|
|
| << | < | > | >> |Indice1. Il passante che in quella grigia mattina 7 2. Chi sono? 11 3. Chez Magny 39 4. I tempi del nonno 59 5. Simonino carbonaro 101 6. Al servizio dei Servizi 117 7. Coi Mille 137 8. L'Ercole 167 9. Parigi 189 10. Dalla Piccola perplesso 199 11. Joly 201 12. Una notte a Praga 225 13. Dalla Piccola dice di non essere Dalla Piccola 249 14. Biarritz 251 15. Dalla Piccola redivivo 271 16. Boullan 275 17. I giorni della Comune 279 18. Protocolli 307 19. Osman Bey 321 20. Dei russi? 327 21. Taxil 333 22. Il diavolo al XIX secolo 355 23. Dodici anni ben spesi 387 24. Una notte a messa 443 25. Chiarirsi le idee 467 26. La soluzione finale 479 27. Diario interrotto 501 Inutili precisazioni erudite 515 Referenze iconografiche 523 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Il passante che in quella grigia mattina del marzo 1897 avesse attraversato a proprio rischio e pericolo place Maubert, o la Maub, come la chiamavano i malviventi (già centro di vita universitaria nel Medioevo, quando accoglieva la folla degli studenti che frequentavano la Facoltà delle Arti nel Vicus Stramineus o rue du Fouarre, e più tardi luogo dell'esecuzione capitale di apostoli del libero pensiero come Ιtienne Dolet), si sarebbe trovato in uno dei pochi luoghi di Parigi risparmiato dagli sventramenti del barone Haussmann, tra un groviglio di vicoli maleodoranti, tagliati in due settori dal corso della Bièvre, che laggiù ancora fuoriusciva da quelle viscere della metropoli dove da tempo era stata confinata, per gettarsi febbricitante, rantolante e verminosa nella vicinissima Senna. Da place Maubert, ormai sfregiata dal boulevard Saint-Germain, si dipartiva ancora una ragnatela di straducole come rue Maξtre-Albert, rue Saint-Séverin, rue Galande, rue de la Dϋcherie, rue Saint-Julien-le-Pauvre, sino a rue de la Huchette, disseminate di sordidi hotel tenuti in genere da alvergnati, albergatori dalla leggendaria cupidigia, che domandavano un franco per la prima notte e quaranta centesimi per le seguenti (più venti soldi se si voleva anche un lenzuolo). Se poi avesse imboccato quella che sarebbe diventata rue Sauton, ma era ancora rue d'Amboise, avrebbe trovato fra un bordello travestito da birreria e una taverna dove si serviva, con vino pessimo, un desinare da due soldi (già allora assai pochi, ma quanto si potevano permettere gli studenti della Sorbona), un vicolo cieco, che all'epoca si chiamava impasse Maubert, ma prima era chiamato cul-de-sac d'Amboise, e anni prima ancora ospitava un tapis-franc (nel linguaggio della malavita, una bettola, un'osteria d'infimo rango, tenuta ordinariamente da un pregiudicato, e frequentata da forzati appena usciti dal bagno penale), ed era rimasto tristemente famoso anche perché nel XVIII secolo vi sorgeva il laboratorio di tre celebri avvelenatrici, ritrovate un giorno asfissiate dalle esalazioni delle sostanze mortali che distillavano sui loro fornelli. In fondo a quel vicolo (e cioè sulla parete che chiude l'impasse) si apriva la vetrina di un rigattiere che un'insegna sbiadita celebrava come Brocantage de Qualité vetrina ormai opaca per la polvere spessa che ne lordava i vetri, i quali già poco rivelavano delle merci esposte e dell'interno, perché ciascuno di essi era un riquadro di venti centimetri per lato, tutti tenuti insieme da una intelaiatura di legno. Accanto a quella vetrina avrebbe visto una porta, sempre chiusa, e accanto al filo di una campanella un cartello che avvertiva come il proprietario fosse temporaneamente assente. Che se, come raramente accadeva, la porta si fosse aperta, chi fosse entrato avrebbe intravisto all'incerta luce che illuminava quell'antro, disposti su pochi traballanti scaffali e alcuni tavoli ugualmente malfermi, una congerie di oggetti a prima vista appetibili, ma che a una ispezione più accurata si sarebbero rivelati del tutto inadatti a ogni onesto scambio commerciale, quand'anche fossero stati offerti a prezzi altrettanto sbrindellati. Come a dire un paio di alari che avrebbero disonorato qualsiasi caminetto, una pendola in smalto blu scrostato, cuscini forse una volta ricamati a colori vivaci, alzate portafiori con putti in ceramica scheggiati, instabili tavolini di stile imprecisato, un cestino porta-biglietti in ferro rugginoso, indefinibili scatole pirografate, orridi ventagli di madreperla decorati con disegni cinesi, una collana che pareva d'ambra, due scarpini di lana bianca con fibbie incrostate di diamantini d'Irlanda, un busto sbreccato di Napoleone, farfalle sotto vetro incrinato, frutti in marmo policromo sotto una campana una volta trasparente, noci di cocco, vecchi album con modesti acquarelli di fiori, qualche dagherrotipo incorniciato (che in quegli anni non aveva neppur l'aria di cosa antica) così che chi si fosse depravatamente invaghito di uno di quei vergognosi avanzi di antichi pignoramenti di famiglie disagiate e, trovandosi di fronte il sospettosissimo proprietario, ne avesse domandato il prezzo, si sarebbe sentito richiedere una cifra tale da disamorare anche il più perverso dei collezionisti di teratologie antiquariali. E se infine il visitatore, in virtù di qualche lasciapassare, avesse varcato una seconda porta che separava l'interno del negozio dai piani superiori dell'edificio, e avesse salito i gradini di una di quelle malferme scale a chiocciola che caratterizzano quelle case parigine dalla facciata larga quanto la porta d'ingresso (là dove esse si affastellano oblique l'una accanto all'altra), sarebbe penetrato in un ampio salone che pareva ospitare non il bric-à-brac del piano terra bensì una raccolta di oggetti di ben altra fattura: un tavolino impero a tre piedi ornati di teste d'aquila, una console sostenuta da una sfinge alata, un armadio XVII secolo, una scaffalatura in mogano che ostentava un centinaio di libri ben rilegati in marocchino, una scrivania di quelle che si chiamano all'americana, con la chiusura a rullo e tanti cassettini come un secrétaire. E se fosse passato alla camera attigua, avrebbe trovato un lussuoso letto a baldacchino, una étagère rustica carica di porcellane di Sèvres, di un narghilè turco, di una grande coppa d'alabastro, di un vaso di cristallo, e sul muro di fondo dei pannelli dipinti con scene mitologiche, due grandi tele che rappresentavano le muse della storia e della commedia, e variamente appesi alle pareti dei barracani arabi, altre vesti orientali in cachemire, una antica borraccia da pellegrino; e poi un portacatinella con un ripiano carico di oggetti da toeletta in materiali pregiati insomma, un insieme bizzarro di oggetti curiosi e costosi, che forse non testimoniavano di un gusto coerente e raffinato ma certamente di un desiderio di ostentata opulenza. Tornato nel salone d'ingresso, il visitatore avrebbe individuato, davanti alla sola finestra da cui penetrava la poca luce che rischiarava l'impasse, seduto al tavolo, un individuo anziano avvolto in una veste da camera, il quale, per tanto che il visitatore avesse potuto sbirciare sopra le sue spalle, stava scrivendo quello che ci accingeremo a leggere, e che talora il Narratore riassumerà, per non tediar troppo il Lettore. Né si attenda il Lettore che il Narratore gli riveli che si sarebbe stupito nel riconoscere nel personaggio qualcuno già nominato in precedenza perché (questo racconto iniziando proprio ora) nessuno vi è mai stato nominato prima, e lo stesso Narratore non sa ancora chi sia il misterioso scrivente, proponendosi di apprenderlo (in una col Lettore) mentre entrambi curiosano intrusivi e seguono i segni che la penna di colui sta vergando su quelle carte. | << | < | > | >> |Pagina 1124 marzo 1897 Provo un certo imbarazzo nel pormi a scrivere, come se mettessi a nudo la mia anima, per ordine no, perdio! diciamo su suggerimento di un ebreo tedesco (o austriaco, ma fa lo stesso). Chi sono? Forse è più utile interrogarmi sulle mie passioni che sui fatti della mia vita. Chi amo? Non mi vengono in mente volti amati. So che amo la buona cucina: al solo pronunciare il nome de La Tour d'Argent provo come un fremito per tutto il corpo. Θ amore? Chi odio? Gli ebrei, mi verrebbe da dire, ma il fatto che stia cedendo così servilmente alle istigazioni di quel dottore austriaco (o tedesco) dice che non ho nulla contro i maledetti ebrei. Degli ebrei so solo ciò che mi ha insegnato il nonno: Sono il popolo ateo per eccellenza, mi istruiva. Partono dal concetto che il bene deve realizzarsi qui, e non oltre la tomba. Quindi operano solo