Autore Roddy Doyle
Titolo La musica è cambiata
EdizioneGuanda, Parma, 2014, Narratori della fenice , pag. 400, cop.fle., dim. 14x22x2,5 cm , Isbn 978-88-235-0806-4
OriginaleThe Guts [2013]
TraduttoreStefania De Franco
LettoreLuca Vita, 2014
Classe narrativa irlandese












 

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Pagina 9

«Ci capisci di Facebook?»

«In che senso?»

Erano al pub, nel solito angolo. Ormai non era più una novità farsi una birra con suo padre. Sul tardi, prima di rientrare a casa dal lavoro. O chiamava lui o chiamava il padre. Non era una cosa fissa, niente di organizzato.

Era cominciata il giorno in cui suo padre si era comprato il cellulare. La prima telefonata l'aveva fatta a Jimmy.

«Come va?»

«Pa'?»

«Sì, sono io.»

«Come stai?»

«Non c'è male. Mi sono appena preso il cellulare.»

«Bene.»

«Anzi, ti sto chiamando con quello.»

«Complimenti.»

«Ci facciamo una pinta per festeggiare?»

«Grande. Ci sto.»

All'epoca dí quel primo cellulare suo padre lavorava ancora, anche se ormai era in pensione da un po'.

«Non c'è lavoro nemmeno a pagarlo» aveva annunciato il giorno di Santo Stefano, quando Jimmy aveva trascinato i figli a casa dei suoi per prendere i regali e dare un bacio alla nonna. «Tanto vale piantarla e andarmene in pensione.»

Il lavoro di Jimmy era sicuro, almeno così pensava.

«Allora» disse suo padre al pub, «questo Facebook. Lo sai cos'è?»

«Ovvio» rispose Jimmy.

«E che mi dici?»

«Non saprei.»

«No?»

«No» rispose Jimmy. «Non granché.»

«Ma hai dei figli.»

«Questo lo so» disse Jimmy. «Ne ho quattro.»

«Quattro?» chiese suo padre. «Credevo tre.»

«No» disse Jimmy, «sono quattro da un pezzo, tipo dieci anni.»

Era quello che gli piaceva di lui. Ecco perché lo chiamava ogni due settimane. Suo padre faceva lo scemo, fingendo di non sapere quanti nipoti aveva. Era sempre stato così. Certe volte riusciva a essere un vero rompiballe, ma quel giorno era esattamente come Jimmy lo voleva.

«Allora è Darren che ne ha tre?» chiese suo padre.

Si chiamava Jimmy anche lui.

«No» rispose Jimmy, il figlio. «Che io sappia, Darren ne ha due.»

Darren era uno dei suoi fratelli.

«Eh, già» disse Jimmy Senior, «però me lo sentivo che c'era sotto qualcosa.»

Mise giù il bicchiere.

«È incinta.»

Cazzo, pensò Jimmy. Cazzo, cazzo, cazzo.

«Davvero?» commentò. «Fantastico.»

«Sì» disse Jimmy Senior. «Darren ha chiamato tua madre stamattina per dirglielo. È di tre mesi.»

«Chi, ma'?»

«Fanculo. Melanie.»

Melanie era la moglie di Darren, anche se non si erano mai sposati. La sua compagna a vita. Erano anni che quei due cercavano di avere un altro figlio. Dopo tutti gli aborti spontanei, Jimmy e suo padre avevano stabilito una regola: niente più battute sugli aborti di Melanie. Gli altri due figli...

«Quelli che sono riusciti a resistere là dentro.»

Va be', un paio di volte avevano infranto la regola.

Gli altri due figli avevano dodici e dieci anni.

«Quindi forse stavolta ce la fa» disse Jimmy.

«Già» fece suo padre. «Incrociamo le dita.»

Annusò il bordo del bicchiere.

«Non ce la farei a reggere un altro aborto» aggiunse.

Bevve.

«Dicevamo» continuò. «Facebook.»

«Sì.»

«Che roba è esattamente?»

«Non ne so molto» rispose Jimmy.

