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| << | < | > | >> |IndiceHANNO DETTO DI QUESTO LIBRO 7 RINGRAZIAMENTI 9 NOTA ALL'EDIZIONE ITALIANA 11 Il gruppo di ricerca Undicisettembre 12 Ringraziamenti per l'adattamento italiano 13 PREFAZIONE 14 INTRODUZIONE 19 Capitolo 1 25 GLI AEREI Le competenze di pilotaggio dei dirottatori 27 Dov'è il "pod"? 31 I finestrini del Volo 175 34 Nessun ordine di non intervento: lo "stand down" 36 Le intercettazioni militari 43 Capitolo 2 47 IL WORLD TRADE CENTER L'incidente all'Empire State Building 49 Danni estesi 51 Acciaio fuso 55 Sbuffi di polvere 60 Picchi sismici 65 WTC7: incendi e danni da macerie 67 Il "pull it": ordine di demolizione? 70 Capitolo 3 72 IL PENTAGONO I rottami del Volo 77 74 Aereo grande, fori piccoli 78 Finestre intatte 82 Capitolo 4 85 IL VOLO 93 Il pilota dell'F-16 87 Il jet bianco 90 Telefonate dai cellulari 92 I rottami 95 Indian Lake 97 Postfazione 99 L'INDUSTRIA DEL COMPLOTTISMO Emarginazione delle opinioni contrarie 101 Argomentazione per anomalia 102 Gestione disinvolta dei fatti 103 Ripetizione 105 Ragionamento circolare 106 Demonizzazione 107 Colpevolezza per parentela 109 Lo stile paranoico 110 LE IMMAGINI 113 Gli aerei 114 I dirottatori piloti 115 Il World Trade Center 116 L'impatto dell'Empire State Building 123 Il Pentagono 124 Il Volo 93 126 Appendice A 129 GLI ESPERTI CONSULTATI Analisi degli impatti degli aerei 129 Difesa aerea 130 Aviazione 131 Analisi delle immagini 132 Ingegneria delle costruzioni e crollo degli edifici 132 Appendice B 135 IL RAPPORTO SUL WORLD TRADE CENTER Sintesi 136 E.3 Sintesi delle risultanze 136 CAPITOLO 1: IL WORLD TRADE CENTER 137 Il complesso del World Trade Center Le strutture 137 CAPITOLO 2: RESOCONTO DEGLI EVENTI AL WORLD TRADE CENTER 1 140 2.2 L'aereo 140 2.3 I danni immediati 141 2.4 Il carburante 143 2.7 Dalle 9:03 alle 9:57 144 2.8 Ore 9:58:59 146 2.9 Dalle 9:59 alle 10:28 147 CAPITOLO 3: RESOCONTO DEGLI EVENTI AL WORLD TRADE CENTER 2 148 3.2 Ore 9:02:59 148 3.3 I danni immediati 148 3.4 Il carburante 151 3.5 Dalle 9:03 alle 9:36 152 3.6 Dalle 9:36 alle 9:58 153 6.14.4 Risposta strutturale delle torri del WTC agli incendi in assenza di danni da impatto o danni all'isolamento 154 8.3.2 Gli acciai strutturali 156 8.3.5 Risposta strutturale e analisi del collasso 158 Appendice C 162 IL RAPPORTO SUL PENTAGONO L'edificio 162 Autori del Performance Report 162 2.1 Documentazione della costruzione originale 163 3.1 Dati riguardanti l'aereo 166 3.7 Sintesi dell'impatto 167 5. Sopralluoghi degli autori del rapporto 168 6.1 Danni da impatto 171 6.3 Ristrutturazione della facciata esterna 176 7.1 Risposta delle colonne all'impatto 177 7.3 Risposta termica delle colonne e delle travi 179 7.3.1 Carico combustibile 180 8. Risultanze 182 ABBREVIAZIONI RICORRENTI 184 SITI INTERNET CONSIGLIATI 188 NOTE ALL'EDIZIONE ORIGINALE 190 NOTE ALLA TRADUZIONE ITALIANA 202 |
| << | < | > | >> |Pagina 14PREFAZIONELa prima volta che ci misurammo con la verità sull'11 settembre fu quasi per gioco. Era il 2002, non era passato ancora un anno dall'attentato al World Trade Center di New York e in rete aveva fatto la sua comparsa un sito con una teoria un po' strampalata: l'11 settembre 2001 il Pentagono non sarebbe stato colpito da uno degli aerei di linea dirottati dai terroristi ma, forse, da un missile. La segnalazione ci era giunta in redazione via mail.
Scaricammo dalla rete il materiale e ci documentammo sull'autore
del sito, il francese Thierry Meyssan. A una rapida verifica e comparazione con
quanto allora sapevamo, le teorie di Meyssan ci apparvero
fantasiose e non sostenibili; ci colpì già allora l'uso disinvolto dei documenti
e delle fonti, utilizzate solo là dove servivano a confermare la
tesi dell'autore e non prese in considerazione nella loro globalità.
