto lunghi, in linea di massima girava per il centro. Prima si fermò da un parrucchiere abbastanza caro, quindi in una pasticceria francese da cui uscì con un vassoio di paste, dopo di che si diresse verso il vicolo Glagolevskij e parcheggiò nei pressi di una piccola casa rosa chiaro d'inizio secolo. Nell'attesa i minuti scorrevano uno dopo l'altro, estenuanti. Dopo circa due ore mi stancai di starmene lì senza far niente, e mi inoltrai nel cortile. Faceva freddo ma c'era il sole, e su una panchina si sedette una donnetta infagottata in un mucchio di sciarpe, con una carrozzina. Mi accomodai lì accanto. La vecchia gettò un'occhiata di disapprovazione al pacchetto di Gauloises e brontolò: "Allora è diventata una moda! Gli uomini fumano e le donne gli vanno dietro, è proprio uno schifo". Nascosi in fretta le mie povere sigarette e osservai conciliante, indicando con il dito la Mercedes sprizzante lusso: "Bella macchina, deve costare un sacco!" "Lo sa di chi è?" si animò inaspettatamente la vecchia. "Va da Legka Gavrjusin, il suo amichetto." "Ma va'!" le diedi corda. "Non è possibile!" "Non ci credevo neanch'io!" esclamò trionfante la pettegola. "Lui è ancora un bambino, ha appena compiuto diciotto anni, e lei navigherà sui quaranta, anche se vuol dimostrarne di meno, ovvio. La gonna fino all'ombelico, stivali bianchi, tette al vento, arranca sui tacchi. Le donne qui dicono che gli ha fatto saltare la naia, e adesso lui la ringrazia come può." "E si vedono spesso?" "Be', praticamente ogni giorno. Come un orologio. Alle tre in punto lei è qui, e alle cinque se ne va." Sbirciai l'orologio: le 16.50. "Ecco ecco, guardi", si elettrizzò la mia informatrice, "adesso cominciano gli addii." Dal portone uscì una coppietta. La già nota Sof'ja Nikolaevna e un giovanotto dal fisico atletico. Nonostante il freddo, aveva addosso solo una camicia con le maniche corte. Forse voleva esibire gli imponenti bicipiti. E, in effetti, non passava inosservato. Il fisico del nostro Romeo faceva venire in mente un triangolo rovesciato: spalle larghe e fianchi stretti. In testa un'aureola di capelli belli, biondi, al tatto probabilmente morbidi come la seta, un viso dai tratti regolari, ma come amorfi. Insomma, il ragazzo era bello come l'involucro di una saponetta. Sorreggendo con premura Sof'ja Nikolaevna per un gomito, l'accompagnò alla macchina e l'aiutò zelante ad aprire la portiera. Dopo di che seguì un bacio appassionato. La vecchia e io guardavamo con gli occhi sbarrati. La coppia non ci prestava la minima attenzione. Alla fine Gavrjusin con evidente sforzo si strappò di dosso l'amante e la ficcò in auto. Lei allungò fuori dal finestrino la mano sinistra, e Leska si mise a sbaciucchiargliela. Finalmente il motore rombò e la signora partì. Io rimasi un attimo soprappensiero. L'indirizzo della Rogova lo conoscevo, facevo sempre in tempo a torchiarla. Forse era il caso di mettere un po' di spavento a quel focoso principe, e ottenere qualche altra informazione di seconda mano su Sof'ja! Nel frattempo il ragazzino era scomparso nell'androne. Lo inseguii. Al secondo piano diede uno strattone a una porta, e in quel momento io cinguettai insinuante: "Signor Gavrjusin, può dedicarmi due minuti..." Il giovanotto per poco non gridò dallo spavento, ma si trattenne e farfugliò: "Cosa vuole? Chi è lei?" "È difficile da spiegare... diciamo che rappresento la famiglia di Sof'ja Rogova." Il ragazzo sbiancò in volto e bisbigliò: "Lei è sua madre?" Non mi avevano mai offesa così! Io madre di quella gattina imbellettata? E poi potrei sembrare la sua sorella minore! O il mio Casanova aveva perso la testa per la paura o sulle scale era troppo buio. "No", gli comunicai in tono piuttosto brusco, "sono parente dall'altra parte, del marito." "Che incubo!" balbettò il bellimbusto, che non riusciva a infilare le mani tremanti nelle tasche. "Del marito!" "Lei non sa che Sof'ja è sposata?" "No, cioè sì, anzi, no", cominciò a schermirsi il poveraccio. Il suo bel viso un po' apatico si imperlò di sudore, gli occhi languidi non sapevano dove guardare. La mia Masa chiama le persone così in modo conciso ed efficace: uno straccio. "Piccolo", mormorai, "non è il caso di spaventarsi così, non ti faccio niente di male; parliamo solo a cuore aperto, e basta..." Adesso il ragazzo non riusciva a infilare la chiave nella toppa. Gli tolsi il mazzo di chiavi dalle mani e aprii la porta. Nell'ingresso regnava un silenzio