Copertina
Autore Jacek Dukaj
Titolo La Cattedrale
EdizioneVoland, Roma, 2013, sírin 46 , pag. 202, cop.fle., dim. 14,5x20,5x1,4 cm , Isbn 978-88-6243-125-5
OriginaleKatedra - In partibus infidelium - Szkola [2012]
CuratoreGiuseppe Dierna
TraduttoreMarco Valenti, Justyna Kulik
LettoreFlo Bertelli, 2013
Classe fantascienza
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Indice


    La Cattedrale                           5

    In partibus infidelium                 77

    La Scuola                             111


 

 

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Pagina 7

Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, Amen. Gli Ismiraidi ormai a portata di mano, a settanta giorni dal perilevio, una tempesta fra centododici ore. "Rozmaryn" ha già quasi portato il vettore della velocità allo stesso livello di quello loro, si vede la Cattedrale, ce l'ho sul soffitto, un'immagine in tempo reale. Chiudo e apro gli occhi, e lei piomba su di me come un uccello rapace, il collo magro, le ali delle torri dispiegate in tutta la loro ampiezza, gli artigli ossuti, lo scheletro del corpo centrale.

Ho preso una razione doppia di stupak, la testa mi scoppia per l'assenza di gravità. Ho provato a leggere Feret, ma perdevo il filo dopo poche frasi. Conversazioni di cortesia con Mirton. È un charter, a volarci ci siamo solo io e il dottor Wasojfemgus che praticamente non esce mai dal suo isolamento sensoriale; sto volando quindi da solo. Parlo con "Rozmaryn" mentre mi libro al suo interno, giorno artificiale, notte artificiale. Ha un'interfaccia molto simpatica. Talvolta, mentre faccio gli esercizi in palestra, intontito dalle secrezioni endocrine, quasi mi dimentico che si tratta solo di un programma. Ha le sue priorità. Fa in modo che non mi senta solo e mi coinvolge in discussioni su argomenti che crede possano interessarmi.

- Quindi, padre, lei ritiene che non era un santo e che nessun miracolo abbia avuto luogo? - chiede di punto in bianco.

- Non mi sono fatto un'opinione precisa - rispondo.

- Oh, sicuramente se l'è fatta, padre - sorride "Rozmaryn".

- E tu che ne pensi? - chiedo ripassandogli il pallino.

"Rozmaryn" tace un istante per far intendere che sta riflettendo.

- Credo - riprende - che, se in quel momento lui non aveva il pieno controllo delle sue facoltà mentali, si trattava di una follia motivata dalla grazia. Se Dio si concedesse di intervenire in maniera diretta, allora Ismir non sarebbe stato il peggiore dei pretesti.

- Quindi sei credente?

- In Dio? Se ci credo? Diciamo piuttosto che... lo deduco - dice "Rozmaryn".

Chissà, forse anche in questo caso Turing si era sbagliato.

Controllo i dati correnti relativi al rendez-vous dei planetoidi con Madeleine. Ancora nulla di certo. Nei pascoli computativi del Centro Astronomico di Lisonne, il cristalvivo di queste equazioni ha raggiunto quasi un ettaro, e nonostante tutto non esiste un risultato certo al cento per cento. Nel peggiore dei casi ho un mese. Ma la Chiesa si può davvero permettere di spostare un planetoide così grande? E quella fantasmagorica Macchina di Hoan consentirebbe davvero uno spostamento simile?


Eccomi qui. Il primo giorno sugli Ismiraidi. Ho visto la tomba, ho parlato con padre Mirton. La tempesta si è intanto esaurita dall'altra parte. Sapevano dove sistemare il "Sagittarius". (Ma no, che c'entra? dipende tutto dall'ora, dal momento torcente del sasso; a meno che il Vettore di Hoan...)