per la conquista di questo mondo. Gli anni della mia fanciullezza sono stati intristiti dal loro fantasma. Il nonno mi descriveva quegli occhi che ti spiano, così falsi da farti illividire, quei sorrisi viscidi, quelle labbra da iena rialzate sui denti, quegli sguardi pesanti, infetti, abbrutiti, quelle pieghe tra naso e labbra sempre inquiete, scavate dall'odio, quel loro naso come il beccaccio di un uccello australe... E l'occhio, ah, l'occhio... Ruota febbrile nella pupilla dal colore di pane abbrustolito e rivela malattie del fegato, corrotto dalle secrezioni prodotte da un odio di diciotto secoli, si piega su mille piccole rughe che si accentuano con l'età, e già a vent'anni il giudeo sembra avvizzito come un vecchio. Quando sorride, le palpebre gonfie gli si socchiudono al punto da lasciare appena una linea impercettibile, segno di astuzia, dicono alcuni, di lussuria, precisava il nonno... E quando ero abbastanza cresciuto da capire, mi ricordava che l'ebreo, oltre che vanitoso come uno spagnolo, ignorante come un croato, cupido come un levantino, ingrato come un maltese, insolente come uno zingaro, sporco come un inglese, untuoso come un calmucco, imperioso come un prussiano e maldicente come un astigiano, è adultero per foia irrefrenabile dipende dalla circoncisione, che li rende più erettili, con una sproporzione mostruosa tra il nanismo della corporatura e la stazza cavernosa di quella loro escrescenza semimutilata. Io, gli ebrei, me li sono sognati ogni notte, per anni e anni. Per fortuna non ne ho mai incontrati, tranne la puttanella del ghetto di Torino, quand'ero ragazzo (ma non ho scambiato più di due parole), e il dottore austriaco (o tedesco, fa lo stesso). I tedeschi li ho conosciuti, e ho persino lavorato per loro: il più basso livello di umanità concepibile. Un tedesco produce in media il doppio delle feci di un francese. Iperattività della funzione intestinale a scapito di quella cerebrale, che dimostra la loro inferiorità fisiologica. Ai tempi delle invasioni barbariche le orde germaniche costellavano il percorso di ammassi irragionevoli di materia fecale. D'altra parte, anche nei secoli scorsi, un viaggiatore francese capiva subito se aveva già varcato la frontiera alsaziana dall'anormale grandezza degli escrementi abbandonati lungo le strade. E bastasse: è tipica del tedesco la bromidrosi, ossia l'odore disgustoso del sudore, ed è provato che l'orina di un tedesco contiene il venti per cento di azoto mentre quella delle altre razze solo il quindici. Il tedesco vive in uno stato di perpetuo imbarazzo intestinale dovuto all'eccesso di birra e di quelle salsicce di maiale di cui s'ingozza. Li ho visti una sera, durante il mio unico viaggio a Monaco, in quelle specie di cattedrali sconsacrate, fumose come un porto inglese, puteolentí di sugna e lardo, persino a due a due, lui e lei, le mani strette intorno a quei boccali di birra che disseterebbero da soli una mandria di pachidermi, naso a naso in un bestiale dialogo amoroso, come due cani che si annusano, con le loro risate fragorose e sgraziate, la loro torbida ilarità gutturale, translucidi di un grasso perenne che ne unge i visi e le membra come l'olio sulla pelle degli atleti da circo antico. Si riempiono la bocca del loro Geist, che vuole dire spirito, ma è lo spirito della cervogia, che istupidisce sin da giovani, e spiega perché oltre il Reno non si sia mai prodotto niente d'interessante nell'arte, salvo alcuni quadri con ceffi ributtanti, e poemi di una noia mortale. Per non dire della loro musica: non parlo di quel Wagner fracassone e funerario che oggi rincoglionisce anche i francesi ma, per quel poco che ne ho udito, le composizioni del loro Bach sono totalmente prive di armonia, fredde come una notte d'inverno, e le sinfonie di quel Beethoven sono un'orgia di sguaiataggine. L'abuso di birra li rende incapaci di avere la minima idea della loro volgarità, ma il superlativo di questa volgarità è che non si vergognano di essere tedeschi. Hanno preso sul serio un monaco ghiottone e lussurioso come Lutero (si può sposare una monaca?), solo perché ha rovinato la Bibbia traducendola nella loro lingua. Chi ha detto che hanno abusato dei due grandi narcotici europei, l'alcool e il cristianesimo?
Si ritengono profondi perché la loro lingua è vaga, non ha
la chiarezza di quella francese, e non dice mai esattamente quel
che dovrebbe, così che nessun tedesco sa mai quello che voleva dire e scambia
questa incertezza per profondità. Con i
tedeschi è come con le donne, non si arriva mai al fondo.
Malauguratamente questa lingua inespressiva, con i verbi che,
leggendo, devi cercare ansiosamente con gli occhi, perché non
stanno mai dove dovrebbero essere, il nonno mi ha obbligato
ad apprenderla da ragazzo né c'è da stupirsi, austriacante
com'era. E così questa lingua l'ho odiata, tanto quanto il gesuita che veniva a
insegnarmela a colpi di bacchetta sulle dita.
Da quando quel Gobineau ha scritto sulla diseguaglianza delle razze pare che, se qualcuno parla male di un altro popolo, è perché ritiene superiore il proprio. Io non ho pregiudizi. Da quando sono diventato francese (e lo ero già a metà per via di madre) ho capito quanto i miei nuovi compatrioti fossero pigri, truffatori, rancorosi, gelosi, orgogliosi oltre ogni limite al punto di pensare che chi non è francese sia un selvaggio, incapaci di accettare rimproveri. Però ho capito che per indurre un francese a riconoscere una tara della sua genia basta parlargli male di un altro popolo, come a dire "noi polacchi abbiamo questo o quest'altro difetto" e, poiché non vogliono essere secondi a nessuno, neppure nel male, subito reagiscono con "oh no, qui in Francia siamo peggio" e via a sparlare dei francesi, sino a che non si rendono conto che li hai presi in trappola. Non amano i loro simili, neppure quando ne traggono vantaggio. Nessuno è maleducato come un taverniere francese, ha l'aria di odiare i clienti (e forse è vero) e di desiderare che non ci siano (ed è falso, perché il francese è avidissimo). Ils grognent toujours. Provate a domandargli qualcosa: sais pas, moi, e protrudono le labbra come se petassero. Sono cattivi. Uccidono per noia. Θ l'unico popolo che ha tenuto occupati per vari anni i suoi cittadini a tagliarsi reciprocamente la testa, e fortuna che Napoleone ha deviato la loro rabbia su quelli di altra razza, incolonnandoli a distruggere l'Europa. Sono fieri di avere uno stato che dicono potente ma passano il tempo a cercare di farlo cadere: nessuno come il francese è bravo a far barricate per ogni ragione e a ogni stormire di vento, spesso senza sapere neppure perché, facendosi trascinare per strada dalla peggior canaglia. Il francese non sa bene che cosa vuole, salvo che sa alla perfezione che non vuole quello che ha. E per dirlo non sa far altro che cantare canzoni. Credono che tutto il mondo parli francese. Θ accaduto qualche decina d'anni fa con quel Lucas, uomo di genio trentamila documenti autografi falsi, rubando carta antica tagliando i risguardi di vecchi libri alla Bibliothèque Nationale, e imitando le varie calligrafie, anche se non così bene come saprei fare io... Ne aveva venduti non so quanti a carissimo prezzo a quell'imbecille di Chasles (gran matematico, dicono, e membro dell'Accademia delle Scienze, ma gran coglione). E non solo lui ma molti dei suoi colleghi accademici hanno preso per buono che in francese avessero scritto le loro lettere Caligola, Cleopatra o Giulio Cesare, e in francese si scrivessero l'un l'altro Pascal, Newton e Galileo, quando anche i bambini sanno che i sapienti di quei secoli si scrivevano in latino. I dotti francesi non avevano idea che altri popoli parlassero in modo diverso dal francese. Inoltre le lettere false dicevano che Pascal aveva scoperto la gravitazione universale vent'anni prima di Newton, e questo bastava ad abbacinare quei sorbonardi divorati dalla spocchia nazionale. Forse l'ignoranza è effetto della loro avarizia il vizio nazionale, che essi prendono per virtù e chiamano parsimonia. Solo in questo paese si è potuta ideare una intera commedia intorno a un avaro. Per non dire di papà Grandet.
L'avarizia la si vede dai loro appartamenti polverosi, dalla
tappezzeria mai rifatta, dalle bagnarole che risalgono agli antenati, dalle
scale a chiocciola in legno malfermo per sfruttare
grettamente il poco spazio. Innestate, come si fa con le piante, un francese con
un ebreo (magari di origine tedesca) e avrete quello che abbiamo, la Terza
Repubblica...
