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| << | < | > | >> |IndiceLettera dal Ponto p. 7 NEL CUORE DELL'IMPERO: VIAGGIO NELL'IPERREALTA Le fortezze della solitudine 13 I presepi di Satana 22 I castelli incantati 32 I monasteri della salvezza 42 La città degli automi 51 Ecologia 1984 e la Coca Cola fatta carne 61 CRONACHE DEI REGNI VASSALLI L'uomo che morde troppo 73 La vagina d'oro 81 Non leggono... 87 Dialogo in treno ovvero la Viaggiatrice Calva 93 Il migliore dei modi possibili 98 PRIMI SINTOMI DELLA MORTE DEGLI DEI Paolo Sesto ritorna al sesto 105 Dialogo sulla pena capitale 114 Jesus in Lebole 119 Lo scoop 121 Elogio di San Tommaso 123 I nuovi misteri di Parigi 134 Casablanca, o la rinascita degli dei 138 ATTICI E ASIATICI Il nuovo Tommaseo 147 Il brigadiere rosso 155 La forza del destino 159 La sintassi del disprezzo 163 Morfologia della bugia 167 Una cascata di diamanti 173 De interpretatione, ovvero della difficoltà di essere Marco Polo 178 VERSO UN NUOVO MEDIOEVO 1. Progetto di Apocalisse 189 2. Progetto alternativo di Medioevo 191 3. Crisi della Pax Americana 194 4. La vietnamizzazione del territorio 196 5. Il deperimento ecologico 199 6. Il neonomadismo 200 7. L'Insecuritas 201 8. I Vagantes 202 9. L'Auctoritas 204 1O. Le forme del pensiero 206 11. L'arte come bricolage 207 12. I monasteri 210 13. La transizione permanente 211 ERETICI E MILLENARISTI I commandos dello stadio 215 I Fratelli del Libero Festival 219 Doretta non c'entra 227 Il topo e il "topos" 232 Troubadours for Men only 236 MISTICI, VISIONARI E ALCUNE VISIONI Il cogito interruptus 243 Il pubblico fa male alla televisione? 261 Sentire due campane 284 Mentire con la foto 289 ORDINI MENDICANTI E SCRITTURE ALTERNATIVE Dopo i poeti 297 Chi scrive? 317 Chi legge? 322 Eversione e spiazzamento 327 L'onda anomala 332 Un messaggio chiamato cavallo DE CONSOLATIONE PHILOSOPHIAE |
| << | < | > | >> |Pagina 7Ad Geraldum Fordum Balbulum, Foederatarum Indiarum ad Occasum Vergentium Civitatum Principem. A te, Principe e Imperatore, Luce delle Indie Occidentali, Reggitore della Pax Atlantica, al Senato e al Popolo Americano, Ave. Perdonerai se una lettera sul reggimento delle città e dei popoli ti arriva non da un monarca federato, non da un condottiere di eserciti, non da un prefetto della flotta, bensì da un custode della koiné ellenistica, adepto di quella confraternita di saggi che con tauroboliasti di Mitra, sacerdoti dei Misteri di Iside, ierofanti del Trismegisto, ministri del culto di Baal e di Astarte, secretari di Eleusi, decrittatori della Pizia, pseudoarconti delle Grandi Dionisiache, produttori della Scrittura, triangolatori di Edipo, semiarchi del Desiderio, terapeuti del Terzo Escluso, gnostici della Differenza e omologarchi del Plèroma, costituiscono ancora l'unico prodotto autoctono dei paesi del Mare Interno, già Nostro. Ben so, o Figlio di Jupiter I Canaveralense, che quando accedono al Campidoglio, sulle rive del biondo Potomac, i reggitori dei paesi federati dei mari Siculo, Ionico ed Egeo, i membri del Senato e della Domus Alba vanno a gara nel lanciar loro e frizzi e cachinni, costringendoli ai più umili servizi ed avendoli al pari di liberti - che dico - di schiavi; ben so in quale miserrimo conto i tuoi messi, nunzi e legati nelle provincie ausonie, tengano codesti monarchi comperandone i favori e imponendo loro l'acquisto di vecchie e bolse triremi ormai inutili alla Flotta Imperiale, di daghe e giavellotti, loriche e scudi già gettati dalle tue Legioni, in cambio di quei parvula involucra ripieni di scellerati sesterzi di cui essi più non avvertono l'olezzo. E bene so invece con quale deferente rispetto veniamo ricevuti nelle tue terre noi, antichi custodi dei misteri mediterranei, maestri in formule arcane che ancora strappano esclamazioni di deferente stupore - non dico ai tuoi Padri Coscritti, più inclini a traffici e a milizie che non alla decifrazione di papiri e tavolette di cera - ma in ogni caso ai tuoi retori e saggi. Concedimi dunque, o figlio dell'Apollo di Nasa, di porti una questione che molto affligge il mio cuore e la mia mente, dappoiché i tuoi disegni mi risultano oscuri e molto temo per la tua saggezza, oltre che per la nostra salvezza. Consentimi di dirti cosa accade qui nel Ponto Ausonio, dove da tempo siamo governati dalla dinastia dei Mitridatidi, uomini che onde conservare il potere e sopravvivere ai propri nemici, hanno realizzato con ardue e durissime prove la resistenza a ogni veleno, cosicché né