Autore Vittorio Emiliani
Titolo Lo sfascio del belpaese
SottotitoloBeni culturali e paesaggio da Berlusconi a Renzi
EdizioneSolfanelli, Chieti, 2017, Intervento 30 , pag. 196, cop.fle., dim. 12x19,6x1,3 cm , Isbn 978-88-7497-653-9
LettoreGiangiacomo Pisa, 2017
Classe beni comuni , politica , paesi: Italia: 2010 , paesi: Italia: 2000 , paesi: Italia: 1990









 

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Indice


Introduzione                                                          5


I

La tutela viene da Raffaello e dai bandi granducali e pontifici      11
L'irrisolto rapporto funzionale fra Regioni e nuovo Ministero        16
Il pasticciaccio brutto del Titolo V della Costituzione              18

La struttura resiste con finanziamenti e ministri inadeguati,
    crescono i Parchi                                                20
Coi governi Berlusconi tagli continui e misure micidiali             25
Matteoli: via dal vertice dei Parchi esperti e scienziati            27

Silenzio-assenso per vendere pezzi del demanio culturale             32
Con Rutelli nuovo Codice. Ma con Bondi si dimette Settis             36
Lo stanziamento per il 2009 non copre le spese ordinarie             37

È arrivato il manager Resca. Beni culturali come hamburger           41
Così al Ministero della Bellezza festeggiano la donna l'8 marzo 2011 43
Bilancio finale: Bondi ministro latitante, succube di Tremonti       44

Fra villette e capannoni centri storici assediati                    46
Urbanistica, lontano il Pd dalla Sinistra anni Sessanta-Settanta     47
Consulto a Monticchiello. Consumi di suolo alle stelle               50

Al Mibact chi decide? Non c'è catena di comando                      52
Le Direzioni regionali sempre meno sostenibili                       54
Per incassare i Poli museali si danno al "mostrificio"               56

Servizi "grassi" ai privati mentre cresce il precariato              58
Meno risorse, meno tutela, impossibili pure le "urgenze"             61
Pochi i tecnici, non si progetta né si appalta, più residui passivi  64

Pericolose le confusioni fra mecenati vari e sponsor                 65
Senza concorsi, gli addetti invecchiano. Come tanti precari          67
Il Paese del Bel canto è come ammutolito                             70

Capolavori fragili e delicati viaggiano e viaggiano, a rischio       73
Il sonno delle Regioni genera mostri nel paesaggio                   74
O provinciali, è il turismo a "rendere", non i Musei                 76

Con Ornaghi altri tagli ai fondi e nomine tutte sbagliate            78
Il Ministero breve di Bray. Il "testone" burocratico resiste         80
Accoppiamenti pericolosi. Spettacolo e poi Turismo                   83


II

Le norme sui Musei accusate di praticare "bassa macelleria"          87
Da Renzi "guerra" aperta alle odiate Soprintendenze                  90
Passa la linea-Confindustria. Musei? Macchine da soldi               92

Le "riforme" Franceschini/Madia. Il peggio adesso è arrivato         96
Per i 20 Musei di eccellenza promosso un solo "interno"              99
Creati direttori-pendolari per Musei distanti molti Km              103

Madonna Madia semplifica? In realtà complica e paralizza  105
Il Ministero verso l'agenzia turistica.
    E i Soprintendenti? Sottoprefetti                               110
Per l'Arena Colosseo 18 milioni. Per l'Appia soprattutto difficoltà 113

Turismo di massa incanalato su Roma, Firenze e Venezia              119
Identità storica cancellata, scade pure la qualità della vita       121
Le Giunte "rosse" provarono a restaurare per i residenti            124

Nel caos a fondo per primi Archivi e Biblioteche antiche            127
Nozze, brindisi e feste nei musei "di eccellenza", che idea nuova   129
I Parchi italiani senza soldi? Si commercializzino e incassino      133

Nel post terremoto confronto avvilente fra Mibact 1997 e 2016       137
C'è anche chi predica in tv che prevenire con serve a nulla         140
La "riforma" sta paralizzando le Soprintendenze lombarde            142