Usammo però le foto e il sito di Meyssan per un corso che allora ci avevano chiesto di tenere in alcune scuole superiori dell'alto milanese; tema l'informazione e, in particolare, l'informazione alternativa. Preparammo una serie di diapositive e mostrammo ai ragazzi le immagini di Meyssan illustrando le sue prove. Usammo per il trasferimento dei dati, dei floppy disk. Sembra passato un secolo. Il ricordo dell'11 settembre era ancora ben presente: tutti quei ragazzi, come noi, avevano visto e rivisto le immagini degli aerei che si schiantavano sul World Trade Center, le torri che crollavano su se stesse, i pompieri, lo sgombero delle macerie di ground zero che andò avanti per mesi; centinaia di ore di trasmissioni tv, di testimonianze, di inchieste. Insomma, i fatti, quasi in presa diretta.
Vero che, invece, dell'aereo sul Pentagono (come d'altra parte del
volo United Airlines 93 che si era schiantato in Pennsylvania) si era
parlato di meno.
Quello che accadde quel pomeriggio con questi ragazzi ci sorprese e ci sgomentò. Pur essendo contemporanei dei fatti narrati, quasi testimoni, essi si lasciarono affascinare subito dalle tesi di Meyssan e incominciarono a discuterne, non più a partire da ciò che conoscevano ma invece sulla base delle tesi complottiste. Erano caduti nella trappola con una facilità sconcertante.
Ricordo che quando mostrammo le manipolazioni di Meyssan restarono un po'
delusi.
Noi quel giorno ci sentimmo di avere assolto al nostro compito:
l'informazione alternativa è, per noi, quella che tenta di verificare sempre
le notizie e le fonti prima di rilanciarle e di fare da megafono a qualsiasi
tesi. Con l'esempio dell'aereo sul Pentagono avevamo tentato di
dimostrare ai ragazzi quanto fosse facile cadere nei tranelli dell'informazione
(alternativa o ufficiale non importa) e quanto fosse importante conservare la
propria capacità di giudizio critico.
Tornammo in redazione con una sensazione nuova: che quello a cui avevamo assistito poteva essere l'inizio di un "baco" che, da lì in avanti avrebbe potuto riempire i libri di storia e distrarre dalla verità. Capimmo, allora, come potevano essere nate le teorie negazioniste sull'Olocausto. Conoscevamo la loro forza e l'impossibilità di sradicarle dalla storiografia comune. Una menzogna che si autosostiene e si perpetua. Sì, avevamo assistito a qualcosa del genere, alla nascita di un grande menzogna. Ma perché si operano questo genere di manipolazione, e a chi giovano? Le risposte per noi erano due. Da un lato avevamo a che fare con quelle che, nei nostri corsi, chiamavamo "le notizie attese": notizie che si radicano nei nostri cuori, e probabilmente nelle nostre paure, nel timore che al peggio non ci sia mai fine; non siamo disposti a credere a un dio, ma a un "grande vecchio" che manipola la storia - e così però ai nostri occhi finisce col dare senso e coerenza a tutto quanto accade - questo sì.
Dall'altro lato - e per noi di Altreconomia era molto chiaro - tutto
questo poteva diventare un grande affare commerciale.
Decidemmo di dedicare una piccola inchiesta a Meyssan. Era il nostro modo di opporci alla menzogna che avevamo visto nascere. Eravamo nella primavera del 2002. Era davvero l'alba dei complottisti. Poi ne avrebbero parlato in molti, colleghi giornalisti ed esperti di tutte le razze. Scoprimmo che Meyssan nel frattempo aveva scritto un libro e che questo libro era in cima alle classifiche di vendita in molti Paesi. Sarebbe stato così anche in Italia.
Scrivemmo tutto questo nel numero di ottobre di Altreconomia. Ci
sembrava importante documentare per i nostri lettori quanto stava accadendo: non
ci importava tanto la verità storica dell'attentato alle Torri Gemelle, ma la
facilità con la quale le menzogne entrano nel nostro
sapere quotidiano. Accade così per i grandi fatti dell'economia, per cui
non sappiamo più riconoscere il vero dal falso e tutto finisce con
l'assomigliare a una grande melassa superiore a qualsiasi nostra capacità
di giudizio; diventiamo incapaci di riconnettere i fatti in catene di cause ed
effetti, e restiamo preda dei grandi affabulatori di turno.
Erano mesi caldi. Venivamo dall'esperienza del G8 di Genova (luglio 2001): era morto un ragazzo, avevamo seguito il vertice in ogni sua piega, eravamo stati in mezzo ai manifestanti, testimoni della guerriglia dei black bloc e delle cariche di carabinieri e polizia. Non conoscevamo le strade, ma le avremmo conosciute nei mesi successivi, una per una, quasi metro per metro. Stavamo lavorando allora sulla ricostruzione di quanto era accaduto in quei pochi giorni: due anni di lavoro intenso per un libro-inchiesta (Carlo Gubitosa, "Genova nome per nome", Terre di mezzo Editore, 2003) di 600 pagine.
Sapevamo quanto era complessa la verità, e come essa fosse già diventata una
ricostruzione mitologica ad uso delle parti. Le forze dell'ordine da un lato, i
manifestanti dall'altro. I miti.