accuse di tradimento, né sospetti di corruzione, né disprezzo dei cittadini, né catastrofe del pubblico consenso, né scoperta tra le loro mani impure di parvula involucra, riescono a turbare le loro viscere. Ben sai, o Astro tra le stelle e le strisce celesti, che codesti reggitori del Ponto si sono sostenuti al potere grazie alla tua magnanimità, ogni patto accettando, ospitando le tue legioni tra la Rezia e il Norico, le tue triremi a Ercolano, i tuoi nunzi e i tuoi sicofanti nella Capitale, volta a volta atteggiandosi come se il Ponto fosse colonia, regno federato, provincia senatoria, fedelmente ascoltando i consigli dei tuoi inviati e comandanti di legioni. Così fecero a lungo questi vassalli fedelissimi dai nomi che al tuo orecchio suonano come barbarici, e Rumor Filadelfo, e Andreozio Evergete, e Moro Eupatore e Saragazio Filopatore. Fedeli al tuo comando essi hanno consentito alle quadrate legioni della Pax Atlantica di guardare i confini dell'Impero, sotto la spinta insidiosa dei Parti e dei Sarmati, degli Sciti e dei Daci, dando alle tue milizie e alle tue navi la possibilità di sostenere sulle coste amiche della Siria le battaglie di Mosè Monoftalmo contro le orde nubiane, e l'amico re dei Persi contro la pressione infida delle orde armene e della cavalleria nomade del Tigri e dell'Eufrate. E ben capisco come sia per te cosa di gran pregio mantenere il governo del Ponto mentre già le navi della Sarmazia solcano il Mare Libico. Ora ben tu sai che da tempo, nel nostro regno, orde di schiavi ormai liberti, in gran parte già inclini ad accettare un patto col tuo potere, e persino indulgenti a sacrificare compromissoriamente agli Dei e ai loro sacerdoti, guidati da un rude schiavo sardo, Berlinguero, ritengono sia giunto il momento di sottrarre il governo del regno alla dinastia dei Mitridatidi. Né la plebe vi si opporrebbe, né ormai gran parte dei patrizi, se non fosse che di continuo un liberto germano, da te elevato agli onori di maestro del Palazzo Imperiale, Chisingero, tenacemente vi si oppone, vedendo nella rivolta degli schiavi una maliziosa congiura del Re dei Sarmati. Non starò a dirti se e come questo sospetto valga una goccia dei tuoi pensieri, o Nettuno degli swimming pools, né voglio porre la mia saggezza a giudice delle tue credenze. Solo ti dico che, se gli schiavi non dovranno accedere al potere, ben ti converrà attenerti ai Mitridatidi che tanto e così eccellentemente ti hanno servito. Come aiutarli tu ben sai, e con doni di copiosi sesterzi e seminando, tramite tuoi sicofanti, disordine e inquietudini nel Ponto, insanguinando nottetempo gli altari, decapitando le Erme, incendiando i templi di Diana così che si possa pensare che fautori di questi disordini siano i rivoltosi, seguaci di una oscura religione fondata da un Messia di Treviri, un giudeo barbuto che osò ripetere che è più facile che un tornio passi per la memoria di un computer piuttosto che un tuo protetto sieda sulle ginocchia di Giove. Se dunque tuo presidio rimane il dominio dei Mitridatidi, sia. Ma da non lungo tempo accadono cose che molto mi stupiscono, inquantoché uno dei tuoi senatori, tale Ciurcius, iniziò a svelare misteri sino ad allora conservati nei penetrali del Tempio Capitolino, e da quell'evento sacrilego molti mali ne vennero alla schiatta dei Mitridatidi. E non passa giorno che Tanaxio, già questore alle legioni, riceva una coppa pestifera che lo fa cadere di subita morte, che Guius Polemoniaco riceva un cesto colmo di frutti in cui si cela un aspide che lo morde là ove teneva, in un sacculo di pelle bovina, misteriosa pecunia; che Crociano Talattico debba darsi a rapida fuga inseguito da cani mordaci ispirati da occulte potenze. E non è finita, ché giorno per giorno, e proprio dai tuoi penetrali imperiali, arrivano sempre nuove maledizioni: cosi che, ormai non più difeso dalla lunga consuetudine ai veleni, già barcolla lo stesso Rumor Filadelfo, già tremano e Moro Eupatore e il sinistro Fanfazio Amintoratore, i pugni levando al cielo e domandandosi come mai non sovvenga loro la tua grazia e il tuo favore. E io ti chiedo, o divino Vulcano Pentagonale, quali sono i tuoi occulti disegni? Tu vuoi il Ponto in tuo controllo, ma disdegni i fedeli dell'Uomo di Treviri e prostri l'un dopo l'altro i Mitridatidi, mentre nel contempo il nummo ausonio più non vale un sospiro del sesterzio imperiale. In chi ancora confidi, a chi ritieni e disegni di volgere il tuo favore? A Pacciardo Repubblicatore, a Destrazio Fucilatore, a