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| << | < | > | >> |Pagina 13"Amor Omnia Vincit" – l'amore vince tutto – aveva scritto sulla copertina della cartelletta marrone, quella che contiene i tre quaderni; sopra, a lettere più grandi, in stampatello, c'era il titolo, LIBRO DELLE DOMANDE. Come se si dovessero testare due atteggiamenti: quello sopra energico, ottimista e del tutto neutrale, quello sotto fragile, cauto, quasi supplichevole. Come se avesse voluto dire: ecco il punto di partenza, può essere vero, ah, se solo fosse vero. L'amore vince tutto. Si sa che non è così, ma comunque. Fa un po' male al cuore leggerlo, ah, se solo fosse vero, se solo fosse vero. Il tono artificiosamente obiettivo e corretto, finché si spezza. Un quaderno giallo, uno nero – incompleto o censurato – e uno rosso. Insieme un Libro delle Domande, che parla di Blanche e Marie. Nient'altro. Bisogna accettarlo.
L'amore vince tutto, come ipotesi di lavoro, o punto dolente più profondo.
Due anni dopo aver ricevuto il secondo premio Nobel, quello per la chimica del 1911, mentre il suo amante Paul Langevin si riconciliava con la moglie Jeanne e avviava con il suo benestare una relazione sessuale più o meno permanente con la segretaria, Marie Sklodowska Curie fu colpita da un lutto non inaspettato ma pur sempre doloroso, quando una mattina l'amica Blanche Wittinan fu trovata morta nel suo appartamento di Parigi. Aveva cercato di scendere dal letto per trascinarsi fino alla sua cassetta di legno a rotelle. Non c'era riuscita. Ed era morta. La causa della morte non fu mai stabilita, ma quelli che andarono a prendere la salma notarono sia la sua statura ridotta, sia che Marie Sklodowska Curie aveva insistito per deporre di persona il torso amputato nella bara. Poi, come ultimo addio, era rimasta seduta su una sedia accanto alla morta con una mano sul coperchio della cassa, costringendo i portantini ad aspettare un'ora nella stanza accanto. Non aveva voluto spiegare il suo gesto, si era limitata a mormorare resterò sempre al tuo fianco. Alla fine il feretro era stato portato via. Nell'unico necrologio apparso, la morta veniva indicata come un "fenomeno leggendario", e si faceva cenno al suo ruolo di medium del professor J.M. Charcot. Lasciò tre quaderni di appunti, di cui si venne a conoscenza solo intorno alla fine degli anni Trenta, e che non furono mai resi pubblici per intero. Marie Curie non la nomina mai nelle sue memorie, come molte altre cose.
Non la biasimo.
Chissà, del resto, se la stessa Blanche Wittman avrebbe voluto essere nominata. Se dopo la morte ebbe comunque una certa fama, guadagnandosi un trafiletto nella storia della medicina, non fu mai in relazione a Marie Curie, ma sempre come "medium di Charcot". Un laconico paragrafo dice che terminò la sua vita come "martire" e "vittima" della ricerca sul radio. Dopo la morte di Charcot e nel conseguente caos riguardo l'orientamento scientifico delle cure prodigate alla Salpêtrière, aveva lavorato per due anni nel reparto di radiologia dell'ospedale, come assistente. Poi era arrivata al laboratorio di Marie Curie, dove qualche anno più tardi avvenne la scoperta del radio. Chi era in grado di distinguere la radiazione mortale dei raggi X da quella altrettanto mortale del radio? L'una subentrava all'altra. Risultato finale: martire e torso. Eppure