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| << | < | > | >> |Indicel. Daphne 5 2. Di quel ch'è accaduto in Monferrato 22 3. Il Serraglio degli Stupori 36 4. La Fortificazione Dimostrata 44 5. Il Labirinto del Mondo 50 6. Grand'Arte della Luce e dell'Ombra 60 7. Pavane Lachryme 67 8. La Dottrina curiosa dei begli Spiriti di quel Tempo 74 9. Il Cannocchiale Aristotelico 82 10. Geografia e Idrografia Riformata 93 11. L'Arte di Prudenza 102 12. Le Passioni dell'Anima 108 13. La Carta del Tenero 119 14. Trattato di Scienza d'Arme 124 15. Orologi (alcuni oscillatori) 138 16. Discorso sulla Polvere di Simpatia 144 17. La Desiderata Scienza delle Longitudini 166 18. Curiosità Inaudite 185 19. La Nautica Rilucente 191 20. Acutezza e Arte d'Ingegno 213 21. Telluris Theoria Sacra 225 22. La Colomba Color Arancio 251 23. Diverse e artificiose Macchine 261 24. Dialoghi sui Massimi Sistemi 276 25. Technica Curiosa 302 26. Teatro d'Imprese 317 27. I Segreti del Flusso del Mare 332 28. Dell'Origine dei Romanzi 339 29. L'Anima di Ferrante 344 30. Della Malattia d'Amore o Melanconia Erotica 359 31. Breviario dei Politici 366 32. L'Orto delle Delizie 378 33. Mondi Sotterranei 382 34. Monologo sulla Pluralità dei Mondi 392 35. La Consolazione dei Naviganti 405 36. L'Uomo al Punto 416 37. Esercitazioni Paradossali su come pensino le Pietre 434 38. Sulla Natura e il Luogo dell'Inferno 447 39. Itinerario Estatico Celeste 459 40. Colophon 466 |
| << | < | > | >> |Pagina 5"Eppure m'inorgoglisco della mia umiliazione, e poicbé a tal privilegio son condannato, quasi godo di un'aborrita salvezza: sono, credo, a memoria d'uomo, l'unico essere della nostra specie ad aver fatto naufragio su di una nave deserta." Così, con impenitente concettosità, Roberto de la Grive, presumibilmente tra il luglio e l'agosto del 1643. Da quanti giorni vagava sulle onde, legato a una tavola, a faccia in giù di giorno per non essere accecato dal sole, il collo innaturalmente teso per evitare di bere, riarso dal salmastro, certamente febbricitante? Le lettere non lo dicono e lasciano pensare a una eternità, ma si dev'essere trattato di due giorni al più, altrimenti non sarebbe sopravvissuto sotto la sferza di Febo (come immaginosamente lamenta) - lui così inferiniccio quale si descrive, animale nottivago per naturale difetto. Non era in grado di tenere il conto del tempo, ma credo che il mare si fosse calmato subito dopo il fortunale che l'aveva sbalzato da bordo dell' Amarilli, e quella sorta di zattera che il marinaio gli aveva disegnato su misura l'aveva condotto, spinta dagli alisei per un pelago sereno, in una stagione in cui a sud dell'equatore è un temperatissimo inverno, per non moltissime miglia, sino a che le correnti l'avevano fatto approdare nella baia. Era notte. si era assopito, e non si era reso conto che si stava appressando alla nave sino a che, con un sussulto, la tavola aveva urtato contro la prua della Daphne. | << | < | > | >> |Pagina 82| << | < | > | >> |Pagina 84Padre Emanuele svolgeva di buon grado quel suo incarico: la tetraggine ossidionale gli dava agio di condurre in modo disteso certi suoi studi che non potevano sopportare le distrazioni di una città come Torino. E interrogato su cosa l'occupasse aveva detto che anch'egli come gli astronomi andava costruendo un cannocchiale."Avrai sentito parlare di quell'Astronomo fiorentino che per spiegare l'Universo ha usato il Cannocchiale, iperbole degli occhi, e col Cannocchiale ha visto quello che gli occhi solo immaginavano. Io molto rispetto quest'uso di Strumenti Mechanici per capire, come oggi si suol dire, la Cosa Estesa. Ma per capire la Cosa Pensante, ovvero il nostro modo di conoscere il Mondo, noi non possiamo che usare un altro Cannocchiale, lo stesso che già usò Aristotele, e che non è né tubo né lente, ma Trama di Parole, Idea Perspicace, perché è solo il dono dell'Artificiosa Eloquentia quel che ci consente di capire questo Universo." Così parlando padre Emanuele aveva condotto Roberto fuori dalla chiesa e, passeggiando, erano saliti sugli spalti, in un luogo tranquillo quella mattina, mentre ovattati colpi di cannone arrivavano dalla parte opposta della città. Avevano davanti a loro gli attendamenti imperiali lontano, ma per lungo tratto i campi erano vuoti di truppe e carriaggi, e i prati e le colline risplendevano al sole primaverile. "Che vedi, figliolo?" gli chiese padre Emanuele. E Roberto, ancora di poca eloquenza: "I prati." "Certo, chiunque è capace di vedere laggiù dei Prati. Ma sai bene che a seconda della