Ecco, forse questo - erano in fondo gli stessi mesi - oltre al nostro mestiere, ci aveva reso più sensibili, anche più vulnerabili, rispetto a quanto avveniva a proposito dell'11 settembre. Ma quello che allora non avremmo immaginato era che le teorie complottiste si sarebbero estese anche all'evento più noto e più tragico di quell'11 settembre, le Torri Gemelle.
Avremmo dovuto arrivarci: le tesi di Meyssan infatti possono stare
insieme soltanto se tutto ciò che è accaduto in quel giorno viene rimesso in
discussione.
Ci hanno messo cinque anni per imporre alla discussione la loro verità. Nell'autunno 2006 anche in Italia il dibattito su ciò che è accaduto "veramente" l'11 settembre ha raggiunto il culmine. O almeno speriamo che sia così, e che la marea, da qui in avanti, si ritiri. Ma nel 2006, attorno alla data dell'anniversario degli attacchi terroristici, tutti ne hanno parlato: giornali, televisioni, film, internet. E ovviamente libri. Non uscirà questo "baco" dalla testa di molte generazioni, il sospetto che le cose non siano andate così come sono state raccontate, ma almeno speriamo che non entri nei libri di storia. Per questo abbiamo deciso di pubblicare in Italia l'inchiesta di Popular Mechanics che ci è sembrato un ottimo lavoro di verifica e approfondimento. Delle teorie complottiste non resta in piedi niente. Il che non significa che tutto è chiaro, che si possono spiegare tutte le serie di errori umani, di omissioni e di imprevidenza che hanno reso possibile l'1l settembre. Quello che non perdoneremo alle teorie complottiste è che ci hanno obbligato, e probabilmente lo faranno ancora, a occuparci di ciò che non è accaduto. Ci hanno fatto perdere un sacco di tempo, di energie civili, di passione, che avrebbero potuto essere impiegate su ben altri versanti. Per esempio per capire come l'odio e la violenza possano crescere tra noi. E qual è il peso delle ingiustizie in tutto ciò. Da qui in avanti vorremo essere costretti a occuparci delle nostre vite quotidiane, del mondo reale, non delle menzogne. La redazione di Altreconomia | << | < | > | >> |Pagina 19IntroduzioneLe prime ipotesi di complotto riguardanti l'11 settembre comparvero mentre le macerie ancora fumavano. Man mano che si accumulavano prove che collegavano oltre ogni dubbio i dirottamenti ad Al Qaeda, alcuni sedicenti "scettici" cercarono spiegazioni alternative. Molti sembravano spinti dal bisogno di trovare un modo per incolpare gli Stati Uniti di aver favorito, in qualche modo, persino organizzato, questa tragedia. Negli anni trascorsi dagli attacchi, queste affermazioni sono diventate progressivamente più squallide e diffuse. Se cercate su Internet l'espressione inglese "9/11 conspiracy" ("complotto 11/9") otterrete quasi un milione di pagine. Alcuni di questi scettici si sforzano in modo responsabile di vagliare la montagna di informazioni disponibili, ma la stragrande maggioranza ignora tutto, tranne alcuni dettagli scoordinati che sembrerebbero avvalorare queste teorie. In effetti molti sostenitori delle ipotesi di complotto usano due pesi e due misure: non si fidano delle informazioni fornite dai media tradizionali e dalle indagini finanziate dal governo riguardanti l'11 settembre, eppure pescano selettivamente qua e là da quelle medesime fonti per promuovere i propri concetti esasperati: gli aerei dirottati non erano jet commerciali ma aerei militari o missili Cruise o velivoli radiocomandati, gli edifici del World Trade Center furono demoliti da professionisti, le difese aeree americane furono intenzionalmente disattivate e altro ancora. Credenze di questo genere stanno migrando sempre più dalle frange estreme verso l'opinione pubblica media. Il libro L'incredibile menzogna (L'Effroyable Imposture) dell'autore francese Thierry Meyssan sostiene che le forze militari statunitensi utilizzarono uno dei propri missili teleguidati per attaccare il Pentagono: il libro è stato un bestseller in Francia e le sue tesi hanno avuto molta eco nei media europei e del Medio Oriente. Quando il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad si è rivolto per iscritto al Presidente americano George W. Bush a maggio del 2006, la sua sconnessa missiva ha fatto ampie allusioni al coinvolgimento del governo americano nell'organizzazione degli attacchi. Le accuse di complicità americana nell'11 settembre sono diventate un argomento tipico nei dibattiti radiofonici e nei gruppi radicali di sinistra e di destra. Cynthia McKinney, membro democratico del Congresso e rappresentante per la Georgia, ha tenuto un'audizione al Campidoglio su quest'argomento. Anche alcuni personaggi del mondo dello spettacolo sono entrati a far parte di questo circo mediatico. Il rapper Jadakiss, nel suo disco di successo del 2004 intitolato Why? ("Perché?"), chiese "Perché Bush ha buttato giù le torri?" L'attore Charlie Sheen, in un'intervista con Alex Jones, conduttore di talk-show radiotelevisivi orientati al complottismo, ha fatto proprie varie ipotesi di complotto