Rautazio Bombarolatore, a Fredazio Timeratore, a Henkazio Silenziatore, a Micazio Insabbiatore, a Gavazio Speculatore? O di nuovo vuoi ridurre il Ponto a colonia sotto il diretto controllo delle tue milizie, al comando di Caio Tizio Volpe? O gli Dei, scoraggiati dal vederti cosi insensibile a Minerva ti hanno dato preda a Dioniso e ti hanno infuso il dono divino della Mania? Vorrai credere che, per il tuo incomprensibile disegno, anche i sacerdoti dei misteri mediterranei già tremano per le sorti dell'impero e temono che tu ti candidi ad essere l'ultimo dei Cesari? Non si dà regno vassallo senza re, non si dà regno federato senza parvenza di un Patto. Oscure e fiammeggianti mi suonano all'orecchio le sinistre profezie dell'Uomo di Treviri, suppliziato (orrore!) dai Sarmati. Che vuoi, signore dell'Afasia? Anche a un Cesare la falce di Crono incombe spietata. Mi tremano le vene e i polsi al pensiero che gli schiavi del Ponto decapitino un giorno le tue statue. Vale. 1976 | << | < | > | >> |Pagina 51Quando in Europa qualcuno si vuole divertire va in una "casa" dei divertimenti (sia essa cinematografo, teatro o casinò); talora vienè montato provvisoriamente un "parco", che può sembrare una "città" ma solo a titolo metaforico. Negli Stati Uniti invece, è risaputo, esistono le città dei divertimenti: Las Vegas ne è un esempio, è incentrata sul gioco e sullo spettacolo, la sua architettura è del tutto artificiale ed è stata studiata da Robert Venturi come un fatto urbanistico del tutto nuovo, una città "messaggio", tutta fatta di segni, non una città come le altre che comunica per poter funzionare, bensi una città che funziona per comunicare. Ma Las Vegas è ancora una città "vera", e in un suo recente saggio su Las Vegas Giovanni Brino mostrava come, nata come luogo di gioco, essa si sta trasformando sempre più in città residenziale, città di affari, di industrie, di congressi. Il tema del nostro viaggio - invece - è il Falso Assoluto: e quindi ci interessano solo le città assolutamente false. Disneyland (California) e Disney World (Florida) ne sono ovviamente gli esempi massimi, ma se esistessero da sole costituirebbero una eccezione trascurabile. Il fatto è che gli Stati Uniti sono popolati di città che imitano una città, così come i musei delle cere imitano la pittura e i palazzi veneziani o le ville pompeiane imitano l'architettura. Ci sono anzitutto le "ghost towns", ovvero le città del west di cento anni fa. Ve ne sono di passabilmente autentiche, dove il rifacimento o la conservazione si sono esercitati su un tessuto urbano "archeologico", ma più interessanti sono quelle nate dal nulla, per pura decisione imitativa. Esse sono la "real thing". | << | < | > | >> |Pagina 59Allegoria della società dei consumi, luogo dell'iconismo assoluto, Disneyland è anche il luogo della passività totale. I suoi visitatori, devono accettare di vivervi come i suoi automi: l'accesso ad ogni attrazione è regolato da corrimani e transenne in tubi metallici, a labirinto, che scoraggiano ogni iniziativa individuale. La quantità di visitatori impone ovunque il ritmo della coda; i funzionari del sogno, correttamente vestiti nelle loro uniformi adattate ad ogni luogo specifico, non solo immettono il visitatore alle soglie del settore prescelto, ma ne regolano a fasi successive ogni passo ("ecco ora attenda lì, ora salga, ora si sieda, ora aspetti prima di alzarsi", sempre in tono cortese, impersonale, imperioso, al microfono). Se il visitatore paga questo scotto, potrà avere non solo "la cosa vera" ma l'abbondanza della verità ricostruita. Anche Disneyland come il Castello di Hearst non ha spazi di transizione, c'è sempre qualcosa da vedere, i grandi vuoti dell'architettura e dell'urbanistica moderna le sono ignoti. Se l'America è quella del Guggenheim Museum o dei nuovi grattacieli di Manhattan, allora Disneyland è una eccezione curiosa e ben fanno gli intellettuali americani che si rifiutano di andarla a vedere. Ma se l'America è quella che abbiamo visto nel corso del nostro viaggio, allora Disneyland ne è la Cappella Sistina e gli iperrealisti delle gallerie sono solo dei timidi voyeurs di un immenso e continuo "oggetto trovato".