La Cattedrale si trova fuori dalla biosfera della città, è troppo alta, perforerebbe la cupola. Lo shuttle della "Rozmaryn" ci aveva fatto scendere dall'altro lato, la città in quanto tale (una città! - è un po' un'esagerazione: più che altro un mucchio di alloggi temporanei coperto da una semisfera d'aria) si trova in un cratere poco profondo le cui pendici ci avevano sbarrato la visuale con una nera scarpata. Questo Ismiraide si chiama il Corno, e per dimensioni è il secondo dell'intero gruppo ma, nonostante ciò, la forza di gravità qui è praticamente inesistente. Immediatamente ci siamo trasferiti nel gruis. Wasojfemgus mi aveva aiutato con lo scafandro: queste tute pressurizzate autosufficienti sono delle vere e proprie armature, uno ci pensa su mezzo minuto prima di muovere una gamba.

Nel tragitto dalla pista di atterraggio alla cupola, il gruis scorre lungo una linea traente molto ben illuminata a cui è agganciato tramite due archetti elastici, per cui sembra davvero quasi una funivia.

Mentre andavamo, il dottore aveva indicato a destra e aveva detto:

- Il relitto.

Mi resi conto che si riferiva al rimorchiatore di Ismir. Guardai in quella direzione ma non scorsi nulla.

- Subito al di là dell'orizzonte - aveva detto Wasojfemgus. - C'è una linea che arriva fino da lui. È in pellegrinaggio, padre?

- No - risposi, cercando di scherzare. - È per lavoro.

Attraverso la plastica del casco non riuscivo a vedere bene il suo volto, ma non credo che avesse sorriso.

- Io in effetti rimarrò qui solo per poco... - aveva bisbigliato. - Ho approfittato del fatto che le persone stanno prenotando i charter per l'evacuazione. Padre, crede che Madeleine ci lascerà andare?

Avrei voluto scrollare le spalle, ma non ne venne fuori un granché.

- Non lo so. Loro ci contano ancora.

- Davvero?

Il cielo qui non è un cielo ma semplicemente il cosmo dilatatosi all'interno di un'alta semisfera. Peggio ancora: in un attimo esso perde quell'illusione di bidimensionalità, basta mettersi a fissarlo per un paio di secondi e subito vieni schiacciato da un abisso mostruoso. La mente passa immediatamente a una visualizzazione tridimensionale e tu non hai più il minimo dubbio di essere solo un minuscolo granello di polvere in quest'oceano, una formica su un sassolino. Si può andare nel panico. Coloro che si avventurano per la prima volta negli spazi sconfinati del cosmo percepiscono quasi fisicamente come i loro sensi perdono tutti i punti d'orientamento; inizia la caduta, sprofondano in un vuoto infinito. Ci sono stati casi di perdita di conoscenza, ci sono stati vomiti e pianti, c'è stata addirittura la follia. Su un planetoide questo rischio non c'è, nonostante tutto esiste qui un qualche orizzonte, c'è un terreno sotto ai piedi, la superficie implicita di un "sotto". Ma appena sollevi la testa e li perdi di vista... Mio Dio. È indescrivibile.

Avevamo raggiunto il bordo del cratere. La camera di equilibrio della cupola si stava già aprendo davanti al cofano del gruis. La cupola stessa si presentava dall'esterno come una semisfera di un bianco lattiginoso, attraverso di essa praticamente non si vedeva niente. Entrammo nella camera di equilibrio per riuscirne subito, le porte si erano chiuse e riaperte così velocemente che neanche me n'ero accorto; guardai in alto... e di nuovo mi piombarono addosso le stelle: dall'interno la cupola è infatti completamente trasparente.

Nonostante quel nero lucido e uniforme, una luce senza ombre ne inonda la parte interna.

Gli edifici sono disposti su quattro cerchi concentrici, con in mezzo quelli più vecchi; la maggior parte sono a due o tre piani. Il quarto cerchio, quello esterno, secondo il dottore è quasi totalmente disabitato.