dopo la morte di Charcot nel 1893, un silenzio quasi totale. Negli ultimi anni della sua vita, Blanche Wittman aveva avuto l'intenzione di scrivere un libro sull'amore. Di questo non una parola nel suo breve necrologio. Solo "è morta priva di braccia e di gambe" – affermazione non del tutto corretta, le restava un braccio, il destro, con cui scrisse fino alla fine. Il libro rimase incompiuto. Oggi restano solo tre quaderni in formato 30 x 22, di quaranta pagine ciascuno, raccolti in una cartelletta marrone, un Libro delle Domande, come lo chiamava lei. Il primo quaderno è intitolato "Il libro giallo", il secondo "Il libro nero" e il terzo "Il libro rosso". Niente colori sulle copertine. Con quel libro tripartito avrebbe voluto raccontare una storia sulla natura dell'amore. Compito impossibile, ovviamente. Ne risultò una storia su Blanche e Marie. Di quante vite si può dire lo stesso? Tutte hanno una storia, ma poche vengono scritte. | << | < | > | >> |Pagina 17Si chiamava Blanche Wittman, alla sua morte misurava un metro e due centimetri e pesava quarantadue chili.Era diventata una specie di torso, ma aveva conservato la testa. La gamba sinistra le era stata amputata sotto il ginocchio, quella destra all'altezza dell'anca e il braccio sinistro per intero. È per questo che la sua statura fu definita ridotta. Per il resto non c'era niente di anormale in lei. In precedenza, prima delle amputazioni, era stata descritta come molto bella da tutti quelli che l'avevano vista. Per una serie di motivi fu osservata da molti, tra cui vari in grado di descrivere, ovvero scrittori. Da un punto di vista oggettivo esiste un'unica sua fotografia, e un certo numero di disegni. Oltre al famoso quadro in cui è vista di sbieco da un lato. Ma è bella. È morta felice. Lo dichiara nell'ultimo dei suoi quaderni, il Libro Rosso. La sua statura insolitamente piccola non era dunque così dalla nascita. Dopo un ricovero di sedici anni – dal 1878 al 1893 – alla Salpêtrière di Parigi con una diagnosi di isteria, improvvisamente era guarita. A quell'epoca l'isteria era una malattia femminile diffusa, una malattia comune che proprio allora aveva colpito quasi diecimila donne, ma smise di esserlo dopo la morte del professor Charcot. Scomparve letteralmente. O prese altri nomi. Dopo gli anni al dipartimento di ricerca di Charcot alla Salpêtrière, aveva lavorato nel reparto di radiologia dello stesso ospedale, non più come ricoverata, dunque, e nel 1897 era stata assunta dalla fisica polacca Marie Sklodowska Curie come assistente di laboratorio. L'epoca di degenza per isteria alla Salpêtrière, Blanche la descrive come felice, poi segui un periodo di infelicità. Dopo vengono gli anni di assistente di laboratorio di madame Curie, che furono di nuovo felici dall'inizio alla fine, forse con qualche intervallo dovuto alle ripetute amputazioni. Non si lamenta mai di essere stata mutilata. Nel Libro delle Domande vuole raccontare la sua storia, tirare le somme e confrontare la sua esperienza degli esperimenti sull'isteria alla Salpêtrière con quelli fisici eseguiti sotto la guida di Marie Curie, per creare in questo modo un immagine curativa della natura dell'amore, che paragonava a quella delle radiazioni e dell'isteria. Curativa?
Nella prima parte del
Libro delle Domande,
a lungo nient'altro che concretezza e felicità.