A Torino retroscena avvilenti. A Ferrara un grottesco trasloco      144
Biblioteca Estense Modena: la direttrice "si diverte"               147
Speculatori contro il Piano toscano.
    Le tavole di Piero sempre in viaggio                            150

L'archeologia della Grande Roma frammentata e burocratizzata        155
In Sardegna "museo a cielo aperto"
    folle separare i Musei dal territorio                           161
Le Puglie tagliate a fette. Campània sempre più infelix             165


CONCLUSIONI                                                         171


Appendice
1975-2017. Vita tribolata di un Ministero                           175

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE                                             181

RINGRAZIAMENTI                                                      187

L'Autore                                                            189


 

 

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Pagina 5

INTRODUZIONE



Una spessa coltre di silenzio, quasi di omertà, è calata sui beni culturali e paesaggistici. Se ne parla soltanto per sottolineare incurie e ritardi burocratici (di una burocrazia indistinta peraltro) o per esaltare acriticamente le "imprese" del ministro Dario Franceschini e del governo di Matteo Renzi che, detestando apertamente le Soprintendenze di ogni genere, le ha promosse portando allo sfascio la rete della tutela. Ho voluto scrivere una sintesi cronistica degli ultimi vent'anni, dal primo governo Berlusconi al governo Renzi — con gli intervalli interessanti ma purtroppo non decisivi dei governi dell'Ulivo — per cercare di sollevare o almeno bucare quella coltre soffocante di conformismo filo-governativo.

Essa non consente ai più di avere notizia della regressione in atto a tempi lontani (persino al Regno di Sardegna, certamente non il più illuminato in tale materia, anzi) con la quale si rottama un sistema di tutela che, pur finanziato in maniera cronicamente inadeguata, ci veniva invidiato e pure copiato all'estero.

[...]


Poiché nulla o quasi traspare di questo autentico disastro sui media nazionali (qualcosa di più sulla stampa estera persino), ho pensato che fosse utile dar conto sinteticamente delle vicende della tutela in Italia. A partire dalla creazione, agli inizi del 1975, del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, così si chiamò, da parte del governo Moro con un decreto legge sotto la spinta di partiti e di forze culturali al tempo attive e partecipi, auspice in particolare il suo primo titolare e cioè Giovanni Spadolini, repubblicano, uomo di vasta cultura storiografica.

Mi auguro che serva a ridare memoria di un passato importante, anche se tormentato, e del lavoro di quanti, all'interno e all'esterno del Ministero stesso, hanno lavorato per l'attuazione dell'articolo 9, «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Una Nazione che oggi sembra aver smarrito il senso della propria storia migliore. Una Repubblica che tutela sempre meno il Belpaese. Un suicidio culturale che avviene in un silenzio presso che generale.

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Pagina 87

II



Le norme sui Musei accusate di praticare "bassa macelleria"


È arrivato con molte ambizioni di cambiamento il governo di un nuovo leader, Matteo Renzi, che da sindaco di Firenze si è già segnalato per sbrigativo decisionismo e per uso commerciale del patrimonio di tutti, a cominciare dall'affitto, neppure a caro prezzo, di tutto Ponte Vecchio una sera per una festa della Ferrari. Inoltre egli detesta i soprintendenti (che chiama sovrintendenti). Lo ha detto e scritto più volte. Assieme al neo-ministro ai Beni Culturali Dario Franceschini farà molto peggio. Non si limiteranno a tagliare fondi, ma pretenderanno di rovesciare integralmente la struttura della tutela anteponendole la "valorizzazione", cioè il profitto.

«Il provvedimento ministeriale Franceschini, pallidamente pubblicato soltanto il 19 settembre 2015, dopo un mese di latitanza inutile ed anticostituzionale, è indecente. Il testo demolisce, per esempio, l'Emilia, la Romagna e le Marche uccidendo le tradizioni storiche e artistiche di due regioni. Che spero protesteranno, se hanno dignità.»