molto popolari. "Ognuno ha diritto alle proprie opinioni, ma non a propri dati di fatto' amava dire il senatore Daniel Patrick Moynihan di New York. In ultima analisi, anche le teorie più stravaganti sull'11 settembre poggiano su affermazioni di fatto. E i fatti possono essere verificati. Popular Mechanics cominciò a indagare sulle ipotesi di complotto sull'11 settembre nell'autunno del 2004, dopo che nel c,or New York Times era comparsa un'inserzione pibblicitaria per il libro Painful Questions ("Domande dolorose") di Eric Hufschmid, che chiedeva la riapertura delle indagini sull'11 settembre. Il libro di Hufschmid include numerose affermazioni concrete riguardanti l'11 settembre. Per esempio, afferma che siccome il carburante degli aerei non brucia a una temperatura sufficientemente elevata da fondere l'acciaio, gli incendi nelle torri del World Trade Center non possono averne causato il crollo. Il libro dichiara inoltre che esistono prove abbondanti che dimostrano che furono collocati in anticipo negli edifici degli esplosivi del tipo utilizzato per le demolizioni. Come redattori di una rivista dedita alla scienza e alla tecnologia, ci sembrò che queste affermazioni fossero significative. C'erano delle prove concrete che le avallavano? E in tal caso, quali sarebbero state le loro implicazioni per quanto riguarda la nostra comprensione dell'11 settembre? Pensammo che fosse doveroso perlomeno esaminarle. Se ci fosse stato anche soltanto un barlume di verità in queste dichiarazioni, o in asserzioni analoghe, allora i complottisti avrebbero avuto un'argomentazione valida e sarebbe stato effettivamente necessario condurre un'indagine più approfondita. La rivista formò un team di giornalisti e ricercatori e iniziò ad analizzare sistematicamente le più comuni affermazioni complottiste riguardanti fatti concreti: quelle che stanno alla base della maggior parte delle interpretazioni alternative dell'11 settembre. Intervistammo decine di ingegneri, esperti di aviazione, funzionari militari, testimoni oculari e membri delle squadre d'indagine: in tutto più di 300 fonti. Studiammo a fondo fotografie, mappe, disegni tecnici, registri di volo e trascrizioni. I risultati della nostra ricerca furono pubblicati nel numero di marzo 2005 di Popular Mechanics come articolo di copertina, intitolato 9/11: Debunking the Myths ("11 settembre: come sfatarne i miti"), suscitando una forte reazione su Internet e nei media tradizionali. La versione Internet dell'indagine della rivista è tuttora l'articolo più letto presso www.popularmechanics.com ed è stata stampata oltre 850.000 volte. Nei mesi successivi alla pubblicazione dell'indagine, molti lettori, sia critici sia sostenitori, ci scrissero per indicare altre prove che secondo loro avevamo trascurato o per fare nuove asserzioni che ritenevano degne di essere indagate. Nel contempo, molte delle affermazioni inesatte già indagate dalla rivista continuarono a essere pubblicate senza rettifica in contesti di elevata popolarità, come Wikipedia (l'enciclopedia online aperta) e Loose Change, il documentario sostenitore dei complotti dell'11 settembre che ha avuto una diffusione sensazionale nei campus dei college statunitensi. Con l'avvicinarsi del quinto anniversario dell'11 settembre [l'edizione inglese originale del libro risale ad agosto 2006 (N.d.T.)], abbiamo deciso di approfondire la nostra indagine originale e di pubblicarla come libro. Abbiamo ampliato il team di giornalisti, condotto nuove interviste con gli esperti e le fonti della nostra indagine iniziale ed esaminato, per quanto possibile, le domande aggiuntive presentate sia dai critici sia dai sostenitori. Lo scopo di questo libro non è raccontare tutta la storia di ciò che accadde l'11 settembre 2001. Vi sono numerose fonti di altissimo livello, compreso il rapporto della Commissione 11/9, il New York Times e altri giornali, che documentano la cronologia degli attacchi in angosciante dettaglio. Questo libro invece ambisce soltanto a rispondere alle domande poste dai complottisti. Una volta tolti di mezzo salti logici e teorie politiche, ogni ipotesi di complotto si riduce in ultima analisi a una piccola serie di affermazioni, basate su indizi che possono essere esaminati. Queste affermazioni sono gli unici punti di contatto fra le complesse congetture dei complottisti e il mondo reale. Senza questi elementi fondamentali, le loro teorie crollano. In ognuno dei casi che abbiamo esaminato, le affermazioni di base fatte dai complottisti si sono rivelate frutto di errori, interpretazioni errate o falsificazioni intenzionali. Sappiamo che non tutti i complottisti sono d'accordo su tutte le ipotesi di complotto. Alcuni dei loro principali esponenti affermano addirittura che alcune delle ipotesi che ritengono meno plausibili sono state disseminate ad arte per far sembrare ridicolo l'intero movimento. Non abbiamo voluto prendere le parti di nessuno in queste disquisizioni. Ci siamo limitati a controllare i fatti. C'è chi