| << | < | > | >> |Pagina 70L'ideologia di questa America vorrebbe che, attraverso l'Imitazione, si stabilisse la rassicurazione. Ma il profitto sconfigge l'ideologia, perché i consumatori non vogliono solo eccitarsi nella garanzia del Bene ma anche nel brivido del Male. E così a Disneyland accanto ai Topolini e agli Orsi bonaccioni deve prendere evidenza tattile anche il Male Metafìsico (la Casa Stregata) e il Male Storico (i Pirati), nei musei delle cere accanto alla Venere di Milo dovremo trovare i Violatori di Tombe, Dracula, Frankenstein, l'uomo Lupo, Jack lo Squartatore, il Fantasma dell'Opera. Accanto alla Balena Buona si agita la sagoma di plastica dello Squalo Cattivo. Entrambi allo stesso livello di credibilità, entrambi allo stesso livello di falsità. Così che entrando nelle sue cattedrali della rassicurazione iconica il visitatore rimanga incerto se il suo destino finale sia l'inferno o il paradiso, e consumi nuove promesse.1975 | << | < | > | >> |Pagina 90Per capire dove va la storia, come si trasforma la società, come da un dato apparentemente accidentale si tirino conclusioni e ipotesi, si traccino linee di tendenza, si estrapolino leggi antropologiche, per fare tutto questo occorre informazione culturale e quella bella, grande e lucida qualità che Wright MiIls chiamava "l'immaginazione sociologica". Ma l'immaginazione sociologica è virtù moderna, laica e liberale, oltre che materialistica e dialettica. Implica il senso della storia, e il fiuto della dinamica dei gruppi. Implica insomma quella che tutti noi (anche quando veniamo chiamati culturame) identifichiamo come" cultura", e udendo menzionare la quale Goebbels traeva la pistola; o quella che Amintore Fanfani ha creduto di poter ignorare con i suoi pesanti cachinni da contadino patriarcale di una Toscana precomunale.È però possibile che la cultura stesse tutta a "sinistra", aveva dunque ragione Donat Cattin quando in una intervista all'Europeo lamentava che in trent'anni di potere il mondo democristiano non avesse saputo assicurarsi forze culturali valide? È mai concepibile? Lo è, lo è. Racconta Furio Colombo che una volta a New York gli accadde di riprendere più volte un tassista neghittoso che sbagliava tutti i percorsi. Sino a che quello si era voltato con un ringhio e gli aveva detto: "Ma insomma, crede che se fossi intelligente come lei sarei ancora qui a fare questo sporco mestiere?" Il tassista aveva torto, perché ci sono tassisti "colti" che posseggono appunto il senso della città, hanno informazione topografica e san prevedere le tendenze del traffico. Ma l'aneddoto vale per molti che tassisti non sono. È vero, è mirabilmente e consolantemente vero. Se tu hai informazione storica e immaginazione sociologica, se credi nei fenomeni sociali, se ami il corso umano della storia terrestre e non paventi le sue contraddizioni, se sai interrogare gli uomini e gli eventi, non farai mai lo sporco mestiere del pennivendolo di sottogoverno, dello yes-man dei comitati civici, del consulente delle fondazioni culturalmente arteriosclerotiche, del ghost-writer dei parlamentari mafiosi, del velinatore e del censore del telegiornale. La bellezza del dodici maggio è che un paese, governato da un sistema di sottofavori gestiti da uomini culturalmente poveri, si è ribellato valutando i fatti e le opzioni alla luce di una diversa consapevolezza culturale. E scrivo queste cose con smisurato orgoglio, l'orgoglio di sapere che quando abbiamo individuato i nostri nemici lo abbiamo fatto perché abbiamo "tattilmente", "olfattivamente" sentito che non erano abbastanza colti per poter far parte della cerchia dei nostri amici. Il dodici maggio non è stata la vittoria degli intellettuali "e" delle masse popolari; è stata la vittoria di masse popolari ormai a contatto con la cultura moderna, e di uomini di cultura che han saputo interpretare le linee di tendenza del paese. Di fronte c'era la disinformazione, il rifiuto ottuso di leggere i nuovi libri, la scrollata di spalle di chi assiste alla presa della Bastiglia e dice "ragazzate", la stupidità di chi nel settembre del diciassette sarebbe stato capace di chiedere il patrocinio dello Zar per qualche nuova iniziativa finanziaria. Questa incultura becera e trapassata ha sbagliato i suoi calcoli anche nel predisporre la strategia del1a tensione. Quale meravigliosa risposta la percentuale dei no a Genova e ad Alessandria, le città che avrebbero dovuto essere terrorizzate dalle Brigate Rosse e dalla rivolta dei carcerati corrotti dalla "permissività" di una cultura moderna che concedeva loro di studiare da geometri! Il dodici maggio ci ha detto anche che la strategia della tensione non paga, perché la gente legge, si informa, discute, sa distinguere i film di Hitchcock dalla realtà, non si fa terrorizzare dai fantasmi. Ma gli uomini del sì non