Suo padre aveva un computer portatile. Sapeva usare Google. Aveva prenotato dei voli online. Aveva puntato su qualche cavallo, anche se preferiva farsi due passi fino alla sala scommesse. Aveva comprato un libro usato su Dublino ai tempi della Guerra d'indipendenza. Per poco non si era comprato una casa in Turchia, ma quello era stato un incidente. Aveva cliccato convinto di vedere l'interno — il tour virtuale — ma si era fermato quando il computer gli aveva chiesto gli estremi della carta di credito. Aveva capito di aver sbagliato, oppure era una truffa. Il punto, comunque, era che sapeva muoversi in rete, quindi Jimmy non capiva perché facesse il finto tonto.

«Come mai lo vuoi sapere?» gli chiese.

«E che palle» disse suo padre. «Stessa storia ogni volta che faccio una domanda.»

«Che ti prende adesso?»

«Ogni volta che faccio una domanda, il coglione di turno mi chiede perché lo voglio sapere.»

«Forse le fai ai coglioni sbagliati» disse Jimmy.

«Forse.»

«Che domande?»

«Come?»

«Che domande hai fatto?»

«Ma...» disse suo padre. «Da Woodie's ho chiesto a uno dov'era il nastro adesivo. Lo ammetto, non mi ha chiesto perché volevo saperlo. Mi ha chiesto perché lo volevo. Gli ho detto per comprarlo, cazzo.»

«Voleva solo aiutarti.»

«Non è quello il punto, cazzo. Una volta avrebbe detto là o non ne ho idea. Non mi avrebbe chiesto perché lo volevo. Ecco il problema. Chissà come, è diventato un esperto di nastro adesivo. I negozi sono pieni di esperti. Il paese è pieno di esperti del cazzo. Che non sanno un cazzo.»

«Facebook.»

«Sì.»

«È un social network.»

«Che roba è?»

«Come mai ogni volta che dico qualcosa il coglione di turno mi fa una domanda?»

«Beccato» disse Jimmy Senior.

«Stammi a sentire» continuò Jimmy. «Il tuo telefono. Il cellulare.»

«Sì.»

«La rubrica. Gli amici e i loro numeri. I tuoi figli. Tutti i numeri che ti pare. Facebook è una cosa del genere, però con le foto.»

«Quindi è solo un elenco di numeri e di e-mail?»

«No» rispose Jimmy. «È molto di più. Però quello è solo l'inizio. La base, direi. Amici. Se vai a farti una birra, non chiami i ragazzi per vedere se ci vanno pure loro?»

«Non serve» rispose Jimmy Senior. «Lo so già.»

«Dai, pa', seguimi» disse Jimmy. «Sto cercando di farti capire.»

«Continua.»

«Vai a farti una birra. E vuoi sapere se ci va pure il tuo amico Bertie. Lo chiami?»

«No» rispose Jimmy Senior. «Non più.»

«Gli mandi un sms?»

«Sì.»

«E lui ti risponde.»

«Non la smette più, cazzo.»

Il cellulare vibrò e pattinò per qualche millimetro sul tavolo.

«Eccolo, il coglione.»

Prese in mano il telefono e lo fissò. Dal taschino della camicia tirò fuori gli occhiali da lettura, se li mise e lo fissò di nuovo.

«Tua madre» disse. «Vuole il latte.»

Mise giù il cellulare e si tolse gli occhiali.

«Prima ci andava lei a fare la spesa» commentò. «Anzi, non le dispiaceva per niente andare per negozi.»

«Lui ti risponde di sì» proseguì Jimmy. «O qualcosa del genere. E tu gli scrivi Grande.»

«Giusto» disse Jimmy Senior. «Sembra proprio la mia giornata tipo.»

«Ecco, un social network serve a questo» concluse Jimmy. «Più o meno. È tipo un club dove hai una stanza tutta tua per quelli che vuoi incontrare. Solo che non ci sono stanze e non incontri nessuno. Sempre che tu non voglia.»

«Un club.»

«È il paragone migliore che mi viene in mente.»

«Grande.»

«Perché?»

«Perché cosa?»