posizione del Sole, del color del Cielo, dell'ora del giorno & della stagione, essi possono apparirti sotto forme diverse ispirandoti diversi Sentimenti. Al villano, stanco per il lavoro, essi appaiono come Prati, & null'altro. Lo stesso accade al pescatore selvatico atterrito da alcune di quelle notturne Imagini di Fuoco che talora nel cielo appaiono, & spaventano; ma non appena i Meteoristi, che son pure Poeti, ardiscono chiamarle Comete Crinite, Barbate & Codate, Capre, Travi, Scudi, Faci & Saette, queste figure del linguaggio ti rendono chiaro per quali Simboli arguti intendesse parlar Natura, che si serve di queste Imagini come di Ieroglifici, che da un lato rinviano ai Segni del Zodiaco & dall'altro a Eventi passati o futuri. E i Prati? Vedi quanto puoi dire dei Prati, & come dicendone tu vieppiù ne veda & comprenda: spira Favonio, la Terra s'apre, piangono i Rosignoli, si pavoneggian gli Alberi chiomati di fronde, & tu scopri il mirabile ingegno dei Prati nella varietà delle lor stirpe d'Herbe allattate dai Rivi che scherzano in lieta puerizie. I Prati festosi esultano con lepida allegria, all'apparir del Sole aprono il volto & in essi vedi l'arco di un sorriso & si rallegrano pel ritorno dell'Astro, ebbri dei baci soavi dell'Austro, & il riso danza sulla Terra stessa che s'apre a muta Letizia, & il tepore mattutino tanto li fa colmi di Gioja che essi si effondono in lacrime di Rugiada. | << | < | > | >> |Pagina 93| << | < | > | >> |Pagina 97Dunque per vivere in quel terrestre Aldilà - avrebbe dovuto ricordarlo, se avesse voluto venire a patti con la natura - occorreva procedere al contrario del proprio istinto, l'istinto essendo probabilmente un ritrovamento dei primi giganti che cercarono di adattarsi alla natura dell'altra parte del globo e, credendo che la natura più naturale fosse quella a cui essi si adattavano, la pensavano naturalmente nata per adattarsi a loro. Per questo credettero che il sole fosse piccolo come a loro appariva, e immensi fossero certi steli d'erba che essi guardavano con l'occhio prono a terra.Vivere negli Antipodi significa dunque ricostruire l'istinto, sapere fare di maraviglia natura e di natura maraviglia, scoprire quanto sia instabile il mondo, che in una prima metà segue certe leggi e nell'altra leggi opposte. Udiva di nuovo il risveglio degli uccelli, laggiù, e - a differenza del primo giorno - avvertiva quanto effetto d'arte fossero quei canti, se commisurato al cinguettare delle sue terre: erano borbottii, fischi, gorgoglia, crepiti, scocchi di lingua, guaiti, attenuati colpi di moschetto, intere scale cromatiche di picchi, e talora s'udiva come un gracidare di rane acquattate tra le foglie degli alberi, in omerico parlottare. Il cannocchiale gli permetteva di scorgere fusi, pallottole piumose, brividi neri o d'indistinta tinta, che si buttavano da un albero più alto puntando a terra con la demenza di un Icaro che volesse affrettare la propria rovina. A un tratto gli parve persino che un albero, forse di arancini della Cina, sparasse in aria uno dei suoi frutti, una matassa di croco acceso, che usci ben presto dall'occhio tondo del cannocchiale. Si convinse che era effetto di un riflesso e non ci pensò più, o almeno così credette. Vedremo dopo che, quanto a pensieri oscuri, aveva ragione Saint-Savin. | << | < | > | >> |Pagina 124| << | < | > | >> |Pagina 130L'abate schiumava di rabbia, si era portato al centro della piazza, guardandosi alle spalle per assicurarsi di avere spazio per le finte che ora tentava, poi arretrando per coprisi da tergo con la fontana.Saint-Savin sembrava danzargli intorno senza attaccare: "Alzate il capo signor abate, guardate la luna, e riflettete che se il vostro Dio avesse saputo far l'anima immortale avrebbe ben potuto fare il mondo infinito. Ma se il mondo è infinito, lo sarà tanto nello spazio quanto nel tempo, e dunque sarà eterno, e quando vi sia un mondo eterno, che non bisogna di creazione, allora sarà inutile concepire l'idea di Dio. Oh la bella beffa, signor abate, se Dio è infinito non potete limitar la sua potenza: egli non potrebbe mai ab opere cessare, e dunque sarà infinito il mondo; ma se è infinito il mondo non vi sarà più Dio, come tra poco non vi saran più nappe sulla vostra casacca!" E unendo il dire al fare, aveva ancora tagliato qualche pendaglio di cui l'abate andava assai fiero, poi aveva raccorciato la guardia tenendo la punta un poco più alta; e mentre l'abate cercava di serrar la misura, aveva dato un colpo secco sul taglio della lama dell'avversario. L'abate