Se mi son fatto francese è perché non potevo sopportare di essere italiano. In quanto piemontese (per nascita), sentivo di essere soltanto la caricatura di un gallo, ma dalle idee più ristrette. I piemontesi, ogni novità li irrigidisce, l'inatteso li terrorizza, per farli muovere sino alle Due Sicilie (ma nei garibaldini c'erano pochissimi piemontesi) ci sono voluti due liguri, un esaltato come Garibaldi e uno iettatore come Mazzini. E non parliamo di quel che ho scoperto quando sono stato mandato a Palermo (quando è stato? debbo ricostruire). Solo quel vanitoso di Dumas amava quei popoli, forse perché lo adulavano più di quanto non facessero i francesi che lo consideravano pur sempre un sanguemisto. Piaceva a napoletani e siciliani, mulatti essi stessi non per errore di una madre baldracca ma per storia di generazioni, nati da incroci di levantini malfidi, arabi sudaticci e ostrogoti degenerati, che hanno preso il peggio di ciascuno dei loro ibridi antenati, dei saraceni l'indolenza, degli svevi la ferocia, dei greci l'inconcludenza e il gusto di perdersi in chiacchiere sino a spaccare un capello in quattro. E per il resto basti vedere gli scugnizzi che a Napoli incantano gli stranieri strangolandosi di spaghetti che s'infilano nel gorgozzule con le dita, sbrodolandosi di pomodoro andato a male. Non li ho visti, credo, ma lo so. L'italiano è infido, bugiardo, vile, traditore, si trova più a suo agio col pugnale che con la spada, meglio col veleno che col farmaco, viscido nella trattativa, coerente solo nel cambiar bandiera a ogni vento e ho visto che cosa è accaduto ai generali borbonici non appena sono apparsi gli avventurieri di Garibaldi e i generali piemontesi. Θ che gli italiani si sono modellati sui preti, l'unico vero governo che abbiano mai avuto da quando quel pervertito dell'ultimo imperatore romano è stato sodomizzato dai barbari perché il cristianesimo aveva fiaccato la fierezza della razza antica. I preti... Come li ho conosciuti? A casa del nonno, mi pare, ho il ricordo oscuro di sguardi fuggenti, dentature guaste, aliti pesanti, mani sudate che tentavano di accarezzarmi la nuca. Che schifo. Oziosi, appartengono alle classi pericolose, come i ladri e i vagabondi. Uno si fa prete o frate solo per vivere nell'ozio, e l'ozio è garantito dal loro numero. Se i preti fossero, diciamo, uno su mille anime, avrebbero talmente da fare che non potrebbero starsene in panciolle mangiando capponi. E tra i preti più indegni il governo sceglie i più stupidi, e li nomina vescovi. Cominci ad averli intorno appena nato quando ti battezzano, li ritrovi alla scuola, se i tuoi genitori sono stati così bigotti da affidarti a loro, poi c'è la prima comunione, e il catechismo, e la cresima; c'è il prete il giorno del tuo matrimonio a dirti cosa devi fare in camera, e il giorno dopo in confessione a chiederti quante volte lo hai fatto per potersi eccitare dietro alla grata. Ti parlano con orrore del sesso ma tutti i giorni li vedi uscire da un letto incestuoso senza neppure essersi lavati le mani, e vanno a mangiare e bere il loro signore, per poi cacarlo e pisciarlo. Ripetono che il loro regno non è di questo mondo, e mettono le mani su tutto quello che possono arraffare. La civiltà non raggiungerà la perfezione finché l'ultima pietra dell'ultima chiesa non sarà caduta sull'ultimo prete, e la terra sarà libera da quella genia. I comunisti hanno diffuso l'idea che la religione sia l'oppio dei popoli. Θ vero, perché serve a tenere a freno le tentazioni dei sudditi, e se non ci fosse la religione ci sarebbe il doppio di gente sulle barricate, mentre nei giorni della Comune non erano abbastanza, e si è potuto farli fuori senza troppo attendere. Ma, dopo che ho udito quel medico austriaco parlare dei vantaggi della droga colombiana, direi che la religione è anche la cocaina dei popoli, perché la religione ha spinto e spinge alle guerre, ai massacri degli infedeli, e questo vale per cristiani, musulmani e altri idolatri, e se i negri dell'Africa si limitavano a massacrarsi tra di loro, i missionari li hanno convertiti e li hanno fatti diventare truppa coloniale, adattissima a morire in prima linea, e a stuprare le donne bianche quando entrano in una città. Gli uomini non fanno mai il male così completamente ed entusiasticamente come quando lo fanno per convinzione religiosa. Peggiori di tutti, certamente i gesuiti. Ho come la sensazione di avergli giocato alcuni tiri, o forse sono loro che mi hanno fatto del male, non ricordo ancora bene. O forse erano i loro fratelli carnali, i massoni. Come i gesuiti, solo un poco più confusi. Quelli almeno hanno una loro teologia e sanno come manovrarla, questi ne hanno troppe e ci perdono la testa. Dei massoni mi parlava il nonno. Con gli ebrei hanno tagliato la testa al re. E hanno generato i carbonari, massoni un po' più stupidi perché si facevano fucilare, una volta, e dopo si son fatti tagliare la testa per aver sbagliato a fabbricare una bomba, oppure sono diventati socialisti, comunisti e comunardi. Tutti al muro. Ben fatto, Thiers. Massoni e gesuiti. I gesuiti sono massoni vestiti da donna. Odio le donne, per quel poco che ne so. Per anni sono stato ossessionato da quelle brasseries à femmes, dove si radunano malfattori di ogni categoria. Peggio delle case di tolleranza. Queste almeno hanno difficoltà a installarsi per l'opposizione dei vicini, mentre le birrerie possono essere aperte dappertutto perché, dicono, sono solo locali dove si va per bere. Ma si beve al pianterreno e si pratica il meretricio ai piani superiori. Ogni birreria ha un tema, e i costumi delle ragazze vi si adeguano, qui trovi delle kellerine tedesche, là di fronte al Palazzo di Giustizia cameriere in toga d'avvocato. D'altra parte bastano i nomi, come la Brasserie du Tire-cul, la Brasserie des belles marocaines o la Brasserie des quatorze fesses, non lontano dalla Sorbona. Sono tenute quasi sempre da tedeschi, ecco un modo di minare la moralità francese. Tra il quinto e il sesto arrondissement ve ne sono almeno sessanta, ma in tutta Parigi sono quasi duecento, e tutte sono aperte anche ai giovanissimi. I ragazzi dapprima entrano per curiosità, poi per vizio, e infine si prendono lo scolo quando gli va bene. Se la birreria è vicina a una scuola, gli studenti all'uscita vanno a spiare le ragazze attraverso la porta. Io ci vado per bere. E per spiare dal di dentro attraverso la porta gli studenti che spiano attraverso la porta. E non solo gli studenti. S'imparano molte cose su usi e frequentazioni di adulti, e possono sempre servire. La cosa che più mi diverte è individuare ai tavoli la natura dei vari magnaccia in attesa, alcuni di loro sono mariti che campano sulle grazie della moglie, e questi stanno tra loro, ben vestiti, fumando e giocando a carte, e l'oste o le ragazze parlano di loro come del tavolo dei cornuti; ma nel Quartiere Latino molti sono ex studenti falliti, sempre tesi nel timore che qualcuno gli soffi la loro rendita, e spesso tirano fuori il coltello. I più tranquilli sono i ladri e gli assassini, che vanno e vengono perché debbono badare ai loro colpi, e sanno che le ragazze non li tradiranno, perché il giorno dopo galleggerebbero sulla Bièvre. Vi sono anche degli invertiti, che si occupano di catturare depravati o depravate, per i servizi più luridi. Raccolgono i clienti al Palais-Royal o agli Champs-Ιlysées e li attirano con segni convenzionali. Spesso fanno arrivare nella stanza i loro complici travestiti da poliziotti, questi minacciano di arrestare il cliente in mutande, quello si mette a implorare pietà, e tira fuori una manciata di soldi. Quando entro in quei lupanari lo faccio con prudenza, perché so cosa potrebbe accadermi. Se il cliente ha l'aria di aver danaro, il tenutario fa un segno, una ragazza l'avvicina e a poco a poco lo convince a invitare al tavolo tutte le altre e via con le cose più costose (ma loro per non ubriacarsi bevono anisette superfine o cassis fin, acqua colorata che il cliente paga a caro prezzo). Poi cercano di farti giocare a carte, naturalmente si fan dei segni, tu perdi e devi pagare la cena a tutte, e al tenutario, e a sua moglie. E se cerchi di smettere ti propongono di giocare non per soldi, ma a ogni mano che vinci una delle ragazze si toglie una veste... E a ogni merletto che cade ecco apparire quelle schifose carni bianche, quei seni turgidi, quelle ascelle brune dall'afrore che ti snerva... Non sono mai salito al piano superiore. Qualcuno ha detto che le donne sono solo un surrogato del vizio solitario, salvo che ci vuole più fantasia. Così torno a casa e le sogno di notte, non sono mica fatto di ferro, e poi sono loro che mi hanno provocato. Ho letto il dottor Tissot, lo so che fanno male anche da lontano. Non sappiamo se gli spiriti animali e il liquore genitale siano la stessa cosa, ma è certo che questi due fluidi hanno una certa analogia, e dopo lunghe polluzioni notturne non solo si perdono le forze, ma il corpo si smagrisce, impallidisce il viso, si sfarina la memoria, s'annebbia la vista, la voce si fa rauca, il sonno è turbato da sogni irrequieti, si avvertono dolori agli occhi e appaiono macchie rosse sul viso, alcuni sputano materie calcinate, avvertono palpitazioni, soffocazioni, svenimenti, altri lamentano stitichezza, o emissioni sempre più fetide. Infine, la cecità.
Forse sono esagerazioni, da ragazzo avevo il volto pustoloso, ma pare fosse
tipico dell'età, o forse tutti i ragazzi si procurano questi piaceri, taluni in
modo eccessivo, toccandosi giorno e notte. Ora, poi, so dosarmi, ho sonni
ansiosi solo quando rientro da una serata in birreria e non mi accade, come a
molti, di avere erezioni non appena vedo una gonna per istrada. Il
lavoro mi trattiene dalla rilassatezza dei costumi.
