Copertina
Autore Rudi Dutschke
CoautoreUwe Bergmann, Wolfang Lefèvre, Bern Rabehl
Titolo La ribellione degli studenti
Sottotitoloovvero La nuova opposizione
EdizioneFeltrinelli, Milano, 1968, UE 577 , pag. 270, cop.fle., dim. 110x180x15 mm
OriginaleDie Rebellion der Studenten oder Die neue Opposition
EdizioneRowohlt, Berlin, 1968
TraduttoreMaria Magrini, Bruna Bianchi, Emanuele Bernasconi, Maria Canziani
LettoreRenato di Stefano, 1968
Classe universita' , storia contemporanea , globalizzazione , movimenti
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al sito dell'editore








 

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Indice

  5 UWE BERGMANN
    Introduzione

 47 RUDI DUTSCHKE
    Le contraddizioni del tardo capitalismo,
    gli studenti antiautoritari e il loro
    rapporto col Terzo Mondo

135 WOLFGANG LEFÈVRE
    Ricchezza e scarsità
    (La riforma universitaria come
    distruzione di ricchezza sociale)

217 BERND RABEHL
    Dal movimento antiautoritario
    all'opposizione socialista

257 Appendice

 

 

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Pagina 5

UWE BERGMANN

Introduzione


Questo capitolo vuole offrire un rapido profilo della storia della Freie Universität (Università libera) di Berlino, e delle vicende che vi si sono recentemente svolte. Non è un saggio che possa soddisfare le esigenze degli storici di professione. Deve servire anzitutto ad offrire al lettore la possibilità di un agevole orientamento cronologico, mediante una rapida consultazione di queste pagine quando, nei capitoli successivi, gli capiterà di imbattersi nei singoli avvenimenti, esposti al di fuori della loro successione cronologica e secondo le esigenze di un'impostazione sistematica dei problemi. Non sempre infatti la successione cronologica degli avvenimenti storici si identifica con la loro connessione politica. Questo capitolo tuttavia, pur restando legato alla cronologia schematica, si propone, soprattutto mediante la scelta necessariamente imposta dalla ristrettezza di spazio, di esporre gli eventi e la loro successione in modo che nella lotta concreta degli studenti della Freie Universität appaiano già chiaramente impostati i principali problemi di cui i capitoli successivi si occuperanno sistematicamente e con l'intento di elaborare le prospettive politico-sociali della ribellione degli studenti.

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Pagina 47

RUDI DUTSCHKE

Le contraddizioni del tardo capitalismo, gli studenti antiautoritari e il loro rapporto col Terzo Mondo


Premessa: Se vogliamo confrontarci a fondo con la realtà storico-sociale del presente, non possiamo e non dobbiamo astrarre dai risultati che la teoria rivoluzionaria ha fin qui conseguito. Vale a dire: recepimento critico e diffusione della teoria marxiana e dei suoi ulteriori sviluppi nei diversi periodi dopo la sua genesi. Siamo contro ogni dogmatizzazione del marxismo perché esso è una scienza creativa, che sulla base del metodo critico della dialettica deve confrontarsi con ogni nuova realtà e da questa trarre le categorie per una comprensione del presente concreto che di volta in volta si trova davanti.

La creazione di nuovi bisogni, che lascia alle spalle la soddisfazione immediata dei bisogni mediante la "spontanea produzione della natura," costringe gli uomini a introdurre un modo di produzione industriale basato sulla divisione del lavoro. Con la divisione del lavoro nascono la proprietà privata e il contrasto di classe, la contraddizione tra gli interessi delle classi e l'interesse sociale di tutti gli individui. La storia della società umana come società classista comincia con l'organizzazione della vita materiale sulla base della divisione del lavoro. La separazione delle "condizioni della produzione" dai produttori immediati costituisce la contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro salariato, che in ogni fase storica specifica acquista forme particolari. Il rapporto capitalistico proprio della società borghese, che spinge all'estremo l'estraniazione dell'uomo dai prodotti da lui stesso elaborati, generata dalla divisione del lavoro, crea il rapporto di classe tra borghesia e proletariato.