I fatti riguardo le amputazioni di Blanche Wittman sono i seguenti. Non hanno niente a che vedere con i suoi tentativi di spiegare la natura dell'amore. Il 17 febbraio 1898 nel laboratorio di Marie Curie a Parigi venne esaminata per la prima volta l'attività radioattiva di un minerale nero e simile alla pece chiamato pechblenda, lavorato e "bollito" nel laboratorio stesso; veniva estratto nella regione di Joachimstal, al confine tra la Cecoslovacchia e la futura, e ormai scomparsa, Repubblica Democratica Tedesca. Da parecchi secoli la pechblenda veniva utilizzata come additivo nella smaltatura delle ceramiche per ottenere colorazioni interessanti da un punto di vista artistico. Era anche un componente importante per la produzione dei famosi cristalli di Boemia: conteneva uranio, un elemento fondamentale per l'industria del vetro. Per compiere gli esperimenti con la pechblenda ed estrarne certi composti di uranio, ne erano necessarie grandi quantità, parecchie tonnellate. Era un lavoro sporco e faticoso, che veniva svolto in una rimessa abbandonata accanto al laboratorio di Marie e Pierre Curie a Parigi. È lì che fu assunta Blanche Wittman. Quel giorno, il 17 febbraio 1898 – data di decisa rilevanza nella storia della fisica – Marie condusse i primi esperimenti riusciti con la pechblenda, constatando che si produceva una forte radiazione, strana e fino ad allora sconosciuta. Era già stato appurato che il torio, l'elemento metallico scoperto dallo svedese Jöns Jacob Berzelius nel 1829, possedeva una capacità di radiazione più intensa dell'uranio; ora si era scoperto che la pechblenda emetteva una radiazione ancora più potente. Anche più potente di quella dell'uranio puro. Restava da chiarire cosa fosse davvero quella "radiazione", e da dove venisse. Marie Curie intuì che la pechblenda doveva contenere un elemento particolare, ancora sconosciuto, e con proprietà sconosciute. Fu in quel piccolo laboratorio che avvenne la scoperta. | << | < | > | >> |Pagina 24Col tempo la ricerca sull'uranio e sul radio è diventata tutt'altra cosa. Ma quella fu una rivoluzione, la breccia di una galassia (!)– o forse un attacco alla razionalità dell'Illuminismo.Non si capiva cosa fosse. Quei raggi riuscivano ad attraversare schermi compatti ma venivano fermati dal piombo! Si sapeva già che erano in grado di colorare il vetro, dopo tutto erano secoli! secoli! che la pechblenda colorava gli splendidi cristalli di Boemia! e ora si manifestava una luminescenza azzurrognola che non si poteva spiegare razionalmente. Le domande erano molte. Si era in presenza di un nuovo elemento? Era comunque in grado di indurre la radioattività in altre sostanze; Blanche, scrive, era stata con Marie nel laboratorio giorno dopo giorno. Aveva seguito le sue misurazioni minuto per minuto e aveva visto un sorriso quasi ultraterreno trasfigurarle il viso: in quel momento capii che la radioattività aveva impregnato l'intera stanza. È così che riassume. Tre anni di lavoro con la pechblenda, quello sporco cumulo di detriti di parecchie tonnellate, descritto come un'opera d'arte metafisica di un pomeriggio a Parigi.
Circonfusa dalla bellezza del nuovo elemento,
aveva così varcato, con l'amica Marie, la soglia del
secolo della modernità.
