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| << | < | > | >> |IndicePrefazione 7 Parte prima - Streghe, levatrici e infermiere Una storia di guaritrici 15 Introduzione 17 Stregoneria e medicina nel Medioevo 22 La caccia alle streghe 23 I delitti delle streghe 28 Le streghe come guaritrici 33 Il sorgere della professione medica in Europa 37 La soppressione delle guaritrici 40 Le conseguenze 44 Le donne e la nascita della professione medica in America 46 Entra in scena il medico 49 Il «Popular health movement» 51 I medici all'offensiva 56 La vittoria della «professione» 60 Le levatrici sono messe fuorilegge 65 La signora con il lume 67 Il medico ha bisogno dell'infermiera 73 Bibliografia 77 Parte seconda - Malattie e disordini La politica sessuale della medicina 79 Introduzione 81 Note sul ruolo sociale della medicina 81 Le donne e la medicina alla fine dell'Ottocento e all'inizio del Novecento 89 Il contesto storico 89 La donna «malata» delle classi agiate 94 Il culto della debolezza femminile 97 I vantaggi dei medici 103 La spiegazione scientifica della fragilità femminile 106 La psicologia delle ovaie 112 Terapie mediche 115 Il capovolgimento del ruolo di malattia 122 La donna «portatrice» di malattia della classe operaia 130 La guerra biologica di classe 138 Le donne del popolo: un pericolo speciale 142 Prostituzione e malattie veneree 149 L'offensiva delle classi medie: la salute pubblica 152 L'offensiva delle classi medie: il controllo delle nascite 158 Le donne che «elevano» le altre donne 162 Alcune osservazioni sulla situazione attuale 168 Da qui in avanti: riflessioni finali 178 Note 188 Bibliografia 189 |
| << | < | > | >> |Pagina 17INTRODUZIONELe donne sono sempre state guaritrici. Sono state i primi medici e anatomisti della storia occidentale. Sapevano procurare gli aborti, fungere da infermiere e consigliere. Le donne sono state le prime farmaciste, che coltivavano le erbe medicinali e si scambiavano i segreti del loro uso. Erano esse le levatrici che andavano di casa in casa, di villaggio in villaggio. Per secoli le donne sono state medici senza laurea, escluse dai libri e dalla scienza ufficiale: apprendevano le loro conoscenze reciprocamente, trasmettendosi le loro esperienze da vicina a vicina, da madre a figlia. La gente del popolo le chiamava «le sagge», le autorità streghe o ciarlatane. La medicina è parte della nostra eredità di donne, della nostra storia, è nostro patrimonio. Guardiamo invece la realtà di oggi: la medicina è appannaggio esclusivo di professionisti di sesso maschile. Il 93% dei medici statunitensi sono uomini, come sono uomini quasi tutti i più alti dirigenti e amministratori delle istituzioni sanitarie. Le donne rappresentano ancora la stragrande maggioranza - il 70% del personale sanitatio - ma sono ridotte al ruolo di lavoratrici dipendenti di un'industria i cui capi sono uomini. Non siamo più le praticanti indipendenti, conosciute con il proprio nome e per il nostro lavoro. Siamo, per la maggior parte, semplice manovalanza che svolge lavori anonimi e marginali: impiegate, dietiste, tecniche e inservienti. Se ci viene concesso di partecipare al lavoro medico vero e proprio, lo possiamo fare solo come infermiere. E qualsiasi possa essere il nostro grado, dall'aiuto-infermiera in su, si tratta sempre di un lavoro ancillare - dal latino «ancilla» = serva, subordinata - rispetto a quello dei medici. Dall'aiuto-infermiera, che esegue il suo ruolo passivo da catena di montaggio, fino all'infermiera «diplomata», che trasmette all'inserviente gli ordini del medico, siamo comunque tutte al servizio e alle dipendenze dei professionisti maschi. La nostra subordinazione viene rafforzata dall'ignoranza in cui ci impongono di restare. Alle infermiere si insegna a non fare domande, a non dire mai di no. «E' il medico che sa!». Lui è lo stregone in contatto con l'universo proibito e misticamente complesso della Scienza, che ci hanno detto essere oltre la nostra portata. Le lavoratrici della sanità sono alienate dalla base scientifica del loro lavoro, sono confinate nel ruolo «femminile» di assistenti e casalinghe: una maggioranza passiva e silenziosa. Ci