Il gruis si staccò dalla linea traente e Wasojfemgus passò alla guida manuale. Con la sinistra indicava le pareti di cristalvivo che ci passavano accanto e continuava a chiacchierare (non più attraverso l'interfono, essendoci già tolti i caschi):

- Sono di Matabozza. Loro hanno iniziato a scappare quando si era scoperto che saremmo passati accanto a Madeleine. Erano stati loro i primi a calcolarlo. Adesso stanno citando in giudizio i mocciosi di Lisonne per quei terreni, duemila ettari di fitta foresta analitica: il Centro può andarsi a nascondere. Nel periodo di massima attività, circa cinque anni fa, pare che un terzo di quella foresta macinasse le equazioni gravitazionali degli Ismiraidi. Nell'ambito dei test sui parametri di controllo hanno agganciato all'Arachide sette meteoriti composti di metalli pesanti. Era accaduto ancora prima del momento critico del perilevio, e così adesso abbiamo il Processo dei Quattordici. Già me li vedo gli avvocati a spiegare ai giudici popolari la teoria del caos. Matabozza finirà molto probabilmente a parlare della biforcazione, nessuno proverà loro che non è vero. Abbiamo quindi in totale due imponenti processi. Non c'è da stupirsi che taglino il budget. Loro per primi. Quella fila di arcate a sinistra è invece la filiale della NASA. In teoria loro si limitano al monitoraggio. Certo! Durante la mia visita precedente, quando era emersa la proposta di far esplodere le vene nere con le bombe atomiche, la NASA se n'era uscita con quel suo diritto di veto. C'era stato un attentato al loro cervelloide. Da qui lo vede, padre, quello verde, lì ci abita la squadra degli investigatori dell'UL; o comunque ci abitava, anche se non sembra che se ne siano già andati via. E un quarto del totale sono tutti alloggi per gli ospiti; Honzl li affitta ai pellegrini, durante le finestre di lancio più lunghe ha il pienone. Adesso lui prega che Madeleine ci lasci andare.

- Lei dice che li affitta? Ma lo sa qual è lo status giuridico degli Ismiraidi?