La contraddizione tipica di ogni produzione capitalistica consiste nel fatto che da un lato il modo di produzione ha carattere sociale, cioè include i produttori in un contesto di divisione del lavoro tendenzialmente diffuso a tutto il mondo, che solo consente lo sviluppo e il dispiegamento delle forze produttive e della ricchezza sociale, dall'altro lato domina il modo di appropriazione privato, il lavoro appare al produttore come lavoro privato, egli non vi si riconosce ed è escluso dalla pienezza della ricchezza sociale.

La lotta tra produttori e classe capitalistica caratterizza l'intero periodo di formazione della società capitalistico-borghese. Il mutamento delle forme di classe si spiega con lo sviluppo storico del lavoro. Nella società capitalistico-borghese non predomina piú un determinato lavoro, bensí il lavoro astratto-generale. La capacità di lavoro umana diventa la merce forza-lavoro, diventa il lavoratore salariato doppiamente libero, libero da mezzi di produzione e libero di vendere la sua particolare capacità, che è quella di produrre ricchezza sociale. Nella società produttrice di merci il lavoro umano, che in origine era una specifica capacità caratteristica dell'uomo in relazione alla soddisfazione immediata dei suoi bisogni, si trasforma in lavoro sociale e produttore di merci. Il prodotto del lavoro individuale-sociale diventa merce, e il lavoro umano vivo e creatore di ricchezza conta ormai soltanto come tempo di lavoro sfruttabile: "Il tempo è tutto, l'uomo è niente" (Marx). I contatti sociali tra i singoli produttori cessano, essi diventano i portatori impersonali dei loro prodotti di lavoro. Le relazioni umane che stanno alla base del lavoro sociale, che producono queste merci mediante il lavoro diviso, si tramutano in relazioni tra cose e tra merci. Con un'immagine tratta dalla "regione nebulosa del mondo religioso" Marx definisce questa apparenza, che ha un fondamento in re, come carattere di feticcio del mondo delle merci.

Poiché, come nel mondo delle merci i prodotti della mano dell'uomo, cosí, nel mondo religioso, i prodotti dello spirito appaiono figure indipendenti, dotate di vita propria, che stanno in rapporto fra di loro e in rapporto con gli uomini.

Lo sviluppo della società produttrice di merci si identifica con rapporti umani sempre piú impersonali. Nel processo della produzione e della concentrazione del capitale gli individui concreti diventano maschere di caratteri economici, personificazioni di rapporti economici. La potenza del capitale aumenta sempre píú e il capitalista, la personificazione delle condizioni sociali della produzione, diventa sempre piú potente nei confronti del produttore immediato, è potenza estraniata e divenuta autonoma, che si contrappone alla società nel suo insieme come dominio della "materia uccisa" nelle mani della classe capitalistica: "Il mondo stregato, deformato e capovolto in cui si aggirano i fantasmi di Monsieur le Capital e di Madame la Terre, come caratteri sociali e insieme direttamente come pure e semplici cose" (Karl Marx, "Das Kapital," Band. 3, Berlin 1961, p. 884). La reificazione dell'uomo viene completata dalla falsità della sua coscienza. Il contrassegno della società capitalistica piú importante per un'analisi che consideri questa realtà dal punto di vista della sua trasformabilità rivoluzionaria è il fatto che gli uomini non sono in grado di riconoscere adeguatamente nella società capitalistica la realtà sociale. In luogo dei reali rapporti economici come complesso di relazioni umane, soltanto la loro apparenza reificata si specchia nella coscienza dei produttori. Questa mistificazione, operata sulla coscienza, della realtà storico-sociale viene resa sempre piú completa dalle diverse metamorfosi del capitale nella produzione e nella circolazione. Nella forma di denaro, infine, della forma originaria del capitale non è rimasto piú nulla, la mistificazione del rapporto capitalistico è divenuta totale, ma già si preannunzia il passaggio a una nuova forma di produzione:

[...]