hanno detto che la nostra subordinazione è decisa biologicamente: le donne sono portate per natura ad essere «infermiere» e non «medici». Talvolta cerchiamo persino di consolarci con questa teoria per cui è l'anatomia che ci ha sconfitte prima che gli uomini: siamo così condizionate dai cicli mestruali e dalla funzione riproduttiva da non essere mai state soggetti liberi e creativi al di fuori delle pareti domestiche. Dobbiamo poi confrontarci con un altro mito, confermato dalla storia tradizionalista della medicina: il professionismo maschile ha vinto grazie alla sua superiorità tecnica. Secondo questa visione la scienza (maschile) ha sostituito, più o meno automaticamente, la superstizione (femminile) liquidata come «favole di donnicciole». Ma la storia smentisce queste teorie. Nel passato le donne sono state medici auto-sufficienti, spesso i soli medici che i poveri e le donne stesse abbiano mai avuto. Abbiamo scoperto che, nei periodi presi in esame, erano proprio i «professionisti maschi» che si aggrappavano a dottrine non sperimentate e a pratiche rituali, e che, erano le guaritrici ad avere una visione ed una pratica della medicina molto più umana ed empirica. La nostra posizione attuale nel mondo della medicina non è «naturale». E' una condizione che ha bisogno di essere spiegata. Come siamo arrivate all'attuale ruolo subordinato da quello primario che avevamo un tempo? Abbiamo scoperto questo: la soppressione delle guaritrici e l'emergere del professionismo maschile non sono stati un processo «naturale», dovuto ai mutamenti e ai progressi della scienza medica, né tantomeno il risultato di un fallimento delle donne nel portare avanti il loro lavoro. E' stata invece un'estromissione violenta, messa in atto dagli uomini: le battaglie decisive avvennero molto prima dello sviluppo della moderna tecnologia scientifica. La posta in gioco era alta: il monopolio politico ed economico della medicina, cioè il controllo sulla sua organizzazione istituzionale, sulla teoria e sulla pratica, sui profitti e sul prestigio da essa derivanti. E la posta in gioco è ancora più rilevante oggi che il controllo della medicina significa potere di decidere chi deve vivere e chi deve morire, chi deve essere fertile e chi sterile, chi «matto» e chi sano. La soppressione delle guaritrici è stata una lotta politica. Innanzitutto perché rientra nella storia più generale della lotta fra i sessi: la storia delle guaritrici ha avuto la stessa parabola compiuta dalla posizione sociale delle donne. Esse furono attaccate puntando proprio sul loro essere donne e la loro sconfitta fu una sconfitta per tutte le donne. E' stata poi una lotta politica perché rientra nella lotta di classe. Le guaritrici erano i medici del popolo, la loro scienza era parte della sotto cultura popolare. Fino ai giorni nostri la pratica medica quotidiana di queste donne ha prosperato in mezzo ai movimenti di ribellione delle classi più povere in lotta per rovesciare il sistema. I professionisti maschi invece hanno sempre servito la classe dominante, sia come medici sia politicamente. Dalla loro parte si schierarono le università, le fondazioni filantropiche e la legge. La loro vittoria, più che ai loro sforzi, è dovuta all'intervento diretto della classe dominante, cui servivano. Questo è l'inizio di una ricerca che dobbiamo fare per riappropriarci della nostra storia nella medicina. E' un rapporto frammentario, tratto da fonti appena abbozzate, spesso trascurate. E' scritta da donne che non sono assolutamente storiche «di professione». Ci siamo limitate alla storia occidentale dal momento che le istituzioni con cui ci dobbiamo confrontare oggi sono il prodotto della civiltà occidentale. Non siamo ancora in grado di presentare una storia cronologicamente completa. Abbiamo invece fermato la nostra attenzione su due fasi distinte e importanti della presa del potere maschile nella medicina: la soppressione delle streghe nell'Europa medievale e la nascita della professione medica maschile in America nel XIX secolo.
Conoscere la nostra storia è un modo per riprendere la nostra lotta.
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