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| << | < | > | >> |IndiceNota sul caso Sacco e Vanzetti 5 DAVANTI ALLA SEDIA ELETTRICA di John Dos Passos 15 Orazione per Sacco e Vanzetti di John Dos Passos 204 POSTFAZIONE di Piero Colacicchi 205 |
| << | < | > | >> |Pagina 35La sera del 5 maggio 1920 Nicola Sacco, un italiano che lavorava come raffilatore in un calzaturificio, e Bartolomeo Vanzetti, anche lui italiano, pescivendolo, furono arrestati su un tranvai di Brockton, nel Massachusetts. I due erano conosciuti come radicals ed erano attivi nelle organizzazioni delle classi lavoratrici dei dintorni di Boston. Al momento dell'arresto, in tasca a Sacco fu trovata la bozza di un volantino in cui si annunciava una manifestazione di protesta contro il fermo illegale e, forse, anche l'assassinio di Salsedo da parte di agenti del dipartimento di Giustizia. Salsedo era il tipografo anarchico il cui corpo era stato trovato sfracellato sull'asfalto di Park Row, sotto le finestre degli uffici newyorchesi del dipartimento di Giustizia, dove lui e il suo amico Elia erano stati trattenuti e sottoposti al terzo grado per otto settimane senza che fosse stato spiccato mandato di cattura. Quando furono presi, Sacco e Vanzetti erano armati e mentirono quando furono interrogati sui loro amici e compagni. Venne fuori, più tardi, che essi stavano tentando di prelevare da un'officina l'auto marca Overland di un uomo di nome Boda per poter andare fuori città, da vari loro amici, per avvisarli di una nuova serie di retate «anti-rossi» che, secondo alcune voci, era nell'aria. Allo stesso tempo volevano anche recuperare giornali radical e altro materiale a stampa che alla polizia sarebbe potuto risultare sospetto. Furono arrestati perché il proprietario dell'officina aveva telefonato alla polizia, che l'aveva avvisato di dare informazioni sui movimenti di qualsiasi italiano che possedesse automobili. Un paio di settimane prima, il pomeriggio del 15 aprile, a South Braintree, una città dei dintorni, era stato commesso un omicidio particolarmente impudente e brutale, apice di una lunga serie di rapine e di furti. Dopo aver ucciso un impiegato di cassa e la sua guardia del corpo proprio al centro della città, un gruppo di banditi era fuggito su una Buick da turismo portandosi dietro più di quindicimila dollari in contanti. Si diceva che questi banditi fossero quasi tutti italiani. La polizia si dette molto da fare, ma non trovò nessun indizio sull'identità degli assassini. L'opinione pubblica si mostrava piena di rancore e fortemente critica. Bisognava trovare una vittima. Dimostrare che gli assassini erano dei rossi avrebbe soddisfatto tutti. Così, per prima cosa, Vanzetti fu portato a Plymouth e processato come uno degli uomini che avevano tentato di rapinare un portavalori a Bridgewater, all'alba della vigilia del Natale precedente. Fu condannato e gli furono inflitti quindici anni di carcere. Plymouth è proprietà della più importante impresa di cordami al mondo. Anni prima Vanzetti era riuscito a organizzare uno sciopero, che aveva avuto successo, contro la fabbrica. Dopo questo processo Vanzetti fu portato a Dedham e processato insieme a Sacco per l'omicidio dell'impiegato di cassa e della guardia del corpo uccisi a South Braintree. Al termine di un processo tempestoso, furono condannati per omicidio di primo grado. Da allora l'esecuzione è stata rimandata grazie a una serie di istanze di riapertura del processo. Un appello presentato alla Corte suprema del Massachusetts non è stato accolto e si attende la risposta per un altro. La prova più importante emersa durante la presentazione di queste richieste è costituita dalla serie di deposizioni giurate e scritte fornite dalla difesa che dimostrano, come del resto la stampa del mondo del lavoro ha sempre sostenuto, che agenti del dipartimento di Giustizia parteciparono