lo sapevano. Se lo avessero saputo, avrebbero fatto un altro mestiere. Non per questo cesseremo di temerli, perché vent'anni di fascismo dimostrano che non basta essere ignoranti per essere innocui. Ma quanto è avvenuto deve dare una nuova fiducia nelle possibilità della ragione. Che è dura e ambigua da gestire, ma quando è in esercizio si riconosce, ed è esigente, perché si autocritica per crescere di più. Gli altri invece hanno creduto di poter esercitare solo l'eterno buon senso che, come Cartesio sapeva, pare la cosa meglio distribuita al mondo, perché ciascuno è convinto di possederne in misura tale da non desiderarne di più. 1974 | << | < | > | >> |Pagina 98Man mano che le liste dei partiti vengono lette e commentate, non mancano cori di giornalisti indignati e cittadini preoccupati perché molti personaggi, sospettati di vari illeciti (e se non sicuramente colpevoli di qualcosa almeno indiziati di molte) si ritrovano in prima posizione come candidati a rappresentare il paese in Parlamento. E da queste vicende si traggono neri auspici per il nostro futuro. Io vorrei a questo punto tranquillizzare gli animi, rilevando come, in Italia, stiamo vivendo nel migliore dei mondi possibili. E vediamone le ragioni. Sono stati rispettati anzitutto alti criteri di giustizia rappresentativa. Cosa deve fare un Parlamento? Rappresentare tutte le tendenze, le istanze, i desiderata, le esigenze, gli auspici di ogni componente del corpo sociale. E non fanno forse parte del corpo sociale gli speculatorl edilizi, i corruttori di funzionari, gli eversori bombaroli, gli amici dei colonnelli greci, i compratori di voti, i disboscatori frodolenti, gli evasori fiscali? Essi saranno rappresentati in Parlamento da ex ministri corrotti, da padrini mafiosi, da generali felloni. Qualcuno potrebbe obbiettare che il Parlamento deve rappresentare solo le esigenze "legali" attraverso l'elezione di uomini "onesti". Ma questa mi pare una palese ingenuità. Ci sono dei fatti illegali che la legge reprime duramente, come stupro, omicidio per rapina, guida in stato di ubriachezza con conseguente omicidio colposo, furto di mele. Su queste illegalità tutti sono d'accordo, e infatti non mi risulta che siano candidati personaggi che hanno ucciso una vecchia a colpi di scure per sottrarle la catenina d'oro, disoccupati che hanno rubato un melone facendosi impallinare dal contadino e prendendosi una severa condanna, né seviziatori di fanciulle minorenni (almeno pubblicamente riconoscibili come tali) o mattacchioni che si siano fatti sorprendere in stato di ebbrezza dopo aver investito una intera scuola materna in gita collettiva. Ma poi ci sono altre azioni che, per quanto deplorate, si rimane in dubbio se siano male o bene (come edificare abusivamente o costituire società di comodo), tanto è vero che si va molto a rilento nell'identificarne i veri responsabili; nel dubbio, per il reo, e dunque è giusto che tali azioni, a metà strada tra il proibito e il permesso, siano rappresentate ufficialmente, e difese eventualmente, da chi (per voce popolare e sospetto di magistrato inquirente) le ha commesse. Anche perché cosa significa" uomo onesto"? Qualcuno può essere onesto sino al momento in cui accede a una carica pubblica, ma poi può inclinare a delinquere. Noi lo eleggiamo credendolo integerrimo, e due mesi dopo pecula e concute. Sgradevole sorpresa. Non è meglio eleggere subito chi è già indiziato di concussione e peculato, in modo da poterlo controllare? Perché in questo il nostro sistema è migliore di tanti altri. Pensate agli Stati Uniti: Nixon è sospettato, oltre che di registrazioni abusive, di loschi traffici con Bobo Rebozo. Il paese lo caccia. E bravi, gli ingenui puritani. Come se Bobo Rebozo o altri del suo stampo non fossero pronti a cercare altre alleanze con uomini nuovi. E con chi? [...] 