aveva quasi lasciato cader la spada, serrandosi con la sinistra il polso dolorante. Aveva urlato: "Bisogna alfine che vi scanni, empio, bestemmiatore, Ventre di Dio, per tutti i maledetti santi del Paradiso, per il sangue del Crocifisso!" La finestra della dama si era aperta, qualcuno si era affacciato e aveva gridato. Ormai i presenti avevano dimenticato il fine della loro impresa, e muovevano intorno, ai due duellanti, che urlando facevano il giro della fontana, mentre Saint-Savin sconcertava il nemico con una serie di parate a cerchio e colpi di punta. "Non chiamate a soccorso i misteri dell'Incarnazione, signor abate," motteggiava. "La vostra santa romana chiesa vi ha insegnato che questa nostra palla di fango sia il centro dell'universo, il quale le gira attorno facendole da menestrello e suonandole la musica delle sfere. Attenzione, vi fate spingere troppo contro la fonte, vi state bagnando la falda, come un vecchio ammalato del mal della pietra... Ma se nel grande vuoto si aggirano infiniti mondi, come disse un grande filosofo che i vostri pari hanno bruciato a Roma, moltissimi abitati da creature come noi, e se tutte fossero state create dal vostro Dio, che ne faremmo allora della Redenzione?" "Che ne farà Dio di te, dannato!" aveva gridato l'abate, parando a fatica un riverso di nodo di mano. "Forse Cristo si è incarnato una sola volta? Dunque il peccato originale si è dato una sola volta su questo globo? Quale ingiustizia! O per gli altri, privati dell'Incarnazione, o per noi, poiché in tal caso in tutti gli altri mondi gli uomini sarebbero perfetti come i nostri progenitori prima del peccato, e godrebbero di una felicità naturale senza il peso della Croce. Oppure infiniti Adami hanno infinitamente commesso il primo fallo, tentati da infinite Eve con infinite mele, e Cristo è stato obbligato a incarnarsi, a predicare e a patire sul Calvario infinite volte, e forse lo sta facendo ancora, e se i mondi sono infiniti, infinito sarà il suo compito. Infinito il suo compito, infinite le forme del suo supplizio se oltre la Galassia vi fosse una terra dove gli uomini hanno sei braccia, come da noi nella Terra Incognita, il figlio di Dio non sarà stato inchiodato su una croce ma su di un legno a forma di stella - il che mi pare degno di un autore di commedie." | << | < | > | >> |Pagina 136Roberto cercò di ritrovare i suoi contadini. Ma dell'armata della Griva non si avevano più notizie. Alcuni dovevano essere morti di peste, ma gli altri si erano dispersi. Roberto pensò che fossero tornati a casa, e da loro sua madre aveva forse già appreso della morte del marito. Si chiese se non dovesse esserle vicino in quel momento, ma non capiva più quale fosse il suo dovere.E' difficile dire se avessero maggiormente scosso la sua fede i mondi infinitamente piccoli e infinitamente grandi, in un vuoto senza Dio e senza regola che Saint-Savin gli aveva fatto intravedere, le lezioni di prudenza di Saletta e Salazar, o l'arte delle Heroiche Imprese che padre Emanuele gli lasciava come unica scienza. Dal modo in cui ne rievoca sulla Daphne ritengo che a Casale, mentre perdeva e il padre e se stesso in una guerra dai troppi e dal nessun significato, Roberto avesse appreso a veder l'universo mondo come un insicuro ordito di enigmi, dietro al quale non stava più un Autore; o, se c'era, pareva perduto nel rifar se stesso da troppe prospettive. Se là aveva intuito un mondo senza più centro, fatto soltanto di soli perimetri, qua si sentiva davvero nella più estrema e più perduta delle periferie; perché, se un centro c'era, era davanti a lui, e lui ne era il satellite immoto. | << | < | > | >> |Pagina 144| << | < | > | >> |Pagina 156"Certo. A Londra ricavano il fuoco dal carbone di terra che viene dalla Scozia, che contiene una gran quantità di sale volatile molto acre; questo sale trasportato dal fumo si disperde nell'aria, rovinando i muri, i letti e i mobili di colore chiaro. Quando si tien chiusa una stanza per qualche mese, dopo vi si trova una polvere nera che ricopre ogni cosa, come se ne vede una bianca nei mulini e nei negozi dei panettieri. E a primavera tutti i fiori appaiono sporchi di grasso.""Ma come è possibile che tanti corpuscoli si disperdano per l'aria, e il corpo che li emana non risenta alcuna diminuzione?" "C'è forse diminuzione, e ve ne accorgete quando fate evaporare dell'acqua, ma per i corpi solidi non ce ne accorgiamo, come non ce ne accorgiamo col muschio o con altre sostanze fragranti. Qualsiasi corpo, per piccolo che sia, si può sempre dividere in nuove