|
|
| << | < | > | >> |Indice9 Introduzione Pratiche di replicabilità Nicola Dusi, Lucio Spaziante Prima parte Questioni di apertura 65 Replicabilità sonora Lucio Spaziante 95 Replicabilità audiovisiva Nicola Dusi Seconda parte Approfondimenti e analisi 157 Mondi negoziabili. Il reworking del racconto nell'era del design narrativo dinamico Ruggero Eugeni, Andrea Bellavita 175 Temi rimediati Daniele Barbieri 197 Jour de féte, il colore progressivo per una teoria del remake Augusto Sainati 209 Per una tipologia e una storia delle cover Luca Marconi 229 L'appropriazione nella musica celtica Allan Moore 241 La pittura di Francis Bacon nel videoclip Radio. Lyrics, immagini, musica tra sincretismo e traduzione intersemiotica Maria Pia Pozzato 259 Cover Theory. L'arte contemporanea come reinterpretazione Marco Senaldi 279 Matrix: l'anomalia e il sistema Guido Ferraro 301 Due film di Chabrol: adattamento dissimulato, remake mascherato Francis Vanoye 309 Kill Bill vol. I : migrazioni interculturali e propagazioni extratestuali Cristina Demaria, Antonella Mascio 335 I segni intorno al testo. I DVD di Paz! e di Santa Maradona Patrick Coppock, Nicola Bigi 355 Eppur si muove. Moti immobili nella soap opera Giorgio Grignaffini 367 Risonanza, saccheggio e cortocircuito testuale: da Pride and Prejudice a Bridget Jones's Diary Mattia Grillini 373 La guerra dei mondi possibili (ancora sul caso Montalbano) Gianfranco Marrone 397 Bibliografia 416 Discografia 419 Filmografia 427 Gli autori |
| << | < | > | >> |Pagina 9IntroduzionePratiche di replicabilità
Nicola Dusi, Lucio Spaziante
"Quello è Tom, sta girando la trasposizione del sequel di un remake". Celebrity, di Woody Allen 1. L'epoca della replicabilità Il testo, oggetto pensato talvolta come "dato" e altre volte come "costruito", in alcuni casi si configura in modo plurale: risultato di più versioni diacronicamente rilevabili, trasposizione in differenti sostanze espressive, serie di rielaborazioni "a partire da", o meccanismo di interconnessione tra più testi. Le avventure intertestuali di figure come Pinocchio, Dracula, Zorro, ma anche il più recente commissario Montalbano, ci mettono di fronte a "personaggi" che incarnano quelle che Lotman (1985) definiva personalità semiotiche, cioè attori che attraversano configurazioni discorsive e mondi testuali come fossero matrici comprimibili ed espandibili in tempi diversi e attraverso diverse sostanze dell'espressione o diverse piattaforme mediali (cfr. Marrone 2003). Ripensata alla luce del paradigma sociosemiotico, l'idea di testualità prefigurata dal post-strutturalismo (Cavicchioli 1997), assume oggi un carattere "empirico". Non si può non notare che i testi, in particolare se pensiamo alle tecnologie digitali e ai nuovi media, spesso lavorano attraverso connessioni, in modo tale che ogni testo diventa in sé un (potenziale) intertesto. La testualità contemporanea rende solo più marcata questa potenzialità, già insita nei testi, che in alcuni casi può diventare manifesta e in altri mantenersi solo latente (o virtuale). I testi, intesi come processi, possono diventare agenti attivi di concatenazione e riformulazione, ricombinazione e trasformazione traduttiva. La semiotica, in quanto sguardo e in quanto prassi, seleziona pertinenze intertestuali elevandosi al di là del singolo testo per cogliere le regolarità e le differenze tra i fenomeni di trasposizione e ri-composizione. E quale territorio migliore come campo d'osservazione se non il testo estetico inteso come punto d'incontro tra il dominio dell'arte e le produzioni mediali audiovisive? I testi audio-video (spesso provenienti dall'ambito pop) e gli audiovisivi contemporanei diventano in questo libro un modello di laboratorio, che sollecita un'indagine su una sociosemiotica delle procedure di senso e dei regimi testuali. Si tratta di un percorso che conduce per un verso all'esplorazione dei domini del sensibile, e per un altro a indagare il dominio delle pratiche di replicabilità. Queste ultime rappresentano una possibile estensione dell'indagine verso le zone inesplorate dell'enciclopedia artistica e culturale, da intendersi come "una memoria inventiva e un sistema di perplessità e di ricerche il cui dedalo è il modello estetico ed euristico, il sintomo e la meraviglia" (Fabbri 1992, p. 185).