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Pagina 19

E adesso la Cattedrale. Enorme, magnifica. Esci dalla camera di equilibrio della biosfera e la vedi - la Cattedrale - davanti/sopra di te: un'ombra lacerata sullo sfondo delle stelle. C'è bisogno della luce per poterne apprezzare l'architettura, ma è proprio la luce ad essere assente: Lévie già distante, Madeleine non ancora sufficientemente vicina. Adesso, nel lungo periodo dell'interelio cosmico, la Cattedrale è soprattutto un Mistero. Dalla camera di equilibrio una linea traente conduce, serpeggiando, lungo il pendio del cratere fino al portale principale, si scende passando per un sentiero scavato nella fredda pietra, con una corda di sicurezza attaccata obbligatoriamente alla vita dal sistema automatico della porta esterna. E in quel momento, di solito, la curiosità prende il sopravvento e chi scende accende il potente faro dello scafandro pressurizzato. Ma il dito bianco del faro può solo sfiorare singoli frammenti della costruzione, spostarsi su di essi uno a uno... con la sua luminosa epidermide sulla superficie della Cattedrale: da qui a lì, da qui a lì. Scendendo, è difficile indirizzare la luce sempre sullo stesso punto... l'uomo allora si ferma, s'incanta a guardare, guida il grosso dito infuocato su quella creazione rocciosa; in questo modo la discesa dalla camera di equilibrio (duecento metri) può durare anche un'ora. Lo so perché così era avvenuto nel mio caso: padre Mirton attendeva accanto alla tomba, più tardi aveva detto che se l'aspettava: alcuni si siedono sul pendio del cratere e cadono in una sorta di ammaliamento catatonico, solo i sistemi d'allarme dello scafandro li risvegliano. Non c'è da meravigliarsi. Quello non è un edificio, è una scultura. Ma, in fondo, nemmeno una scultura. Ugerzo, ordinando il cristalvivo special, sapeva bene che quanto avrebbe coltivato qui non sarebbe servito per scopi comuni, e che la funzionalità della Cattedrale non aveva alcun significato rispetto al suo simbolismo. Il limite era uno solo: la tomba di Ismir e l'altare... erano situati all'interno, avvolti da una minibiosfera autonoma, per loro doveva essere salvaguardato lo spazio, il libero accesso per i fedeli. Il resto era stato lasciato all'immaginazione dei designer e all'ergodicità degli algoritmi di crescita applicati. La semina aveva quindi interessato l'interno della circonferenza tutt'intorno al tumulo, circa quattrocento metri quadri. Nella quasi totale assenza di gravità del planetoide, il cristalvivo si era proiettato fin quasi all'altezza di duecentocinquanta metri. Quando si guarda dalla parte della camera di equilibrio della biosfera del cratere, è questo l'aspetto che mostra: un'ossatura iperboloidale con, nel mezzo, le costole arcuate, ripiegate a formare due ali sghembe; sui fianchi, invece, alcune torri asimmetriche culminanti in eruzioni rocciose di foglie sfrangiate, simili a shrapnel di carbone da quel nero vuoto congelati al momento dell'esplosione. La forma racconta della fuga dell'anima che, còlta da un atroce dolore, si libera dalle catene della materia per levarsi verso il deserto stellato. Quando la luce comincia qui a seguire una qualche linea, un bordo, una rientranza, una costola della cupola... immediatamente strappa al buio dettagli nitidi, grondanti ombre di una densa solidità, e l'occhio precipita in una spirale di curiosità: non c'è fine a quei dettagli, gli algoritmi frattali del cristalvivo hanno dato qui, a tutte le immagini, dimensioni in apparenza frazionarie, l'occhio ci si sperde. Tutt'intorno alle torri si arrampicano, verso i fotogrammi a passo uno della morte, le spirali delle scalinate di Escher, da una certa angolazione il tutto può persino ricordare un sentiero che un uomo potrebbe davvero percorrere, ma in realtà, quando la luce illumina un frammento maggiore di Cattedrale, allora ci si rende conto che quello lì dovrebbe essere piuttosto un ragno che un uomo; e che persino lui, in fondo, non riuscirebbe ad arrivare da nessuna parte. L'asimmetria delle torri fa sì che tutto quell'intaglio di cristalvivo sembri inclinato verso il cratere, verso l'osservatore, e sul proprio lato destro; e invece, la perfidia degli algoritmi riduttivi, responsabili della forma delle superficie esterna della navata principale... lei fa sembrare come se la Cattedrale fossa corrosa da una neoplasia della pietra, e questo vuol dire che l'osservatore vede in effetti l'aspetto dell'edificio nella sua configurazione terminale, nell'agonia, e che subito - tra uno o due giorni - crollerà su sé stesso, si piegherà, andrà in putrefazione, le sue costole svettanti si fracasseranno sotto il peso della pietra straziata, la spina dorsale coronata dalla croce crollerà negli spazi ombrosi dei suoi organi interni e dalle mascelle del portale sporgente colerà fuori la lenta slavina del friabile sangue della Cattedrale. La forma racconta del tormento di un'agonia solitaria, della debolezza della materia che con la sfiducia avvelena lo spirito invisibile. E se poi si spegne il riflettore e si rimane seduti così per un po' sul pendio, o magari si fa qualche passo avanti e indietro sotto la trazione di sicurezza... se si fa questo, le avide pupille riusciranno allora a catturare isolati raggi di luce da quell'alto blocco d'ombra. Le stelle trapassano la Cattedrale da parte a parte. Ma lei non ha né pareti né un tetto, non le servono a nulla come edificio... la Cattedrale non è certo un edificio... è la semisfera trasparente stessa, quella che ricopre la tomba di Ismir e l'altare, a svolgere tutte le loro funzioni indispensabili. In realtà, qui non abbiamo a che fare con un blocco ergonomico. Il suo interno non è vuoto e - anche se l'uomo non riesce a vederlo - a riempirlo è lo stesso mistero delle trasformazioni del cristalvivo che aveva scolpito le parti visibili. Per cui a una determinata ora, alcune determinate stelle sono in grado di inviare la loro luce attraverso la Cattedrale. Scendendo verso di essa, egli registra ad ogni istante bagliori di luce provenienti da quella gigantesca chiazza di buio, quasi segnali di decomposizione in una camera da vuoto: spari dal nulla. Poi lui entra nell'ombra del portale, tutt'intorno a lui si chiudono cortine di onde ghiacciate, una boscaglia di cespugli ferrosi, e lui si trova a sguazzare negli svernamenti di un lago di dolore. Una curva, una luce... e si ritrova dinnanzi alla tomba.