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Pagina 122

Conclusioni:

a) L'infrazione alle regole del giuoco dell'ordinamento capitalistico dominante conduce al manifesto smascheramento del sistema come "dittatura della violenza" solo quando attacchiamo nelle forme piú varie (dalla pubblica dimostrazione non violenta alle diverse forme di azione cospiratoria) i centri nevralgici del sistema — cosí per esempio la Camera dei deputati, gli uffici tributari, i tribunali, i centri della manipolazione come il grattacielo Springer e l'SFB, l' Amerika-Haus, le ambasciate dei governi fantoccio, i centri militari, le stazioni di polizia ecc.!

b) Ma per poter condurre questa lotta, dobbiamo trasformare le robuste forze morali che si sono rivelate nelle grandi dimostrazioni della sinistra a Berlino Ovest, fin dall'inizio della guerra fredda, in forze materiali, in ultima analisi organizzative. Dobbiamo capire che abbiamo bisogno della lotta, e quindi anche delle organizzazioni di lotta. L'intervento di questi due fattori fa di noi una forza rivoluzionaria, ci rende capaci di rispondere meglio e piú concretamente ai colpi internazionali dell'imperialismo mondiale. Nei prossimi mesi il tentativo di genocidio nel Vietnam raggiungerà ulteriori "vertici." Non possiamo allontanare questa prospettiva, dobbiamo piuttosto prepararla dal punto di vista materiale e da quello politico-organizzativo, senza illusioni, ma fermamente decisi a rispondere a un'eventuale invasione del Nord Vietnam o a un bombardamento della Cina Popolare, senza dimenticare l'eventuale intervento degli USA in qualche paese dell'America Latina, con forme di lotta che abbiano con quelle di oggi solo una somiglianza condizionata.


Le condizioni storiche per la lotta internazionale di emancipazione

Ogni opposizione radicale contro il sistema esistente, che con tutti i mezzi ci vuole impedire di instaurare rapporti in cui gli uomini possano condurre una vita creativa, senza guerra, fame e lavoro repressivo, dev'essere oggi necessariamente globale. La globalizzazione delle forze rivoluzionarie è il compito principale dell'intero periodo storico in cui oggi viviamo e lavoriamo all'emancipazione dell'uomo.

I sottoprivilegiati di tutto il mondo rappresentano la reale e storica base di massa dei movimenti di liberazione, essi soli garantiscono il carattere sovversivo della rivoluzione internazionale.

Il Terzo Mondo, inteso come il complesso dei popoli che soffrono sotto il terrorismo del meccanismo del mercato mondiale determinato dalle "Giant-corporations," dei popoli il cui sviluppo venne bloccato dall'imperialismo, ha cominciato questa lotta negli anni quaranta, sotto l'impressione e dopo l'esperienza della prima "rivoluzione proletaria tradita" (Trotzki) nell'Unione Sovietica. Differenza decisiva: il carattere di massa e la durata del processo rivoluzionario, che anche nella teoria veniva già concepito come permanente.

Una nuova tappa iniziò negli anni sessanta con i rovesciamenti rivoluzionari in Algeria e a Cuba e con la lotta ininterrotta del Fronte di Liberazione sud-vietnamita contro la dittatura di Diem.

Solo quest'ultimo acquistò importanza storica mondiale per il movimento di opposizione in tutto il mondo. L'aggressione degli Stati Uniti d'America non era prevedibile. Ad un certo momento essa avvenne in forma aperta e brutale, allorché i molteplici meccanismi dell' "influenza" si dimostrarono insufficienti ad impedire la vittoria delle forze rivoluzionarie di liberazione nel Vietnam del Sud. La "fregatura storica" dell'oligarchia americana del potere, piú precisamente dell'imperialismo USA, è consistita proprio nel fatto di aver dovuto smantellare la sua unica "base di legittimazione," l'ideologia anticomunista, per ottenere la possibilità di stroncare i movimenti socialrivoluzionari di liberazione sotto la bandiera dell'anticomunismo. Questa apparente contraddizione si scioglie quando comprendiamo che l'accettazione dell'ideologia sovietica della coesistenza da parte dell'imperialismo aveva lo scopo di mantenere, almeno nell'Europa centrale e occidentale, una "zona calma" del sistema, di mantenergli le "spalle coperte" per la rapida ed effettiva distruzione dei movimenti rivoluzionari del Terzo Mondo. La "colpa" storica dell'Unione Sovietica sta nella sua totale incapacità di comprendere a fondo questa strategia dell'imperialismo e di risponderle in modo sovversivo-rivoluzionario.