Questi giudizi pesanti come pietre sono stati calati nel dibattito promosso a Bologna per Artefiera del libro. E sono soltanto i primi macigni di una fitta serie dedicati alle misure previste nel decreto del Presidente del Consiglio firmato da Dario Franceschini titolare del Collegio Romano. Parzialmente difeso da qualche docente universitario. Che si sente gratificato dal fatto che il provvedimento governativo selezioni venti musei fra gli oltre 400 ed escluda (così il ministro in varie interviste) che tali "punti di eccellenza" possano essere diretti da storici dell'arte in carriera nelle Soprintendenze. Il provvedimento garantisce che saranno affidati (da chi?) a «persone che vengono da esperienze di gestione di altri musei all'estero o con una professionalità specifica.»

Il peggio sta arrivando, come una slavina. Preceduto da un giudizio pesantissimo del direttore in carica dei Musei Vaticani, l'ex soprintendente e ministro Antonio Paolucci, uomo per solito prudente, che parla di "bassa macelleria", di soprintendenti nominati sempre più dal potere politico e quindi esso proni. E poi spiega ad un intervistatore dell'"Avvenire": «Vede, il ministro Franceschini insiste sulla necessità di portare a reddito il patrimonio culturale, io dico che quel patrimonio prima che a fare quattrini serve a creare i cittadini, a fare degli italiani un popolo con una propria identità e specifiche caratteristiche culturali... Questa è la vera nostra forza. Ma è difficile farlo capire (...) Da noi non esiste la tipologia di grande museo generalista. Da noi il museo è in ogni luogo. L'Italia è un museo diffuso... all'ombra di ogni campanile. È il riflesso della nostra storia fatta di cento capitali. Noi storici dell'arte questo lo sappiamo bene, altri probabilmente non lo sanno.» Parole sagge, del tutto inascoltate.

La cosa più certa, in tanta nebbia istituzionale, rimane la netta scissione operata, sin dal vertice ministeriale, fra Belle Arti, centri storici, paesaggio, territorio da una parte e Musei dall'altra. Una scissione antistorica, disastrosa a partire dai Musei archeologici nati o cresciuti quali musei di scavo o comunque espressione di un'area storica, etno-culturale prevalente. Che fine farà la Soprintendenza speciale per l'archeologia Roma e Ostia? Con o senza Colosseo-Palatino? Prevarrà la logica turistica? Rimarrà la gran pacchia delle società di servizi museali aggiuntivi? Questo macigno che da anni e anni pesa sui maggiori musei non viene spostato di un millimetro.

Si doveva ridurre il testone centrale del Mibact e restituire forza e autonomia alle sue indebolite articolazioni territoriali. Il testone centrale sostanzialmente rimane con 12 direzioni generali più la segreteria centrale e le segreterie regionali. Che prendono il posto delle direzioni generali regionali cambiando di nome e però mantenendo molte delle pesanti e criticate competenze sopra la testa (o le spalle) delle Soprintendenze. Queste ultime vengono accorpate: quelle ai Beni storici e artistici (fra le più "antiche"), di nuovo chiamate "Belle Arti", ai Beni architettonici e paesaggistici, creando infiniti problemi per archivi, uffici, gabinetti fotografici e altro ancora. Modello che contraddice in modo frontale quello saggiamente adottato da personaggi che si chiamavano, agli inizi del Novecento, Corrado Ricci e Giovanni Rosadi (giganti rispetto ai troppi nani in circolazione) i quali avevano definito o concorso a definire per aree storiche i confini delle varie Soprintendenze. E prima di loro, alla fine dell'Ottocento, ci aveva lavorato un altro grande, Pasquale Villari.

Non basta. Nascono infatti i Poli Museali Regionali "articolazioni periferiche della Direzione Generale Musei". Quindi nelle regioni si avranno due linee di comando riferite a due distinte direzioni generali: una per i beni storici e artistici che non stanno nei Musei statali, ma nei musei locali, laici ed ecclesiastici, in chiese, conventi, palazzi nobiliari e vescovili e un'altra per i beni facenti parte del circuito museale statale. Alla faccia della semplificazione. Ma poi chi coordina segretari regionali e direttori dei Poli Museali essi pure regionali? E pensare che i Poli Museali esistenti in talune città erano stati criticati a fondo perché, a Roma per esempio, erano serviti soprattutto a sottrarre fondi ai singoli grandi musei, per organizzare mostre su mostre (spesso di livello mediocre).