attivamente al processo e, non essendo riusciti a raccogliere prove sufficienti da far espellere Sacco e Vanvetti come radicals, aiutarono a costruire prove false con cui incastrarli e farli condannare per omicidio. «Comunque due poco di buono: hanno avuto quel che si meritavano» si dice che abbia dichiarato un poliziotto. Agli occhi della classe che governa e della sua polizia, chiunque sacrifichi la vita per rendere più umano il massacrante lavoro nell'industria è un poco di buono. In tutto il mondo la gente guarda con speranza e con commozione al caso di Sacco e di Vanzetti come al culmine della lotta senza fine per i diritti degli oppressi contro gli oppressori. | << | < | > | >> |Pagina 43Un'altra udienza su un'istanza di riapertura del processo. Sei sono state già respinte. Sacco e Vanzetti hanno già scontato sei anni di carcere. Stavolta non ci sono guardie con fucili antisommossa, non c'è la polizia a cavallo che gira intorno al tribunale. Nessuna confusione. Ormai tutti hanno dimenticato le grandi giornate della «Cospirazione Rossa», l'appassionato sostegno a legge e ordine contro l'ondata di radicalismo, contro gli stranieri e «i ratti morali che rodono le fondamenta dello stato»: quelli di cui parlava con tanta eloquenza il ministro della Giustizia Palmer. In quest'aula non vi sono prigionieri in gabbia, non vi sono testimoni isterici, non vi sono giurati creduloni sotto le insegne dell'aquila starnazzante. Calma, dignità, quasi come in una lezione alla facoltà di Legge. Il caso è stato reso astratto, quasi matematica. Soltanto gli avvocati della difesa e dell'accusa: Ranney per l'ufficio del procuratore distrettuale, Thompson ed Ehrmann per la difesa; due tavolini con giornalisti; tra i banchi del pubblico qualche italiano e alcuni attivisti liberal e radical; nei posti in fondo poliziotti in borghese con un'espressione bovina. Gli inservienti fanno alzare tutti in piedi. Entra il giudice dietro un uomo in uniforme blu. Il giudice Thayer è un ometto con un faccino grigio incartapecorito da cui sporgono occhiali appoggiati sulla punta di un nasetto rapace. Avanza con passo fermo, affaccendato. La toga nera che gli conferisce potere di vita o di morte (la toga maestosa della cieca dea della legge) sul dietro gli sta un po' larga. Lo segue un altro inserviente. Il giudice si arrampica sul suo alto scranno squadrato. Il giudice parla. La sua voce crepita secca come carte vecchie. Deposizioni, deposizioni, lette alternativamente dagli avvocati nella quiete dell'aula lucida di vernice gialla. A poco a poco, mentre la lettura va avanti, l'aula diventa sempre più piccola. Tragiche figure di uomini e di donne crescono fino a diventare immense, come ombre proiettate sul muro da una lanterna; l'aula diventa un minuscolo buco di spillo attraverso il quale s'intravede un mondo di forze smisurate, schiaccianti, in conflitto tra loro. Per prima cosa viene la storia della vita di Celestino Madeiros, un povero ragazzo portoghese cresciuto a New Bedford. Lui sì che l'ideologia americana l'ha imparata, non ha certo sofferto per colpa di oppressive idee di progresso sociale: la legge della giungla gli è stata morbosamente chiara nella mente fin dal suo primo istante. Non aveva neanche finito la scuola che già era stato denunciato per furto con scasso. Nessuna protesta da parte sua contro la guerra. Lui, sua sorella e un tale in uniforme raccoglievano fondi per una fantomatica organizzazione patriottica, l'American Rescue League. Nella primavera del 1920 era affondato fino al collo in quel mondo criminale che è quasi una perfetta caricatura del mondo degli affari leciti. Andava a gonfie vele. Stava coi fratelli Morelli, una banda di ladri, rapinatori di treni merci, trafficanti d'alcool, magnaccia, predoni e malviventi vari. La grande ondata di rapine che seguì la guerra era al culmine. Per tre anni i governanti