L'aggressione dell'imperialismo USA nel Vietnam, crescente di mese in mese, di anno in anno, si materializzò nei paesi capitalistici sviluppati come "presenza astratta del Terzo Mondo nelle metropoli" (O. Negt), come forza produttiva intellettuale nel processo di presa di coscienza delle antinomie del mondo attuale.

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Pagina 132

I sottili e brutali metodi e tecniche dell'integrazione sociale non funzionano piú con noi. Il rifiuto sentimentale-emozionale diventa rifiuto organizzato nella lotta contro le organizzaizoni della violenza, proprie del sistema, contro la burocrazia statal-sociale, contro la polizia, contro la macchina giudiziaria, contro le burocrazie industriali degli oligopoli ecc., diventa scienza critico-pratica, diventa volontà rivoluzionaria di abbattere le forze produttive autonomizzate, i disumani meccanismi della guerra e della manipolazione che diffondono quotidianamente nel mondo morte e terrore e quotidianamente possono causare un genocidio su scala mondiale. Si sviluppano nella lotta nuovi bisogni radicali, come per esempio il desiderio di liberare finalmente dai vincoli del capitale e della burocrazia la totalità delle forze produttive, che possono liberare gli uomini dal lungo tempo di lavoro, dalla manipolazione e dalla miseria, di sottometterle finalmente con tutti i mezzi al controllo cosciente dei produttori.

Ma non facciamoci illusioni. La rete mondiale della repressione organizzata, il continuum del dominio non si lasciano infrangere facilmente. L' "uomo nuovo del XXI secolo" (Guevara, Fanon), che rappresenta la premessa della "nuova società," è il risultato di una lotta lunga e dolorosa, conosce i rapidissimi alti e bassi del movimento; slanci temporanei vengono compensati da "sconfitte" ineludibili. La nostra fase di passaggio, di rivoluzione culturale, è, nel senso "classico" della teoria rivoluzionaria, una fase prerivoluzionaria; nelle persone e nei gruppi vi sono ancora molte illusioni, idee astratte e progetti utopistici; è una fase in cui la radicale contraddizione tra rivoluzione e controrivoluzione, tra la classe dominante nella sua nuova forma e il campo degli antiautoritari e dei sottoprivilegiati, non si sviluppa ancora concretamente e immediatamente. Ciò che per l'America è già una realtà inequivocabile ha anche per noi, con certe differenze, un grande significato: "Non è una epoca di sobria riflessione, ma un'epoca di evocazioni. Il compito dell'intellettuale è identico a quello del renitente, a quello del negro: parlare col popolo e non al di sopra del popolo. La letteratura che lascia il segno oggi è la underground-literature, sono i discorsi di Malcolm X, gli scritti di Fanon, le canzoni dei Rolling Stones e di Aretha Franklin. Tutto il resto ha il suono del Moynihan-Report o di un saggio nel Time, che spiegano tutto, non capiscono niente e non cambiano nessuno" (A. Kopkind, "Von der Gewaltlosigkeit zum Guerilla-Kampf," in Voltaire-Flugschriften Nr. 14, pp. 24-25). Noi non abbiamo ancora un'ampia e continua letteratura "del sottosuolo," ci mancano ancora i dialoghi dell'intellettuale col popolo, e proprio dal punto di vista del reale, cioè dell'immediato e storico interesse del popolo. Esiste l'inizio di una campagna di diserzione nell'esercito di occupazione americano, non esiste alcuna campagna organizzata di diserzione nella Bundeswehr. Osiamo già attaccare politicamente l'imperialismo americano, ma non abbiamo ancora la volontà di rompere col nostro apparato di dominio.