Suo padre guardò verso il bancone, socchiuse gli occhi, aspettò e alzò un dito.

«Mi avrà visto?»

«Credo di sì.»

Jimmy Senior aveva ordinato un'altra birra. Sapeva che Jimmy non la voleva.

«Perché mi hai chiesto di Facebook?»

«Bertie mi ha detto una cosa» rispose Jimmy Senior. «Una cosa che ha sentito.»

«Se c'è di mezzo Bertie sarà illegale.»

«No» disse Jimmy Senior. «No, però è immorale, cazzo.»

«Adesso devi dirmelo.»

«Te lo dico, sì. Avevo proprio intenzione di dirtelo. Mi sta spillando la birra quello?»

Jimmy finse di guardare il bancone e il barista là dietro, che non conosceva.

«Sì» rispose.

«Bene.»

«Stai diventando cieco?»

«No. Ma... no. È come tutto il resto.»

Jimmy capì cosa voleva dire, e sarebbe stato il momento buono per dargli la notizia. Però non ci riusciva. Non era pronto.

«Bertie» disse invece.

«Bertie, sì» ripeté suo padre, «mi ha detto che il più piccolo dei suoi ragazzi, Gary, credo... ha più o meno l'età del tuo Marvin.»

«Diciassette.»

«Sì, circa. Forse un paio d'anni in più. Uno stronzetto, lo dicono tutti. Comunque ha detto a Bertie, e Bertie l'ha detto a me, che lui – Gary – se la fa con le donne mature che conosce su Facebook.»

«L'ho sentito pure io, sì.»

«Davvero?»

«Sì.»

«Che razza di club del cazzo è?»

«Ottimo» rispose Jimmy. «Se è il tuo genere. Le chiamano cougar, le donne-puma.»

«Cioè?»

«Donne mature che vanno a caccia di uomini più giovani.»

«Cristo» commentò Jimmy Senior. «Veronica lo guarda.»

«Cosa?»

«Cougar Town. In tivù. È di questo che parla? Pensavo che era tipo Nata libera o roba simile.»

«Cos'è Nata libera?»

«Un film» rispose Jimmy Senior. «Di quando non eri ancora nato. Una di quelle cose sulla natura, l'Africa, i leoni, un mucchio di stronzate. Andy Williams cantava la canzone. Che fine ha fatto quel coglione con la mia birra?»

Stava guardando di nuovo verso il bancone a occhi socchiusi.

«Lo sa che la deve portare al tavolo?» chiese Jimmy.

«Dovrebbe.»

«Non ti muovere.»

Jimmy andò al bancone, pagò la birra, aspettò il resto e portò il bicchiere a suo padre.

«Grazie.»

Jimmy Senior attese che il figlio si fosse seduto.

«Quindi» riprese, «Cougar Town parla di queste vecchie che corrono dietro ai ragazzini?»

«Credo di sì» rispose Jimmy. «Non l'ho mai visto.»

Mentiva. Gli piaceva da matti. Courteney Cox lo arrapava ancora.

«Non crederai mica che ma' abbia in mente qualcosa del genere?» chiese.

«Questa conversazione ha preso una piega che non mi piace» disse Jimmy Senior. «No, non credo. Me lo direbbe.»

«Dici?»

«No.»

«Secondo me puoi stare tranquillo» commentò Jimmy.

«Ha settantun anni, per la miseria.»

«Non è mica vecchia.»

«Invece sì. Le donne-puma sono quarantenni o giù di lì.»

«Allora l'hai visto.»

«No... fanculo. Giusto le foto sul giornale. E comunque, questa cosa di Facebook. Sono i ragazzini, Gary e compagnia bella, che danno la caccia alle vecchie.»

«Vale anche il contrario. È lo scopo di un social network. Stavi pensando di provarci pure tu?»

«No, io no.»

Sorrise.

«Però...»

«Perché se ci stai pensando...» aggiunse Jimmy. «Sappi che quasi tutte quelle più vecchie di te sono morte.»

«Be', almeno non dovrei parlarci. E tanto per chiarire...»

