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| << | < | > | >> |Indice3 Pesci d'aprile 30 Mattino 38 All'Harry's 49 Al Pastels 66 Al Tunnel 80 In ufficio 85 In palestra 89 Appuntamento galante 103 In tintoria 110 All'Harry's 118 Al Deck Chairs 134 Riunione di lavoro 142 Al videonoleggio e poi da D'Agostino's 146 Dall'estetista 150 Appuntamento con Evelyn 161 Martedí 170 Genesis 176 A pranzo 183 Al concerto 192 Un giovedí pomeriggio 198 Allo Yale Club 208 Uccido un cane 216 Ragazze 228 Shopping 233 Festa di Natale [...] |
| << | < | > | >> |Pagina 3Pesci d'aprileLASCIATE OGNI SPERANZA VOI CH'ENTRATE sta scribacchiato a grandi lettere rosso sangue sul muro della Chemical Bank vicino all'angolo tra l'Undicesima e la Prima e la scritta è tanto grossa da saltare agli occhi dal sedile posteriore del taxi che strattona nel traffico proveniente da Wall Street e proprio mentre Timothy Price nota quelle parole sopraggiunge un autobus e la pubblicità di Les Misérables sulla fiancata va a coprirgli la visuale, ma Price che è alla Pierce & Pierce e ha ventisei anni, non sembra farci caso e dice al tassista che gli darà cinque dollari se alza il volume della radio, c'è Be My Baby sulla WYNN, e il conducente, un nero non americano, esegue. - Sono un tipo pieno di risorse, - sta dicendo Price. - Creativo, giovane, senza scrupoli, supermotivato, superqualificato. In sostanza sto dicendo che questa società non può permettersi di perdermi. Sono una risorsa, io -. Price si calma, e attraverso il sudicio finestrino del taxi continua probabilmente a guardare la parola PAURA tracciata a spray rosso sulla facciata di un McDonald's tra la Quarta e la Settima. - Voglio dire, il fatto è che non gliene frega un cazzo a nessuno del proprio lavoro, tutti odiano il loro lavoro, io odio il mio lavoro, e tu mi hai detto che odi il tuo. Che faccio? Torno a Los Angeles? Non è un'alternativa. Non mi sono mica trasferito dalla UCLA alla Stanford per rassegnarmi a questo. Voglio dire, sono forse il solo a pensare che non stiamo facendo abbastanza soldi? - Come in un film appare un altro autobus, un altro manifesto di Les Misérables sostituisce la parola - non è lo stesso autobus, perché qualcuno ha scritto LESBICA sulla faccia di Eponine. Tim sbotta: - Ho un appartamento, qui, io. E una casa agli Hamptons, Cristo! - È dei tuoi, bello. È dei tuoi. - Gliela sto comprando. Vuoi alzare questo cazzo di volume? - sbraita turbato all'autista, con i Crystals che continuano a strepitare alla radio. - Piú su non va, - dice forse il conducente. Timothy lo ignora e prosegue irritato. - Potrei restare a vivere in questa città solo se installassero dei Blaupunkt sui taxi. Magari modello ODM III o ORC II a sintonizzazione dinamica -. Qui la sua voce si addolcisce. - L'uno o l'altro. Sono strafighi, amico, davvero strafighi. Si sfila dal collo un walkman dall'aria costosa, e si lamenta ancora. - Odio lamentarmi, sul serio, dell'immondizia, della spazzatura, delle malattie, di quanto è lurida questa città, e tu e io sappiamo che in realtà è un porcile... - Seguita a parlare mentre apre la sua nuova valigetta diplomatica Tumi di vitello comprata da D. F. Sanders. Ripone il walkman accanto a un mini cellulare Easa-phone Panasonic (prima aveva un portatile NEC 9000) e tira fuori il giornale. - Un'edizione qualsiasi - dico, un' edizione qualsiasi - e vediamo un po'... modelle strangolate, neonati scaraventati giú dai tetti di case popolari, ragazzini uccisi nella metropolitana, una manifestazione comunista, un boss della mafia accoppato, nazisti... - sfoglia