della società avevano proclamato che la vita non vale niente: che c'era di tanto strano se, a questo punto, quei criminali li prendevano in parola? Terrorizzato a morte, ubriaco fradicio, Madeiros, un ragazzone di diciott'anni troppo cresciuto, se ne stava sul sedile posteriore della Buick da turismo che aveva perpetrato la tragica rapina davanti al calzaturificio Rice&Hutchins, a South Braintree. Probabilmente, una volta uscito dal carcere di Rhode Island dov'era finito per un altro episodio di furto con scasso, se n'era andato con la sua parte di bottino verso il sud. Tornò nel nord quando gli finirono i soldi e lavorò come buttafuori al Bluebird Inn, un locale «malfamato» di Seekonk, nel Massachusetts, finché ricadde nelle grinfie della legge dopo aver miseramente fallito il tentativo di rifare un colpo audace come quello di South Braintree a Wrentham, dove sparò a un anziano cassiere e poi fuggì senza neppure cercare di prendersi il malloppo. Durante il suo processo era stato seduto così ingobbito e fermo da sembrare scemo. Non aveva alzato lo sguardo neppure quando la madre aveva avuto un attacco epilettico ed era stata trascinata via rigida e con la schiuma alla bocca. Nel carcere di Dedham era stato messo nella cella accanto a quella di Sacco. Poteva vedere Sacco uscire per i colloqui con la moglie e con i figli, quando questi venivano a trovarlo. L'idea che un innocente andasse a finire sulla sedia elettrica lo tormentava. Per lui era tutto finito. Grazie alla sua stessa confessione era stato condannato per l'omicidio di Wrentham. Sembra che si sia arrovellato a lungo su come discolpare Sacco e Vanzetti senza incolpare i suoi vecchi complici, anche se li aveva lasciati perdere già da un bel pezzo. Aveva tentato di parlarne con Sacco nel bagno del carcere, ma Sacco, che vedeva — e a ragione — spie del dipartimento di Giustizia dappertutto, non volle starlo a sentire. Così, a un certo punto, consegnò a una guardia una confessione scritta, chiedendogli di recapitarla al Boston American. Non successe niente. La guardia teneva la bocca chiusa. Alla fine mandò a Sacco una nuova confessione, nascosta in una rivista, pregandolo di farla vedere all'avvocato. «Io sottoscritto confesso di aver partecipato alla rapina al calzaturificio di South Braintree e dichiaro che né Sacco né Vanzetti vi parteciparono. — CELESTINO F. MADEIROS». | << | < | > | >> |Pagina 77Ma com'è possibile tutto questo? Perché mai, tanto per cominciare, questi uomini sono stati condannati? Dal tranquillo anno del signore 1926 è davvero piuttosto difficile ricordare il delirante anno 1920. Il 13 giugno del 1919 una bomba esplose davanti alla casa di Washington del ministro della Giustizia A. Mitchell Palmer. Nei mesi precedenti varie persone avevano ricevuto bombe per posta, e una aveva portato via tutt'e due le mani alla sfortunata cameriera che aveva aperto il pacco. Nessuno, tanto meno gli investigatori federali, è stato capace di scoprire chi abbia commesso questi attentati, o perché siano stati commessi. Il risultato, però, fu quello di spaventare a morte tutti i pubblici ufficiali del paese e in particolare il ministro della Giustizia Palmer. Nessuno sapeva dove sarebbe caduto il prossimo fulmine. La firma dei trattati di pace aveva lasciato insoddisfatto l'odio accuratamente rimestato durante gli anni di guerra. A gente che sapeva benissimo quello che faceva fu facile trasformare il terrore dei pubblici ufficiali e l'irriflesso sentimento di sfiducia del cittadino medio nei confronti degli stranieri in una grande crociata d'odio contro rossi, radicals e dissidenti di ogni sorta. Il dipartimento di Giustizia, appoggiato dalla stampa, freneticamente acclamato dall'uomo della strada, inventò un'imminente rivoluzione. Tutti gli orrori del bolscevismo russo stavano per verificarsi anche sulle nostre pacifiche coste. Quell'autunno