Compagni, antiautoritari, uomini! Non abbiamo piú molto tempo. Nel Vietnam veniamo quotidianamente distrutti anche noi, e questa non è un'immagine né un modo di dire. Se nel Vietnam l'imperialismo USA riesce a dimostrare in modo persuasivo di essere capace di distruggere con successo la guerra rivoluzionaria del popolo, ricomincerà un lungo periodo di dominio mondiale autoritario, da Washington a Vladivostok. Abbiamo una possibilità storica aperta. L'esito di questo periodo della storia dipende soprattutto dalla nostra volontà. "Se al Vietcong non si allea un Cong americano, europeo e asiatico, la rivoluzione vietnamita fallirà come le precedenti. Uno stato gerarchico di funzionari raccoglierà i frutti che non ha seminato" (Partisan Nr.1, "Vietnam, die Dritte Welt und der Selbstbetrug der Linken," Berlin 1967). E Frantz Fanon dice per il Terzo Mondo: "Avanti, compagni, è meglio decidere sin da ora di mutare rotta. Occorre scuotere la grande notte in cui eravamo piombati e uscirne. Il nuovo giorno che già sorge deve trovarci saldi, all'erta e decisi" ("Les damnés de la terre," Paris, 1961, p. 239).

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Pagina 217

BERND RABEHL

Dal movimento antiautoritario all'opposizione socialista


Nelle loro glosse e nei loro commenti sui giornali, i piú seri osservatori contemporanei della rivolta con cui, in Germania, gli studenti protestano contro un'amministrazione statale ed universitaria rigidamente autoritaria, cercano di tranquillizzare i borghesi indignati da tanta sfacciataggine, affermando che il radicalismo diffusosi in una "minoranza" degli studenti tedeschi è un "fenomeno di portata mondiale," riscontrabile negli Stati Uniti e in Inghilterra come in Giappone, in Corea e nell'America Latina. Si è persino accennato al motivo dell'agitazione: gli studenti protesterebbero contro la guerra imperialistica condotta nel Vietnam dal governo americano e contro le misure repressive in uso nelle burocrazie del loro paese. Queste misure consisterebbero nei procedimenti penali a carico dei dimostranti o nella rigida sorveglianza che l'università esercita su di loro. Si è però voluto ricercare il "motivo fondamentale" della ribellione nel disadattamento psicologico dei giovani. La critica radicale portata avanti dagli studenti in campo politico si è fatta rientrare nel problema, non molto inquietante, dello scontro fra generazioni. C'era la possibilità, infatti, di minimizzare l'opposizione rivolta contro l'autoritarismo sociale cogliendone la dimensione psicologica e biologica. L'invasata gioventú beat, gli hippies inebriati di LSD, i ribelli desiderosi di vivere, i fanatici e politicizzati provos sono stati catalogati dagli "amici" della gioventú sotto il concetto dell'esplosione selvaggia e priva di fini e delle aggressioni violente. Il fatto che tale "impeto," strettamente legato all'età, abbia assunto una dimensione di questo tipo e non sia sfociato in gare sportive o in entusiasmo nazionalistico è stato attribuito dagli osservatori imparziali al fallimento dei modelli sociali.

Atteggiandosi a protettori, gli onesti liberali ammisero compiaciuti il successo del movimento giovanile antiautoritaristico. Con le sue azioni extra-parlamentari, infatti, esso avrebbe rimesso in "moto" l'attività del Parlamento, avrebbe avuto un rapporto importante con questo sistema e disturbato l'irrigidimento e l'indifferenza dei partiti. Ma ora, ritengono i liberali, bisogna "difendere quanto si è ottenuto," bisogna moderare le azioni o farle cessare poiché, "se la situazione resta com'è," potrebbero mobilitare quell'elemento fascista presente nella società che finirebbe per abolire "le regole del gioco democratico." Le stesse azioni dell'opposizione studentesca ricordavano quegli eccessi fascisti che non si era piú disposti a tollerare nell'ambito della democrazia borghese. Questi teorici dell' "equilibrio delle forze" dimostrano il loro pensiero liberale in una singolare concezione della storia: il fascismo non mette radici nella struttura sociale del capitalismo ma è provocato, anzi, in larga misura generato dall'attività extraparlamentare dell'opposizione di sinistra. La teoria dell'equilibrio delle forze è stato l'argomento di maggior rilievo dei commentatori liberali ed ha permesso loro di riconoscere nello stato il regolatore delle questioni sociali e nella burocrazia statale un ente che sta al di sopra delle classi e dei ceti sociali. Tale concezione della società garantisce, secondo loro, il massimo della libertà e delle riforme sociali.