È il "nuovismo" renziano che passa in un provinciale trionfo e che in realtà tende — prima con lo Sblocca Italia e col Dpcm Franceschini, in seguito con la legge urbanistica Lupi (per fortuna scongiurata) — a ridurre i poteri e quindi i controlli, insomma la tutela prevista dall'articolo 9 della Costituzione, e realizzati sin qui dal Ministero per i Beni e le Attività culturali attraverso le Soprintendenze territoriali. Le quali hanno due torti fondamentali: a) essere state istituite "nell'Ottocento" (errore storico marchiano, furono create nel 1907, in pieno riformismo giolittiano) ed è noto che per Renzi ogni cosa del passato è vecchiume da rottamare, la storia in primo luogo; b) rappresentare organismi tecnico-scientifici "monocratici", i quali decidono cioè in base a metodi non politici e pertanto risultano politicamente incontrollabili. Il che andava male per Berlusconi, ma ancora peggio — sono parole sue va per Matteo Renzi. Il quale nemmeno immagina che l'idea di tutela e di Soprintendenza rimonta in realtà a Raffaello nominato nel 1515 da Leone X "praefectus" alle antichità.

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Pagina 90

Da Renzi "guerra" aperta alle odiate Soprintendenze


Ormai la "guerra" alla tutela dei beni culturali e paesaggistici, ai controlli e alle prescrizioni tecnico-scientifiche liquidate come ostacoli burocratici allo sviluppo "moderno" è dichiarata. Una "guerra" che invero Matteo Renzi conduce in prima persona da anni, da quando era sindaco di Firenze. Linea-guida fondamentale: «Sovrintendente (sic) è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che?» A parte la folgorante battuta finale, Renzi commette un errore: non sa nemmeno che nei teatri lirici maggiori esiste il sovrintendente e nei beni culturali invece il soprintendente.

Siamo nel 2011, e il "vangelo secondo Matteo Renzi" si intitola, nientemeno, "Stil novo". Il sindaco di Firenze si è scontrato con la comunità scientifica internazionale e con le Soprintendenze fiorentine perché ha avuto alcuni accessi di "entusiasmo e fantasia", come affittare per tutta una sera alla Ferrari il Ponte Vecchio per cavarci soldi (pochi), come pretendere di rifare la facciata, "incompiuta" da secoli, di San Lorenzo, come togliere l'affresco del Vasari nel Salone dei Cinquecento per ritrovarvi sotto la "Battaglia di Anghiari" di Leonardo in realtà persa per sempre. «Non mi fermo — promise allora il sindaco volitivo — riprenderemo anche quello.» Si dovrà invece fermare e non lo perdonerà mai. Gli è venuto in soccorso il ministro autore dei tagli più feroci al Mibact, Sandro Bondi, il quale accusa i soprintendenti di «imporre decisioni spesso frutto della propria sensibilità culturale o peggio politica.» Marchiati a fuoco.

Scatta la "guerra" renziana fra "facce nuove" e "vecchie zie" (non quelle di Leo Longanesi che invece salvavano il Paese). Dalla direttrice della sezione moderna di Palazzo Pitti, Annamaria Giusti, si prende l'etichetta profetica di "allievo diligente del berlusconismo". In questo periodo Renzi dichiara: «Gli Uffizi sono potenzialmente una gran macchina da soldi.» Ignora che anche i più grandi Musei, come Louvre e Metropolitan, coprono sì e no con le entrate proprie il 50% dei costi, e che i grandi musei londinesi sono gratuiti. I soldi si fanno col turismo (se lo si sa organizzare), non coi musei. Più tardi un suo fido, il sottosegretario Davide Faraone distinguerà genialmente fra musei produttivi e musei "improduttivi". Quelli più piccoli. E il contesto? Roba da "vecchie zie". Come del resto la cultura in sé.