Ma perché far filosofia invece di ricostruire gli eventi? Forse perché ho bisogno di sapere non solo quello che ho fatto prima di ieri ma anche come sono dentro. Ammesso che un dentro ce l'abbia. Dicono che l'anima è solo quello che si fa, ma se odio qualcuno e mi coltivo questo rancore, vivaddio, questo significa che un dentro c'è! Come diceva il filosofo? Odi ergo sum. | << | < | > | >> |Pagina 201Lagrange, nella primavera del 1865, aveva convocato una mattina Simonini su una panchina del giardino del Lussemburgo, e gli aveva mostrato un libro sgualcito dalla copertina giallastra, che appariva pubblicato nell'ottobre 1864 a Bruxelles, senza il nome dell'autore, col titolo Dialogue aux enfers entre Machiavel et Montesquieu ou la politique de Machiavel au XIXe siècle, par un contemporain.- Ecco aveva detto, il libro di tal Maurice Joly. [...] Bel posto, aveva detto ridendo Simonini, ci verrò. Ma ditemi, ho saputo che dovrebbe esserci qui un certo Joly, che ha scritto delle cose maliziose sull'imperatore.
E un idealista, aveva detto Gaviali, le parole non uccidono. Ma deve
essere una brava persona. Ve lo presento.
Joly era vestito con abiti ancora puliti, evidentemente trovava modo di sbarbarsi, e di solito usciva dalla sala della stufa, dove si rincantucciava solitario, quando entravano i privilegiati col cestino delle vivande, per non soffrire alla vista della fortuna altrui. Dimostrava più o meno la stessa età di Simonini, aveva gli occhi accesi del visionario, eppure velati di tristezza, e si dava a vedere per uomo dalle molte contraddizioni. Sedetevi con me, gli aveva detto Simonini, e accettate qualcosa da questo cestino, che per me è anche troppo. Avevo subito capito che non fate parte di questa marmaglia. Joly aveva ringraziato tacitamente con un sorriso, aveva accettato volentieri un pezzo di carne e una fetta di pane, ma si era mantenuto sulle generali. Simonini aveva detto: Per fortuna che mia sorella non si è scordata di me. Non è ricca ma mi mantiene bene. Beato voi, aveva detto Joly, io non ho nessuno... Il ghiaccio era rotto. Avevano parlato dell'epopea garibaldina, che i francesi avevano seguito con passione. Simonini aveva accennato ad alcune sue noie prima col governo piemontese e poi con quello francese, ed eccolo in attesa di processo per cospirazione contro lo stato. Joly aveva detto che lui era in prigione neppure per cospirazione ma per il semplice gusto del pettegolezzo. Immaginarsi come elemento necessario nell'ordine dell'universo equivale, per noi gente di buone letture, a quello che è la superstizione per gli illetterati. Non si cambia il mondo con le idee. Le persone con poche idee sono meno soggette all'errore, seguono ciò che fanno tutti e non disturbano nessuno, e riescono, si arricchiscono, raggiungono buone posizioni, deputati, decorati, uomini di lettere rinomati, accademici, giornalisti. Si può essere sciocchi quando si fanno così bene i propri affari? Lo sciocco sono io, che ho voluto battermi coi mulini a vento. Al terzo pasto Joly tardava ancora a venire al dunque e Simonini lo aveva stretto un poco più d'appresso, domandandogli quale libro pericoloso avesse mai scritto. E Joly si era diffuso sul suo dialogo agli inferi, e a mano a mano che lo riassumeva s'indignava sempre di più per le nefandezze che aveva denunciato, e le chiosava, e le analizzava ancor più di quanto non avesse fatto nel suo libello. Capite? Riuscire a realizzare il dispotismo grazie al suffragio universale! Il miserabile ha compiuto un colpo di stato autoritario appellandosi al popolo bue! Sta avvertendoci come sarà la democrazia di domani. Giusto, pensava Simonini, questo Napoleone è l'uomo dei tempi nostri, e ha capito come si può tenere a freno un popolo che una settantina d'anni prima si è eccitato con l'idea che si potesse tagliare la testa a un re. Lagrange può ben credere che Joly abbia avuto degli ispiratori, ma è chiaro che si è limitato ad analizzare fatti che sono sotto gli occhi di tutti, così da anticipare le mosse del dittatore. Piuttosto vorrei capire quale sia stato davvero il suo modello. Così Simonini aveva fatto un velato riferimento a Sue e alla lettera di padre Rodin, e subito Joly aveva sorriso, quasi arrossendo, e aveva detto che sì, che la sua idea di dipingere i progetti nefasti di Napoleone era nata dal modo in cui li aveva descritti Sue, salvo che gli era parso più utile far risalire l'ispirazione gesuitica al machiavellismo classico. Quando ho letto quelle pagine di Sue mi sono detto che avevo trovato la chiave per scrivere un libro che avrebbe scosso questo paese. Che follia, i libri si requisiscono, si bruciano, e tu è come se non avessi fatto nulla. E non pensavo che Sue per aver detto ancora di meno era stato costretto all'esilio. Simonini si sentiva come deprivato di una cosa sua. Θ vero che anche lui aveva copiato il suo discorso dei gesuiti da Sue, ma nessuno lo sapeva e si riservava di usare ancora per altri fini il suo schema di complotto. Ed ecco che Joly glielo sottraeva rendendolo, per così dire, di dominio pubblico. Poi si era calmato. Il libro di Joly era stato sequestrato e lui possedeva una delle poche copie ancora in circolazione, Joly se ne sarebbe stato per qualche anno in prigione, quand'anche Simonini avesse integralmente copiato il suo testo attribuendo, che so, il complotto a Cavour, o alla cancelleria prussiana, nessuno se ne sarebbe reso conto, neppure Lagrange, che al massimo avrebbe riconosciuto nel nuovo documento qualcosa di credibile. I servizi segreti di ciascun paese credono solo a ciò che hanno sentito dire altrove e respingerebbero come inattendibile ogni notizia del tutto inedita. Quindi calma, egli si trovava nella tranquilla situazione di sapere quel che Joly aveva detto, senza che nessun altro lo sapesse. Tranne quel Lacroix che Lagrange aveva nominato, l'unico che avesse avuto il coraggio di leggersi tutto il Dialogo. Bastava pertanto eliminare Lacroix ed era fatta. | << | < | > | >> |Pagina 236Da dove doveva partire il progetto ebraico per la conquista del mondo? Ma dal possesso dell'oro, come mi aveva suggerito Toussenel. Conquista del mondo, per mettere in stato d'allarme monarchi e governi, possesso dell'oro, per soddisfare socialisti, anarchici e rivoluzionari, distruzione dei sani principi del mondo cristiano, per inquietare papa, vescovi e curati. E introdurre un poco di quel cinismo bonapartista di cui aveva detto così bene Joly, e di quella ipocrisia gesuitica che sia Joly che io avevamo appreso da Sue.Ero tornato in biblioteca, ma questa volta a Parigi, dove si trovava molto di più che a Torino, e avevo trovato altre immagini del cimitero di Praga. Esisteva sin dal Medioevo, e nel corso dei secoli, siccome non poteva espandersi al di fuori del perimetro permesso, aveva sovrapposto le sue tombe, così da coprire forse centomila cadaveri, e le lapidi si infittivano l'una quasi contro l'altra, oscurate dalle fronde dei sambuchi senza nessun ritratto a ingentilirle perché i giudei hanno terrore delle immagini. Forse gli incisori erano stati affascinati dal sito e avevano esagerato nel creare quella fungaia di pietre come arbusti di una brughiera piegati da tutti i venti, quello spazio sembrava la bocca spalancata di una vecchia strega sdentata. Ma, grazie ad alcune incisioni più immaginative che lo ritraevano sotto la luce lunare, mi era subito apparso chiaro il partito che potevo trarre da quella atmosfera da tregenda, se tra quelle che sembravano le lastre di un pavimento sollevatesi in tutti i sensi a causa di un sommovimento tellurico, si fossero posti, curvi, intabarrati e incappucciati, con le loro barbe grigiastre e caprine, dei rabbini intenti a un complotto, inclinati anch'essi come le lapidi a cui s'appoggiavano, a formare nella notte una foresta di fantasmi rattrappiti. E al centro stava la tomba di rabbi Lφw, che nel Seicento aveva creato il Golem, creatura mostruosa destinata a compiere le vendette di tutti i giudei. Meglio di Dumas, e meglio dei gesuiti. Naturalmente quello che riferiva il mio documento sarebbe dovuto apparire come la deposizione orale di un testimone di quella notte tremenda, un testimone obbligato a mantenere l'incognito, pena la morte. Sarebbe dovuto entrare nottetempo nel cimitero, prima della cerimonia annunciata, travestito da rabbino, nascondendosi vicino al cumulo di pietre che era stata la tomba di rabbi Lφw. A mezzanotte in punto come se blasfemamente il campanile di una chiesa cristiana avesse suonato da lontano l'adunata giudea sarebbero arrivati dodici individui avvolti in mantelli scuri e una voce, quasi sorgendo dal fondo di una tomba, li avrebbe salutati come i dodici Rosche-Bathe-Abboth, capi delle dodici stirpi d'Israele, e ciascuno di essi avrebbe risposto: "Salutiamo te, o figlio del dannato". Ecco la scena. Come era avvenuto sul monte del Tuono, la voce di chi li aveva convocati domanda: "Sono passati cento anni dal nostro ultimo raduno. Da dove venite e chi rappresentate?" E a turno le voci rispondono: rabbi Juda da Amsterdam, rabbi Benjamin da