Marie Curie, o "Maria" come a volte la chiama Blanche nel Libro delle Domande, un giorno le aveva preso la mano ed era rimasta ferma in mezzo alla stanza a parlarle, o a parlare a se stessa. Non capisco, aveva detto, non capisco l'imprevedibilità di questa radiazione, compare spontaneamente, come se fossi davanti alla superficie del mare e vedessi qualcosa cominciare a muoversi, a crescere, come se il mare fosse un essere vivente, un mostro marino, o un fiore, e vedessi le foglie allungarsi vesso di me, e questa radioattività sembra infrangere la prima legge della termodinamica; qual è l'origine, la fonte primordiale, di questa energia? L'apparizione spontanea della radiazione, aveva detto a Blanche, la sua assistente così bella e non ancora mutilata, il cui passato e la carriera di medium alla Salpêtrière l'avevano da subito affascinata, è un enigma profondamente sconcertante. Come l'amore, aveva soggiunto Blanche. Marie si era voltata a guardarla con un sorriso interrogativo, che si era spento di colpo, come se fosse stata per un attimo turbata da quella strana immagine, e avesse poi voluto esprimere la sua disapprovazione. Forse perché come scienziata rifuggiva dalle metafore poetiche, scrive Blanche, e non era ancora pronta a entrare nel mondo sfibrante e lacerante dell'arte. È così che si parlavano, è così che i frammenti di quelle conversazioni si rispecchiano nel Libro delle Domande. Questo era prima che Blanche Wittuian iniziasse il suo progetto fallito di dare una spiegazione scientifica e insieme sensuale della natura intrinseca dell'amore. È così che pensava e rifletteva all'epoca Marie Curie, prima che una nuova consapevolezza le venisse data, ben più tardi, da Blanche e dal suo Libro delle Domande. Consapevolezza da cui era catturata anche attraverso il suo interesse per la relazione di Blanche Witttnan con il professor Charcot, il presunto omicidio di quest'ultimo da parte dell'amica, e il tentativo di arrivare a un amore che non portasse alla morte e alla distruzione. L'amore vince tutto. | << | < | > | >> |Pagina 29È doloroso alzarsi sulle proprie gambe e camminare. Una volta Charcot l'aveva fatta esibire davanti a herr Strindberg. È l'unico collegamento svedese che sono riuscito a trovare con Blanche e Charcot. Gli esperimenti sull'isteria alla Salpêtrière erano aperti al pubblico, anche se in un primo momento per "pubblico" s'intendeva semplicemente un gruppo accuratamente selezionato di interessati alla scienza. Poi diventò sempre più numeroso. Alla fine si arrivò alle rappresentazioni nell'Anfiteatro. L'oggetto dell'osservazione scientifica non era una donna in particolare, ma la Donna, e la sua natura. Tra gli intellettuali di Parigi si era sparsa la voce di quelle ricerche, secondo la quale – siamo nell'autunno del 1886 – si stavano effettuando esperimenti che dimostravano che la donna "doveva essere considerata in una certa misura come una macchina, e che si potevano provocare precise emozioni attraverso stimoli meccanici. Esercitando una pressione su alcuni punti ingegnosamente determinati, si creava una reazione emotiva indotta. Queste emozioni potevano non solo essere provocate ma anche revocate, così che gli attacchi isterici e convulsivi dimostravano che era possibile comprendere la donna proprio attraverso la sua fuga nell'isteria e la sua uscita scientificamente controllata dall'attacco." Per la prima volta si offriva la possibilità di mappare il continente oscuro e sconosciuto della donna, allo stesso modo in cui certi esploratori, come Stanley!, avevano mappato zone dell'Africa. Limmagine dell'esploratore torna in continuazione. Si era quindi sparsa la voce, in parte intensificata dal fatto che quelle donne nel loro stato isterico esibivano la loro nudità, ma che questa era scientificamente motivata e non aveva niente di osceno. Così si era risvegliato anche l'interesse generale. La voce in un certo senso era falsa. Charcot, facevano presente i suoi seguaci, non pensava affatto che la donna fosse semplicemente una macchina dotata di punti di pressione, ma che l'interiorità dell'essere umano poteva essere esplorata! per mezzo di un'osservazione meccanica! come una discesa nell'Hekla! un tunnel verso il centro della terra! come aveva dimostrato il celebre scienziato Jules Verne! O forse era uno scrittore. Ma perché quei rigidi confini tra arte e scienza! Il centro della terra assomigliava a quello dell'essere umano! Tutto qui.
Quegli esperimenti non erano che la prima tappa di una spedizione più lunga
e pericolosa verso l'oscuro enigma che è il centro dell'uomo.