Si drizzò sulla sedia e spostò la birra di qualche centimetro.

«Quello che ho detto prima. Su diventare cieco eccetera. Che quando s'invecchia tutto smette di funzionare.»

Aspettò un attimo per essere sicuro che Jimmy gli prestasse la dovuta attenzione.

«Va' avanti» disse lui.

«Quando mi sveglio ce l'ho ancora duro» annunciò suo padre.

«Davvero?» commentò Jimmy.

Non arrossire, pensò. Non arrossire.

«Tutte le mattine» disse Jimmy Senior. «Pure la domenica.»

«Fantastico. Bravo.»

«Fanculo.»

Jimmy Senior prese la birra, bevve un sorso e la rimise giù.

«Lo so» disse. «Sei mio figlio... Quindi è una cosa strana da dirti, e non è neanche buio. Vent'anni fa non te l'avrei detto. Non me lo sarei mai sognato. Ma quanto c'hai ora? Quarantasette anni?»

«Indovinato.»

«Ecco, quindi ho deciso di dirtelo» continuò Jimmy Senior. «Ti ho sentito sbuffare mentre ti sedevi. E la fronte ti si vede molto più di prima. Capita a tutti. È tremendo. E agli uomini va decisamente peggio. Già. Però quello che cerco di dirti è che non fa tutto schifo. Da padre a figlio.»

«La sai una cosa, padre?»

«Cosa?»

«È la prima volta che mi parli così. Da padre a figlio.»

«Veramente?»

«Sì.»

«No.»

«E invece sì, cazzo.»

«Non ti secca, vero?»

«No, per niente.»

«Bene.»

«Dimmi una cosa» aggiunse Jimmy. «Che fai quando ti diventa duro?»

«Non hai capito il punto, ragazzo. Quella è tutta un'altra storia. E non credo che ne parleremo mai.»

«Approvo» commentò Jimmy.

Rimasero in silenzio per un po'.

«Come mai Bertie ha un figlio così giovane?» chiese Jimmy.

«Cristo» rispose Jimmy Senior. «Si è fatto la sua signora. Non è mica un mistero.»

«Però» disse Jimmy, «è vecchio per avere un figlio adolescente.»

Vide suo padre scrollare le spalle. Una spalla ci mise più tempo dell'altra ad abbassarsi e a Jimmy sembrò che gli facesse male.

«Bertie è un po' più giovane di me» precisò Jimmy Senior.

«Non di molto» aggiunse Jimmy. «Uno dei suoi figli, Jason, quello matto. A scuola era un anno indietro a me. Avrà sui quarantacinque o quarantasei.»

«Può essere» disse Jimmy Senior.

«Che fine ha fatto?»

«Eccolo là» rispose suo padre.

«Quel ciccione con la maglia dell'Arsenal?»

«Lui» rispose Jimmy Senior. «Da quando ha chiuso con l'eroina si è lasciato andare. Vive ancora dai suoi.»

«Che sfigato.»

«Altroché. Mica è normale. Guarda come si è ridotto. Bertie dice che ha il copripiumone dell'Arsenal e roba del genere.»

«Non è male come squadra.»

«È sopravvalutata. Che tristezza. E stato dentro, sai.»

«A Portlaoise.»

«Giusto. Pistola scarica. Però ce l'aveva, la pistola. E se l'è portata in una cooperativa di credito. Quindi andasse affanculo. Se l'è meritato. Comunque...»

Prese la birra. Il bicchiere era semivuoto.

«Aspetta» disse Jimmy.

Ritornò al bancone per ordinargliene un'altra. Voleva alzarsi un po'. Si sentiva irrequieto, arrabbiato. Non proprio arrabbiato, nervoso.

Guardò Jason, il figlio di Bertie. Non sembrava uno di cui aver paura, uno che era stato dentro per rapina a mano armata. Era seduto accanto a due ragazzi, loro sì che facevano un po' paura, però non stava davvero con loro. Quelli erano molto più giovani, più duri, più tosti, e stavano urlando sottovoce.

«Sì, cazzo.»

«No, cazzo. Fanculo.»