1976 | << | < | > | >> |Pagina 134Sulla Civiltà Cattolica di maggio appare una recensione al mio Trattato di semiotica generale a firma E. Baragli. La recensione è breve ma corretta e in questi casi si ringrazia l'autore, anche se fa delle riserve come è suo diritto. Se intervengò polemicamente è perché la frase che chiude questa recensione avrebbe potuto essere scritta a proposito di tanti altri libri e ricerche oggi in circolazione e riguarda quindi un problema generale che concerne, diciamo, le scienze umane contemporanee. Per informazione del lettore riporto la frase per esteso: «Ma questa lussuosa girandola di segni, segnali e icone, marche denotative e connotative [segue un elenco di termini tecnici oggi di uso generale]... ci sembra, più che altro, un gioco a vuoto, che non approda a evidenze maggiori di quelle raggiunte dai vecchi trattati scolastici di logica e retorica, di psicologia e filosofia del linguaggio. Et pour cause! Si ha un bel far confluire nella da poco legittimata disciplina autonoma della semiotica tutta la massa degli elementi e dei problemi, vecchi di duemila anni, che riguardano la significazione e la comunicazione umana: la natura intima dell'intelletto e della parola dell'uomo resteranno per sempre un mistero insondabile." Non mi soffermo più di tanto sulla prima parte di questa critica. Tutta la logica e la linguistica moderna stanno riscoprendo da tempo che i vecchi trattati scolastici di logica e retorica erano dei capolavori di intelligenza ed era solo la pesante eredità della retorica letteraria umanistica, rinascimentale e barocca che li aveva lasciati nel dimenticatoio (per una serie di ragioni giustificabili storicamente ma infelici dal punto di vista dello sviluppo scientifico). E dunque se parlare oggi di queste cose ci servisse anche soltanto a riformulare in termini moderni le scoperte di quel periodo di grande e alta civiltà della ragione, sarebbe anche una buona cosa. E l'ultimo che dovrebbe dolersene dovrebbe essere un padre gesuita. A meno che sia irritato per il fatto che quei vecchi trattati scolastici erano sovente scritti da persone come Ockham che facevano a loro modo, nei limiti consentiti dall'epoca, una loro fiera battaglia laica, svuotando oltretutto la logica e la semiotica (perché di semiotica si trattava, come insegna un grande studioso della logica medievale, il padre Bochenski) di molte loro implicazioni teologiche e metafisiche. Ma non credo che padre Baragli faccia distinzioni del genere. Nel fatto che questi scolastici spaccassero il capello in quattro per capire cosa succede quando emettiamo parole o altri segni, arrivando a porsi il problema della loro convenzionalità e quindi della loro socialità, ci deve essere qualcosa che non gli piace, anche se nominalmente erano tutti cardinali, vescovi o monaci (ma allora era lo stesso come dire che avevano potuto studiare). E cosa sia che non va emerge dalle righe finali: non si deve cercare di spiegare ciò che rimane e rimarrà un mistero (insondabile, ovviamente, come ogni mistero). Ora, che quando ci si richiama ai misteri ci sia sempre sotto un trucco, lo ripetevano anche Marx e Engels nella Sacra Famiglia. Misteri di Parigi e misteri dello Zanichelli, qui c'è sempre qualche mistero da conservare. Visto che c'è gente che si diletta coi misteri della camera chiusa, col mistero del castello abbandonato e con la teleferica misteriosa della Biblioteca dei miei Ragazzi, non si vede perché negare a padre Baragli il gusto di rispettare il mistero della parola e dell'intelletto umano. Ma si tratta di autorevole persona che scrive su autorevole rivista di un autorevole ordine religioso che si occupa anche dei destini politici del nostro Paese, ed è mio diritto (se non altro di semiologo) cercare di vedere come tutti questi fatti si leghino dal punto di vista del richiamo al mistero. Dirò subito che sto qui analizzando uno degli aspetti della cultura cattolica ma che sarei ingiusto se identificassi questo aspetto col modo di pensare cattolico tout court. È il modo di pensare di quel filone cattolico che si è sempre trovato allineato con la cultura reazionaria "laica", ovvero con la cultura tradizionale di tipo "religioso" ma non cattolico, tanto per capirci la corrente che fa capo alle edizioni Rusconi e che conduce una polemica contro la modernità come prodotto dell'infausto illuminismo. Questa modernità viene infatti sempre accusata di voler turbare la sacralità dei misteri per cercare di trovare, là dove si credeva che ci fosse mistero, delle regole, magari biologiche, magari storiche, magari (orrore) sociali. È cosa da libro di scuola (e quasi da polemica anticlericale ottecentesca) ricordare a cosa ha condotto questo gusto del mistero: non si devono sezionare cadaveri, non si deve spiegare come viene il ballo di san Vito, non si deve capire cosa sia la scrofola perché la si definisce come quella malattia misteriosa che si guarisce solo col tocco di una mano regale, non si deve guardare nel cannocchiale, non ci si deve lavare le mani prima di aiutare una partoriente, non si deve esplorare l'inconscio, non si deve insegnare la matematica ai semplici e agli umili e così via. Eppure