di tomba. "Abiti da solo?" Il giovane annuì. Entrammo in una stanza piuttosto grande. L'arredo era sorprendente, un miscuglio fra un bazar orientale, un museo delle dimore aristocratiche, un bordello. Tappeti dappertutto e... una tenda da nomadi. Dal soffitto pendeva un lampadario di bronzo troppo grande per l'ambiente. Mobilio lussuoso, verde scuro; un tavolino basso; un enorme televisore Sony, un videoregistratore, un mucchio di cassette e una montagna di riviste per soli uomini. "Lì cosa c'è?" chiesi, puntando il dito in direzione di una porta nera. "La camera da letto", belò Leska. Volevo accertarmi che fossimo soli, perciò spinsi la porta e rimasi senza fiato. Tutta la superficie della stanza era occupata da un enorme letto rotondo agghindato con lussuosa biancheria bordata di merletto. Pareti viola scuro, uno specchio fissato al soffitto. Il pavimento era coperto da un tappeto bianco con pelo chilometrico. Sul cuscino dormiva un gatto d'angora con un collare azzurro. | << | < | > | >> |Pagina 145"Io non ho bisogno di soldi", dissi, decisa a calmare quell'isterica, ma lei, al contrario, si spaventò ancora di più."E di che cosa allora? Di che cosa ha bisogno?" si mise a ripetere ottusamente, battendo le capsule dei denti, di ottima fattura. "Di una certa informazione." "Non so niente", replicò in fretta Karina. "Chi le ha presentato Vanda? Come ingaggia le donne?" Karina sospirò. "È una canaglia, furba. Non so come fa con le altre, lì non ho mai incontrato nessuno. Con me ha fatto tutto in modo molto semplice." Vanda aveva incontrato Karina in diverse occasioni: presentazioni, prime, compleanni di comuni conoscenti... Entrambe facevano vita mondana, erano sempre in società. Perciò la signora Solomatina non si era affatto stupita quando l'amica le aveva telefonato per invitarla a una festa per San Valentino. Alla continua ricerca di pretesti per ritrovarsi, i membri del bel mondo si inventavano sempre nuove feste. Una volta lì, tuttavia, Karina era rimasta sbalordita. Nella grande sala da pranzo sedevano a tavola solo tre persone: Vanda, uno sconosciuto, e lei. La cena era stata piacevole. La padrona di casa aveva lasciato per lunghi periodi soli gli ospiti, e il cavaliere copriva Karina di complimenti. La mattina dopo, molto presto, Vanda l'aveva richiamata. "Cara", aveva cinguettato, "ieri hai fatto un'impressione straordinaria su Lev Andreevic. Parla solo di te, non riesce a fermarsi, è come una malattia. Ti prego, vieni oggi verso le sette, beviamo un caffè, chiacchieriamo un po'... Tu l'hai capito, vero, si è innamorato. Ma la sua posizione non gli consente di farsi vedere dalla gente, arriverebbero subito i reporter, i fotografi..." Qualunque donna è lusingata dalle effusioni sentimentali. Karina, poi, non era affatto viziata. Il matrimonio con Vladimir andava avanti da un bel pezzo, da poco avevano festeggiato le nozze d'argento. Negli ultimi anni il ginecologo, che si occupava esclusivamente della clinica e stava allargando la sua clientela, non era quasi mai a casa. Karina non aveva mai lavorato e non possedeva nessuna specializzazione, e prima si occupava della casa. Ma la ricchezza piovuta dal cielo aveva consentito loro di ingaggiare una colf. La Solomatina non aveva bambini, solo una gatta persiana che pettinava per ore e ore. La donna non si perdeva neanche una mostra di gatti, collezionava con entusiasmo i fiocchi e le medaglie vinti dalla sua adorata Murka... Nonostante questo, Karina trascorreva comunque la maggior parte della giornata abbandonata sul divano, oppure davanti al televisore, anche perché il suo premuroso marito le aveva comprato l'antenna satellitare NTV-plus, e riceveva un'incredibile quantità di canali. Purtroppo, i soldi avevano fatto effetto anche su Vladimir. Prima, quando lavorava come medico in ospedale, non faceva mai il taccagno e dava alla moglie i rubli che guadagnava, trattenendo per sé pochi copechi per le sigarette. Ora la situazione aveva subito un brusco cambiamento. La colf riceveva dal signor Solomatin una cifra fissa per mandare avanti la casa e doveva presentare il rendiconto delle uscite. A Karina, Vladimir passava il necessario per le piccole spese, ripetendo in continuazione che in cantina non aveva una macchina per stampare banconote. Un giorno la donna non si era trattenuta e aveva detto che era stanca di quei rimproveri quotidiani. Bambini non ce n'erano: per chi bisognava risparmiare? "Tu