parti, senza mai arrivare alla fine della sua divisione. Considerate la sottigliezza dei corpuscoli che si sprigionano da un corpo vivo, grazie ai quali i nostri cani inglesi, guidati dall'olfatto, sono in grado di seguire la pista di un animale. Forse che la volpe, alla fine della sua corsa, ci pare più piccola? Ora, è proprio in virtù di tali corpuscoli che si verificano i fenomeni di attrazione che alcuni celebrano come Azione a Distanza, che a distanza non è, e quindi non è magia, ma si dà per il continuo commercio d'atomi. E così avviene con l'attrazione per suzione, come quella dell'acqua o del vino per mezzo di un sifone, con l'attrazione della calamita sul ferro, o l'attrazione per filtrazione, come quando mettete una striscia di cotone in un vaso pieno d'acqua, lasciando pendere fuori dal vaso buona parte della striscia, e vedete l'acqua salire oltre l'orlo e sgocciolare a terra. E l'ultima attrazione è quella che ha luogo tramite il fuoco, che attira l'aria circostante con tutti i corpuscoli che vorticano in essa: il fuoco, agendo secondo la propria natura, porta con sé l'aria che gli sta intorno come l'acqua di un fiume trascina il terriccio del suo letto. E dato che l'aria è umida e il fuoco asciutto, ecco che si attaccano l'un l'altro. Dunque, per occupare il posto di quella portata via dal fuoco, è necessario che giunga altra aria dalle vicinanze, altrimenti si creerebbe del vuoto." "Allora negate il vuoto?" "Per nulla. Dico che, non appena ne incontra, la natura cerca di riempirlo di atomi, in una lotta per conquistarne ogni regione. E se così non fosse, la mia Polvere di Simpatia non potrebbe agire, come invece vi ha mostrato l'esperienza. [...] | << | < | > | >> |Pagina 166| << | < | > | >> |Pagina 176"Vostra eminenza mi ha appreso tutto quel che so," disse Colbert arrossendo, "ma la sua bontà mi incoraggia a esordire." Così dicendo doveva ormai sentirsi in territorio amico: alzò il capo, che aveva sempre tenuto chino, e si avvicinò con scioltezza al mappamondo. "Signori, nell'oceano - dove anche se s'incontra una terra non si sa quale sia, e se si va verso una terra nota si deve procedere per giorni e giorni in mezzo alla distesa delle acque - il navigante non ha altri punti di riferimento oltre agli astri. Con strumenti che già resero illustri gli antichi astronomi, di un astro si fissa l'altezza sull'orizzonte, se ne deduce la distanza dallo Zenit e, conoscendone la declinazione, dato che distanza zenitale più o meno declinazione danno la latitudine, si sa istantaneamente su quale parallelo si trovi, ovvero quanto a nord o a sud di un punto noto. Mi pare chiaro.""Alla portata di un bambino," disse Mazarino. "Dovrebbe ritenersi," continuò Colbert, "che similmente si possa determinare anche quanto si sia a oriente o a occidente dello stesso punto, e cioè a quale longitudine, ovvero su quale meridiano. Come dice il Sacrobosco, il meridiano è un circolo che passa per i poli del nostro mondo, e allo zenit del capo nostro. E si chiama meridiano perché, ovunque un uomo stia e in qualsiasi tempo dell'anno, quando il sole perviene al suo meridiano, ivi è per quell'uomo mezzogiorno. Ahimè, per un mistero della natura, qualsiasi mezzo escogitato per definire la longitudine, si è sempre rivelato fallace. Quanto importa, potrebbe domandare il profano? Assai." Stava prendendo confidenza, fece girare il mappamondo mostrando i contorni dell'Europa: "Quindici gradi di meridiano, circa, separano Parigi da Praga, poco più di venti Parigi dalle Canarie. Che cosa direste del comandante di un esercito di terra che credesse di battersi alla Montagna Bianca e invece di ammazzare protestanti trucidasse i dottori della Sorbona alla Montagne Sainte-Geneviève?" Mazarino sorrise ponendo le mani avanti, come per augurare che cose di quel genere avvenissero solo sul giusto meridiano. | << | < | > | >> |Pagina 276| << | < | > | >> |Pagina 278Come prima reazione, non essendogli passato di mente il suo naufragio, aveva affermato che per nulla al mondo avrebbe ripreso contatto con l'acqua. Padre Caspar gli aveva fatto osservare che proprio durante il naufragio quell'acqua lo aveva sostenuto, - segno dunque che era elemento affettuoso e non nemico. Roberto aveva risposto che l'acqua aveva sostenuto non lui, bensì il legno a cui lui si era legato, e padre Caspar aveva avuto buon gioco a fargli osservare che, se l'acqua aveva sostenuto un legno, creatura senz'anima, agognante al precipizio come sa chiunque abbia buttato un legno dall'alto, a maggior ragione era adatto a