le pagine in preda all'eccitazione - giocatori di baseball con l'AIDS, altre storie di mafia, un ingorgo, senzatetto, maniaci vari, froci che muoiono per strada come mosche, uteri in affitto, la soppressione di una soap opera, ragazzini che hanno fatto irruzione in uno zoo per torturare e bruciare vivi svariati animali, altri nazisti... e la cosa da morir dal ridere è che è tutto qui, tutto in questa città, da nessun'altra parte, che palle, evvai, ecco altri nazisti, un ingorgo, un ingorgo, trafficanti di bambini, mercato nero di bambini, bambini con l'AIDS, bambini tossicodipendenti, una casa che crolla su un bambino, un maniaco bambino, un ingorgo, un ponte crollato... - Tace di colpo, riprende fiato e poi dice con calma, gli occhi fissi su un mendicante all'angolo tra la Seconda e la Quinta: - È il ventiquattresimo che vedo, oggi. Ho tenuto il conto -. Quindi mi domanda, senza voltarsi: - Perché non indossi il blazer blu scuro con i pantaloni grigi? - Price indossa un completo in lana e seta a sei bottoni Ermenegildo Zegna, una camicia di cotone con polsini alla francese Ike Behar, una cravatta di seta Ralph Lauren e scarpe di cuoio con mascherina Fratelli Rossetti. Torna a scrutare il «Post». C'è un articolo abbastanza interessante sulla scomparsa di due persone durante una festa a bordo del panfilo di una semicelebrità newyorkese, mentre la barca girava intorno all'isola. Unici indizi, una scia di sangue e tre calici in frantumi. Si sospetta l'omicidio e la polizia pensa che l'assassino abbia usato un machete per via di certi solchi e intaccature trovati sul ponte. Dei cadaveri non c'è traccia. Nessuno è incriminato. Price ha attaccato la sua solfa oggi a colazione e l'ha di nuovo tirata fuori durante la partita di squash e ha continuato a menarla all'aperitivo da Harry's, scolandosi tre J&B con acqua, per poi passare al ben piú coinvolgente portafoglio Fisher, quello gestito da Paul Owen. E non sta zitto un secondo. - Malattie! - esclama, il volto contratto dal dolore. - Adesso c'è questa teoria secondo cui se puoi beccarti il virus dell'AIDS facendo sesso con qualcuno che è sieropositivo allora puoi beccarti qualsiasi altra cosa, che sia un virus oppure no: l'Alzheimer, la distrofia muscolare, l'emofilia, la leucemia, l'anoressia, il diabete, il cancro, la sclerosi multipla, la cirrosi epatica, la dislessia, Cristosanto - perfino la dislessia ti puoi beccare, dalla fica! - Non ne sono sicuro, bello, ma non credo che la dislessia sia un virus. - Mah, chi lo sa? Loro non lo sanno. Vallo a dimostrare. Fuori dal taxi, sul marciapiede di fronte a un Gray's Papaya, grassi piccioni neri si contendono pezzi di hot dog davanti agli sguardi oziosi di alcuni travestiti e un'auto della polizia procede silenziosa contromano per la via a senso unico e il cielo è basso e grigio e in un taxi bloccato nel traffico di fronte al nostro un sosia di Luis Carruthers fa cenni di saluto a Timothy, e dato che Timothy non ricambia, il tipo - capelli impomatati, bretelle, occhiali dalla montatura in corno - capisce di essersi sbagliato e torna a immergersi nella sua copia di «USA Today». Giú per il marciapiede un'orrenda vecchia barbona impugna una frusta e la fa schioccare all'indirizzo dei piccioni, che però la ignorano, continuando a beccare e a battersi voraci sui resti di hot dog. L'auto della polizia scompare in un parcheggio sotterraneo. - Ma poi, quando ormai sei arrivato al punto in cui la tua reazione nei confronti dei tempi che corrono equivale a una totale e acritica accettazione, e il tuo corpo si è in