Copertina
Autore Alexandre Dumas
Titolo Un'avventura d'amore
EdizioneESI, Napoli, 2004 , pag. 380. cop.fle., dim. 168x240x22 mm , Isbn 978-88-495-0933-5
OriginaleUne aventure d'amour
EdizionePlon, Paris, 1985 [1860]
CuratoreGiulia Papoff
TraduttoreGiulia Papoff, Fabio Perilli
LettoreGiovanna Bacci, 2006
Classe classici francesi
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Indice

PREMESSA                                      7

INTRODUZIONE di Giulia Papoff

Tradurre Dumas
1.   La storia                               15
1.1. Fonti autobiografiche                   15
1.2. L'universo diegetico                    21
2.   La narrazione                           24
2.1. Il quadro spazio-temporale              26
2.2. Le funzioni narrative dei personaggi    35
3.   Le istanze del testo                    37
3.1. Le risorse lessicali                    39
3.2. La struttura sintattica                 42
3.3. Il dialogo                              45
3.4. Le figure retoriche                     50
3.5. Le tecniche descrittive                 56
4.   Le strategie di traduzione              62
4.1. La trasposizione                        67
4.2. La modulazione                          72
4.3. L'equivalenza e l'adattamento           75
5.   Questioni di stile                      79
6.   Sinonimi e traduzione                   80

UNE AVENTURE D'AMOUR - UN'AVVENTURA D'AMORE

Capitolo      I                              92
Capitolo     II                             108
Capitolo    III                             140

[...]

Capitolo    XII                             300

BIBLIOGRAFIA                                321

TABELLE E GRAFICI
Tab. I. A. Dumas e il Mezzogiorno d'Italia,
        versioni italiane delle opere
        più note                            334
Tab. 2. Per un repertorio delle principali
        traduzioni italiane delle opere
        narrative di A. Dumas               342
Tab. 3. Per un repertorio delle traduzioni
        italiane di romanzi e novelle di
        A. Dumas ne «L'Indipendente»        354
Graf.1. Traduzioni italiane delle principali
        opere narrative di A. Dumas         362
Graf.2. Cronologia delle traduzioni italiane
        delle principali opere narrative
        di A. Dumas (1841-2002)             363

INDICI
Indice delle opere                          367
Indice dei nomi                             369
Indice dei luoghi                           371

 

 

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Pagina 15

INTRODUZIONE

Tradurre Dumas


1. La storia

Da un frammento autobiografico, breve ma intenso, effimero ma appassionato, Alexandre Dumas ha tratto questa causerie, in cui rivive ricordi ed emozioni, affidando alla sua penna prodigiosa il compito di fissare per sempre un sogno evanescente e reiterare all'infinito un attimo di intensa felicità.

Come ha sottolineato Giovanni Macchia, Dumas riesce a trasmettere quell'inesauribile piacere di raccontare che egli possiede e che trasuda dalle sue pagine. Così Une aventure d'amour si lascia divorare con grande avidità dal lettore incuriosito dalla singolarità della storia, attratto dalla varietà dei paesaggi e stupito dalla forza delle passioni che la animano.

Ma, come abbiamo accennato nella premessa, questo piacere della lettura non è così casuale come potrebbe sembrare. Θ frutto di un'attenta strategia che si serve di numerosi espedienti di cui l'artiste conteur è ben consapevole.

Partiamo dalla storia. Per storia intendiamo la fiction, l'avventura narrata che possiede qui tutti i requisiti di un libretto d'opera. In realtà, l'avventura d'amore narrata da Dumas, che dà il titolo al romanzo, è un récit enchβssé che si inserisce nel contesto di un un'altra avventura, un récit enchβssant, storia di un incontro pudico e cameratesco con l'attrice viennese Lilla Bulyowsky.

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Pagina 93

I



Un mattino dell'autunno 1856, il mio domestico, nonostante l'ordine esplicito di non disturbarmi, aprì la porta, e rispondendo all'occhiataccia molto eloquente che poté distinguere sul mio volto, mi disse:

– Signore, è molto carina.

– Chi, imbecille?

– La persona a causa della quale mi permetto di disturbarvi, signore.

– E che m'importa se è carina? Sai perfettamente che quando lavoro non ci sono per nessuno.

– E poi viene, continuò, da parte di un vostro amico, signore.

– Il nome di quest'amico?

– Vive a Vienna.

- Il nome di quest'amico?

- Oh! Signore, un nome bizzarro, un nome tipo rubino o diamante.

– Saphir?

– Si, signore, Saphir, è questo.

– Θ un altro paio di maniche allora; fa salire nello studio e portami una vestaglia.

Il mio domestico uscì.

Sentii un passo leggero al di là della porta del mio studiolo; poi M. Théodore discese, con la mia vestaglia sul braccio.

Quando attribuisco ad un domestico questo segno di considerazione, chiamandolo con l'appellativo di monsieur, è perché questi si distingue per idiozia o bricconeria.

Ho avuto al mio servizio tre dei più begli esemplari di questo genere che sia mai dato incontrare: M. Théodore, M. Joseph e M. Victor.