cosa credi, che io lavorerò tutta la vita?" aveva ribattuto il ginecologo. "Già adesso non ci vedo più bene come prima, con gli anni sarà sempre peggio, e non ho intenzione di trascinare un'esistenza penosa con una pensione da miserabile. La povertà è facile da sopportare finché si è giovani, ma quando si è vecchi diventa vergognosa. E poi tu, anima mia, in tutta la tua vita non hai guadagnato neanche un soldo, perciò sii contenta che io sono un uomo ragionevole e oculato!" Dopo una simile ramanzina la moglie non aveva più chiesto soldi, anche se continuava ad averne bisogno. Era tremendamente imbarazzante accettare gli inviti delle amiche. Bisognava, di tanto in tanto, invitarle al ristorante e pagare il pranzo o la cena. Ed era umiliante andare al di là del fiume, da Zina, e poi contrabbandare i lavori della brava sartina per capi firmati... Insomma, Karina era tornata da Vanda. E di nuovo una cena a lume di candela, e molto vino, e la padrona di casa che spariva non si sa dove... Quello che era accaduto poi, la donna se lo ricordava a fatica. L'aveva vissuto come in sogno. Non capiva come si fosse trovata nella lussuosa camera, fra le braccia dell'affettuoso Lev Andreevic. Il risveglio era stato tremendo. Verso le dieci di sera Karina si era ripresa, perché qualcuno l'aveva scossa per le spalle. Davanti al suo viso era comparso il volto sorridente di Vanda. "Ti sei riposata, tesoro?" La signora Solomatina, scuotendo la testa che le doleva in modo insopportabile, aveva avvertito una fitta di rimorso. Ma Vanda Nikitina le aveva allungato una busta piuttosto grossa. "Prendi, cara. Lev Andreevíc ti ha lasciato un regalo." Nella busta c'era una somma abbastanza notevole. Sulle prime Karina era stata sul punto di vomitare. L'avevano pagata come una prostituta! Ma il giorno dopo, l'accaduto già non le era sembrato più così tragico. La Solomatina aveva invitato al ristorante tre amiche e si era comprata delle splendide scarpe. I soldi, però, hanno una spiacevole proprietà: finiscono presto. Perciò, quando una settimana dopo Vanda le aveva telefonato di nuovo dicendole in tono carezzevole che Lev Andreevic era arrivato a Mosca, Karina si era precipitata dalla Nikitina, pregustando la busta rigonfia. Poi erano seguiti incontri con l'affascinante Sergej Petrovic, con il poco attraente Gleb Markovic... I nomi dei partner cambiavano, ma restava invariata la busta con i soldi. Ed ecco che arrivavo io con le fotografie che la smascheravano. C'era di che perdere quel poco di senno che le rimaneva. E Karina si mise a propormi uno dopo l'altro tutti i suoi gioielli, in cambio del silenzio. | << | < | > | >> |Pagina 305Dopo esserci accomiatate dalla Nikitina e dal figlio, risalimmo in auto.Superati alcuni isolati, mi sfogai con mia nuora. "Potevi evitare di farmi pulire la cacca!" Ol'ga soffiò via dagli occhi i ciuffi multicolori e con simulata ingenuità esclamò: "Ma tu volevi curiosare nelle stanze! Quale pretesto migliore di quello per cercare la toilette in un appartamento sconosciuto? Ecco perché ho preso Julie". Effettivamente Julie, dolce e bene educata a casa, quando è ospite da qualcuno per prima cosa la fa, e per giunta in pubblico, al centro di un tappeto. Per questo cerchiamo di non portarla mai da nessuna parte. "Dove hai preso la borsa?" Ol'ga agitò le mani. "Sei un bel tipo! Qui, in macchina; era sul sedile posteriore! E mi sono anche stupita che tu abbia comprato una schifezza del genere. È costosa, grossolana e fuori moda. Adesso si usano borsettine piccole piccole..." E si mise a illustrarmi ispirata l'ultima moda nel campo della pelletteria. Nel frattempo io pigiavo i pedali, giravo il volante, ma la testa era occupata da tutt'altri pensieri. La Nikitina, dunque, doveva sapere dove si trovava Basil! "Andiamo in vicolo Prjamikov", disse Ol'ga. "Lì c'è il negozio più fornito." "Perché?" "E le tende?" "Conciata in quel modo?" "E allora?" sogghignò Ol'ga. "Secondo me sto benissimo, l'attenzione generale è garantita!" Su questo punto aveva proprio ragione. Non facemmo in tempo a entrare nel negozio che le commesse lasciarono cadere le pezze di stoffa e si misero a fissare Ol'ga, e l'unico commesso di sesso maschile si precipitò a rotta di collo su mia nuora e non la mollò più, mentre lei portava lo scompiglio su tutti gli scaffali, srotolando con entusiasmo una dietro l'altra le pezze di tessuto... Lo sapevo, non si sarebbe fermata prima di un paio d'ore.