Le
pratiche di replicabilità
consistono allora, in procedure condivise di invenzione, originate partendo da
memorie e archivi testuali e, nel contempo, incorporando le prassi sedimentate
di produzione e fruizione all'interno dei testi stessi.
1.1. Continuità, apertura, decostruzione: tendenze e operazioni Filtrata attraverso le discussioni di un convegno svolto presso l'Università di Urbino nel luglio del 2004 (grazie al Centro internazionale di Semiotica e Linguistica) la nostra indagine ha fatto emergere innanzitutto due tendenze in qualche misura contrapposte e complementari: se il collegamento da un testo all'altro, talvolta da un medium all'altro, indica l'esistenza di una continuità tra elementi diversi, la tensione all'apertura verso l'esterno di ogni testo mediatico, d'altra parte, mostra una spinta centrifuga verso la metamorfosi e la differenziazione. Queste due macrotendenze (continuità e differenza) riescono a far convivere testi lineari e sequenziali assieme a testi reticolari e "policentrici", flussi radiotelevisivi e ipertesti perpetuamente incompiuti, testi frammentati e ricomposti da percorsi di fruizione non lineare, a vari gradi di interattività (cfr. Colombo, Eugeni 2000). Un'altra grande tendenza si lega al piacere reiterato, condiviso attraverso comunità o reti, verso la destrutturazione testuale: una apertura delle maglie dell'intertestualità (sia essa citazione, plagio o ripresa) come grande gioco collettivo di reinterpretazione ed esaltazione del processo mitopoietico in atto. Ma qual è allora il senso delle operazioni di replica e in che modo riguardano il processo della testualità? Già Lotman (1985) descriveva il meccanismo dinamico di creazione di ogni configurazione culturale tra dominanti che emergono e si realizzano nei processi testuali e strutture di sfondo che forniscono invarianti, variazioni e varietà possibili e riattivabili. Un continuo atto di (ri)costruzione del senso, tra rinvio e accrescimento, passando tra gli stadi potenziali, virtuali, attuali o realizzati (tra schemi, norme e usi, cfr. Hjelmslev 1954), che la semiotica contemporanea chiama prassi enunciativa. Siamo inoltre di fronte a negoziazioni contestuali e locali, con giochi linguistici sempre rinegoziati, non predeterminati e in parte casuali (Eugeni 2001), che si adattano alle competenze e ai contesti del fruitore-produttore. In una immaginaria mappa di questi giochi parleremo a questo punto di pratiche estemporanee, di un uso ludico di "modi di fare" (v. infra, 3.1.). Non ci sono più in questi termini veri e propri filtri sulle competenze del produttore-enunciatore, ma chiunque può prendere la parola, ovvero produrre musica o un nuovo videoclip o corto digitale, e chiunque può dare la sua interpretazione e farla circolare. Sono valorizzazioni locali che moltiplicano le possibilità del senso intertestuale. Il problema torna a proporsi: al termine (o meglio nel mezzo) di questa infinita proliferazione si può ancora parlare di testi? | << | < | > | >> |Pagina 343. Dai testi alle praticheComprendere un testo non vuol dire scoprirvi un "senso già dato" ma al contrario "costituirlo a partire dal dato manifesto (di ordine testuale o altro), spesso negoziarlo, sempre costruirlo" (Landowski 2004, pp. 15-16). I testi si presentano secondo due generiche classi di manifestazioni: la prima ci presenta veri e propri prodotti finiti, testi attestati (cfr. Marrone, a cura, 2005, p. 123) e strutturalmente autosufficienti, in qualche misura autonomi e chiusi su se stessi come "un film, un quadro, una cattedrale, un rapporto di polizia, una lettera d'amore, le rovine di una città dopo la battaglia, un mazzo di fiori, una zuppa di cipolle, un romanzo". Altri casi invece si presentano in divenire, e non coglibili se non in atto, dunque si tratta di processi, di interazioni, di pratiche. Landowski conclude infatti che studiare semioticamente un oggetto sociale "come una totalità non vuol dire lavorare solo su testi ma cogliere l'organizzazione degli effetti di senso dal punto di vista delle diverse parti in causa, mediante una serie di pratiche in corso" (Landowski 2004, pp. 15-16). A partire dalla proposta di Landowski, potremmo pensare che, relativamente all'analisi di un testo, remake e remix appartengano a una modalità testuale che ha a che fare da un lato con enunciati riconoscibili e definiti, dall'altro con pratiche in corso d'opera, cioè un farsi discorsivo che ci porta a pensare a modi (a configurazioni in fieri) di una testualità collettiva. Già Michel Foucault