dice che gli scenari alternativi riguardanti l'11 settembre sono utili, nel senso che promuovono lo scetticismo nei confronti di un governo che non sempre è stato trasparente come molti lo vorrebbero. Ma un clima velenoso di sospetto non aiuterà l'America ad adattarsi al mondo com'è dopo l'11 settembre. E non si aiuta la ricerca della verità disseminando menzogne. Il compito di comprendere gli eventi dell'11 settembre non è terminato. È indispensabile capire esattamente che cosa non ha funzionato quel giorno e fare in modo che non succeda mai più. Nei mesi e negli anni precedenti gli attentati ci furono carenze e inadeguatezze da parte delle agenzie governative: ogni americano vorrebbe che il nostro governo fosse stato più vigile e meglio preparato e ogni americano ha il diritto di porre anche le domande più imbarazzanti. Ma c'è una differenza abissale fra credere che il nostro governo avrebbe dovuto sapere ciò che si stava preparando e affermare che qualcuno sapeva e intenzionalmente non ha fatto nulla, oppure (peggio ancora) ha attivamente commesso degli attentati contro i propri cittadini. Sfumando intenzionalmente questa linea di demarcazione, i sostenitori delle ipotesi di complotto sfruttano e depistano la giusta rabbia dell'opinione pubblica per gli eventi di quel giorno. David Dunbar e Brad Reagan | << | < | > | >> |Pagina 60SBUFFI DI POLVEREL'IPOTESI: Durante il crollo di entrambe le torri, vistosi sbuffi di polvere e macerie furono proiettati verso l'esterno dei palazzi. Un annuncio pubblicitario apparso sul New York Times che reclamizzava il libro Painful Questions: An Analysis of the September 11th Attack ("Domande dolorose: un'analisi degli attacchi dell'11 settembre"), di Eric Hufschmid, un ingegnere del software, fece questa affermazione: "Le nuvole di calcestruzzo proiettate fuori dall'edificio non sono possibili in un semplice crollo naturale. Sono causate da esplosivo." Nei mesi successivi agli attacchi, molti altri complottisti, oltre a Hufschmid, citarono i commenti di Van D. Romero, esperto di esplosivi e vicepresidente del New Mexico Institute of Mining and Technology. Il giorno stesso degli attentati, l' Albuquerque Journal riportò questa dichiarazione di Romero: "La mia opinione, basata sulle registrazioni video, e che nelle torri ci fossero esplosivi che ne hanno causato il crollo." L'articolo continuava dicendo che "Romero ha affermato che il crollo delle due strutture ricorda le implosioni controllate con cui si demoliscono gli edifici vetusti." Un'altra argomentazione ampiamente citata a favore della teoria che le torri siano state fatte crollare con esplosivi risale al novembre 2005 ed è opera di Steven Jones della Brigham Young University (BYU). Jones sostiene, tra altre argomentazioni, che il crollo delle torri violi leggi fisiche ben note. La sua ipotesi:
"Le colonne del nucleo ai piani più bassi vengono tagliate con sostanze
esplosive/incendiarie, quasi contemporaneamente, insieme a cariche esplosive di
tranciamento fatte brillare più in alto, in modo che la gravità, che ora agisce
su piani privi di sostegno, aiuti a far cadere velocemente l'edificio."
Specifica inoltre altrove che
"Nessuno degli studi finanziati dal governo ha fornito un'analisi seria delle
ipotesi di demolizione con esplosivi. Se non vengono compiuti questi passi, le
accuse nei confronti di un gruppo di musulmani male addestrati per la
distruzione avvenuta l'11 settembre sono tutt'altro che inoppugnabili.
Semplicemente i conti non tornano."
I FATTI: Molti studi, tra cui in particolare quelli della FEMA e del NIST, hanno stabilito che le torri sono cadute per effetto degli incendi che hanno indebolito le colonne portanti in acciaio nelle vicinanze dei punti d'impatto degli aerei. I soli incendi probabilmente non avrebbero fatto crollare le torri, ma risultarono fatali in combinazione con il danno inflitto dagli schianti aerei. Una volta iniziato il crollo di ciascuna torre, il peso dei piani sovrastanti la zona d'inizio del crollo spinse verso il basso l'ultimo piano rimasto intatto, polverizzandolo. Non potendo sopportare l'enorme energia, ciascun piano cedette, trasferendo la spinta al piano sottostante e consentendo al crollo di progredire verso il basso lungo tutto l'edificio in una reazione a catena. Gli ingegneri chiamano questo fenomeno "pancaking" [traducibile come "accatastamento" (N.d.T.)], e non occorre alcuna esplosione che lo inneschi, stando a quanto sostiene David Biggs, ingegnere strutturista della Ryan-Biggs Associates, società con sede a Troy nello stato di New York, e membro del gruppo di lavoro dell'ASCE che ha preso parte alla stesura del rapporto FEMA. Come la stragrande maggioranza dei palazzi adibiti a uffici, le torri del World Trade Center contenevano principalmente aria. Durante il pancaking, tutta l'aria, insieme al calcestruzzo, al cartongesso e alle altre macerie sbriciolate dalla forza del collasso, fu spinta fuori con molta forza. "Quando gran parte del pavimento