sostenere un essere vivente disposto a secondare la naturale tendenza dei liquidi. Roberto avrebbe dovuto sapere, se aveva mai buttato in acqua un cagnolino, che l'animale, muovendo le zampe, non solo stava a galla ma tornava prestamente alla riva. E, aggiungeva Caspar, forse Roberto non sapeva che, se si mettono in acqua i bambini di pochi mesi, essi sanno nuotare, perché la natura ci ha fatto natanti come ogni altro animale. Malauguratamente siamo più inclini degli animali al pregiudizio e all'errore, e quindi crescendo acquistiamo false nozioni sulle virtù dei liquidi, così che timore e sfiducia ci fanno perdere quel dono nativo.Roberto allora gli chiedeva se lui, il reverendo padre, aveva imparato a nuotare, e il reverendo padre rispondeva che lui non pretendeva di essere migliore di tant'altri che avevano evitato di fare cose buone. Era nato in un paese lontanissimo dal mare e aveva posto piede su una nave solo in tarda età quando - diceva - ormai il suo corpo era un solo intignarsi della cuticagna, appannarsi della vista, mocciar del naso, bucinar delle orecchie, ingiallir del dentame, irrigidirsi della cervice, imbargigliarsi del gorgozzule, impodagrarsi dei talloni, avvizzir del coiame, inscialbirsi del crine, crepitar delle tibie, tremolare dei diti, incespar dei piedi, e il suo petto era un solo spurgar di catarri tra sornacchi di bava e scacchiare di scialiva. Ma, precisava subito, la sua mente essendo più agile del suo carcame, egli sapeva quello che i sapienti della Grecia antica avevano già scoperto, e cioè che se si immerge un corpo in un liquido, questo corpo riceve sostegno e spinta verso l'alto per tant'acqua che sposta, poiché l'acqua cerca di tornare a occupare lo spazio da cui è stata esiliata. E non è vero che galleggia o meno a seconda della sua forma, e si erano ingannati gli antichi, secondo i quali una cosa piatta sta su e una puntuta va a fondo; se Roberto avesse provato a infilare con forza nelle acque, che so, una bottiglia (che piatta non è) avrebbe avvertito la stessa resistenza che se avesse cercato di spingervi un vassoio. | << | < | > | >> |Pagina 294"Quando è avvenuto il peccato di Adamo?'"I miei confratelli hanno calcoli matematici perfetti facto, sulla base delle Scripture: Adam ha peccato tremila novecento et ottantaquattro anni prima della venuta di Nostro Signore." "Ebbene, forse voi ignorate che i viaggiatori arrivati nella China, tra cui molti vostri confratelli, hanno trovato le liste dei monarchi e delle dinastie dei Chinesi, da cui si deduce che il regno della China esisteva prima di seimila anni fa, e dunque prima del peccato di Adamo, e se è così per la China, chissà per quanti altri popoli ancora. Quindi il peccato di Adamo, e la redenzione degli ebrei, e le belle verità della nostra Santa Romana Chiesa che ne sono derivate, riguardano solo una parte dell'umanità. Ma vi è un'altra parte del genere umano che non è stata toccata dal peccato originale. Questo non toglie nulla alla infinita bontà di Dio, che si è comportato con gli Adamiti così come il padre della parabola con il Figliol Prodigo, sacrificando suo Figlio solo per loro. Ma così come, per il fatto di aver fatto ammazzare il vitello grasso per il figlio peccatore, quel padre non amava meno gli altri fratelli buoni e virtuosi, così il nostro Creatore ama tenerissimamente i Chinesi e quanti altri sono nati prima di Adamo, ed è lieto che essi non siano incorsi nel peccato originale. Se così è accaduto in terra, perché non dovrebbe essere accaduto anche sulle stelle?' "Ma chi ha detto a te questa koglioneria?" aveva gridato furente padre Caspar. "Ne parlano in molti. E un sapiente arabo ha detto che lo si può dedurre persino da una pagina del Corano." "E tu dici a me che il Korano provava la verità di una cosa? Oh, onnipotente Iddio, ti prego fulmina questo vanissimo ventoso borioso tracotante turbolento rivoltoso, bestia d'huomo, fistolo, cane et demonio, maladetto mastino morboso, che lui non mette più piede su questa nave!" E padre Caspar aveva alzato e fatto schioccare il canapo come una frusta, prima colpendo Roberto sul volto, poi lasciando la corda. Roberto si era arrovesciato a testa in giù, si era arrabattato annaspando, non riusciva a tirare la sagola abbastanza per tenderla, urlava al soccorso bevendo, e padre Caspar gli gridava che lo voleva veder dare i tratti, e boccheggiar in agonia, in modo da sprofondare all'inferno come si conveniva a malnati della sua razza. Poi, siccome era d'animo cristiano, quando gli era parso che Roberto fosse stato punito