Non meraviglia quindi che questi galantuomini liberali abbiano rivolto appelli ai dignitari della Germania occidentale per invitarli a farsi esempio di democrazia agli occhi dei giovani. Si dovevano impiegare discorsi untuosi, colli incravattati, sorrisi sicuri e promettenti, eleganza brizzolata, vite intere per infondere finalmente fiducia ai giovani, per riconciliarli con l'armonica società dei "partner sociali."

La storia tedesca degli ultimi cent'anni non è povera di esempi di entusiasmo giovanile. La chiamata alle armi per difendere l'onore della nazione dal nemico secolare e l'esortazione a proclamare la grandezza della patria, a "combattere per lo splendore dell'impero al servizio di una nobile missione," hanno entusiasmato la gioventú tedesca all'inizio del secolo. Il delirio sciovinistico nacque dopo la fondazione dell'impero sotto l'egemonia prussiana e dopo la frenetica industrializzazione dei Gründerjahre che diedero forma alla politica di espansione della potenza imperialistica appena sorta. Tale sciovinismo poté affermarsi facilmente in Germania proprio perché qui non esisteva un pensiero liberale ed anzi la politica liberale a partire dal 1850 era stata caratterizzata da una serie di compromessi con lo stato assolutista. Cosí "l'unione nazionale" della borghesia prussiana e della Fortschrittpartei (partito progressista) sostennero chiaramente, nel 1859, che soltanto la forma di governo monarchica si adattava allo stato prussiano. Riconobbero senz'altro la forma di governo imposta dall'assolutismo prussiano e accettarono un programma in cui non era compreso il diritto al voto per tutti i cittadini. Queste virtú infine trovarono la loro piú alta espressione nella Nationalliberale Partei (il partito nazional-liberale) dopo il 1871, in completo accordo con la politica della Germania del Kaiser. Il sottofondo ideologico di questa borghesia non era costituito da una coscienza nazionale; ma odio, presunzione nazionalista, il desiderio di maggior potenza, di conquistare nuovi mercati, colonie, sfere di influenza ecc. furono le componenti di un nazionalismo che, appunto, non era altro che sciovinismo e che piú tardi, sotto forma di "darwinismo mitizzato," entrò nella filosofia della vita nietzschiana, avidamente assorbita da una gioventú educata secondo metodi severamente autoritari. Questa filosofia fu espressione del modo di "sentire" e di "pensare" degli intellettuali tedeschi e rispose alla delusione suscitata dalla democrazia borghese di taglio bismarckiano, dalla "mancanza di cultura" della società ad alto sviluppo industriale che aveva subordinato ogni rapporto umano alle leggi dell'accumulazione di capitale. La filosofia diede a questa gioventú un fondamento biologico della vita sociale e consolò l'intellettuale frustrato, che non si accontentava della sua posizione di piccolo borghese, con l'ideale del "super-uomo" e della "razza superiore." Soltanto la rovina totale della democrazia borghese, anche nella forma contorta della concezione bismarckiana, l'eliminazione dell'idea dell'uguaglianza di tutti gli uomini, permise la liberazione dalla "decadenza culturale e spirituale." Dall'inizio del secolo fino al 1914, la gioventú tedesca si ribellò contro l'ordine feudal-borghese. Suo ideale fu lo stato imperialistico ed autoritario che si stava realmente formando in Germania.

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