crolla, spinge fuori dalle finestre l'aria e la polvere di calcestruzzo," racconta il coordinatore delle indagini del NIST Shyam Sunder a Popular Mechanics. Queste nuvole di polvere possono creare l'impressione di una demolizione controllata, aggiunge Sunder, "ma è il collasso dei piani per pancaking che crea questa illusione." L'ingegnere strutturista Jon Magnusson sostiene che si tratta di un fenomeno piuttosto comune nei crolli degli edifici: "Succede perché l'aria passa sempre per i punti più deboli. Si potrebbe avere un crollo che inizia dalla sommità con l'aria che sfiata in basso perché scende lungo i vani degli ascensori. L'aria percorre la via con minore resistenza." Quattro dirigenti di società di demolizione e ingegneria strutturale di fama mondiale, che non hanno partecipato agli studi del NIST e della FEMA, hanno dichiarato a Popular Mechanics che l'espulsione di polvere verso l'esterno non indica la presenza di esplosivi. Uno di loro è Mark Loizeaux, della Controlled Demolition Inc., società fondata dal padre nel 1947 a Phoenix, nel Maryland. La società di Loizeaux, tuttora a gestione familiare, detiene il record per l'edificio più voluminoso mai demolito con esplosivi (il Seattle Kingdome nel 2000) e per il più alto mai imploso (il J.L. Hudson Department Store a Detroit, alto 133 metri, nel 1998). In un'intervista a Popular Mechanics, Loizeaux sostiene che i cospirazionisti siano "del tutto in errore" nella loro interpretazione del comportamento della polvere. "In qualsiasi caso di demolizione controllata con esplosivi, le cariche sono piazzate principalmente ai piani bassi e nelle fondamenta" dice Loizeaux. "Il motivo è che si vogliono rimuovere le colonne che sopportano la maggior parte dell'energia potenziale. Si vuole liberare la maggiore energia possibile. Nei casi di questi edifici, il crollo inizia proprio nel punto degli impatti aerei. Non crollano dal basso:" Loizeaux aggiunge che se gli ipotetici esplosivi fossero stati piazzati ai piani alti, avrebbero generato molta più polvere e macerie che non semplici "sbuffi". Nonostante le sue credenziali di professore di fisica della BYU, Jones è tra coloro che avanzano erronee supposizioni sulla demolizione controllata. Nel portare avanti la propria teoria in base alla quale i palazzi sarebbero stati fatti crollare con esplosivo, Jones scrive: "Circa una tonnellata di cariche RDX lineari, piazzabili da pochi uomini, sarebbe poi stata sufficiente a tranciare i supporti nei punti principali di ciascuna torre e del WTC7 in modo che la gravità facesse crollare verticalmente gli edifici." Secondo Loizeaux, Jones ha semplicemente torto. "Non esiste alcuna tecnologia per produrre una configurazione di esplosivi [che possa far crollare quegli edifici]" sostiene. "Se si tentasse di creare cariche del genere, peserebbero vari quintali ciascuna. Servirebbero dei muletti per portarle dentro gli edifici." Le cariche più grandi attualmente utilizzate, racconta Loizeaux a Popular Mechanics, sono in grado di tagliare acciaio fino a 8 centimetri di spessore. Le colonne esterne alla base delle torri del World Trade Center misuravano 35 centimetri su ciascun lato. Se esistessero cariche in grado di tagliarlo, spiega Loizeaux, sarebbero stati necessari circa due mesi di libero accesso a ciascuna torre affinché una squadra di 75 uomini potesse rimuovere le protezioni antincendio dalle colonne, piazzare le cariche e collegarle ai cavi d'innesco. "Non c'è alcun modo di farlo" dice Loizeaux, aggiungendo che è altrettanto assurdo che gli esplosivi siano stati introdotti di nascosto negli edifici. "Se si posizionassero semplicemente esplosivi alla rinfusa all'interno dei mobili per gli archivi nelle vicinanze delle colonne portanti, non farebbero crollare le colonne. Sfonderebbero le finestre, causerebbero un disastro nel palazzo e probabilmente farebbero esplodere un paio di piani sopra e sotto... ma non farebbero crollare il palazzo." Va specificato che il principale settore di studio di Jones alla BYU è la fusione nucleare catalizzata con metalli, o fusione fredda, materia che non ha alcun nesso con l'ingegneria o il comportamento dei grattacieli. Eppure Jones si sente in grado di obiettare alle deduzioni dei più importanti esperti d'ingegneria a livello mondiale, come Zdenek Bazant della Northwestern University: uno dei quattordici studiosi a cui sia stata conferita una medaglia Prager per eminenti contributi teorici o pratici alla meccanica solida. Bazant scrisse un articolo nel Journal of Engineering Mechanics di gennaio 2002, nel quale presente la propria teoria sul crollo delle torri. Sebbene all'epoca non avesse a disposizione tutti i dati, le conclusioni a cui giunse furono simili a quelle tratte in seguito dai ricercatori del NIST. Jones, comunque, sostiene di aver trovato un errore gravissimo nello studio di Bazant: l'ingegnere si basò sull'ipotesi che le colonne fossero esposte a un calore superiore a 800°C. Interrogato sulla questione, Bazant ha risposto