Io mi infilai fra due espositori di tessuti, facendo finta di
scegliere quello che mi serviva. Tanto, Ol'ga avrebbe comunque preso un tessuto
di suo gusto.
A me viene la nausea alla sola vista di un qualunque negozio. Odio farmi largo fra i banconi, immersa in profonde meditazioni per risolvere il dilemma: è meglio "questa sfumatura di rosso con i fiorellini", oppure "questa tonalità di bianco a pois"? Comunque, la cosa peggiore è fare compere con Arkadij. Io mi sforzo sempre di prendere il più in fretta possibile quello che mi serve e scappare fuori. Mio figlio vagola lentamente per tutti i reparti, esaminando con scrupolo gli assortimenti, poi decreta: "Mamma, hai bisogno di un paio di scarpe!" Nessun argomento mi può salvare, e io, che sono arrivata lì per comprare la carta igienica, vengo sospinta a forza nel reparto calzature e costretta a provare quasi tutti i modelli esposti. Alla fine schizzo fuori dal negozio sommersa di scatole e sacchetti, e quando sono già a casa mi ricordo che la carta igienica, in ultima analisi, non l'ho comprata. Ol'ga rivoltò tutto il negozio, ridusse le commesse sull'orlo dello svenimento, ma alla fine trovò il tessuto giusto. "Per ora mettiamo queste, poi ne troveremo di meglio", cinguettava, prendendo gli enormi pacchetti. "Qui c'è anche del velluto per il salotto e qualche bello strofinaccio per la cucina. Oh, dai, compriamo anche quello a quadretti, facciamo la cuccia per Bandi e Snap!" Sospirai. Ol'ga mi guardò di traverso e mi ordinò: "Porta i pacchi in macchina, vengo subito". Fuori faceva stranamente meno freddo. C'era da aspettarselo: dicembre era alle porte, e per Capodanno a Mosca di solito piove. In città, d'altronde, stava succedendo qualcosa di insolito. Il cielo era limpido, le nuvole si erano dileguate, non nevicava, ma sotto i piedi c'era una poltiglia sporca, un miscuglio di sabbia, sale e ghiaccio sciolto. Era un enigma, da dove venisse; forse era rimasta dal giorno prima. Imprecando tentai di aggirare le pozzanghere. Ma perché, mi chiedevo, in Finlandia e in Norvegia d'inverno i marciapiedi sono sempre puliti? Nevica come da noi, il clima è quasi lo stesso, eppure! Il fatto è che lì gli amministratori sono al corrente dell'arrivo dell'inverno, mentre i nostri ogni volta cadono in preda a un commovente stupore. Il giorno prima, per esempio, Moskovskij komsomolec era uscito con un pezzo strabiliante: "La neve è caduta all'improvviso". Be', nessuno si aspettava una perturbazione a fine novembre, pensavano di essere in Australia e invece, che caso, dal cielo erano caduti dei fiocchi di neve, e lì si era scoperto che gli spazzaneve erano tutti, tutti, fuori servizio... "C'è una multa di cento rubli", mi sentii dire da dietro le spalle. Stringendo al petto i pacchetti, mi voltai e vidi un giovanotto in uniforme. "Perché?" "Non lo vede il segnale di divieto di sosta?" "E questi perché possono?" chiesi indignata, indicando col dito le altre macchine di marca estera parcheggiate accanto alla mia. "Le macchine dell'agenzia Albatros e dei loro clienti hanno il permesso di parcheggiare", mi spiegò gentile lui. "Lei invece è andata al negozio di stoffe."
Un furto alla luce del sole! Gli diedi i cento rubli e mi accinsi a
depositare gli acquisti nel bagagliaio. Aprii lo sportello, e in quell'istante
qualcosa mi scattò nel cervello. Albatros, il cadavere nella Volvo!
Probabilmente era qui che lo avevano ficcato nella mia automobile. Sì, anche
quel giorno ero andata al negozio di stoffe! Ma perché mai i killer avevano
scelto proprio la mia macchina?
|