qualche modo sintonizzato con la follia generale e ti sembra che ogni cosa alla fine abbia un senso, allora ecco che arriva questa cazzo di negra senzatetto fuori di testa che in effetti vuole - stammi a sentire, Bateman - vuole starsene per strada, per questa, queste strade, le vedi, quelle - me le indica - e abbiamo un sindaco che non le darà retta, un sindaco che non permetterà a quella puttana di fare a modo suo, Cristosanto, lasciamo che la cazzo di puttana crepi assiderata, che si dia da sola il colpo di grazia, cazzo, e allora eccoti nuovamente al punto di partenza, confuso, fottuto... E siamo a ventiquattro, no, venticinque... Chi ci sarà da Evelyn? Aspetta, fammi indovinare -. Alza una mano appesa a un'impeccabile manicure. - Ashley, Courtney, Muldwyn, Marina, Charles... Dico bene, finora? Forse qualcuno degli amici «artisti» di Evelyn dell'oh-mio-Dio East Village. Hai presente il tipo, quelli che hanno la faccia di chiedere a Evelyn se ha del buon chardonnay secco bianco... - Si batte una mano sulla fronte, chiude gli occhi e borbotta, a denti stretti: - Me ne vado. Mollo Meredith. Fondamentalmente mi provoca. Fa di tutto per non piacermi. E io la pianto. Perché ci ho messo cosí tanto a capire che ha la personalità di una concorrente di telequiz, cazzo?... Ventisei, ventisette... Voglio dire, gliel'ho spiegato che sono uno sensibile. Gliel'ho detto che l'incidente del Challenger mi ha scioccato... Cos'altro vuole? Sono un moralista, però tollerante, voglio dire sono estremamente soddisfatto della mia vita, ottimista per ciò che riguarda il futuro... Voglio dire, tu no? - Certo, ma... - E in cambio da lei non ottengo che stronzate... Ventotto, ventinove, e che cazzo, è un vero e proprio sciame di barboni. Ti dico... - Si interrompe bruscamente, forse esausto, e distogliendo lo sguardo da un'altra pubblicità di Les Misérables, come se si fosse ricordato di qualcosa di importante, mi chiede: - Hai letto di quel concorrente di telequiz? Quello che ha fatto fuori due ragazzini? Checca depravata. Buffo, davvero buffo -. Price attende una mia reazione. Invano. Ad un tratto, l'Upper West Side. | << | < | > | >> |Pagina 80In ufficioIn ascensore Frederick Dibble mi segnala un articolo nella cronaca mondana riguardante Ivana Trump e poi questo nuovo locale italo-thailandese nell'Upper East Side dov'è andato l'altra sera con Emily Hamilton, e va in delirio per i fusilli shiitake. Io ho tirato fuori la mia stilografica Cross d'oro per annotarmi sull'agenda il nome del ristorante. Dibble indossa un abito a doppio petto gessato a righe sottilissime di lana Canali Milano, una camicia di cotone Bill Blass, una cravatta scozzese di seta Bill Blass Signature, e porta appeso al braccio un impermeabile Missoni Uomo. Ha un taglio di capelli dall'aria costosa, davvero splendido, che ammiro a lungo mentre lui mugola una bizzarra versione di Sympathy for the Devil in sintonia con la filodiffusione che fa da sottofondo musicale a tutti gli ascensori dell'edificio dove si trovano i nostri uffici. Sto per domandare a Dibble se questa mattina ha visto il Patty Winters Show - incentrato sull'Autismo - ma lui si ferma al piano prima del mio e mi ripete il nome del ristorante, «Thaidialano», seguito da un: - Ci si vede, Marcus, - ed esce dall'ascensore. Le porte si richiudono. Io indosso un abito di lana pied-de-poule con pantaloni con pinces Hugo Boss, una cravatta di seta, sempre Hugo Boss, una camicia di cotone a trama larga Joseph Abbound e scarpe Brooks Brothers. Ho passato il filo interdentale con troppa foga, questa mattina, e