così via e-mail a Popular Mechanics: Oggi è noto che le temperature erano molto inferiori, ma non è importante ai fini della mia analisi. L'acciaio strutturale inizia a indebolirsi addirittura a meno di 400°C, e questo è sufficiente a creare flessioni viscoplastiche. Inoltre io non sapevo se le colonne strutturali avessero iniziato a flettersi lungo più piani o uno solo. Oggi sappiamo, grazie alle analisi fotografiche e allo studio del NIST, che la prima flessione avvenne lungo diversi piani, e che l'imperfezione iniziale (ossia lo spostamento laterale verso l'interno) fu causata dalla trazione orizzontale delle travature reticolari dei solai. La flessione su più piani offre meno resistenza al crollo rispetto a una flessione che si verifichi su un piano solo. Comunque la mia analisi e le immagini presero in considerazione entrambi gli scenari e in nessuno dei due la dissipazione di energia fu tale da arrestare il collasso. | << | < | > | >> |Pagina 78AEREO GRANDE, FORI PICCOLIL'IPOTESI: Subito dopo l'attacco furono visibili nel Pentagono due fori: uno squarcio irregolare largo 27 metri nella facciata esterna dell'edificio e un foro circolare largo circa 5 metri nell'Anello C, l'anello intermedio del Pentagono. I complottisti dicono che entrambi i fori sono di gran lunga troppo piccoli per essere stati prodotti da un Boeing 757. Per anni, www.reopen911.org, un sito Internet "dedicato all'apertura di una vera indagine sui tragici attacchi dell'11 settembre 2001" si è chiesto "come può un aereo largo 38 metri e lungo 47 entrare in un buco largo soltanto 5?" La domanda è stata poi ripresa da numerosi siti Internet.
Reopen911.org
è finanziato da Jimmy Walter, erede di una fortuna derivante dall'edilizia in
Florida. Nell'edizione del 7 dicembre 2005 del
Tampa Tribune,
Walter affermò di aver speso sei milioni di dollari per cercare di dimostrare
che gli attacchi dell'11 settembre facevano parte in realtà di un
enorme complotto. La campagna di Walter per mettere in dubbio le risultanze
della Commissione 11/9 ha incluso spot sulle reti televisive statunitensi via
cavo (CNN, ESPN, Fox News) e intere pagine del
New York Times,
del
Washington Post
e di
Newsweek.
In una lettera aperta sul proprio sito Internet
Reopen911.org,
Walter afferma che
"A me sembra chiaro che qualcuno ha eseguito un piano degno di un maestro
dell'inganno e ha ucciso migliaia di persone innocenti. Osama e Bush forse sono
soltanto dei capri espiatori."
I FATTI: Quando il Volo 77 colpì il Pentagono, produsse un foro nella parete esterna dell'edificio largo circa 27 metri, secondo il Pentagon Building Performance Report. Questo documento nota che la larghezza del foro è approssimativa, perché la facciata esterna crollò 19 minuti dopo l'impatto, chiaramente ben prima che fossero possibili misure precise. L'équipe che preparò il documento basò la stima sul numero e sulla posizione delle colonne di sostegno al primo piano che furono distrutte o danneggiate in prossimità del punto d'impatto. Gli ingegneri e gli informatici della Purdue University confermarono queste risultanze tramite una dettagliata simulazione al computer dell'impatto. Lo studio richiese quasi 275 ore di tempo di elaborazione su una serie di supercomputer IBM per ciascun secondo dell'impatto e per le sue conseguenze. Ma la domanda rimane: perché il foro iniziale non era largo quanto l'apertura alare di un Boeing 757, pari a 38,04 metri? Per prima cosa, entrambe le ali rimasero danneggiate prima di colpire la facciata del Pentagono. Frank Probst, un dipendente del Pentagono, stava camminando all'esterno dell'edificio, diretto a un appuntamento previsto per le 10 del mattino, quando si avvicinò l'aereo. Volava così basso che Probst si gettò a terra perché pensava che l'aereo potesse colpirlo. Dopo che fu passato l'aereo, Probst, diplomato a West Point e veterano decorato del Vietnam, si voltò e vide l'ala destra colpire un generatore mobile da 750 kilowatt collocato su una piazzola in calcestruzzo situata all'esterno del Pentagono. Il grande generatore forniva energia di riserva per il Settore 1, un'area di circa 93.000 metri quadri che ospitava 5000 dipendenti del Pentagono. Probst vide anche il motore sinistro colpire una presa di ventilazione esterna, situata a livello del suolo poco distante dalla facciata del Pentagono. Le osservazioni di Probst sono confermate da uno dei suoi colleghi, Don Mason, che si trovò bloccato nel traffico poco a ovest del Pentagono e vide l'aereo abbattere tre pali dell'illuminazione stradale durante il suo avvicinamento. Vide Probst gettarsi a terra e poi vide una piccola esplosione quando l'ala destra colpì il generatore mobile. Le estremità delle ali sono le parti più lontane dal baricentro di un aereo e sono pertanto relativamente fragili. Di conseguenza, sembra che le porzioni esterne di entrambe le ali siano state tranciate via dalle collisioni avvenute prima dell'impatto principale, dice Paul Mlakar, capo dell'équipe dello studio condotto dall'ASCE. Lo