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Pagina 51

Aveva anche lasciato una decina di libri, esemplari non rilegati del tipo self-printed. Erano soprattutto manuali per gli studenti sulle tecnologie di nanogenesi: Il cristalvivo: struttura e funzioni; Il caos incatenato, ovvero le Vie della Vita; Programmazione dei sistemi negentropici aperti - un'introduzione; Il linguaggio autoesecutivo delle Macchine Nanogenetiche. Un manuale e simili. Mi ero ricordato dell'ologramma dentro al quale per poco non ero entrato il primo giorno. Mirton stava studiando infatti la Cattedrale fin nei minimi particolari: la sua architettura e la maniera in cui si era formata, fino alla tecnologia dei materiali.

Sul cristalvivo in quanto tale ne so abbastanza da non avere la sensazione, leggendo questi libri, di sbattere la testa contro il muro di un esoterismo hi-tech. È vero che non sono mai riuscito a capire fino in fondo la teoria della sua programmazione, la mente in qualche modo si ribella, rifiutandosi di comprendere l'idea della pianificazione dell'imprevedibile, del calcolo dell'incalcolabile. Conosco però bene la sua applicazione, una volta ho persino seminato io stesso. Certo, era solo un piccolo gazebo in riva al lago dai miei nonni su Hoolstalon. Avevo fatto tutto seguendo rigorosamente le istruzioni: avevo tracciato sommariamente un quadrato (strisciando con la punta della scarpa sul terreno), avevo aperto la confezione sigillata di cristalvivo (serie "Gazebo-Venezia" se ben ricordo; ovviamente autoletale), avevo misurato sulla mano una porzione di semi e li avevo seminati lungo le linee. Ne erano avanzati ancora un po' e li avevo quindi aggiunti agli angoli. Poi ci avevo versato sopra due secchi di fango preparati in precedenza. Durante la notte il gazebo era cresciuto che era un piacere. Quanti anni avrò avuto, tredici? Già allora mi tormentava l'inesattezza programmata di quel processo: non aveva nessuna importanza che io seminassi con cura lungo le linee tracciate o che spargessi quei semi in un'ampia striscia; non aveva nessuna importanza dove cadessero i singoli semi; non aveva nessuna importanza nemmeno che li spargessi tutti o soltanto un quarto (sulla garanzia c'era scritto che addirittura sarebbe bastata anche solo una decina di semi... l'intera confezione da duecento grammi serviva per aumentare le probabilità di ottenere la forma ideale finale più vicina possibile ad uno). Ovviamente esiste - nomen omen - una differenza fondamentale tra il cristalvivo chiuso, fatto in serie, dal quale era cresciuto il gazebo dei miei nonni, e il cristalvivo originale, assolutamente unico e aperto della Cattedrale. La differenza sta nella maniera in cui vengono preprogrammati i loro codici. Il cristalvivo della Cattedrale appartiene a quelli del tipo "incompleto": non tutti i dati riguardanti la forma finale sono definiti rigidamente in entrata. Il gazebo, in questo esempio, sarebbe cresciuto in maniera identica fin nella sua struttura più microscopica, sia che l'avessi seminato su un vulcano, sul fondo dell'Oceano di Lisonne o su una roccia del Corno. La Cattedrale, invece... la Cattedrale sarebbe cresciuta in maniera significativamente diversa già anche solo cambiando piccolissimi parametri come, ad esempio, il periodo della semina.

Stando appresso a tutti quei libri mi ero dimenticato del tempo che fuggiva (l'uomo riesce però a dirigere i propri pensieri) e solo il segnale che annunciava che era stato stabilito il collegamento col pianeta mi aveva riportato alla realtà. La riunione era terminata.

- Non posso dirti molto in quest'ora buia - aveva dichiarato il vescovo. - Restano due alternative, entrambe ugualmente tragiche. Noi non abbiamo qui il diritto di intervenire a favore di una o dell'altra. Forse tornerai alla vita su Lisonne se, nonostante tutto, ti deciderai a partire; ma in realtà non ci sono le necessarie premesse logiche. Restando sugli Ismiraidi conserverai la tua vita, a quanto mi dicono, anche per qualche anno; dopo, però, ti ritroverai a morire in solitudine, in quel vuoto. - Aveva serrato le labbra. - Crediamo di essere sempre soli nel dolore, ma non è così, non è mai così. Ricordatelo, laggiù, nel buio. Dio non ti abbandonerà mai, figliolo. - E mi aveva dato la benedizione. - Perdonami per averti inviato lì.