Jimmy aspettò la pinta e pagò. Prese il resto.

«Grazie.»

E tornò da suo padre.

«Ecco qua.»

«Bravo» disse Jimmy Senior.

Spostò il bicchiere vuoto sul tavolo alla sua sinistra e piazzò quello pieno sul sottobicchiere.

«Dicevamo, il giovane Jason.»

«Sì.»

«Esce di prigione, ma la famiglia è andata.»

«Dove?»

«No, non è andata da nessuna parte. Solo che non ce l'ha più. Lei non vuole averci niente a che fare. Uno schianto, tra parentesi. Non ci crederesti mai, guardando quel George Clooney dei poveri con la maglia dell'Arsenal. Un vero schianto.»

«Figli?»

«Due, credo. Non lo vogliono vedere manco loro. Lei ha fatto un ottimo lavoro mentre lui era dentro. Non è sarcasmo, il mio. Ha fatto proprio un ottimo lavoro. Bertie potrebbe confermartelo.»

«Ti piace.»

«Già» disse Jimmy Senior. «Un sacco. Passo davanti a casa sua tutti i giorni. Mi siedo sul muretto.»

Jimmy rise.

«È bellissima» continuò suo padre. «E i figli, un maschio e una femmina, stanno uno al Trinity College a fare legge, per la miseria, e l'altra in una banca di Londra che presta soldi. E questo la rende ancora più bella.»

Prese la birra e ne tracannò quasi metà.

«Quindi Bertie e la sua signora si sciroppano il povero Jason.»

«Cristo.»

«Già» disse il padre di Jimmy. «È dura.»

Guardarono Jason.

«Non è tanto il fatto che sta a casa loro» spiegò Jimmy Senior. «Non sarebbe un problema. Ci stanno solo lui e il ragazzino, quello di Facebook. Gli altri se ne sono andati, quindi lo spazio non manca. Non è questo. È più la sua presenza. Gli ricorda che è un fallito. Un adolescente grasso di mezza età.»

«Che cattiveria.»

«È suo padre che lo dice. E capisco cosa intende.»

«Ogni famiglia ha i suoi casini» commentò Jimmy.

«Lo so» disse Jimmy Senior. «Lo so bene. Non lo sto giudicando. Be', sì. Ma lo so.»

Leslie era il nome che aleggiava, sospeso, davanti a loro. Lo sapevano entrambi, lo vedevano entrambi. Les era l'altro fratello di Jimmy. Ventidue anni prima se n'era andato di casa dopo una lite con la madre.

«Lo so» ripeté Jimmy Senior.

Sospirò.

«Tu fai del tuo meglio» aggiunse. «Come tutti. Anche Bertie. Ma cazzo. Sono sicuro che gli vogliono bene. Senz'altro. O almeno ci provano. Però è il suo stile di vita...»

Stavano ridendo di nuovo.

«Il boom manco l'ha sfiorato.»

«Puoi dirlo forte. E a giudicare da com'è ridotto, si sta perdendo anche la recessione. Mi sa tanto che a quel poveraccio di Jason gli basta dire la parola recessione per spomparsi.»

«Di che si fa?» chiese Jimmy. «Perché di qualcosa si fa.»

«Cazzo ne so» rispose Jimmy Senior.

Bevve un sorso di birra. La riappoggiò sul sottobicchiere.

«Lei va in camera sua, la donna di Bertie. E viene fuori piangendo.»

«Perché non lascia perdere?»

«È quello che ho detto io» replicò Jimmy Senior. «Bertie dice che non riesce a farne a meno. Si sente in colpa. È una donna, sai come sono fatte. Come sta la tua?»

«Alla grande. Come sta ma'?»

«Alla grande. Ne vuoi un'altra?»

«No» rispose Jimmy. «Devo guidare.»

«Giusto.»

«Ho il cancro.»

«Bravo.»

«Dico sul serio, pa'.»

«Lo so.»

Jimmy stava tremando. Non se n'era accorto mentre si preparava a dirlo a suo padre. Però adesso si notava. Si premette le mani sulle cosce, le braccia irrigidite. Chissà se i suoi occhi erano iniettati di sangue, aveva la sensazione che lo fossero.