indicava del resto che "la pratica discorsiva è un luogo in cui si forma e si deforma, compare e scompare una pluralità contorta – sovrapposta e lacunosa al tempo stesso – di oggetti" (1969, p. 67). L'idea che i testi non siano più istituzionalmente legati ai loro produttori ma rientrino di fatto in un patrimonio collettivo (ecco lo specifico della collettività) permette a testi apparentemente chiusi, come un libro o un film, di essere continuamente riapribili, riconfigurabili. La distinzione tra un testo e una pratica risulta così prettamente convenzionale e, per seguire Landowski, del tutto operativa. Si tratta solo di decidere quale punto di vista adottare nell'analisi, dal momento che troviamo: da un lato testi in quanto "oggetti chiusi, finiti e statici, definiti e riconosciuti", che funzionano attraverso le attivazioni della loro interpretazione da parte dei fruitori; dall'altro "processi aperti che sono pratiche, che però non 'producono senso' se non ancorate", legate a una circostanza di enunciazione che le attiva e le circoscrive (Landowski 2004, p. 16). Potremmo allora proporre di leggere i nostri esempi attraverso alcuni stadi di configurazione, con diversi gradi di sviluppo (o di testualizzazione): possiamo pensarli come testi, lavorando sulle loro strutture e la loro costruzione per livelli, oppure come pratiche di lettura nel sociale dei testi stessi e, infine, come pratiche di uso, riuso, riproduzione nel sociale. Questo ci permette di intendere il nostro corpus sia come insieme di testi (e quindi mettendo i testi a confronto), sia come fenomeno (ad esempio il remaking), ossia l'attitudine alla riproducibilità e al passaggio tra i testi. Se nella riflessione semiotica più recente è emerso il problema di una relazione tra la nozione di pratica e quella di testo, vi sono precedenti illustri anche nella letteratura semiotica così come nella filosofia che l'ha fortemente condizionata. Per questo motivo crediamo utile far seguire una ricognizione in questa direzione. | << | < | > | >> |Pagina 157Mondi negoziabili. Il reworking del racconto nell'era del design narrativo dinamico
Ruggero Eugeni, Andrea Bellavita
1. Design narrativo e replicabilità testuale È evidente che le pratiche di replicabilità dei testi dipendono dal modo in cui una cultura pensa e pratica l'esperienza testuale. A una evoluzione dell'idea di testualità corrisponde un'evoluzione delle pratiche di rifacimento intertestuale. Per esempio in una cultura con un forte nucleo di testi canonici le pratiche di replica saranno guidate dal rispetto dei testi originari e dall'uso del commento; al contrario, in una cultura priva di un canone forte le esperienze di rifacimento saranno legate alla frammentazione dei testi, alla citazione parodica ecc. Ma la tipologia è ovviamente molto più ampia. Questo lavoro muove dall'ipotesi che un particolare aspetto della testualità svolga un ruolo chiave nella definizione delle pratiche di replicabilità: si tratta della relazione tra gli oggetti testuali e le pratiche di narrativizzazione. Parleremo a questo proposito di modelli di design narrativo dei testi. Differenti modi di pensare, progettare e praticare la relazione tra testo e attività narrativizzante, ovvero differenti modelli di design narrativo, configurano differenti pratiche di rifacimento intertestuale. In questo intervento intendiamo sostenere che l'universo dei media contemporaneo prospetta un modello di design narrativo decisamente innovativo rispetto al passato; e che tale innovazione porta a riconfigurare le forme della replicabilità del testo.
Nel primo paragrafo dettaglieremo la nostra idea di design narrativo con
riferimento a due modelli applicabili rispettivamente al testo tradizionale e
all'ipertesto: il design narrativo
stabile
e
variabile.
Nel secondo paragrafo introdurremo il nuovo modello emergente, che chiameremo
design narrativo
dinamico.
Esamineremo alcune caratteristiche di tale modello facendo riferimento a due
oggetti mediali: il format del reality show
Grande Fratello
e il videogioco
The Sims
(Will Wright, Maxis 2000). Nel terzo paragrafo esamineremo in che
modo il nuovo modello costringe a una ridefinizione delle pratiche di
replicabilità testuali. Il quarto e il quinto paragrafo sono dedicati a due
tentativi d'interpretazione dei fenomeni analizzati: uno in chiave
semio-psicanalitica, alla luce delle categorie lacaniane di Legge e godimento;
l'altro in chiave estetico-ermeneutica, alla luce della categoria
d'immaginazione narrativa introdotta da Pietro Montani.