Sì, nei momenti davvero estremi ritorniamo alle parole più semplici, parlando come si fa coi bambini; all'inizio e al termine troviamo la stessa sincerità, la stessa certezza e la stessa semplicità.

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Pagina 65

Così come nasce la bellezza. Perché della Cattedrale c'è un'unica cosa che posso affermare con sicurezza: è bella. Non è graziosa, non è piacevole allo sguardo, non rassicura l'osservatore... però è bella. L'estetica di un solido è diversa dall'estetica di un'immagine bidimensionale o dall'estetica del moto. Non coinvolge soltanto la vista, ma mette in movimento anche processi più profondi. Preme. Riorganizza lo spazio e l'uomo in quello spazio.

Un' acheropita... ecco cos'è la Cattedrale. Un artefatto sacro naturale. Un tempo i depositi calcarei prendevano forma sulle pareti di pietra, dando vita a rappresentazioni... della pietà; un tempo nelle formazioni rocciose ai lati delle strade la gente vedeva figure di santi, i volti di Cristo o di Maria sulle vetrate, nei difetti di fabbrica, negli strati di smog. Reliquie della natura; un'arte portentosa creata dalla mano di nessuno. Adesso abbiamo il cristalvivo. Il termine acheiropoietos indica un oggetto non creato dalla mano dell'uomo. Un manufatto privo di autore ma con una sua palese teleologia. Perché, chi riesce a dirmi il nome del creatore della Cattedrale? Chi mi indicherà l'architetto dall'idea del quale è sorta questa composizione di forme che colpisce l'immaginazione? A chi rendere omaggio? I programmatori del cristalvivo sapevano soltanto cosa la Cattedrale non doveva essere: avevano definito le condizioni al contorno. La Cattedrale in quanto tale non esisteva nei loro pensieri. Chi è dunque l'autore di quest'opera d'arte?

Gli Ismiraidi?

Il caso?

Dio?

Nessuno?

La teoria del caos?

Quanta arte c'è in un pezzetto di legno rigettato a riva dal mare? Quanta profondità c'è in coaguli non intenzionali di materia? Sollevo la testa e davanti agli occhi ho il cosmo. Gli oscuramenti di Rorschach delle nebulose, il fiume della Via Lattea, i fiori delicati degli ammassi stellari, la sabbia argentata delle galassie lontane, dei quasar, lo stridente staccato luminoso dei pulsar... E la mente assorbe tutto ciò, lo rivolta, lo organizza, dà un nome alle forme.

I primi astronauti, rientrando dall'orbita, parlavano spesso di esperienza mistica. Era stata data loro la possibilità di entrare in rapporto indiretto con un'elevata trascendenza. Il cosmo... la Cattedrale... sortiscono lo stesso identico effetto.

È pericoloso restarsene a fissare troppo a lungo.

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Pagina 100

C'era un problema con i pronomi. Non solo il sesso, ma anche il numero degli Spiriti restava indefinito, immerso da qualche parte nell'area grigia dell'indeterminazione probabilistica di Lukasiewicz: lui? lei? esso? loro? Tertium non datur, ma solo finché non lascerai la terra; il cosmo sembra essersi specializzato nelle terze soluzioni. Forse esisteva solo un unico Spirito nella molteplicità delle sue manifestazioni, così come esiste un solo cervello in un computer, indipendentemente dal numero dei suoi terminali; o forse no, forse avevano a che fare con una moltitudine di esseri. La questione era irrisolvibile perché si trovava completamente al di fuori dalla portata della conoscenza umana e della sua strumentazione tecnologica, negli abissi dell'incertezza fondamentale di Heisenberg, dell'intoccabilità della materia, nei balletti quantistici su un filo più sottile della lunghezza di Planck.