si muoveva. Ma il dire che l'animo umano è un mistero assume oggi altre forme: è un mistero la radicale disuguaglianza degli uomini, è un mistero di natura perché avvengano le alluvioni, è un mistero sapere quando un feto possa essere definito un essere umano, è un mistero il perché gli italiani non siano portati alla democrazia, è un mistero perché la lira improvvisamente scende, è un mistero chi siano gli amici dell'illustre parlamentare, è un mistero chi abbia messo le bombe a piazza Fontana. E tutti coloro che cercano di chiarire questi misteri turbano in fondo l'armonia del mondo e diffidano della provvidenza che poi mette a posto le cose per vie misteriose. Naturalmente gli ultimi misteri che ho citato non vengono presentati come misteri metafisici ma come misteri pratici. Però alla radice della mentalità fatalistica che permette che non siano chiariti, alla radice delle consuetudini mafiose che bloccano ogni indagine c'è una persuasione metafisica duplice: da un lato l'insondabilità del cuore umano, dall'altra la sua radicale fragilità e la sua malvagità originale. Visto che poi questi misteri si lasciano risolvere in pratica agli unici poteri a cui è demandato l'esercizio illuministico della razionalità, e cioè all'industria, diciamo che questo è un bel tipo di pessimismo della ragione e di cottimismo della volontà. Al di là della battuta, a cui non ho saputo resistere, diciamo pure senza peli sulla lingua che ogni volta che qualcuno mi agita davanti agli occhi un mistero, c'è dietro un rapporto di sfruttamento. Se la parola umana è un mistero non si capirà mai perché i negri americani parlano con una grammatica diversa dai bianchi, perché la scuola parla e non riesce a educare, perché una massaia di disagiate condizioni economiche compera via postal market un oggetto desueto che non le servirà mai. Non dico che i logici medievali o i semiotici moderni ci aiutino sempre a capire queste cose, ma qui si è andati oltre la polemica iniziale e si sta disegnando un confine tra chi si richiama al rispetto dei misteri e chi vuol capire il meccanismo che sta dietro ai misteri. I secondi non presumono di chiarire tutti i misteri, ma non si rassegnano. I primi, più che altro ci chiedono, a noi, di rassegrarci. Non ci sto, padre. Licht, mehr Licth. 1976 | << | < | > | >> |Pagina 215Ormai è cronaca settimanale: bande armate di spranghe che sfasciano gli stadi sportivi, manipoli di imprecisati commandos che interrompono il concerto pop, i luoghi tradizionali dei circenses si trasformano ormai per definizione in savane mediorientali, oppure evocano alla memoria del lettore di quotidiani le adiacenze di via Larga a Milano o Valle Giulia a Roma. E siccome la memoria del lettore è sbiadita, appare in fondo comodo a qualcuno lasciar pensare che le sassaiole di Valle Giulia e gli scatafasci dei vari palalido siano la stessa cosa. In altri termini, oltre agli opposti estremismi, esistono ora anche gli estremismi della fascia media, e dove c'è estremismo dappertutto, anche in mezzo, non si può desiderare che una nuova figura paterna disposta a riportare l'ordine e l'armonia. Per cui non è affatto da rifiutare l'ipotesi che queste intemperanze siano opera di provocatori. Solo che l'ipotesi è ancora troppo superficiale: non spiega perché proprio in quella zona possa attecchire la provocazione. Tentiamo allora una seconda interpretazione. La partita di calcio e il concerto pop sono la manifestazione di una grande manifestazione di energia, fisica e psichica. E sono coinvolgenti. La loro contraddittorietà consiste nel fatto che stimolano l'energia degli spettatori, e poi esigono che gli spettatori siano appunto soltanto spettatori e guardino gli altri che spendono energia. Per cui la violenza negli stadi e nelle manifestazioni musicali rappresenterebbe soltanto la vendetta del pubblico contro l'imposizione della divisione del lavoro anche nel gioco. Nel vedere altri uomini, celebri e ben pagati, che esercitano al massimo delle proprie possibilità il loro corpo (piedi, gola, ombelico), gli spettatori avvertono di essere stati espropriati di qualcosa, e cioè proprio del loro corpo. E se ne riappropriano nel modo più immediato, violento, incontrollato. Invitati a un banchetto in cui è pagato chi mangia mentre paga chi guarda gli altri che mangiano, è naturale che al grido "spacchiamo tutto, incomincia la nostra festa!", ci si stia. Ma forse c'è qualcosa di più. L'uomo come tutti gli animali è portato al gioco, ma a differenza di altri