abbastanza, lo aveva tirato su, E per quel giorno era finita sia la lezione di nuoto che quella d'astronomia, e i due erano andati a dormire ciascuno dalla propria banda senza rivolgersi la parola. | << | < | > | >> |Pagina 317| << | < | > | >> |Pagina 322Che cosa di più forestiero che una Colomba Color Arancio? Anzi, che cosa di più peregrino di una colomba? Eh, la Colomba era immagine ricca di significati, tanto più arguti quanto ciascuno in conflitto con gli altri.A parlar per primi della colomba erano stati, come è naturale, gli Egizi, sin dagli antichissimi Hieroglyphica di Horapollo, e tra le altre tantissime cose questo animale era considerato purissimo tra tutti, tanto che se vi era una pestilenza che attoscasse uomini e cose, ne rimanevano mondi coloro che mangiassero solo colombe. Il che dovrebbe apparire evidente, visto che questo animale è l'unico tra tutti che manchi di fiele (e cioè il veleno che gli altri animali hanno appiccato al fegato), e già diceva Plinio che se una colomba si ammala, coglie una foglia di alloro e ne guarisce. E se l'alloro è il lauro, e il lauro è Daphne, ci siamo capiti. Ma, puri come sono, i colombi sono anche un simbolo assai malizioso, perché si consumano per la gran lussuria: essi passano il giorno a baciarsi (raddoppiando i baci per farsi tacer a vicenda) e incrociando le lingue, da cui molte espressioni lascivette come colombar con le labbra e baci colombini, per dirla come i casuisti. E colombeggiare dicevano i poeti per far l'amore come le colombe, e tanto quanto esse. Né dimentichiamo che Roberto avrebbe dovuto conoscere quei versi che dicevano: "Quando nel letto, ove i primieri ardori, / sfogar già de' desir caldi e vivaci / colombeggiando i duo lascivi cori / si raccolser tra lor tra baci e baci." Si noti che - mentre tutti gli altri animali hanno una stagione per gli amori - non vi è tempo dell'anno nel quale il colombo non monti la colomba. Tanto per cominciare, i colombi vengono da Cipro, isola sacra a Venere. Apuleio, ma anche altri prima di lui, raccontava che il carro di Venere è tirato da candidissime colombe, chiamate appunto uccelli di Venere per la loro smodata lascivia. Altri ricordano che i Greci chiamavano peristera la colomba perché in colomba fu trasformata, da Eros invidioso, la ninfa Peristera - amatissima da Venere - che l'aveva aiutata a sconfiggerlo in una gara tra chi raccogliesse più fiori. Ma che cosa vuol dire che Venere "amava" Peristera? | << | < | > | >> |Pagina 392| << | < | > | >> |Pagina 394Il tramonto aveva ceduto alla sera, e poi alla notte. La luna, Roberto la vedeva ora piena nel cielo, e poteva scorgerne le macchie, che i fanciulli e gli ignoranti intendono come gli occhi e la bocca di volto pacioso.Per provocare padre Caspar (in quale mondo, su quale pianeta dei giusti era ora il caro vegliando?), Roberto gli aveva parlato degli abitanti della luna. Ma può la luna essere davvero abitata? Perché no, era come Saint-Denis: che ne sanno gli umani del mondo che può esservi laggiù? Argomentava Roberto: se stando sulla luna lanciassi in alto un sasso, precipiterebbe esso forse sulla terra? No, ricadrebbe sulla luna. Dunque la luna, come ogni altro pianeta o stella che sia, è un universo che ha un suo centro e una sua circonferenza, e questo centro attrae tutti i corpi che vivono nella sfera d'imperio di quel mondo. Come accade alla terra. E allora perché non potrebbe anche accadere alla luna tutto il resto che accade alla terra? C'è un'atmosfera che avvolge la luna. Nella domenica delle Palme di quarant'anni fa non ha visto qualcuno, mi hanno detto, delle nuvole sulla luna? Non si vede su quel pianeta una gran trepidazione nell'imminenza di una eclisse? E che altro è questo se non la prova che vi sia dell'aria? I pianeti svaporano, e anche le stelle - che altro sono le macchie che si dice vi siano sul sole, da cui si generano le stelle filanti? E sulla luna certamente c'è acqua. Come spiegare altrimenti le sue macchie, se non come l'immagina di laghi (tanto che qualcuno ha suggerito che questi laghi siano artificiali, opera quasi umana, tanto sono ben disegnati e distribuiti a uguale distanza)? D'altra parte, se la luna fosse stata concepita soltanto come un grande specchio che serve per riflettere sulla terra la luce del sole, perché il Creatore avrebbe dovuto impiastricciar quello specchio di macchie? Quindi le macchie non sono imperfezioni, ma perfezione, e dunque stagni, o laghi, o mari. E se lassù c'è acqua e c'è aria, c'è vita. | << | < | > | >> |Pagina 396Ma davvero ci