M. Théodore era solo idiota, ma lo era molto.

Faccio questa constatazione incidentalmente, affinché il padrone presso cui si trova in questo momento, sempreché sia al servizio di un padrone, non lo confonda con gli altri due.

Del resto, l'imbecillità ha un grande vantaggio sulla bricconeria: ci si rende conto abbastanza presto di avere un domestico stupido, si capisce sempre troppo tardi di avere un domestico briccone.

Théodore aveva i suoi protetti; la mia tavola ha una circonferenza tanto grande da consentire sempre a due o tre amici inattesi di potersi accomodare. Non trovano sempre un buon pasto, ma trovano sempre una buona accoglienza.

Orbene, nei giorni in cui, secondo M. Théodore, il pranzo era buono, questi lo comunicava a quei miei amici o a quelle mie conoscenze che preferiva agli altri.

Solamente, secondo il grado di suscettibilità individuale, diceva agli uni:

– Il signor Dumas diceva stamane: «E da tanto tempo che non vedo quel caro Tizio; sarebbe proprio ora che venisse a chiedermi di pranzare oggi».

E l'amico, certo di soddisfare un mio desiderio, mi chiedeva di trattenersi a pranzo.

Agli altri, meno suscettibili, Théodore si accontentava di dire, con una gomitata d'intesa:

– Si mangia bene oggi; venite su.

E l'amico, grazie a quest'invito, in mancanza del quale forse non sarebbe mai venuto, si tratteneva a pranzo.

Cito un dettaglio della grande personalità di M. Théodore; se dovessi completarne il ritratto mi occorrerebbe un capitolo intero.

Ritorniamo dunque alla visita annunciata da M. Théodore.

Infilata la vestaglia, mi avventurai nello studio.

Effettivamente vi trovai una giovane affascinante, alta di statura, radiosa nel suo candore, con occhi azzurri, capelli castani, denti magnifici; indossava un abito di taffettà grigio perla molto accollato, uno scialle di tessuto e fattura araba, ed uno di quegli adorabili cappelli, sfortunatamente un po' criticati dal gusto parigino, e che si adattano tanto bene alle donne brutte o che non sono più giovani, da essere soprannominati in Germania «un ultimo tentativo».

La sconosciuta mi tese una lettera sull'indirizzo della quale riconobbi l'indecifrabile grafia del povero Saphir.

Misi la lettera in tasca.

– E allora, mi disse l'ospite con un forte accento straniero, non la leggete?

– Inutile, signora, le risposi; ho riconosciuto la calligrafia, e la vostra bocca è così deliziosa da farmi desiderare di sapere direttamente da lei il motivo per il quale mi onorate di una visita.

– Desidero vedervi, tutto qui.

– Beh, non avrete fatto un viaggio da Vienna apposta per questo?

– Chi glielo dice?

– La mia modestia.

– Perdonatemi, ma non passate certo per una persona modesta.

– Ho i miei giorni di vanità, è vero.

– E quali sono?

– Quelli in cui gli altri mi giudicano ed io mi confronto.

– Con coloro che vi giudicano?

– Avete dell'ingegno, signora... accomodatevi, dunque.

– Se fossi stata solo carina, non mi avreste rivolto quest'invito allora?

– No, ve ne avrei rivolto un altro.

– Mio Dio! Come sono vanesi i francesi!

– Non è per niente colpa loro.

– Orbene, lasciando Vienna per venire in Francia, ho espresso un desiderio.

– Quale?

– Quello di accomodarmi, molto semplicemente.

Mi alzai in piedi e la salutai.

- Mi fareste la grazia di dirmi con chi ho l'onore di parlare?

- Sono un'attrice, di nazionalità ungherese; mi chiamo Lilla Bulyowsky; ho un marito che amo ed un figlio che adoro. Se aveste letto la missiva del nostro comune amico Saphir, sarebbe stato lui stesso ad informarvi di tutto ciò.

- Credete di non averci guadagnato nel dirmelo voi stessa?

- Non ne ho idea; la conversazione con voi prende delle pieghe così particolari.

- Libera di riportarla nella direzione che vi converrà.

- Beh! Voi cercate continuamente di dirigerla da un lato piuttosto che da un altro.

– Soprattutto verso il lato del cuore.

– Θ proprio la direzione dove non voglio andare.

– Allora, camminiamo dritto davanti a noi.

– Temo proprio non sia possibile.

– Vedrete che se... Ripetetemi ciò che avete appena detto; siete...?

– Attrice.

– Cosa recitate?

– Tutto: drammi, commedie, tragedie. Per esempio, ho recitato quasi tutte le vostre opere teatrali, da Caterina Howard a Madamigella di Belle-Isle.

– E su quale palcoscenico?

– Su quello di Pest.

– In Ungheria allora?

– Vi ho detto di essere ungherese.

Sospirai.

– Sospirate? mi chiese madame Bulyowsky.

– Si; uno dei ricordi più dolci della mia vita è legato ad una vostra connazionale.

– Beh! Ecco che spingete ancora la conversazione verso quel lato.

— La conversazione, non voi. Immaginate dunque... ma no, continuate.

– Assolutamente. Stavate per raccontare una storia; raccontatela.

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