Non era stata l'umanità a scoprire gli Spiriti (lo Spirito), erano stati gli Spiriti a scoprire l'umanità. Dal momento che era stata presa la decisione di costruire dei singolatori, si trattava ormai solo di una questione di tempo, cioè di distanza; per gli Spiriti, un singolatore in funzione era come un'orchestra in una caverna. L'informazione si era propagata nella galassia attraverso un'onda sferica: è qui che viene ad essere scolpito lo spazio-tempo. Quella musica gli Spiriti la comprendevano come nessun altro.

Gli scienziati umani, quelli hepteriani, ondini e misericordiani, avevano provato a comprendere la biologia degli Spiriti. Non si trattava, però, affatto di biologia. Se un organismo può essere definito semplicemente come un omeostato che dura nel tempo, allora si trattava di organismi... del resto essi non rientravano più in nessun'altra definizione. Il loro habitat naturale era costituito dalle immediate vicinanze di grandi distorsioni dello spazio-tempo, quali le singolarità dei buchi neri o gli sbalzi post-inflazionari in 4D; lì si erano evoluti come fluttuazioni quantistiche di breve periodo in grado di autoreplicarsi, come matrici di gradienti energetici... e almeno una di queste loro origini primordiali era stata interpolata dagli studiosi contemporanei dei pianeti. Gli Spiriti stessi ne parlavano in forma di ipotesi, così come, allo stesso modo, l'uomo non ricorda certo la prima sintesi di DNA mai avvenuta.

L'evoluzione quantistica, ripartita in miliardi di anni, aveva portato negli omeostati alla nascita della coscienza e dell'intelletto. Nei miliardi di anni successivi, l'intelletto aveva sviluppato la tecnologia. Oggi, ormai, l'uno e l'altra erano indistinguibili tra loro. Gli Spiriti, però, non erano in grado di lasciare da sé le proprie culle gravitazionali, di uscire oltre la sfera della follia spaziotemporale, così come l'essere umano - essendo, proprio per definizione, un essere umano - non era in grado di sopravvivere a un viaggio nel loro mondo, di avventurarsi negli inferi schwarzschildiani della fisica. Ma la tecnologia funge da protesi alle imperfezioni e ai limiti dell'evoluzione. E la storia della scienza degli Spiriti era più lunga della storia della cellula sulla Terra. Loro potevano quindi tirar fuori un vescovo dal suo ufficio in Vaticano e sospenderlo nel vuoto apparente in un punto qualsiasi dell'universo; potevano materializzarsi sotto forma di un rappresentante adatto a ogni specie incontrata; potevano conversare da pari a pari coi rappresentanti di queste specie; potevano molto; volevano ancora di più. Perché ancora una volta si trattava dell'anima. Ma probabilmente non è più possibile immaginarsi una vita più distante dalle sue forme planetarie a base di proteine; perciò si dubitava dell'adeguatezza del termine: quella non era vita. Cos'era allora? Non si sa; l'uomo non lo saprà mai, e se anche lo scoprisse, lui non lo capirebbe. Se riconoscessimo che gli Spiriti (o lo Spirito, se essi costituiscono effettivamente un'unità) sono il nostro prossimo, saremmo costretti a fare lo stesso coi computer considerati intelligenti secondo test superiori a quelli di Turing, e verrebbe oltrepassato - o peggio ancora: distrutto, eliminato, cancellato - il limite che separa ciò che è vivo da ciò che è morto, l'animato dall'inanimato. Allora è meglio accettare il carattere straordinario dell'esistenza degli Spiriti, perché l'alternativa che ci resta è di dover riconoscere l'attributo di "vita" ad altri fenomeni pseudostatici, inorganici e continui, qualcosa come le atmosfere dei pianeti, le tempeste magnetiche, o addirittura le stelle. Gli Spiriti non si possono vedere; gli Spiriti non si possono toccare; non si possono nemmeno immaginare: un corpo di gravitoni, dei pensieri costituiti da disturbi delle funzioni ondulatorie, un nutrimento di particelle virtuali... ma di quale fratellanza, di quale parentela stiamo parlando? La separazione è totale.

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