«Oh, Cristo.»

«Già.»

«Dove?»

«Intestino.»

«Brutto.»

«Poteva andare peggio.»

«Davvero?»

«Così dicono» rispose Jimmy.

«Chi?»

«I dottori e tutti quelli lì. Gli specialisti. La squadra.»

«La squadra?»

«Sì.»

«Di che colore è la maglia?»

Jimmy non seppe cosa rispondere.

«È tremendo» commentò suo padre.

«Sì.»

«Quando l'hai scoperto?»

«Qualche giorno fa» rispose Jimmy. «Lunedì.»

«Dio.»

Jimmy rilassò le braccia. L'attimo di follia era passato, le sentiva di nuovo sue. Il padre si agitava sulla sedia, neanche avesse scoperto di essersi seduto su qualcosa di appuntito. Poi Jimmy capì cosa stava facendo. Stava cercando di avvicinarsi a lui, ma senza muoversi. Senza farsi notare. Jimmy Senior si protese sul tavolo e gli posò una mano sul braccio. La lasciò lì.

«Non è naturale» disse.

«Il cancro?» chiese Jimmy. «Credo di sì. È...»

«Piantala di fare quello razionale, cazzo. Non è naturale per un padre — per un genitore, insomma — ricevere questo genere di notizie da suo figlio.»

«Ma dovevo dirtelo.»

«Scusa, Jimmy. Scusa. Sto incasinando tutto.»

Alzò la mano dal braccio del figlio, poi ce la rimise.

«Volevo solo dire che dovrebbe essere il contrario. Capito cosa intendo?»

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Pagina 89

«Ci sono i papadum?» chiese Brian.

«No» rispose Aoife. «Niente papadum.»

«Io volevo i papadum» protestò Brian. «Te l'ho detto.»

Stava parlando con Marvin. Marvin aveva preso le ordinazioni e telefonato.

«Lei ha censurato la lista» disse.

«Lei?» chiese Jimmy.

«La mamma.»

«Lei?»

«Non importa» disse Aoife.

Guardò Brian.

«C'era già abbastanza roba» gli disse. «Così ho tolto qualcosa.»

«Scommetto che non sei stata tu» disse Brian. «O sì?»

«Piantala» intervenne Jimmy. «Mi stai a sentire?»

Brian annuì.

«D'accordo» disse Jimmy. «Bravo. Allora...»

Stava sprecando il suo tempo. Avevano già tolto i coperchi ai contenitori e ci stavano dando dentro. Mahalia mangiava di nuovo la carne. Sembrava che smettesse di essere vegetariana ogni volta che ordinavano al takeaway. Jimmy non disse niente. Rispettava i suoi principi e adorava il modo in cui lei riusciva ad aggirarli.

«Dunque» disse.

Batté la forchetta sul piatto.

«Niente discorso, non vi preoccupate. Solo che...»

Tutti lo guardarono. Erano preoccupati, perfino spaventati.

Jimmy odiava... odiava farlo.

«Sto per andare in ospedale.»

Lo fissarono.

«E starò via qualche giorno» aggiunse. «Tutto qui.»

Non era tutto qui, e lo sapevano.

«Quindi» disse Marvin. «Questa non è l'ultima cena, no?»

«Marvin Rabbitte!»

Dio — cazzo — lo adorava. Li adorava tutti.

Loro lo guardarono e capirono di avere il permesso di ridere.

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Pagina 204

Era rientrato prima, era andato in cucina. Aveva guardato Aoife. Le aveva sorriso. Che uomo coraggioso, ancora una notte e poi la chemio.

«Come stai?» gli aveva chiesto lei.

«Alla grande.»

«Com'è andata la giornata?»

«Alla grande» rispose. «Non c'è male. Ho venduto qualcosa.»

«Bene.»

Era andato di sopra. Si era seduto sul letto. Aveva pensato di uscire, di sgattaiolare via di casa. Di guidare fino a Howth Head. Di gettarsi di sotto. Sugli scogli e nel mare.