animali, ama giocare secondo regole socializzate. Ora nella partita di calcio lo spettatore è un uomo che non gioca: valuta secondo le regole apprese il gioco degli altri. Se poi questo spettatore sta seduto davanti al televisore, la sua situazione si fa ancora più astratta: egli valuta secondo regole sia il gioco degli altri che il comportamento dei presenti che assistono fisicamente al gioco altrui. La distanza dal proprio corpo aumenta. Ma di solito si verifica di peggio: non solo il gioco viene visto anziché giocato, ma spesso non viene neppure visto, e rimane parlato. Attraverso la mediazione delle gazzette sportive il gioco del calcio diventa occasione per una pura chiacchiera disincarnata, che si svolge in piazza, dal barbiere, a mensa, in ufficio. A questo punto l'individuo che parla di sport elabora un discorso che ha le sue proprie regole. [...] 1975 | << | < | > | >> |Pagina 227Il fatto che una innocente signora, per decisione di ignoti, venga rapita gettando nello sconforto una intera famiglia è sentito - e non a torto - come segno di una insopportabile violenza. Il fatto invece che una intera fabbrica con migliaia di operai venga chiusa per decisione di persone note è sentito come segno di fatalità. C'è qualcosa di marcio nel regno dei buoni sentimenti. È vero che, come potrebbe osservare qualche persona di buon senso - magari di quelli che si lamentano con Dario Fo perché è stato troppo crudele col povero Franco - i rapitori di individui agiscono per brama di ricchezza, esasperata dalla civiltà consumistica, mentre i licenziatori di operai agiscono in stato di necessità (per brama di povertà?). Ma proprio questo paralogismo mi richiama a quanto Edoardo Sanguineti scriveva domenica scorsa (su Il Giorno), che cioè molto gli spiace che qualcuno giri con una lupara, ma ancor più che altri, e su vasta scala, di lupare facciano commercio; per cui, citando Brecht, avanzava il sospetto che il crimine paradigmatico fosse la fondazione di una banca e non il suo svaligiamento. Al di là dei paradossi, necessari talora per scuotere gli animi e invitare gli interlocutori a riguardare le cose in filigrana (dove appare la falsità o verità della moneta), è certo che i nostri giorni sono funestati da tremendi atti di violenza criminale e politica: e se pure psicologi e sociologi sanno che questo è il prezzo che una società paga per non avere una guerra, ammettendo violenze sporadiche per far defluire lungo canali di sfogo la tendenza alla violenza generalizzata, tuttavia la cosa non consola. E bisogna energicamente impedire che si rapiscano bambini e che si massacrino i genitori. Senonché, osserva giustamente Sanguineti, si ha come l'impressione che l'attuale campagna di preoccupazione per la violenza "consumistica" serva a coprire una più sottile e doverosa geografia della violenza, confondendo violenza nera organizzata con violenza teppistica sporadica e tacendo, per conseguenza, di altre e più sostanziali violenze. Dirò di più, è che basta leggere "Sangue romagnolo" per vedere come fosse normale un tempo entrare in una casa e assassinare nonna e nipote per quattro marenghi; basta leggere una storia delle crociate per vedere con quanta ilare virtù si fracassasse il cranio a qualche migliaio di ebrei, per sport e rapina, ogni qualvolta si attraversava una nuova città, in sosta verso il Santo Sepolcro; basta leggere una storia del brigantaggio ottocentesco per vedere cosa fossero rapimenti e sequestri di persona nei giorni in cui le buone plebi meridionali non erano soggette al cancro del consumismo (Gregoretti ci ha riproposto in tv i "poveri all'antica" di Mastriani), basta leggere una buona storia delle religioni per fare il calcolo delle persone affettate con la draghinassa la notte di San Bartolomeo o alla presa di Münster. E allora perché tanta serenità di fronte alle violenze individuali o di gruppo del passato e di fronte alle violenze di massa del nostro tempo (cosa succede in Angola? cosa succede in Uganda? cosa succede in Rhodesia?) mentre si diffondono con tanta indignazione, paura, preoccupazione, rimorso collettivo per rapine e atrocità non molto diverse dalla strage di Villarbasse o dal massacro di Rina Fort? Non sarà una esplosione di cattiva coscienza che cerca di nascondere dietro al dito della criminalità comune altri rimorsi e altre responsabilità? Il processo collettivo alla follia criminale di Doretta Graneris non serve forse a dimenticare che non si è ancora fatto il processo di piazza Fontana? [...] |