in fondo alla gola sento ancora il residuo metallico del sangue inghiottito. Subito dopo inoltre ho fatto sciacqui con Listerine e ora ho la bocca in fiamme, tuttavia riesco a sorridere quando esco dall'ascensore, benché al mio piano non ci sia nessuno, facendo oscillare la nuova valigetta diplomatica di pelle nera comprata da Bottega Veneta mentre passo sotto a un Wittenborn. La mia segretaria, Jean, che è innamorata di me e che probabilmente finirò per sposare, siede alla sua scrivania, e questa mattina, per attirare la mia attenzione come fa di solito, indossa qualcosa di incredibilmente costoso e assolutamente inappropriato: un cardigan di cachemire Chanel, un girocollo di cachemire e una sciarpa sempre di cachemire, orecchini di finte perle e pantaloni in crespo di lana comprati da Barney's. Mi sfilo il walkman dal collo e mi avvicino alla sua scrivania. Lei alza gli occhi e sorride timidamente. - Non sei un po' in ritardo? - mi dice. - Lezione di aerobica, - decido di tirarmela. - Scusa. Messaggi? - Ricky Hendricks ha cancellato per oggi, - risponde lei. - Non ha lasciato detto che cosa cancellava o perché. - Ogni tanto tiro di boxe con Ricky all'Harvard Club, - le spiego. - Nessun altro? - E... Spencer vuol vederti per un aperitivo al Fluties Pier 17, - dice lei, sorridendomi. - Quando? - chiedo. - Dopo le sei. - Negativo, - le dico, entrando nel mio ufficio. - Cancella. Lascia la scrivania e mi segue. - Ah. E che cosa devo dirgli? - mi chiede divertita. - Basta... dire... no, - le dico, mentre mi tolgo il cappotto Armani e lo appendo all'attaccapanni Alex Loeb che ho comprato da Bloomingdale's. - Gli dico... semplicemente... di no? - ripete lei. - Hai visto il Patty Winters Show stamattina? - le chiedo. - Sull'autismo? - No -. Mi sorride, affascinata dalla mia dipendenza dal Patty Winters Show. - Com'era? Prendo il Wall Street Journal e scannerizzo la prima pagina - un insieme confuso di caratteri d'inchiostro senza senso. - Penso di avere avuto le allucinazioni, guardandolo. Non lo so. Non ne sono sicuro. Non ricordo, - mormoro, posando il «Journal» e prendendo il «Financial Times»: - Davvero, non saprei -. Lei se ne sta lí in attesa di istruzioni. Sospiro e congiungo le mani, sedendomi sul piano di vetro della scrivania Palazzetti, le lampade alogene su entrambi i lati già accese. - Dunque, Jean, - comincio, - ho bisogno di una prenotazione per tre al Camols oppure al Crayons alle dodici e trenta. D'accordo? - Sissignore, - dice lei in tono scherzoso, voltandosi per andarsene. - Ah, aspetta, - dico, ricordando qualcosa. - E mi serve una prenotazione per due all'Arcadia, stasera alle otto. Si gira, con un'espressione un po' delusa ma ancora sorridente. - Oh, una cena... romantica? - No, sciocchina. Lascia perdere, - le dico. - Ci penserò io. Grazie. - No, ci penso io, - dice. - No. No, - ripeto, facendole segno di uscire. - Sii una fata e portami solo una Perrier, ti spiace? - Hai un aspetto magnifico, oggi, - mi dice prima di andarsene. Ha ragione, ma rimango muto - sto fissando il dipinto di George Stubbs appeso alla parete di fronte e mi chiedo se dovrei spostarlo, dato che è troppo vicino alla radio Aiwa AM/FM stereo e al registratore a doppia cassetta, al giradischi semiautomatico, all'equalizzatore con display grafico, alla coppia di diffusori, tutto in un blu crepuscolo che si intona ai colori dell'ufficio. Lo Stubbs dovrebbe forse essere collocato sopra al dobermann a grandezza naturale nell'angolo (che ho comprato per 700 dollari da Beauty and the Beast alla Trump Tower) o magari, ancora