iniziò la chiamata alle armi. Ognuno origliava alla porta del proprio vicino. Questa prima crociata culminò con la partenza del Buford, l'«arca sovietica» carica di «anarchici» stranieri e poi con la preparazione della famosa lista degli ottantamila radicals da togliere di mezzo. Ma ciò non bastava a soddisfare la generica sete di vittime che girava nel paese, né la cupidigia di detective e di scagnozzi impiegati per attività antisindacali, tutta gente che ingrassava a spese del dipartimento di Giustizia. Così furono preparati i blitz di gennaio. Il paragrafo seguente, tratto dal libro di Louis E. Post, mostra come quest'uomo, che vedeva le cose dall'interno in quanto assistente del ministro del Lavoro, avesse molto chiaro come tutto questo isterismo fosse manovrato da persone ben consapevoli: Tutta la crociata contro i rossi sembra sia stata condizionata dagli interessi delle «spie del lavoro», cioè dagli interessi delle agenzie private di investigazione al servizio segreto di potenti gruppi, impegnate a generare e far crescere sospetti e odi tra industrie. Fu, a quanto pare, sotto queste influenze che i fondi speciali autorizzati dal Congresso esclusivamente «per scoprire e punire reati» furono in parte deviati per organizzare retate di stranieri non perché delinquenti, ma come possibili oggetti di espulsioni amministrative. I blitz di gennaio ebbero per bersaglio i «comunisti». | << | < | > | >> |Pagina 115Le persone che sono state a lungo in carcere hanno uno sguardo fisso tutto particolare. Il viso di un uomo che è stato a lungo in carcere, la tensione che mostra sotto gli occhi non la perde mai. Sacco è stato nel carcere della contea sei anni sempre in attesa, in attesa di un nuovo processo, in attesa di nuove prove, in attesa di istanze che dovranno esser discusse, in attesa di sentenza, sempre in attesa, in attesa, in attesa. Il carcere di Dedham è una struttura aggraziata, che si trova in mezzo a prati, nascosta da alberi che agitano le loro verdi foglie nuove al cielo di giugno color uovo di pettirosso. Dentro l'ufficio del direttore puoi specchiarti nella lucida vernice marrone chiaro delle pareti, e sul pavimento puoi mangiarci le uova, tanto è lindo. Nell'ingresso principale c'è una bell'aria pulita, è pieno di sole. Le sbarre brillano di riflessi e del verde della primavera, una fresca luce verde pisello si sparge dappertutto. Attraverso le sbarre puoi vedere le fronde degli alberi che ondeggiano e le nuvole di giugno che vagolano per il cielo come un gregge su un prato senza steccati. Una gabbia da canarini assurda, complicata. Perché in questa voliera gli uccelli non cantano? Il direttore ti mostra, con la massima gentilezza, una sedia, e mentre aspetti ti accorgi di un odore particolare: non un odore verde e arioso, ma quello stantio e grasso dei bassifondi, simile all'odore delle baracche dei soldati, ma più pesante, più disperato. Dall'altra parte della sala, un vecchio dalla testa a pera è abbandonato su una sedia; è corpulento, le braccia gli pendono inerti, ha gli occhi chiusi. Il viso cadente sembra un pacco di giornali fradici. Il direttore e due guardie in nero gli stanno vicino e lo guardano con l'aria di chi non sa bene come comportarsi. Alla fine Sacco esce dalla sua cella e mi si siede vicino. Due uomini seduti uno accanto all'altro su una panca in una gabbia per uccelli verde. Quando ne avrà voglia, uno di loro si alzerà e se ne uscirà fuori nella luce di un giorno di giugno. L'altro se ne tornerà in cella ad aspettare. Sembra più giovane di quanto mi aspettassi. Il viso ha una trasparenza cerea, come di chi è stato a lungo a letto malato; quando sorride le guance si colorano appena. Alla fine riusciamo a ridere tutti e due. Per un essere umano trovarsi in quella condizione è tanto assurdo quanto lo potrebbe essere, per uno che non sa neanche le regole, mettersi a giocare