Matteo Renzi mette a fuoco i suoi bersagli: le soprintendenze «sono un potere monocratico che non risponde a nessuno ma che passa sopra a chi è eletto.» Come se un restauro o una operazione chirurgica dovessero essere decisi a maggioranza... Lo ha già teorizzato, molto interessatamente, Silvio Berlusconi a proposito dei magistrati. Chi è stato eletto non deve avere inciampi né controlli di sorta. «La cultura — chiarisce Renzi — non può reggersi su un sistema organizzativo dell'Ottocento e non possono essere le Soprintendenze al centro di tutto ciò.» Gli verrà in soccorso un giornalista importante, Giovanni Valentini, il quale sulla "Repubblica" del 9 marzo 2014, scrive che, magari con le migliori intenzioni, «la burocrazia delle soprintendenze artistiche e archeologiche imbriglia il recupero e la valorizzazione del nostro patrimonio culturale, contribuendo a congelare la modernizzazione, a paralizzare l'assetto urbanistico delle città», ecc. Insomma a "incatenare" il Paese, come più sbrigativamente afferma Renzi. Poiché questa è la situazione, secondo Renzi/Valentini, «se è vero che con la cultura si mangia, allora bisogna far entrare i privati nel patrimonio culturale.» Adesso abbiamo capito.

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Passa la linea-Confindustria. Musei? Macchine da soldi


I privati, ecco un altro cardine del Renzi-pensiero: i Musei sono potenziali "macchine da soldi", bisogna puntare sulla "valorizzazione" del patrimonio e per fare questo ci vogliono meno tecnici nei Beni culturali, meno soprintendenti o direttori ministeriali e più manager, più "valorizzatori", più privati. Il ministro Dario Franceschini non ha dubbi di sorta. Un piano che combacia con quello di Confindustria che, per bocca della responsabile culturale, Patrizia Asproni, energica manager toscana, anche lei, propone da tempo di passare "i beni culturali al Ministero dell'Economia" e a Torino quale presidente di Torino Musei applica più che può quella sua convinzione chiudendo biblioteche "dove vanno in pochi" o rifiutando, di fatto, la donazione di biblioteche specializzate quale quella dello storico dell'arte Enrico Castelnuovo perché tanto "non c'è posto". Tout court. Andiamo avanti. «Mai più cantieri fermi per ritrovamenti archeologici. È il colmo.» Lo proclama Renzi il 14 agosto 2014. «Paradossale lo stop ai lavori, in tutto il mondo le risultanze degli scavi archeologici permettono ai passeggeri delle metropolitane di godere di cose che altrimenti non avrebbero mai potuto vedere.» Francamente non si capisce né come né dove ciò sia accaduto o possa accadere.

Sembra di capire che per Renzi l'archeologia debba essere comunque sottomessa alla politica dei trasporti. Intanto nella Regione a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia retta dalla fidatissima Debora Serracchiani una intesa col Ministero franceschiniano abolisce i pareri vincolanti delle Soprintendenze su attività e strutture temporanee (tendoni, tende, padiglioni, dehors, ecc.) allestite in zone monumentali. Siamo nel giugno 2014.

È solo un debutto. In novembre viene convertito in legge il decreto Sblocca Italia (quasi una fotocopia delle leggi Lunardi, definite "criminogene" da Raffaele Cantone presidente dell'Anti-corruzione) col quale si introduce il silenzio/assenso per le pratiche edilizie e per i grandi lavori se entro 60 giorni le Soprintendenze ai Beni architettonici e paesaggistici non avranno espresso il loro parere. Poiché in tali organismi, allo stremo per mancanza di personale, ogni tecnico dovrebbe "lavorare", minimo minimo, 4-5 pratiche al giorno oltre che compiere controlli sui cantieri, esprimere pareri, rispondere ai cittadini, è chiaro che il silenzio è scontato e quindi l'assenso. Con somma gioia di lottizzatori, costruttori/immobiliaristi, speculatori. Poiché il silenzio/assenso è assicurato, tanto vale presentare i progetti più infami e professionalmente più scadenti.