Toledo, rabbi Levi da Worms, rabbi Manasse da Pest, rabbi Gad da Cracovia, rabbi Simeon da Roma, rabbi Sebulon da Lisbona, rabbi Ruben da Parigi, rabbi Dan da Costantinopoli, rabbi Asser da Londra, rabbi Isascher da Berlino, rabbi Naphtali da Praga. Allora la voce, ovvero il tredicesimo convenuto, si fa dire da ciascuno le ricchezze delle loro comunità, e calcola le ricchezze dei Rothschild e degli altri banchieri giudei trionfanti per il mondo. Si arriva così al risultato di seicento franchi a testa per i tre milioni e cinquecentomila ebrei viventi in Europa, vale a dire due miliardi di franchi. Non ancora abbastanza, commenta la tredicesima voce, per distruggere duecentosessantacinque milioni di cristiani, ma sufficienti per iniziare. Dovevo ancora pensare a quanto avrebbero detto, ma avevo già disegnato la conclusione. La tredicesima voce aveva evocato lo spirito di rabbi Lφw, una luce azzurrina si era levata dal suo sepolcro diventando sempre più violenta e accecante, ciascuno dei dodici convenuti aveva gettato una pietra sul tumulo e la luce si era gradatamente spenta. I dodici erano quasi scomparsi in direzioni diverse, inghiottiti (come si dice) dalle tenebre, e il cimitero era tornato alla sua spettrale e anemica melanconia. | << | < | > | >> |Pagina 307Dai diari del 10 e 11 aprile 1897 Con la fine della guerra Simonini aveva ripreso il suo lavoro normale. Per fortuna, con tutti i morti che c'erano stati, i problemi di successione erano all'ordine del giorno, moltissimi caduti ancora giovani sulle o di fronte alle barricate non avevano ancora pensato a fare testamento, e Simonini era oberato di lavoro e onusto di prebende. Che bella la pace, se prima c'era stato un lavacro sacrificale. Il suo diario sorvola quindi sulla routine notarile degli anni seguenti e accenna solo al desiderio, che in quel periodo non l'aveva mai abbandonato, di riprendere i contatti per la vendita del documento sul cimitero di Praga. Non sapeva che cosa facesse Goedsche nel frattempo, ma doveva precederlo. Anche perché, curiosamente, per quasi tutto il periodo della Comune gli ebrei parevano scomparsi. Inveterati cospiratori, tiravano segretamente le fila della Comune o al contrario, accumulatori di capitali, si nascondevano a Versailles per preparare il dopoguerra? Però stavano dietro ai massoni, i massoni di Parigi si erano schierati con la Comune, i comunardi avevano fucilato un arcivescovo e gli ebrei in qualche modo ci dovevano pur entrare. Uccidevano i bambini, figuriamoci gli arcivescovi. Mentre così rifletteva, un giorno del 1876 aveva sentito suonare da basso e sulla porta si presentava un signore anziano in abito talare. Simonini aveva dapprima pensato che fosse il solito abate satanista che veniva a far commercio di ostie consacrate, poi, guardandolo meglio, sotto quella massa di capelli ormai bianchi ma sempre ben ondulati, aveva riconosciuto dopo quasi trent'anni padre Bergamaschi. Per il gesuita era stato un poco più difficile sincerarsi di aver di fronte il Simonino che aveva conosciuto adolescente, più che altro a causa della barba (che dopo la pace era ridivenuta nera, leggermente brizzolata, come si addiceva a un quarantenne). Poi i suoi occhi si erano illuminati e aveva detto sorridendo: Ma sì, sei Simonino, sei dunque sempre tu, ragazzo mio? Perché mi tieni sulla porta? Sorrideva ma, se non ardiremo dire che aveva il sorriso di una tigre, aveva per lo meno quello di un gatto. Simonini l'aveva fatto salire di sopra e gli aveva domandato: Come ha fatto a trovarmi? Eh, ragazzo mio, aveva detto Bergamaschi, non lo sai che noi gesuiti ne sappiamo una più del diavolo? Anche se i piemontesi ci avevano cacciato da Torino continuavo a mantenere buoni contatti con molti ambienti per cui ho saputo, primo, che lavoravi da un notaio e falsificavi testamenti, e pazienza, ma che avevi consegnato ai servizi piemontesi un rapporto in cui apparivo anch'io come consigliere di Napoleone III, e tramavo contro Francia e Regni Sardi nel cimitero di Praga. Bella invenzione, non dico, ma mi sono poi reso conto che avevi copiato tutto da quel mangiapreti di Sue. Ti ho cercato, ma mi era stato detto che eri in Sicilia con Garibaldi e che poi avevi lasciato l'Italia. Il generale Negri di Saint Front è in rapporti cortesi con la Compagnia e mi ha indirizzato a Parigi, dove i miei confratelli avevano buone conoscenze presso i servizi segreti imperiali. Ho così saputo che avevi avuto contatti coi russi e che quel tuo rapporto su di noi al cimitero di Praga era diventato un rapporto sugli ebrei. Ma al contempo ho saputo che avevi spiato tale Joly, ho potuto avere in via riservata una copia del suo libro, rimasta nell'ufficio di un certo Lacroix, morto eroicamente in uno scontro con dinamitardi carbonari, e ho visto che, anche se Joly aveva copiato da Sue, tu avevi scopiazzato da Joly. Finalmente i confratelli tedeschi mi hanno segnalato che tal Goedsche parlava di una cerimonia sempre nel cimitero di Praga, dove gli ebrei dicevano a un dipresso le cose che avevi scritto tu nel rapporto dato ai russi. Solo che io sapevo che la prima versione, dove apparivamo noi gesuiti, era tua, e di molti anni anteriore al romanzaccio di Goedsche. Finalmente qualcuno che mi rende giustizia! Lasciami finire. In seguito, tra la guerra, l'assedio e poi i giorni della Comune, Parigi era diventata insalubre per un tonacato come me. Mi sono deciso a rientrare e a cercarti perché qualche anno fa la stessa storia degli ebrei nel cimitero di Praga appariva in un fascicolo pubblicato a San Pietroburgo. Veniva presentato come brano di un romanzo che però si basa su fatti reali, quindi l'origine era Goedsche. Ora, proprio quest'anno più o meno lo stesso testo è apparso in un opuscolo a Mosca. Insomma, laggiù, o lassù che dir si voglia, si sta organizzando una faccenda di stato intorno agli ebrei, che stanno diventando una minaccia. Ma una minaccia sono anche per noi, perché attraverso questa Alliance Israélite si nascondono dietro ai massoni, e Sua Santità è ormai deciso a scatenare una campagna campale contro tutti questi nemici della chiesa. Ed ecco che torni buono tu, Simonino mio, che devi farti perdonare lo scherzo che mi avevi giocato coi piemontesi. Dopo averla così diffamata, devi qualcosa alla Compagnia. Diavolo, questi gesuiti erano più bravi di Hébuterne, di Lagrange e di Saint Front, sapevano sempre tutto di tutti, non avevano bisogno di servizi segreti perché erano un servizio segreto essi stessi; avevano confratelli in ogni parte del mondo e seguivano quello che veniva detto in ogni lingua nata dal crollo della torre di Babele. | << | < | > | >> |Pagina 323Ed ecco che avevo due buone ragioni per incontrare questo Osman Bey, da un lato per vendergli ciò che potevo sugli ebrei, dall'altro per tenere Hébuterne al corrente sui suoi movimenti. E dopo una settimana Osman Bey si era fatto vivo infilando un biglietto sotto la porta del mio negozio e lasciandomi l'indirizzo di una pensione nel Marais.M'immaginavo che fosse un ghiottone, e volevo invitarlo al Grand Véfour, per fargli gustare una fricassée de poulet Marengo e les mayonnaises de volaille. C'è stato uno scambio di biglietti, poi ha rifiutato ogni invito e mi ha dato convegno per quella sera sull'angolo di place Maubert e rue Maξtre-Albert. Avrei visto un fiacre accostarsi e avrei dovuto avvicinarmi facendomi riconoscere. Quando il veicolo si è arrestato sull'angolo della piazza, si è sporto il viso di qualcuno che non avrei voluto incontrare di notte in una delle strade del mio quartiere: capelli lunghi e spettinati, naso adunco, occhio grifagno, carnagione terrea, magrezza da contorsionista, e un tic snervante all'occhio sinistro. Buona sera capitan Simonini, mi ha subito detto, aggiungendo: A Parigi anche i muri hanno orecchie, come si suol dire. Pertanto l'unico modo di parlare tranquilli è andare in giro per la città. Il cocchiere di qui non può sentirci e, anche se potesse, è sordo come una campana. E così la nostra prima conversazione è proseguita mentre la sera scendeva sulla città, e una pioggia leggera stillava dalla coltre di nebbia che lentamente avanzava sino quasi a coprire il selciato delle strade. Pareva che il fiaccheraio avesse ricevuto mandato di andarsi a infilare proprio nei quartieri più deserti e nelle vie meno illuminate. Avremmo potuto parlare tranquillamente anche in boulevard des Capucines, ma evidentemente Osman Bey amava la messa in scena. Parigi sembra deserta, guardate i passanti, mi diceva Osman Bey con un sorriso che gli illuminava il volto come una candela può illuminare un teschio (quell'uomo dal volto devastato aveva denti bellissimi). Si muovono come spettri. Forse alle prime luci del giorno si affretteranno a rientrare nei sepolcri. Mi ero seccato: Apprezzo lo stile, mi ricorda il miglior Ponson du Terrail, ma forse potremmo parlare di cose più concrete. Per esempio, che cosa mi dite di un certo Hippolyte Lutostansky? Θ un truffatore e una spia. Era un prete cattolico, ed è stato ridotto allo stato laicale perché aveva fatto delle