a scacchi bendato. Il mondo reale è sparito. Qui non si afferra più in alcun modo il mondo fatto di pioggia di strade di tranvai di piante di cetriolo di ragazze di orti. Questo è un mondo di formule: accusa, difesa, prove, istanze, non rilevante, non pertinente e inconsistente. Per sei anni quest'uomo ha vissuto in mezzo alle leggi, sempre più stretto nei filamenti appiccicosi di formule legali, come una mosca su una ragnatela. E una combinazione sbagliata di parole vuol dire la sedia elettrica. Tutte le mosse sono fatte da altri: tutto quel che lui può fare è starsene seduto indifeso e aspettare appuntando le sue speranze a combinazioni di formule che si susseguono una dietro l'altra. Tra tutti questi libri di legge, tutta questa terminologia da scrivani di tribunale e tutti gli avvocati della difesa, c'è una mossa sola che lo potrà salvare, una mossa tra un milione di altre che significano morte. Se solo la sapessero fare la mossa giusta, usare le parole giuste. Ma ormai il tormento opprimente della speranza si è quasi spento, ormai neppure il pensiero della moglie e del figlio, là fuori nel mondo irraggiungibile, lo tortura più. Ormai è svuotato e può perfino ridere e guardare con ironia quella macchina gigantesca che l'ha preso e stritolato. Ormai gli importa poco se riescono a tirarlo fuori dagli ingranaggi o se una combinazione sbagliata di parole significa sedia elettrica.
Il direttore si avvicina per segnarsi il mio nome. «Spero che sua moglie
stia meglio», dice Sacco. «Abbastanza male», dice il direttore. Sacco scuote la
testa: «Forse si sentirà meglio presto, il tempo è buono». Gli ho stretto la
mano, i miei piedi mi hanno portato verso la porta, accanto all'uomo dalla testa
a pera che se ne sta sempre li, accasciato sulla sedia, le palpebre chiuse che
tremano. Il direttore mi guarda con un sorriso strano: «Ci lascia?», mi chiede.
Fuori, nelle strade pulite, le nuove foglie verdi ondeggiano al sole, gli
uccelli cantano, i clacson grugniscono, un tranvai stride mentre gira una curva.
Sulla mia testa le bianche nuvole di giugno vagano nel cielo privo di steccati.
A Charlestown, più che a una prigione sembra di andare a un circo. C'è un gran via vai di guardie e gruppi di persone che aspettano fuori; all'interno una banda suona Home Sweet Home. Quando, dopo una lunga attesa, alla fine riesci a entrare nel «Big Show» ti accorgi che stanno succedendo tante cose allo stesso tempo. Ci sono file di sedie dove alcune persone, a coppie, stanno parlando. Ogni coppia è formata da una persona libera e da un detenuto. Da tre parti ci sono sbarre grigie e file di celle. La banda all'interno suona con gran fracasso If Auld Acquaintance Be Forgot. Un uomo basso con le spalle larghe siede in silenzio in mezzo a quella confusione, sorridendo appena tra i lunghi baffi spioventi. Ha la fronte bombata e pallida e occhi neri circondati da tante piccole rughe. Il modellato sereno dei suoi zigomi e le guance scavate fanno dimenticare l'aspetto da galeotto che invece si nota sotto gli occhi. È Vanzetti.
Da sei anni, trecentosessantacinque giorni all'anno, ieri, oggi, domani,
Sacco e Vanzetti si svegliano sulle brande del carcere, mangiano cibo del
carcere, hanno un'ora per fare un po' di esercizio e due chiacchiere, se ne
stanno seduti in cella a porsi domande su questo e su quell'altro tecnicismo;
appuntano le loro speranze ai loro alibi, alle testimonianze dei periti sulla
canna della pistola di Sacco, alla confessione di Madeiros, alla testimonianza
di Weeks che la corrobora, alla possibilità di arrivare alla Corte suprema degli
Stati Uniti. Gli stanno scavando la fossa giorno dopo giorno: l'odio cieco di
migliaia di cittadini benpensanti e il meccanismo sovrumano, tortuoso, subdolo,
senz'anima della legge li spingono inesorabilmente verso la sedia elettrica.
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