Tanto per non sbagliare, il silenzio/assenso verrà ribadito nella molto contestata "riforma" della Pubblica Amministrazione predisposta poi con legge delega dai paletti debolissimi dalla ministra Marianna Madia. In essa si dice (par di sognare) che verrà introdotto un altro siluro contro le odiate Soprintendenze: esse dovranno essere, alla fine, accorpate alle Prefetture e sottomesse alle medesime. Passeranno come organi di polizia e di pubblica sicurezza al Ministero dell'Interno? Ancora non è chiaro. Lo stabiliranno i decreti attuativi, fortunatamente in grande ritardo anche perché la Consulta ha dichiarato incostituzionali parti della stessa legge Madia. È chiarissimo da subito che i poteri delle Soprintendenze vengono nettamente ridimensionati e con essi la tutela dei beni culturali e ambientali. Viva la "modernità" cementizia che avanza.

L'ultimo (per ora) colpo assestato al sistema "ottocentesco" (in realtà rimonta a Leone X e a Raffaello, ai Granduchi di Toscana e a Pio VII, ad Antonio Canova, suo consigliere e Soprintendente alle Antichità, amico di Quatremère de Quincy, ma per fortuna Renzi non lo sa) delle Soprintendenze e al Ministero voluto dal fiorentino di città Giovanni Spadolini è costituita dalle nomine alla guida dei 20 Musei "di eccellenza". Tutti i candidati di provenienza ministeriale sono stati bocciati (tranne uno appena, Anna Coliva direttrice della Galleria Borghese), sicuramente tutti gli archeologi. Su 20, soltanto 7 sono italiani e altri 13 stranieri. Hanno forse partecipato alla selezioni i direttori di grandi musei stranieri? Non risulta. Oppure dei grandi manager? Neppure quelli.

Fra gli italiani promossi ci sono alcuni validi specialisti. Tuttavia al formidabile Museo Archeologico di Napoli, greco-romano, è andato Francesco Giulierini il direttore comunale del Museo Etrusco di Cortona coautore di una guida a quel museo e di pubblicazioni varie sul vino, il cibo, le medicine degli Etruschi, bibliografia proprio modestina.

Alla mirabile e complessa Versailles italiana di Caserta Mauro Felicori, per decenni al Comune di Bologna, un esperto di marketing con all'attivo due libri sui cimiteri, al più splendido Museo della Magna Grecia, a Taranto, va una studiosa di archeologia medioevale, Eva Degli Innocenti, project manager del Museo del Medio Evo a Parigi (dove il Medio Evo, dopo le demolizioni ottocentesche, è soprattutto sottoterra o nei dipinti del Museo Carnavalet, se ben ricordo).

Alla richiesta pressante di rendere pubbliche le terne finali della selezione si risponde che non è possibile. I curriculum però la dicono già lunga tanto modesti o inappropriati risultano. Evidentemente si è voluto ribadire che l'intero corpo dei Beni Culturali è composto da burocrati non all'altezza, anche quello scaturito a suo tempo da concorsi di alto livello. Chi viene dalle Soprintendenze, per bravo e qualificato che sia, porta quel marchio originario di "infamia" e quindi va ricacciato nella sua tana burosaurica. «Sovrintendente, ma de che?» disse Renzi dettando la linea anni fa.

Ha ragione un grande studioso e docente di archeologia, Fausto Zevi, il cui curriculum peraltro è macchiato (lui e sua moglie Anna Gallina) dal fatto di essere stato anche ottimo soprintendente, a Roma e a Napoli: per questa via — Sblocca-Italia, leggi Madia, nomine nei musei di eccellenza — "decapitano il Ministero e la tutela". È una spaventosa regressione rispetto alle leggi granducali, pontificie, giólittiane, bottaiane, spadoliniane. Si torna al liberismo selvaggio, alla barbarie sottoculturale. In un Belpaese ridotto spesso a Malpaese, sfregiato, manomesso, deturpato, ferito. Meno tutele, meno controlli, meno correzioni o modifiche "competenti" gli faranno un gran bene. Finalmente ci si libera dell'articolo 9 della Costituzione e del concetto di "interesse generale".