2. Il design narrativo stabile, il design narrativo variabile e le forme della loro replicabilità Il testo tradizionale (per intenderci: un romanzo, un film ecc.) costituisce il luogo di "immagazzinamento" di un discorso narrativo: la narrazione viene progettata "a monte" da un autore implicito, stoccata all'interno del testo e attualizzata "a valle" da un lettore o spettatore implicito mediante un'opera di narrativizzazione dei materiali testuali regolata da norme fissate culturalmente e orientate dal testo (Odin 2000, pp. 17-40). In ogni caso il discorso narrativo progettato dall'autore implicito non subisce trasformazioni di rilievo all'atto della fruizione: chiameremo stabile questo modello di design narrativo. Le forme di replicabilità collegate a questo tipo di design narrativo sono ben note, e possono essere riassunte nel noto schema di Eco (1984a, pp. 19-35): Ripresa, Ricalco, Serie, Saga, Dialogismo intertestuale. Osserviamo due cose. In primo luogo tale tipologia si regge su quell'implicazione reciproca di discorso narrativo e testo di cui abbiamo parlato: ogni ripresa avviene all'esterno dell'ipotesto (per usare la terminologia di Genette 1982), mediante l'assunzione di un nuovo discorso narrativo che viene a sua volta incorporato in un testo secondo, l'ipertesto genettiano. In secondo luogo possiamo distinguere, tra le differenti pratiche disegnate da Eco, alcune orientate al remaking, ovvero alla ripresa di schemi narrativi, personaggi, e altri elementi testuali: la ripresa, il ricalco, la serie, la saga; altre orientate invece al reworking, al rimaneggiamento creativo o citazionista del testo di partenza in un contesto differente: il dialogismo. L'avvento dell'ipertesto narrativo ha introdotto una nuova forma di relazione tra discorso narrativo e testo. Il progetto dell'autore implicito non riguarda una narrazione, ma una rete di possibili narrazioni. L'ipertesto costituisce quindi il luogo di immagazzinamento di una serie di possibili contenuti narrativi, un narrative data base (Kinder 2002, pp. 119-133). Tali contenuti sono reciprocamente accessibili grazie a una rete di collegamenti eventualmente attivabili mediante interruttori, in base a un progetto definibile spazio logico o algoritmo (Manovich 2001; Eugeni 1998) dell'ipertesto. Spetta al fruitore implicito attivare una certa linea narrativa, passando dalle narrazioni "as stored" alla narrazione "as discoursed" (Liestol 1994, pp. 86-120). L'opera di narrativizzazione del fruitore consiste al tempo stesso nella scelta di segmenti narrativi e nell'assegnazione di un senso narrativo ai materiali via via selezionati. Parliamo in questo caso di un modello variabile di design narrativo.
La principale conseguenza del passaggio dal modello stabile a quello
variabile è una
parziale testualizzazione delle pratiche di remaking:
la ripetizione del racconto, il suo rifarsi eventualmente con variazioni viene
previsto testualmente dal modello del design narrativo variabile. Questo non
esclude né la sussistenza di pratiche di remaking tradizionali di tipo
intertestuale e intermediale: ecco allora i
sequels
di alcuni videogiochi
(Myst, Riven
ecc.); i
remakes
di videogiochi da una piattaforma all'altra
(Myst
ridisegnato per Playstation2 in modo da costituire un ipertesto "fluido" e non
più a salti); i
remakes
da ipertesti a testi tradizionali (videogiochi che divengono film:
Tomb Raider, Final Fantasy, House of the Dead
ecc.; film che divengono videogiochi:
Blade Runner, Star Wars, Spider Man
ecc.). Né esclude in linea di principio fenomeni di
reworking
(per esempio le libere interpretazioni che alcuni artisti hanno fatto del
personaggio di Lara Croft).