cose, come dire, poco pulite con dei ragazzini e questa è già una pessima raccomandazione perché, sant'Iddio, lo si sa che l'uomo è debole, ma se sei sacerdote hai il dovere di mantenere un certo decoro. Per tutta risposta si è fatto monaco ortodosso... Conosco ormai abbastanza la Santa Russia per dire che in quei monasteri, lontani come sono dal mondo, vegliardi e novizi si legano di un reciproco affetto... come dire? fraterno. Ma non sono un intrigante e non mi interesso dei fatti altrui. So solo che il vostro Lutostansky ha preso una valanga di soldi dal governo russo per raccontare dei sacrifici umani degli ebrei, la solita storia dell'uccisione rituale dei bambini cristiani. Come se lui i bambini li trattasse meglio. Infine, corre voce che abbia avvicinato alcuni ambienti ebraici dicendo che per una certa somma avrebbe rinnegato tutto quello che aveva pubblicato. Figuratevi se gli ebrei scuciono un soldo. No, non è un personaggio attendibile. Poi ha aggiunto: Ah, dimenticavo. Θ sifilitico. Mi è stato detto che i grandi narratori si descrivono sempre nei loro personaggi. Poi Osman Bey ha ascoltato con pazienza quello che cercavo di raccontargli, ha sorriso con comprensione alla mia descrizione pittoresca del cimitero di Praga, e mi ha interrotto: Capitano Simonini, questa sì che pare letteratura, tanto quanto quella che voi stavate imputando a me. Io cerco solo prove precise dei rapporti tra l'Alliance Israélite e la massoneria e, se è possibile non rinvangare il passato ma prevedere il futuro, dei rapporti tra gli ebrei francesi e i prussiani. L'Alliance è una potenza che sta gettando una rete d'oro intorno al mondo per possedere tutto e tutti, ed è questo che va provato e denunciato. Forze come quelle dell'Alliance sono esistite da secoli, anche prima dell'impero romano. Per questo funzionano, hanno tre millenni di vita. Pensate come hanno dominato la Francia attraverso un ebreo come Thiers. Thiers era ebreo? E chi non lo è? Essi sono intorno a noi, alle nostre spalle, controllano i nostri risparmi, dirigono le nostre armate, influenzano la chiesa e i governi. Ho corrotto un impiegato all'Alliance (i francesi sono tutti corrotti) e ho avuto copie delle lettere mandate ai vari comitati ebraici dei paesi che confinano con la Russia. I comitati si estendono su tutta la frontiera e, mentre la polizia sorveglia le grandi strade, i loro portaordini percorrono i campi, le paludi, le vie d'acqua. Θ una sola ragnatela. Ho comunicato questo complotto allo zar e ho salvato la Santa Russia. Io da solo. Io amo la pace, vorrei un mondo dominato dalla mitezza e in cui nessuno comprendesse più il significato della parola violenza. Se dal mondo scomparissero tutti gli ebrei, che con la loro finanza sostengono i mercanti di cannoni, andremmo incontro a cento anni di felicità. E allora?
E allora bisognerà un giorno tentare l'unica soluzione
ragionevole, la soluzione finale: lo sterminio di tutti gli ebrei.
Anche i bambini? Anche i bambini. Sì, lo so, può sembrare una
idea da Erode, ma quando si ha a che fare con la cattiva semenza non basta
tagliare la pianta, occorre sradicarla. Se non vuoi
zanzare, uccidi le larve. Puntare sull'Alliance Israélite non può
essere che un momento di passaggio. Anche l'Alliance non potrà
essere distrutta che con l'eliminazione completa della razza.
Alla fine di quella corsa per una Parigi deserta, Osman Bey mi aveva fatto una proposta. Capitano, quello che mi avete offerto è molto poco. Non potete pretendere che io vi dia notizie interessanti sull'Alliance, di cui tra poco saprò tutto. Ma vi propongo un patto: io posso sorvegliare gli ebrei dell'Alliance, ma non i massoni. Venendo dalla Russia, mistica e ortodossa, e senza particolari conoscenze nell'ambiente economico e intellettuale di questa città, io tra i massoni non posso inserirmi. Quelli prendono gente come voi, con l'orologio nel taschino del panciotto. Non dovrebbe esservi difficile insinuarvi in quell'ambiente. Mi dicono che vantate la partecipazione a una impresa di Garibaldi, massone se mai ve ne furono. Allora: voi mi parlate dei massoni e io vi parlo dell'Alliance. Accordo verbale e basta? Tra gentiluomini non c'è bisogno di mettere le cose per iscritto. | << | < | > | >> |Pagina 380Verso il 1894, mi pare, i giornali non facevano altro che parlare del caso di un capitano dell'esercito, tale Dreyfus, che aveva venduto informazioni militari all'ambasciata prussiana. Neppure a farlo apposta, il fellone era ebreo. Sul caso Dreyfus era subito balzato Drumont, e a me pareva che anche i fascicoli di Le Diable dovessero contribuire con rivelazioni mirabolanti. Ma Taxil diceva che con le storie di spionaggio militare era sempre meglio non immischiarsi.Solo dopo ho capito quello che lui aveva intuito: che parlare di contributo ebraico alla massoneria era un conto, ma tirare in ballo Dreyfus significava insinuare (o rivelare) che Dreyfus oltre che ebreo fosse anche massone, e sarebbe stata mossa poco prudente, dato che la massoneria prosperava in modo speciale nell'esercito e massoni erano probabilmente molti degli alti ufficiali che stavano mettendo Dreyfus sotto processo. | << | < | > | >> |Pagina 394Bisognava accomodare ai gusti della Glinka la scena del cimitero di Praga, eliminando le lungaggini sui progetti economici e insistendo sugli aspetti più o meno messianici dei discorsi rabbinici.Pescando un poco tra Gougenot e altra letteratura dell'epoca, Simonini aveva fatto fantasticare i rabbini sul ritorno del Sovrano prescelto da Dio come Re di Israele, destinato a spazzare via tutte le iniquità dei gentili. E su quello aveva inserito nella storia del cimitero almeno due pagine di fantasmagorie messianiche, del tipo "con tutta la potenza e il terrore di Satana, il regno del Re trionfatore di Israel si avvicina al nostro mondo non rigenerato; il Re nato dal sangue di Sionne, l'Anticristo, si avvicina al trono della potenza universale". Ma, considerando che in ambiente zarista incutesse spavento ogni pensiero repubblicano, aveva aggiunto che solo un sistema repubblicano con voto popolare avrebbe consentito agli ebrei la possibilità di introdurre, acquistandosi le maggioranze, le leggi utili ai loro fini. Solo quegli sciocchi dei gentili, dicevano i rabbini nel cimitero, pensano che sotto una repubblica vi sia maggiore libertà che sotto una autocrazia; al contrario in una autocrazia governano i saggi, mentre in regime liberale governa la plebe, facilmente istigata dagli agenti ebrei. Come la repubblica avesse potuto convivere con un Re del mondo non sembrava preoccupante: il caso di Napoleone III era ancora lì a dimostrare che le repubbliche possono creare gli imperatori. Ma, ricordando i racconti del nonno, Simonini aveva avuto l'idea di arricchire i discorsi dei rabbini con una lunga sintesi di come aveva funzionato e doveva funzionare il governo occulto del mondo. Curioso che la Glinka non si fosse poi resa conto che gli argomenti erano gli stessi di Dostoevskij o forse se ne era resa conto, e proprio per questo esultava che un testo antichissimo confermasse Dostoevskij, dimostrandosi così autentico. Dunque nel cimitero di Praga si rivelava che i cabalisti ebrei erano stati gli ispiratori delle crociate per ridare a Gerusalemme la dignità di centro del mondo, grazie anche (e qui Simonini sapeva di poter pescare in un repertorio molto ricco) agli inevitabili templari. E peccato che poi gli arabi avessero ricacciato i crociati a mare, e i templari avessero fatto la brutta fine che avevano fatto, altrimenti il piano sarebbe riuscito con alcuni secoli di anticipo. In questa prospettiva, ricordavano i rabbini di Praga come l'Umanesimo, la Rivoluzione francese e la guerra d'indipendenza americana avessero contribuito a minare i principi del cristianesimo e il rispetto per i sovrani, preparando la conquista giudaica del mondo. Naturalmente per realizzare questo piano gli ebrei avevano dovuto costruirsi una facciata rispettabile, e cioè la Frammassoneria. Simonini aveva abilmente riciclato il vecchio Barruel, che la Glinka e i suoi mandanti russi evidentemente non conoscevano, e infatti il generale Orzheyevskij, a cui la Glinka aveva inviato il rapporto, aveva creduto opportuno trarne due testi: uno più breve corrispondeva più o meno alla scena originale nel cimitero di Praga, ed era stato fatto pubblicare su alcune riviste di laggiù dimenticando (o arguendo che il pubblico se ne fosse dimenticato, o addirittura non sapendo) che un discorso del rabbino, tratto dal libro di Goedsche, era già circolato più di dieci anni prima a Pietroburgo, e negli anni successivi era apparso nell' Antisemiten-Katechismus di Theodor Fritsch; l'altro era uscito come pamphlet dal titolo di Tajna Evrejstva (I segreti degli ebrei), dignificato da una prefazione di Orzheyevskij stesso, in cui si diceva che per la prima volta in quel testo, finalmente riemerso alla luce, si dimostravano i rapporti profondi tra massoneria ed ebraismo, entrambi araldi del nichilismo (accusa che a quei tempi in Russia appariva gravissima). Ovviamente