Il professor Charcot non era un ingenuo. Sapeva di essere sotto osservazione. Illuministi del suo stampo non possono permettersi l'ingenuità. Gli esperimenti erano pubblici fino a un certo punto. Blanche era stata informata che herr Strindberg, personaggio chiacchierato ma interessante, avrebbe assistito alla seduta, e aveva anche notato la sua presenza. Era seduto piuttosto in fondo e aveva l'aria tesa e indisponente. L'aveva ignorato. Dopo la rappresentazione lo scrittore non l'aveva avvicinata per ringraziarla, o per scambiare due parole. Perciò l'aveva quasi dimenticato, finché qualcuno non le aveva raccontato che l'esperimento, e lei stessa, l'avevano colpito tanto da tingere, o addirittura impregnare, due suoi drammi. Uno era Delitto e delitto, l'altro Inferno. No. Aveva dimenticato i titoli. Sigmund, l'assistente di Charcot, che era tedesco o austriaco, si era particolarmente entusiasmato perché considerava lo svedese un grande autore, quasi come Ibsen, il numero due tra gli scandinavi. Come Ibsen, Strindberg aveva studiato a fondo la natura della donna, e dell'amore. L'assistente tedesco, o austriaco, aveva tuttavia fatto notare a Blanche che Ibsen aveva sempre considerato l'amore come un gioco di potere, il che lo rendeva un bravo artista ma in fondo poco interessante, da mettere piuttosto tra gli scrittori politici. Herr Strindberg, invece, che era palesemente instabile sotto vari aspetti, scriveva spesso battute più interessanti del norvegese sull'argomento. Perché, aveva chiesto Blanche.
Perché ha paura della donna, e perché è convinto che sia una terra
inesplorata dove bisogna cercare il punto oscuro del grande romanzo umano, il
punto che rende logico ciò che altrimenti rimane spaventoso e inspiegabile,
aveva risposto Sigmund.
L'esperimento era ben riuscito. Herr Strindberg quasi invisibile tra gli spettatori. Blanche aveva raggiunto senza difficoltà il terzo stadio catatonico, da cui poi era uscita. Quando la seduta era finita aveva osservato il pubblico, e in particolare herr Strindberg. Per qualche istante notai che aveva la bocca aperta come se gli mancasse il fiato e che il suo sguardo non era più così penetrante, pur senza esprimere la minima simpatia nei miei confronti, sorellina in estrema difficoltà. All'improvviso mi ricordò mio fratello, cui di solito non penso mai, mozzato com'è dal mio amore e dai miei ricordi. Fu l'unica volta che Blanche ebbe un contatto diretto con uno svedese, o in generale uno scandinavo, ma può aver influenzato la sua opinione sui nordici all'epoca dei fatti collegati al secondo premio Nobel di Marie e ai tentativi degli svedesi di revocarglielo per colpa dell'amore. | << | < | > | >> |Pagina 104Gli esperimenti che Charcot – e in seguito Blanche – cercano di portare a termine possono essere paragonati a un rito religioso. Qual era il loro significato? Una magia, destinata a spiegare dei collegamenti? Quei testi disperati sull'"essenza profonda" dell'amore. Descrizioni dei primi esperimenti in ospedale, introitus ad altarem Dei, ma cos'ha a che fare tutto questo con l'amore, o anche con il desiderio. Forse con il potere?
No, nemmeno con il potere.