meglio, sopra il tavolino d'antiquariato Pacrizinni accanto al dobermann. Mi alzo e sposto tutte le riviste sportive degli anni Quaranta - mi sono costate trenta dollari l'una - che ho comprato da Funchies, Bunkers, Gaks and Gleeks, quindi stacco lo Stubbs dalla parete e lo appoggio sul tavolino per poi sedermi alla scrivania a giocare con le matite che tengo in un boccale da birra tedesco d'epoca comprato da Man-tiques. Lo Stubbs sta bene in entrambi i posti. La riproduzione di un portaombrelli Black Forest (l'ho pagata 675 dollari da Hubert des Forges) se ne sta in un altro angolo senza, lo noto di sfuggita, alcun ombrello dentro. Inserisco nel mangianastri una cassetta di Paul Butterfield e mi siedo alla scrivania a sfogliare l'ultimo numero di «Sports Illustrated», ma non riesco a concentrarmi. Continuo a pensare a quel cazzo di lettino abbronzante che ha Van Patten e allora alzo il telefono e chiamo Jean. - Sí? - risponde. - Jean. Ascolta, tieni gli occhi aperti per un lettino abbronzante, d'accordo? - Come? - mi domanda incredula, lo so, anche se probabilmente sta sorridendo. - Ma sí. Un lettino abbronzante, - ripeto disinvolto. - Per... abbronzarsi. - Va bene..., - dice esitante. - Niente altro? - E, oh merda, sí. Ricordami che devo restituire le videocassette che ho affittato ieri sera -. Comincio ad aprire e chiudere il portasigari d'argento massiccio che si trova accanto al telefono. - C'è altro? - mi chiede lei, e poi, flirtando: - Ti porto la Perrier? - Sí. Ottima idea. E Jean?? - Sí, - mi dice, e la sua pazienza mi rincuora. - Non pensi che sia pazzo, vero? - le domando. - Voglio dire, per desiderare un lettino abbronzante. C'è una pausa di silenzio, e poi: - Ecco, in effetti è un po' strano, - ammette, e sento che sta scegliendo le parole con estrema attenzione. - Ma è naturale che no. Cioè, altrimenti come potresti mantenere quel tuo colorito diabolico? - Cara ragazza, - le dico prima di riattaccare. Ho una segretaria davvero eccezionale. Cinque minuti dopo entra nel mio ufficio con la Perrier, una fettina di lime e la pratica Ransom, di cui non avevo bisogno, e sono vagamente commosso dalla sua devozione pressoché totale. Non posso non sentirmi lusingato. - Hai un tavolo al Camols alle dodici e trenta, - mi annuncia mentre versa la Perrier in un bicchiere di vetro. - Sezione non fumatori. - Non metterti mai piú quella roba, - le dico, guardandola di sfuggita. - E grazie per la pratica Ransom. - Hmmm... - Esita, nell'atto di darmi la Perrier, e mi dice: - Come? Non ti ho sentito, - prima di posare l'acqua sulla scrivania. - Ho detto, - ripeto con calma, ridacchiando, - non indossare mai piú quella roba. Mettiti un tailleur. Una gonna o qualcosa del genere. Se ne sta lí leggermente stordita, poi guarda ciò che ha indosso e mi sorride come una cretina. - Queste cose non ti piacciono, vedo, - dice umilmente. - Coraggio, - le dico, sorseggiando la mia Perrier. - Sei molto piú carina senza quella roba. - Grazie, Patrick, - mi dice sarcastica, anche se scommetto che domani si metterà un tailleur. Il telefono sulla sua scrivania suona. Le dico che non ci sono. Lei si volta per uscire. - E non dimenticare i tacchi alti, - aggiungo. - Adoro i tacchi alti.
Mentre se ne va scuote la testa di buonumore, chiudendosi alle spalle la
porta. Tiro fuori l'orologio da tasca Panasonic con il teleschermo a colori da
tre pollici e la radio AM/FM incorporata e cerco qualcosa da guardare, magari
Jeopardy!,
prima di tornare al terminale del mio computer.
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