da Orzheyevskij era pervenuto a Simonini un giusto compenso e la Glinka era arrivata al punto (temuto e temibile) di offrire il suo corpo a guiderdone di quella mirabile impresa orrore al quale Simonini era sfuggito lasciando capire, tra articolati tremiti delle mani e molti e virginali sospiri, che la sua sorte non era dissimile da quella dell'Octave de Malivert su cui da decenni spettegolavano tutti i lettori di Stendhal. Da quel momento la Glinka si era disinteressata a Simonini, e lui a lei. Ma un giorno, entrando al Café de la Paix per un semplice déjeuner à la fourchette (cotolette e rognone alla griglia) Simonini l'aveva incrociata a una tavola, seduta con un borghese corpulento e dall'aspetto abbastanza volgare, col quale stava discutendo in uno stato di evidente tensione. Si era arrestato per salutare, e la Glinka non aveva potuto evitare di presentarlo a quel signor Rachkovskij, il quale lo aveva guardato con molto interesse. Sul momento Simonini non aveva capito i motivi di quell'attenzione, ma li aveva capiti tempo dopo, quando aveva udito suonare alla porta del negozio e si era presentato Rachkovskij in persona. Con un sorriso ampio e autorevole disinvoltura aveva attraversato il negozio e, individuata la scala per il piano superiore, era penetrato nello studio, sedendosi comodamente su una poltroncina accanto alla scrivania. Per cortesia, aveva detto, parliamo di affari. Biondo come un russo, ancorché brizzolato come uomo che avesse ormai superato la trentina, Rachkovskij aveva labbra carnose e sensuali, naso prominente, sopracciglia da diavolo slavo, sorriso cordialmente ferino e toni melliflui. Più simile a un ghepardo che a un leone, annotava Simonini e si era domandato se fosse meno preoccupante essere convocato di notte sui lungosenna da Osman Bey o da Rachkovskij di prima mattina nel suo ufficio all'ambasciata russa in rue de Grenelle. Aveva deciso per Osman Bey. Dunque, capitan Simonini, aveva esordito Rachkovskij, forse non sapete bene che cosa sia quella che impropriamente voi in Occidente chiamate Okhrana, e gli emigrati russi spregiativamente chiamano Okhranka. Ne ho sentito sussurrare. Niente sussurri, tutto alla luce del sole. Si tratta della Ochrannye otdelenija, che significa Dipartimento di sicurezza, servizi di informazione riservati che dipendono dal nostro ministero degli interni. Θ nata dopo l'attentato allo zar Alessandro II, nel 1881, per proteggere la famiglia imperiale. Ma a poco a poco ha dovuto occuparsi della minaccia del terrorismo nichilista, e ha dovuto stabilire vari dipartimenti di sorveglianza anche all'estero, dove prosperano esuli ed emigrati. Ed ecco perché mi trovo qui, nell'interesse del mio paese. Alla luce del sole. Chi si nasconde sono i terroristi. Capito? Capito. Ma io? Andiamo per ordine. Voi non dovete temere di sbottonarvi con me, se per caso aveste notizie su gruppi terroristi. Ho saputo che ai tempi vostri avevate segnalato ai servizi francesi dei pericolosi antibonapartisti, e si possono denunciare solo gli amici, o almeno persone che si frequentano. Non sono una mammola. Anch'io ai tempi miei ho avuto contatti coi terroristi russi, è acqua passata, ma è per questo che ho fatto carriera nei servizi antiterroristici, dove lavora in modo efficiente solo chi ha fatto gavetta tra i gruppi eversivi. Per servire con competenza la legge bisogna averla violata. Qui in Francia avete avuto l'esempio del vostro Vidocq, che è diventato capo della polizia solo dopo essere stato al bagno penale. Diffidare dei poliziotti troppo, come dire, puliti. Sono moscardini. Ma torniamo a noi. Ultimamente ci siamo resi conto che tra i terroristi militano alcuni intellettuali ebrei. Su mandato di alcune persone alla corte dello zar cerco di mostrare che a minare la tempra morale del popolo russo e a minacciarne la stessa sopravvivenza vi siano gli ebrei. Voi sentirete dire che sono considerato un protetto del ministro Witte, che ha fama di liberale, e che su questi argomenti non mi darebbe ascolto. Ma non bisogna mai servire il proprio padrone attuale, imparatelo, bensì prepararsi per quello successivo. Insomma, non voglio perdere tempo. Ho visto quello che avete dato alla signora Glinka, e ho deciso che è in gran parte spazzatura. Naturale, vi siete scelto come copertura il mestiere di rigattiere, e cioè di chi vende roba usata a prezzo più caro della nuova. Ma anni fa sul Contemporain avevate tirato fuori documenti scottanti che avevate ricevuto da vostro nonno, e mi stupirei che non aveste altro. Si dice in giro che sappiate moltissimo su molte cose (e lì Simonini stava riscuotendo i vantaggi di quel suo progetto, di voler sembrare più che essere una spia). Quindi vorrei da voi materiale attendibile. So distinguere il grano dal loglio. Pago. Ma, se il materiale non è buono, mi irrito. Chiaro? Ma cosa volete di preciso? Se lo sapessi non pagherei voi. Ho al mio servizio persone che sanno costruire bene un documento, ma gli devo dare dei contenuti. E non posso raccontare al buon suddito russo che gli ebrei aspettano il Messia, cosa che non importa né al mugiko né al possidente. Se aspettano il Messia questo deve essere spiegato in riferimento alle loro tasche. Ma perché mirate in particolare agli ebrei? Perché in Russia ci sono gli ebrei. Se fossi in Turchia mirerei agli armeni. Quindi volete che gli ebrei siano distrutti, come forse lo conoscete Osman Bey. Osman Bey è un fanatico, e inoltre è ebreo anche lui. Meglio starne lontano. Io non voglio distruggere gli ebrei, oserei dire che gli ebrei sono i miei migliori alleati. Io sono interessato alla tenuta morale del popolo russo e non desidero (o non desiderano le persone che intendo compiacere) che questo popolo diriga le sue insoddisfazioni verso lo zar. Dunque gli occorre un nemico. Inutile andare a cercare il nemico, che so, tra i mongoli o tra i tartari, come hanno fatto gli autocrati di un tempo. Il nemico per essere riconoscibile e temibile deve essere in casa, o alla soglia di casa. Ecco perché gli ebrei. La divina provvidenza ce li ha dati, usiamoli, perdio, e preghiamo perché ci sia sempre qualche ebreo da temere e da odiare. Occorre un nemico per dare al popolo una speranza. Qualcuno ha detto che il patriottismo è l'ultimo rifugio delle canaglie: chi non ha principi morali si avvolge di solito in una bandiera, e i bastardi si richiamano sempre alla purezza della loro razza. L'identità nazionale è l'ultima risorsa dei diseredati. Ora il senso dell'identità si fonda sull'odio, sull'odio per chi non è identico. Bisogna coltivare l'odio come passione civile. Il nemico è l'amico dei popoli. Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria. L'odio è la vera passione primordiale. E l'amore che è una situazione anomala. Per questo Cristo è stato ucciso: parlava contro natura. Non si ama qualcuno per tutta la vita, da questa speranza impossibile nascono adulterio, matricidio, tradimento dell'amico... Invece si può odiare qualcuno per tutta la vita. Purché sia sempre là a rinfocolare il nostro odio. L'odio riscalda il cuore. | << | < | > | >> |Pagina 483Per un anno ho dormito male. Ogni notte sentivo rumori nella casa, avevo la tentazione di alzarmi e discendere in negozio, ma temevo di incontrarvi un russo.C'è stato in gennaio di quest'anno un processo a porte chiuse dove Esterhàzy è stato completamente prosciolto da ogni accusa e sospetto. Picquart è stato punito con sessanta giorni di fortezza. Ma i dreyfusardi non demordono, uno scrittore piuttosto volgare come Zola ha pubblicato un articolo di fuoco (J'accuse!), un gruppo di scrittorucoli e pretesi scienziati è sceso in campo chiedendo la revisione del processo. Chi sono questi Proust, France, Sorel, Monet, Renard, Durkheim? Mai visti a casa Adam. Di questo Proust mi dicono che è un pederasta venticinquenne autore di scritti fortunatamente inediti, e Monet un imbrattatele di cui ho visto un quadro o due, dove costui sembra guardare il mondo con gli occhi cisposi. Cosa c'entrano un letterato o un pittore con le decisioni di un tribunale militare? O povera Francia, come si lamenta Drumont. Se questi cosiddetti "intellettuali", come li chiama quell'avvocato delle cause perse che è Clemenceau, si occupassero delle poche cose su cui dovrebbero essere competenti... Si è aperto un processo a Zola che per fortuna è stato condannato a un anno di prigione. C'è ancora una giustizia in Francia, dice Drumont, che in maggio è stato eletto deputato ad Algeri, per cui ci sarà un buon gruppo antisemita alla camera, e questo servirà a difendere le tesi antidreyfusarde. Tutto sembrava andar per il meglio, in luglio Picquart era stato condannato a otto mesi di detenzione, Zola era fuggito a Londra, stavo pensando che ormai nessuno avrebbe più potuto riaprire il caso, quando un certo capitano Cuignet è venuto fuori a dimostrare che la lettera in cui Panizzardi accusava Dreyfus è un falso. Non so come potesse affermarlo, dato che avevo lavorato alla perfezione. In ogni caso agli alti comandi gli hanno dato ascolto e, poiché la lettera era stata