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Pagina 127

Nel caos a fondo per primi Archivi e Biblioteche antiche


Agli Archivi di Stato, che già sono considerati con le Biblioteche un autentico polveroso fardello, quindi la Cenerentola del Mibact, sono stati inferti altri danni. In particolare all'Archivio Centrale dello Stato che l'indimenticato direttore Mario Serio aveva portato a livelli di efficienza rari nel grande fabbricato dell'Eur destinato, se ben ricordo, al Ministero e al Museo fascista della Guerra. Cosa succede ora? Il Segretariato generale del Mibact ha deciso di spostare colà il Museo Nazionale di Arte Orientale (sinora situato nel palazzo Brancaccio, in via Merulana) nella sede dell'Archivio Centrale dello Stato, sgomberando il primo piano del deposito laterale dell'Archivio stesso. Pur sapendo benissimo (se non lo sanno, è di una gravità assoluta) che i suoi depositi sono da tempo strapieni tant'è che uno spazio supplementare è stato affittato a Pomezia in un magazzino... industriale, senza una sala di studio e neppure uno spazio dove gli archivisti possano lavorare per riordinare le carte. Ma pure quel magazzino di Pomezia è saturo. Oltre che costoso.

Adesso si tratta di far posto ai 23 km circa di documenti sin qui conservati negli spazi dell'Eur che vengono ceduti al Museo Nazionale delle Arti Orientali. Finiranno in qualche altro deposito decentrato quei 23 chilometri? Il 16 novembre 2015, il Consiglio superiore per i beni paesaggistici ha approvato una mozione in cui ha espresso "viva preoccupazione" per la situazione in cui versano gli Archivi di Stato ed ha raccomandato che gli stessi siano dotati di ulteriori locali di deposito, per poter riceve i versamenti di documentazione che ora sono bloccati per mancanza di spazio. La Corte d'Appello di Roma vorrebbe riversare all'Archivio di Stato di Roma gli atti della Corte d'assise per gli anni Settanta e Ottanta, cioè su terrorismo, delitto Moro, attentato al papa e altre cosucce, ma tutto è bloccato perché non c'è già più posto.

Eppure l'Agenzia del Demanio ha definito "operazione attendibile" questo trasloco del prezioso Museo Nazionale di Arte Orientale intitolato a Giuseppe Tucci. "Attendibile", per chi? Non si sa visto che negli spazi di Palazzo Brancaccio dispone di oltre 4.800 metri quadrati e che gli stessi sono stati donati al Campidoglio dalla principessa Fernanda Brancaccio deceduta a 107 anni per farne una Fondazione (nel 2014 presieduta dall'allora sindaco Ignazio Marino). Un accordo — risolta la questione del testamento impugnato dal principe Ferdinando Massimo — dovrebbe essere possibile tra Stato e Fondazione. Tanto più che negli ultimi venticinque anni il Ministero vi ha speso circa 2 milioni di euro per attrezzare i locali di deposito di ben 30.000 pezzi di pregio, ruotati in mostre ed esposizioni permanenti.

Del resto, il dramma è nazionale: meno del 35% delle sedi di Archivi di Stato e Soprintendenze sono demaniali, le restanti sedi risultano in locazione e i canoni d'affitto ammontano complessivamente a più di 22,5 milioni di euro, pari ad oltre i 4/5 del bilancio dell'Amministrazione archivistica. Una follia pura coi tanti edifici demaniali vuoti o sottoutilizzati esistenti. E vogliamo ripetere qual è la situazione del personale archivistico che oggi dovrebbe poter digitalizzare e rendere fruibili telematicamente un numero grandissimo di documenti? Il numero complessivo degli addetti è crollato dagli 830 del 1998 agli attuali 621 (-25,4%, un quarto, spariti). Nessuno di quelli in ruolo ha meno di 37 anni, mentre il 66% dei funzionari archivisti conta più di 60 anni. Vuol dire che, con questo trend, fra non molto gli archivi dello Stato chiuderanno i battenti per mancanza di personale qualificato. E di tutto il resto. Tranne il patrimonio di secoli di storia. Chiuso chissà dove e infrequentabile. Purtroppo sono fatti tragicamente reali. Ma su giornali e telegiornali non fanno notizia. Bisogna essere tutti ottimisti, proiettati nel futuro. Il passato ai Gufi.

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