sono infiniti mondi? Per una questione del genere a Parigi nasceva un duello. Il Canonico di Digne diceva di non sapere. Ovvero, lo studio della fisica lo inclinava a dire di sì, sulla scorta del grande Epicuro. Il mondo non può essere che infinito. Atomi che si affollano nel vuoto. Che i corpi esistano, ce lo attesta la sensazione. Che il vuoto esista ce lo attesta la ragione. Come e dove potrebbero altrimenti muoversi gli atomi? Se non ci fosse vuoto non ci sarebbe moto, a meno che i corpi si penetrino tra loro. Sarebbe ridicolo pensare che quando una mosca spinge con l'ala una particola d'aria, questa ne sposta un'altra davanti a sé, e questa un'altra ancora, così che l'agitazione della zampetta di una pulce, sposta e sposta, arriverebbe a produrre un bernoccolo all'altro capo del mondo!D'altra parte se il vuoto fosse infinito, e il numero degli atomi finito, questi ultimi non cesserebbero di muoversi per ogni dove, non si urterebbero mai a vicenda (come due persone mai si incontrerebbero, se non per impensabile caso, quando si aggirassero per un deserto senza fine), e non produrrebbero i loro composti. E se il vuoto fosse finito, e i corpi infiniti, esso non avrebbe posto per contenerli. Naturalmente, basterebbe pensare a un vuoto finito abitato da atomi in numero finito. Il Canonico mi diceva che questa è l'opinione più prudente. Perché volere che Dio sia obbligato come un capocomico a produrre infiniti spettacoli? Egli manifesta la sua libertà, eternamente, attraverso la creazione e il sostentamento di un solo mondo. Non vi sono argomenti contro la pluralità dei mondi, ma non ve ne sono neppure in favore. Dio, che sta prima del mondo, ha creato un numero sufficiente di atomi, in uno spazio sufficientemente ampio, per comporre il proprio capolavoro. Della sua infinita perfezione fa parte anche il Genio del Limite. Per vedere se e quanti mondi ci fossero in una cosa morta Roberto era andato nel piccolo museo della Daphne, e aveva allineato sul ponte, davanti a sé come tanti astragali, tutte le cose morte che vi aveva trovato, fossili, ciotoli, lische; spostava l'occhio dall'una all'altra, continuando a riflettere a casaccio sul Caso e sui casi. Ma chi mi dice (diceva) che Dio tenda al limite, se l'esperienza mi rivela di continuo altri e nuovi mondi, vuoi in alto che in basso? Potrebbe allora essere che non Dio, ma il mondo sia eterno e infinito e sempre sia stato e sempre così sia, in un infinito ricomporsi dei suoi atomi infiniti in un vuoto infinito, secondo alcune leggi che ancora ignoro, per imprevedibili ma regolati scarti degli atomi, che altrimenti andrebbero all'impazzata. E allora il mondo sarebbe Dio. Dio nascerebbe dall'eternità come universo senza lidi, e io sarei sottoposto alla sua legge, senza sapere quale sia. Stolto, dicono alcuni: puoi parlare dell'infinità di Dio perché non sei chiamato a concepirla con la tua mente, ma soltanto a credervi, come si crede a un mistero. Ma se vuoi parlare di filosofia naturale, questo mondo infinito dovrai pure concepirlo, e non puoi. | << | < | > | >> |Pagina 398In verità Roberto non era convinto dai suoi argomenti; componeva un piatto fatto di troppi ingredienti, ovvero stipava in un solo ragionamento cose udite da varie parti - e non era così sprovveduto da non rendersene conto. Pertanto, dopo aver sconfitto un possibile avversario, gli ridava parola e si identificava con le sue obiezioni.Una volta, a proposito del vuoto, padre Caspar lo aveva messo a tacere con un sillogismo a cui non aveva saputo rispondere: il vuoto è non essere, ma il non essere non è, ergo il vuoto non è. L'argomento era buono, perché negava il vuoto pur ammettendo che si potesse pensarlo. Infatti si possono benissimo pensare cose che non esistono. Può una chimera che ronza nel vuoto mangiare intenzioni seconde? No, perché la chimera non esiste, nel vuoto non si ode alcun ronzio, le seconde intenzioni sono cose mentali e non ci si nutre di una pera pensata. E tuttavia penso a una chimera anche se è chimerica, e cioè non è. E così con il vuoto. Roberto si ricordava della risposta di un diciannovenne, che un giorno a Parigi era stato invitato a una riunione dei suoi amici filosofi, perché si diceva stesse progettando una macchina capace di far calcoli aritmetici. Roberto non aveva ben capito come dovesse funzionare la macchina, e aveva considerato quel ragazzo (forse per acrimonia) troppo smorto, troppo mesto e troppo saccente per la sua età, mentre i suoi amici libertini gli stavano insegnando che si può essere sapienti in modo