scoperta e diffusa dal comandante Henry, si è preso a parlare di un "falso Henry". A fine agosto, messo alle strette, Henry ha confessato, è stato incarcerato al Mont-Valérien, e il giorno dopo si è tagliato la gola col suo rasoio. Come dicevo, mai lasciare certe cose in mano ai militari. Come? Arresti un sospetto traditore e gli lasci tenere il suo rasoio? Henry non si è suicidato. Θ stato suicidato! sosteneva Drumont, furibondo. Ci sono ancora troppi ebrei nello stato maggiore! Apriremo una sottoscrizione pubblica per finanziare un processo di riabilitazione di Henry! Ma quattro o cinque giorni dopo Esterhàzy fuggiva in Belgio e di lì in Inghilterra. Quasi un'ammissione di colpevolezza. Il problema era come non si fosse difeso buttando la colpa su di me. | << | < | > | >> |Pagina 490Quando il giorno dopo Golovinskij è entrato in negozio, mi sono stupito che Rachkovskij potesse affidare compiti così importanti a un giovane mugiko flaccido e miope, mal vestito, con l'aria dell'ultimo della classe. Poi, parlando, mi sono reso conto che era più accorto di quanto non sembrasse. Parlava un cattivo francese con pesante accento russo ma si è subito domandato come mai in francese scrivessero i rabbini del ghetto di Torino. Gli ho detto che in Piemonte, a quei tempi, tutte le persone alfabetizzate parlavano francese, e la cosa l'ha persuaso. Mi sono chiesto dopo se i miei rabbini del cimitero parlassero ebraico o yiddish, ma dal momento ormai che i documenti erano in francese la cosa non aveva alcun interesse. Vedete, gli dicevo, per esempio in questo foglio si insiste su come si debba diffondere il pensiero dei filosofi atei per demoralizzare i gentili. E sentite qui: "Dobbiamo cancellare il concetto di Dio dalle menti dei cristiani, rimpiazzandolo con calcoli aritmetici e bisogni materiali". Avevo calcolato che le matematiche spiacciono a tutti. Ricordando le lamentazioni di Drumont contro la stampa oscena, avevo ritenuto che, almeno per i benpensanti, l'idea della diffusione di divertimenti facili e scipiti per le grandi masse sarebbe apparsa ottima per il complotto. Sentite questa, dicevo a Golovinskij: "Per impedire che il popolo scopra da sé una qualsiasi nuova linea d'azione politica, lo terremo distratto con varie forme di divertimenti: ludi ginnici, passatempi, passioni di vario genere, osterie, e lo inviteremo a competere in gare artistiche e sportive... Incoraggeremo l'amore per il lusso sfrenato e aumenteremo i salari, ma ciò non porterà beneficio all'operaio, perché contemporaneamente accresceremo il prezzo delle sostanze più necessarie, col pretesto dei cattivi risultati dei lavori agricoli. Mineremo le basi della produzione, seminando i germi dell'anarchia fra gli operai e incoraggiandoli nell'abuso degli alcolici. Cercheremo di indirizzare l'opinione pubblica verso ogni specie di teoria fantastica che possa sembrare progressiva, o liberale". Bene, bene, diceva Golovinskij. Ma c'è qualcosa che vada bene per gli studenti, oltre alla faccenda delle matematiche? In Russia gli studenti sono importanti, sono teste calde da tenere sotto controllo. Ecco: "Quando saremo al potere, toglieremo dai programmi educativi tutte le materie che potrebbero turbare lo spirito dei giovani, e li ridurremo a essere dei bimbi obbedienti, i quali ameranno il loro sovrano. Invece di far studiare i classici e la storia antica, che contengono più esempi cattivi che buoni, faremo studiare i problemi del futuro. Dalla memoria degli uomini cancelleremo il ricordo dei secoli passati, che potrebbe essere sgradevole per noi. Con una metodica educazione sapremo eliminare i residui di quella indipendenza di pensiero della quale ci siamo serviti per i nostri fini da molto tempo... Sopra i libri con meno di trecento pagine metteremo una tassa doppia e queste misure obbligheranno gli scrittori a pubblicare delle opere così lunghe, che avranno pochi lettori. Noi invece pubblicheremo delle opere a buon mercato per educare la mente del pubblico. La tassazione determinerà una riduzione della letteratura dilettevole, e nessuno che desideri attaccarci con la sua penna troverebbe un editore". Quanto ai giornali il piano ebraico prevede una libertà di stampa fittizia, che serva al maggior controllo delle opinioni. Dicono i nostri rabbini che occorrerà accaparrarsi il maggior numero di periodici, in modo che esprimano opinioni apparentemente diverse, così da dar l'impressione di una libera circolazione d'idee, mentre in realtà tutti rifletteranno le idee dei dominatori giudaici. Osservano che comperare i giornalisti non sarà difficile perché costituiscono una massoneria e nessun editore avrà il coraggio di svelare la trama che li lega tutti allo stesso carro perché nessuno è ammesso nel mondo dei giornali che non abbia preso parte a qualche losco affare nella sua vita privata. "Naturalmente si dovrà proibire a ogni giornale di dar notizia di delitti perché il popolo creda che il nuovo regime abbia soppresso persino la delinquenza. Ma dei vincoli posti alla stampa non ci si deve preoccupare oltre misura perché che la stampa sia libera o no il popolo non se ne accorge neppure, incatenato com'è al lavoro e alla povertà. Che bisogno ha il proletario lavoratore che i chiacchieroni ottengano il diritto di cianciare?" Questo è buono, osservava Golovinskij, perché da noi le teste calde si lamentano sempre di una pretesa censura governativa. Bisogna far capire che con un governo ebraico sarebbe peggio. Per questo ho di meglio: "Dobbiamo tener presente la meschinità, l'incostanza e la mancanza di equilibrio morale della folla. La forza della folla è cieca e senza acume; e porge ascolto ora a destra ora a sinistra. Θ forse possibile che le masse possano riuscire ad amministrare gli affari di stato senza confonderli coi loro interessi personali? Possono organizzare la difesa contro il nemico esterno? Ciò è assolutamente impossibile, perché un piano suddiviso in tante parti quante sono le menti della massa perde il suo valore e quindi diventa inintelligibile e ineseguibile. Soltanto un autocrate può concepire piani vasti, assegnando la sua parte a ciascun ente del meccanismo della macchina statale... Senza il dispotismo assoluto la civiltà non può esistere, perché la civiltà può essere promossa solamente sotto la protezione del regnante, chiunque egli sia, e non dalla massa". Quindi, e guardate questo altro documento: "Poiché non si è mai vista una costituzione che sia uscita dalla volontà di un popolo, il piano di comando deve sgorgare da un'unica testa". E leggete questo: "Come un Visnù dalle molte braccia controlleremo tutto. Non avremo neppure più bisogno della polizia: un terzo dei nostri sudditi controllerà gli altri due terzi". Bellissimo. Ancora: "La folla è barbara, e agisce barbaramente in ogni occasione. Date uno sguardo a quei bruti alcolizzati ridotti all'imbecillità dalle bevande il cui consumo illimitato è tollerato dalla libertà! Dovremo noi permettere a noi stessi e ai nostri simili di fare altrettanto? I popoli della cristianità sono fuorviati dall'alcool; la loro gioventù è resa folle dalle orge premature alle quali l'hanno istigata i nostri agenti... In politica vince soltanto la forza schietta, la violenza deve essere il principio; l'astuzia e l'ipocrisia debbono essere la regola. Il male è l'unico mezzo per raggiungere il bene. Non dobbiamo arrestarci dinanzi alla corruzione, all'inganno e al tradimento, il fine giustifica i mezzi". Da noi si parla molto di comunismo, che cosa ne pensano i rabbini di Praga? Leggete questo: "In politica dobbiamo saper confiscare le proprietà senza alcuna esitazione, se con ciò possiamo ottenere l'assoggettamento altrui e il potere per noi. Noi assumeremo l'aspetto di liberatori dell'operaio, fingendo di amarlo secondo i principi di fratellanza conclamati dalla nostra massoneria. Ci diremo venuti per affrancarlo da ciò che lo opprime, e gli suggeriremo di unirsi alla fila dei nostri eserciti di socialisti, anarchici e comunisti. Ma l'aristocrazia, che sfruttava le classi operaie, si interessava tuttavia perché esse fossero ben nutrite, sane e robuste. Il nostro scopo è invece l'opposto, noi siamo interessati alla degenerazione dei gentili. La nostra forza consisterà nel tenere continuamente l'operaio in uno stato di penuria e impotenza, perché, così facendo, lo teniamo assoggettato alla nostra volontà e, nel proprio ambiente, egli non troverà mai la forza e l'energia di insorgere contro di noi". E aggiungete questo: "Determineremo una crisi economica universale con tutti i mezzi clandestini possibili coll'aiuto dell'oro, che è tutto nelle nostre mani. Getteremo sul lastrico folle enormi di operai, in tutta l'Europa. Allora queste masse si getteranno con gioia su coloro dei quali, nella loro ignoranza, sono stati gelosi sin dall'infanzia, ne saccheggeranno gli averi e ne verseranno il sangue. A noi non recheranno danno, perché il momento dell'attacco ci sarà ben noto, e prenderemo le misure necessarie per proteggere i nostri interessi."
Non avete qualcosa su ebrei e massoni?
|