3. Il design narrativo dinamico: matrici, fatti e narrazioni Un ulteriore e radicale spostamento viene introdotto dal terzo modello di design narrativo, quello dinamico. Si tratta di un modello emergente cui dedicheremo particolare attenzione. Per comprendere cosa cambia nelle relazioni tra narrazione e testo ripercorriamo le tre fasi della ideazione e progettazione, testualizzazione e fruizione del discorso narrativo | << | < | > | >> |Pagina 259Cover Theory. L'arte contemporanea come reinterpretazione
Marco Senaldi
La prima domanda che andrebbe posta trattando di "arte contemporanea" è se la contemporaneità stessa sia riducibile a una semplice attualità cronologica. Se davvero fosse così, l'arte contemporanea non assolverebbe altro compito che quello di occupare la "posizione" più recente in una lunga storia che si snoda dai graffiti di Lascaux a Warhol, passando per qualche genio del Rinascimento. In tal modo però andrebbe perduta la specificità del discorso e delle pratiche artistiche contemporanee, dato che, se dobbiamo farne risalire l'origine alle avanguardie storiche (dando credito agli storici dell'arte), si comprende benissimo che per i protagonisti di quei movimenti inaugurali il problema era appunto quello di differenziare l'arte contemporanea da quella "tradizionale", anche a costo di distruggerne l'identità istituzionale e storica. I punti salienti in questa actio negativa sono principalmente due: il primo, sottolineato dai futuristi, consistente nel pensare all'arte come un sistema del fare (un sistema poietico) toto cœlo differente dal fare arte tradizionale, e dunque affine all'innovazione introdotta a livello culturale da forme innovative di espressione, come il jazz o il cinema (Lista 2001); l'arte contemporanea sta a quella tradizionale, così come la musica leggera sta a quella classica, o meglio, come il cinema sta al teatro. D'altra parte v'è una seconda mossa, compiuta dal dadaismo e in particolare da Duchamp, consistente – secondo l'autorevole opinione di studiosi quali Danto, De Duve, Foster, Krauss – nell'addossare all'arte contemporanea il compito di ridefinire l'essenza stessa dell'Arte in generale. In questo compito negativo-riflessivo si sostanzia tutta l'opera duchampiana e la "rottura epistemologica" o di paradigma che le viene attribuita non va confusa con l'aspetto shockante delle sue apparenze anti-moraliste o anti-borghesi. La "rottura" di un'opera come Fountain, del 1917, risiede meno nel fatto di aver scandalosamente utilizzato un orinatoio, che nella paradossale pratica discorsiva attuata, consistente nel mettere in difficoltà la giuria della Society of Independent Artists che doveva decidere se esporre o meno esattamente quell'opera in quanto "arte" (De Duve 1989, cap. 2). D'altra parte, l'insistenza sulla "rottura epistemologica" compiuta dagli artisti contemporanei, da Duchamp in avanti, ha l'effetto collaterale di generare una (impressione di) "continuità eidetica" che inevitabilmente si riaffaccia in qualsiasi opera contemporanea, foss'anche la più esteticamente sovversiva che si possa pensare. E così che, analizzando la rigorosa foto in bianco e nero di Fountain scattata da Alfred Stieglitz e in seguito pubblicata su «Blind Man», molti individuano rimandi a madonne medievali; ed è ben noto il richiamo alla struttura dell' Assunta di Tiziano presente, secondo certi studiosi, nel Grande Vetro; e gli esempi potrebbero continuare all'infinito, pensando alle riprese dell'antichità classica nelle opere dell'arte povera (si pensi alla Venere degli stracci di Pistoletto, o all'uso dei calchi di busti classici in Paolini), o alle citazioni antiche e moderne nelle opere della transavanguardia, e via dicendo.
Tuttavia, ragionando sulla disgiunzione tra epistemologico ed eidetico si
comprende facilmente come l'affermare che l'arte contemporanea sia
essenzialmente riflessione
su se stessa abbia poco a che fare con i richiami o le affinità formali, o le
pratiche citazioniste che hanno conosciuto un loro momento di auge in epoca
postmoderna. Il problema dell'assonanza formale è infatti tutto interno a
uno sviluppo storico-stilistico che fonda il cardine dell'arte classicamente
intesa. In questo senso, ritrovare dettagli
visivi tizianeschi in Duchamp esprime piuttosto la nostalgia di un universo
iconologico definitivamente perduto;
benché questa operazione sia inevitabile, essa è anche inevitabilmente
illegittima, sia perché delegittimata dall'autore stesso (si pensi alle numerose
prese di posizione di Duchamp contro lo sguardo "retinico" come criterio di
valutazione artistico), sia perché la riflessione sull'arte con cui
l'arte contemporanea si esprime è di rango differente rispetto alla ripresa di
questo o quel tema stilistico. Occorre intendersi bene sui termini:
"riflessione" significa qui inclusione dialettica; ciò che vien
riflesso
nell'arte contemporanea non è questo o quel quadro, questo o quel particolare
pittorico, questo o quello stile espressivo, ma l'Arte stessa, ovvero, non le
immagini che ne costituiscono la sostanza storica, ma la sua stessa identità
astratta, o meglio, la praticabilità di quella identità.
|