Non era un pensiero vero. Stava scherzando.

Ritornò in cucina. Guardò il cane.

«Abbiamo un guinzaglio per questo coso?» chiese.

«Sotto il lavello» rispose Aoife. «Ma il cane è troppo piccolo per quello.»

Aveva ragione. Il guinzaglio era una grossa corda, forse pensata per una fiocina. E, adesso che ci faceva caso, il cane non aveva ancora il collare.

«Abbiamo dello spago?»

«Non esiste.»

Era Mahalia.

«Perché?»

«Lo strangoleresti.»

«Solo se lo volessi.»

«Non è divertente» disse lei. «Aspetta.»

Se ne andò, dovette aspettarla. Ma andava bene così, non era in preda al panico.

Mahalia tornò.

«Tieni.»

Gli diede quella che a lui sembrò la cintura di una vestaglia.

«Perfetto» disse. «Un momento, ma è la mia.»

«Peggio per te, Sherlock.»

Jimmy legò la cintura intorno al collo del cane, non troppo stretta. Si alzò e le diede un leggero strattone. Il cane guaì e pattinò. Era stato lo shock, non la stretta.

Jimmy doveva uscire. Si sentiva devastato e benissimo, cazzo. Non si fidava di se stesso.

«Vado.»

«Mangiamo quando torni.»

Sempre che torno.

Imbecille.

«Grande. Vieni, Messi.»

«Portati questa.»

Aoife gli diede una busta del SuperValu.

«Perché?»

«La cacca.»

«La faccio quando torno a casa.»

«Sei esilarante» disse lei.

Lui si infilò la busta in tasca.

«A dopo.»

«A proposito, gli avete dato l'affare per i vermi?» gridò dall'ingresso.

«Tienilo lontano dall'erba!»

Non aveva senso, come d'altronde qualunque altra cosa succedesse in quei giorni.

«Tranquilla.»

Chiuse la porta sbattendola. Era previsto: era tutto normale.

Diede un leggero strattone alla cintura. Il cane non si mosse. In effetti un po' ci somigliava, a Messi, i peli sulla testa e le zampe anteriori. Però non era affatto allegro o entusiasta come lui.

«Andiamo, per la miseria.»

Fece qualche passo, ma il cane non lo seguì. Lui non se ne accorse – era un cane leggerissimo – finché non sentì bussare sulla finestra alle sue spalle, si voltò e vide Messi a terra sul fianco, che reclamava un rigore del cazzo. Rise, anche se avrebbe voluto prenderlo a calci per tutta la strada.

«Dai, piantala di fare lo scemo.»

Lo prese in braccio e lo rimise giù oltre la macchina e il cancello. Il cane fece la pipì, poi ci si piazzò nel mezzo, tremante.

Jimmy lo tirò fuori dalla pozza, ma continuare a strattonarlo sarebbe stato crudele. Lo riprese in braccio, lo tenne a distanza e lo scosse per far cadere qualche goccia di pipì. Recuperò la busta del SuperValu dalla tasca e l'aprì con la mano libera. Poi c'infilò dentro Messi.

Era la prima passeggiata del cane, immerso fino al collo in una busta della spesa. Le zampe non toccarono mai terra, eppure arrivò fino alla costa, nell'ultima luce del giorno, oltre il ponte di legno fino a Bull Island.

Erano secoli che Jimmy non camminava tanto. Del resto non aveva mai commesso adulterio. Quella parola non significava niente. Il sesso era solo una conquista. Il giorno prima della sua terza seduta di chemioterapia, con il ricordo della seconda ancora così vivo che gli veniva da piangere, ce l'aveva fatta. Semplice. C'erano mille ragioni per cui non avrebbe dovuto farlo, mille ragioni per cui non avrebbe dovuto farcela. Invece aveva messo le mani sulla pelle di una donna che non conosceva davvero, che non conosceva bene, e aveva scacciato tutti i dubbi e tutte le preoccupazioni. Aveva regalato a Imelda i cinque minuti più belli di quella settimana.