studio non è del tutto risolutivo, perché le collisioni si sono verificate una frazione di secondo prima che l'aereo colpisse il Pentagono. Alcuni investigatori ritennero inizialmente che una delle ali avesse colpito il suolo prima dell'impatto, e Mlakar ammette che è anche possibile che parti d'ala più vicine alla fusoliera siano state tranciate via al momento dell'impatto con l'edificio: "Alcune porzioni di ciascuna ala probabilmente furono asportate dagli impatti prima della facciata. Probabilmente le parti residue non penetrarono significativamente oltre la facciata." Qualunque sia stato il modo in cui si sono prodotti i danni alle ali, essi hanno ridotto la devastazione dell'edificio in un altro modo importante: al momento dell'impatto, si stima che circa l'80% dei 20.000 litri di carburante dell'aereo fosse immagazzinato nelle ali e che almeno un quinto di questo carburante non sia mai penetrato nell'edificio. Secondo il Pentagon Building Performance Report, la maggior parte del carburante prese fuoco al momento dell'impatto e la grande palla di fuoco formatasi all'esterno dell'edificio bruciò circa 2600 litri di carburante: questo chiaramente ridusse i danni da incendio all'interno. Il carburante che penetrò nell'edificio, inoltre, percorse non più di 90 metri lungo il piano terra di una costruzione alta cinque piani e bruciò dove si trovava. Questo è ben diverso dagli impatti contro le torri del World Trade Center, nei quali furono decine di migliaia i litri di carburante che penetrarono nelle strutture centrali degli edifici, generando incendi che indebolirono le torri, portando al loro collasso. In ogni caso, un jet non produce una sagoma da cartone animato quando si schianta contro un edificio in calcestruzzo, dice Mete Sozen, dei laboratori Kettelhut, Distinguished Professor d'ingegneria civile alla Purdue University. Secondo Sozen, che è uno dei quattro ingegneri civili che l'ASCE inviò a studiare i danni al Pentagono, è il carico energetico dell'aereo (non la sua forma o struttura) il fattore decisivo nel determinare i suoi effetti su un edificio in caso d'impatto. Questo è stato rivelato dalla simulazione al computer della Purdue che ha adattato del software tipicamente utilizzato per analizzare le collisioni automobilistiche allo scenario di un Boeing 757, la cui massa è costituita principalmente da carburante fluido, che viaggia a 854 km/h e colpisce un edificio dotato di numerose colonne in cemento armato. Sozen dice che il carico energetico risultante fece sì che la superficie esterna dell'aereo si comportasse "come la pelle di una salsiccia" che si sbriciolò al momento dell'impatto. Ciò che rimase dell'aereo penetrò nella struttura in uno stato più affine a un liquido che a un solido: un fenomeno suggerito dalla testimone Penny Elgas, supervisore amministrativo federale. Come Mason, anche Elgas era bloccata nel traffico vicino al Pentagono e vide verificarsi l'impatto. L'aereo, afferma, "sembrò semplicemente fondersi con l'edificio." Che cosa dire del foro molto regolare di circa cinque metri nell'Anello C? Per la precisione, va notato che Mlakar ha dichiarato a Popular Mechanics che il foro misurava in realtà circa quattro metri e mezzo. Il sito Internet www.the7thfire.com, gestito da un ex insegnante di scienze e di studi sociali che afferma di "realizzare un ponte fra mondi del pensiero e dell'essere, scienza e sciamanesimo", domanda: "Riuscite a immaginare che ci sia qualcosa, in un aereo fatto d'alluminio, che possa restare intatto attraversando sei muri e numerose colonne e lasciare uno squarcio di uscita così piccolo?" Il sito prosegue dicendo che il foro non può essere stato creato da un motore o dal muso dell'aereo e pertanto deve essere stato prodotto da un missile. In realtà il foro non fu prodotto né da un motore né dal muso del Volo 77 che trapassavano le strutture interne dell'edificio, né tanto meno da un missile, ma dal carrello dell'aereo, scagliato più avanti rispetto alla massa principale dei rottami. A causa delle proprietà fisiche osservate da Sozen, gli oggetti meno densi, compreso il guscio esterno dell'aereo e i corpi delle persone a bordo, in sostanza si disintegrarono al momento dell'impatto. Tuttavia l'impatto produsse anche una breccia attraverso la quale gli oggetti più pesanti e massicci poterono proseguire la propria corsa all'interno dell'edificio. Per esempio, la scatola nera con i dati di volo (flight data recorder), normalmente collocata verso la coda dell'aereo, fu trovata a circa 90 metri di profondità all'interno dell'edificio, ben oltre dove si fermò gran parte dei rottami provenienti dal muso del velivolo. Il carrello, essendo una delle parti più pesanti e massicce dell'aereo, fu proiettato più lontano di qualsiasi altro rottame e perforò la parete dell'Anello C. Mlakar ha detto di aver visto il carrello con i propri occhi; lo stesso ha fatto Paul Carlton Jr., surgeon general (massima autorità medica) dell'aviazione militare. | << | < | |