giocoso. E tanto meno aveva sopportato che, venuti a parlare del vuoto, il giovane avesse voluto dire la sua, e con una certa impudenza: "Si è parlato troppo del vuoto, sino a ora. Adesso occorre dimostrarlo attraverso l'esperienza." E lo diceva come se quel dovere fosse toccato un giorno a lui. | << | < | > | >> |Pagina 416| << | < | > | >> |Pagina 432Non è una gran sapienza saper queste cose, si diceva Roberto, d'accordo. Dovremmo saperle dal momento che siamo nati. Ma di solito riflettiamo sempre e soltanto sulla morte degli altri. Eh sì, tutti abbiamo abbastanza forza per sopportare i mali altrui. Poi viene il momento che si pensa alla morte quando il male è nostro, e allora ci si accorge che né il sole né la morte si possono guardare fissi. A meno che non si abbiano avuti dei buoni maestri.Ne ho avuti. Qualcuno mi ha detto che in verità pochi conoscono la morte. Di solito la si sopporta per stupidità o per abitudine, non per risoluzione. Si muore perché non si può fare altrimenti. Solo il filosofo sa pensare alla morte come a un dovere, da compiere di buon grado, e senza timore: sinché noi ci siamo, la morte non c'è ancora, e quando vien la morte, noi non ci siamo più. Perché avrei speso tanto tempo a conversare di filosofia se ora non fossi capace a far della mia morte il capolavoro della mia vita? Le forze gli stavano tornando. Ringraziava la madre, il cui ricordo lo aveva indotto ad abbandonare il pensiero della fine. Non altro poteva fare, colei che gli aveva donato l'inizio. Si mise a pensare alla propria nascita, di cui sapeva meno ancora che della propria morte. Si disse che pensare alle origini è proprio del filosofo. E' facile per il filosofo giustificare la morte: che si debba precipitar nelle tenebre è una delle cose più chiare del mondo. Ciò che assilla il filosofo non è la naturalezza della fine, è il mistero dell'inizio. Possiamo disinteressarci dell'eternità che ci seguirà, ma non possiamo sottrarci all'angosciosa domanda su quale eternità ci abbia preceduti: l'eternità della materia o l'eternità di Dio? Ecco perché era stato gettato sulla Daphne, si disse Roberto. Perché solo in quel riposevole romitorio avrebbe avuto agio di riflettere sull'unica domanda che ci libera da ogni apprensione per il non essere, consegnandoci allo stupore dell'essere. | << | < | > | >> |Pagina 470| << | < | > | >> |Pagina 470E così, se anche una delle mie ipotesi si prestasse a continuar la narrazione, questa non avrebbe una fine degna d'esser narrata, e lascerebbe scontento e insoddisfatto ogni lettore. Neppure in tal modo la vicenda di Roberto si presterebbe a qualche insegnamento morale - e staremmo ancor a domandarci come mai gli sia accaduto quel che gli è accaduto - concludendo che nella vita le cose accadono perché accadono, ed è solo nel Paese dei Romanzi che sembrano accadere per qualche scopo o provvidenza.Che, se dovessi trarne una conclusione, dovrei andare a ripescare tra le carte di Roberto una nota, che risale certamente a quelle notti in cui ancora si interrogava su un possibile Intruso. Quella sera Roberto guardava ancora una volta il cielo. Ricordava come alla Griva, quando era crollata per l'età la cappella di famiglia, quel suo precettore carmelitano che aveva fatto esperienza in Oriente, aveva consigliato che ricostruissero quel piccolo oratorio alla moda bizantina, a forma rotonda con una cupola centrale, che proprio nulla aveva a che vedere con lo stile a cui si era abituati in Monferrato. Ma il vecchio Pozzo non voleva metter naso in cose d'arte e di religione, e aveva ascoltato i consigli di quel sant'uomo. Vedendo il cielo antipode, Roberto si rendeva conto che alla Griva, in un paesaggio circondato da ogni lato dalle colline, la volta celeste gli appariva come la cupola dell'oratorio, ben delimitata dal breve cerchio dell'orizzonte, con una o due costellazioni che egli era capace di riconoscere, così che per quanto sapesse lo spettacolo mutava di settimana in settimana, visto che andava a dormire di buonora, non aveva mai avuto modo di rendersi conto che esso cambiava persino nel corso della stessa notte. E quindi quella cupola gli era sempre parsa e stabile e rotonda, e di conseguenza altrettanto stabile e rotondo aveva concepito l'universo mondo.
A Casale, al centro di una pianura, aveva capito che il
cielo era più vasto di quello che egli credeva, ma padre
Emanuele lo convinceva più a immaginare le stelle descritte
per concetti, che a guardare quelle che gli stavano
sopra il capo.
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