Alcune persone lo stavano fissando.

Fanculo.

Il senso di colpa. Glielo leggevano in faccia.

Che sciocchezza. E poi non si sentiva in colpa.

Si era allontanato troppo, ma voleva arrivare alla fine del Bull Wall. Se a casa l'avessero aspettato per cena sarebbero morti di fame. Una volta tornato sulla strada principale avrebbe cercato un taxi.

Avrebbe dovuto raccontare a Imelda del cancro. La sua testa le era piaciuta, gliel'aveva detto. Gli aveva passato le mani sui capelli cortissimi. Non gli erano caduti, non ancora. Era soltanto un uomo con la testa rasata. Non aveva trovato una scusa per spiegarglielo.

Non hai le sopracciglia, Jimmy.

Tutte cazzate.

Aveva avuto paura delle lacrime e della compassione. Aveva voluto che lei gli si sedesse sopra perché era un uomo, non perché stava morendo.

Almeno così credeva.

«Allora» aveva detto lei. «Lo rifaremo?»

«Sì.»

Moriva dalla voglia di andarsene, di levarsi dalle palle. Però era rimasto. Lei era ancora bellissima. Ancora? La desiderava – e gli piaceva – da oltre un quarto di secolo e le avrebbe baciato di nuovo il collo mentre i figli di lei tornavano a casa, saltellando sul vialetto del giardino. I suoi figli erano ancora piccoli? Il vialetto di Imelda era a tre minuti a piedi da quello dei genitori di Jimmy.

Il giorno dopo avrebbe fatto la chemio e tre ore prima Imelda Quirk aveva mugolato quando lui le era entrato dentro. Una donna lo desiderava. Semplice. Una donna attraente – ecco la parola giusta – lo guardava e vedeva qualcuno, un uomo, che si voleva fare.

Era fantastico.

Nel vento c'era anche la pioggia. Di lì a poco si sarebbe avviato verso casa. Alle sue spalle c'erano dei fanali. La sua ombra si allungava davanti a lui.

Che casino, cazzo.

Sulla spiaggia c'era un'auto della polizia, più avanti alla sua sinistra, subito sotto il terrapieno. Procedeva a velocità sostenuta, sulla sabbia. Si fermò e gli sportelli anteriori si aprirono. Probabilmente stavano cercando qualcuno. Jimmy proseguì, non ci fece caso.

A casa sarebbe riuscito ad affrontare Aoife. Non c'era niente che gli suggerisse il contrario.

Sentì la mano sulla spalla quando vide due poliziotti spuntare dalle pietre del terrapieno e corrergli incontro.

«Dove va?»

Era circondato da certi omoni con la metà dei suoi anni.

«Che succede?»

«Dove sta andando con quel cane?»

«A spasso» rispose Jimmy. «Sto facendo una passeggiata.»

Poi vide quello che vedevano loro. Un uomo con un cucciolo in una busta di plastica che andava verso la fine del Bull Wall, il molo o qualunque cosa fosse, con la marea che saliva.

«Ehi, un momento» disse.

Erano giovani, probabilmente carogne, ma stavano interrogando un uomo di una certa età ben vestito. Quindi gli diedero retta.

«Ha fatto la pipì e si è bagnato. È solo un cucciolo. E io non volevo sporcarmi la giacca di... urina.»

Cazzo, meno male che non si era messo i pantaloni da cancro.

«E avevo con me la busta, per la cacca.»

Si ricordò le facce, la gente che prima lo aveva fissato mentre passava accanto al golf club.

«Vi ha chiamato qualcuno?»

«Sì.»

«Sentite» disse Jimmy. «Il cane si chiama Messi. Se torno a casa senza di lui...»

Ci credettero, i cazzoni.

Cominciarono ad allontanarsi.

«D'accordo» disse uno di loro, quello che parlava per gli altri. «Faccia attenzione.»

Stupido pagliaccio.

Erano quasi giù dal terrapieno, e stavano tornando verso l'auto di servizio.

«Ragazzi» gridò Jimmy.

Si fermarono.

«Non è che mi dareste un passaggio?»

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