Non si sa perché apre gli esperimenti al pubblico. Non c'è niente di male a compiere il passo dalla scienza al misticismo. Doveva essere convinto che la soluzione fosse lì, ma credeva di aver bisogno di sostegno. Nelle prime lezioni – poi tradotte in tedesco da Sigmund, purtroppo con alcune note critiche che Charcot non perdonò mai al suo allievo – si sofferma molto su Paracelso, e soprattutto su Mesmer: sembrava quasi che cercasse a tentoni di iscriversi in una tradizione occulta, ma con uno scetticismo apparente, che gli si addice. Si dice "sconcertato" dal soggiorno parigino di Mesmer: da come nel 1778 aveva raggiunto grande popolarità con le sue fiale di acqua magnetica, restituiva la salute ai malati toccandoli con il suo bastone, e per non rendersi impopolare tra gli indigenti, aveva magnetizzato un albero nei quartieri poveri dove potessero guarirsi da soli. Per il resto nessun commento critico. Charcot chiama i suoi primi esperimenti con le donne esperimenti d'ipnotismo. La parola era innocua. È per questo che la usa. Sceglie come soggetto due giovani donne, Augustine (il cognome non è indicato e dopo questo esperimento scompare dalla storia) e Blanche Wittman. I suoi assistenti sono Gilles de la Tourette, Joseph Babinski e Désiré-Magloire Bourneville, due dei quali in seguito sarebbero diventati monumenti della storia della medicina. Definisce come labile la situazione iniziale dei soggetti, ovvero delle pazienti. Augustine era in uno stato prossimo al trance fin dal giorno prima, e Blanche era aggressiva e recalcitrante, scoppiava in brevi risate e fissava Charcot con uno sguardo quasi ostile. Ciò nonostante l'esperimento iniziò proprio con Blanche, che dovette fissare un pendolo, e già tra i cinque e gli otto minuti dopo parve insonnolita, chiuse gli occhi e si addormentò. Rimase seduta. Augustine era stata fatta sdraiare su un letto: quando Charcot le sollevò le palpebre per pochi secondi reagì immediatamente tendendo le gambe; il movimento fece scivolare la camicia da notte scoprendole il ventre nudo con il sesso esposto. Charcot ordinò subito a Bourneville di coprirla. Blanche dormiva. Charcot le soffiò delicatamente sul viso e le disse che, quando si sarebbe svegliata, si sarebbe sentita bene. Tuttavia rimase in uno stato catalettico. Charcot allora esercitò una pressione con la mano su un punto vicino alle ovaie: questo era prima che C. inventasse la pressa ovarica, un dispositivo di cuoio e metallo utilizzato per fermare le crisi isteriche. Si svegliò, e guardò Charcot con un sorriso strano. "Come ti senti ora?" le aveva chiesto Charcot. Blanche aveva risposto: "Non mi dispiacerebbe mangiare un po' di brioche." I quattro medici l'avevano guardata sbigottiti. "Brioche", aveva ripetuto, fissando intensamente Charcot che aveva finito per distogliere lo sguardo, come per imbarazzo, o per paura. Poi aveva detto a bassa voce al suo assistente Babinski – che sarebbe più tardi diventato famoso per aver definito certi riflessi nervosi, come il riflesso di Babinski, utili per esempio per diagnosticare la sifilide – aveva ordinato a questo Babinski di andare a prendere la brioche. "A che scopo?" aveva chiesto Babinski. Charcot non aveva risposto. Fu portata la brioche. Babinski ripeté la domanda, questa volta a voce più alta, come se fosse in collera. Era il primo esperimento. Gli assistenti di Charcot erano stupiti e irritati dalla strana remissività che il loro maestro aveva improvvisamente mostrato davanti a Blanche. La paziente aveva mangiato con calma la sua brioche, lo sguardo concentrato su Charcot, come se gli altri non esistessero.
L'esperimento fu protocollato esattamente così.
Ma i campanelli d'allarme avrebbero dovuto scattare!
La morte, alla fine, l'immaginava come un vuoto in cui Blanche non esisteva. E sarebbe stata colpa sua. L'ultima notte, nell'agosto del 1893, aveva avuto paura. Se tutt'a un tratto viene il dubbio che tutto ciò che si è costruito poggia sulla sabbia, l'oscurità diventa spaventosa. Se in quell'oscurità Blanche non esisteva, perché non era mai esistita, perché lui non aveva mai osato fare il passo, la situazione era disperata. Non assomiglia alla sua statua. Neanche dopo che è stata fusa. Meglio immaginarselo come un bambino terrorizzato che, con il suo volto di pietra, e con tutto il potere in mano, ma senza saperlo utilizzare, sta in mezzo a un mare di cocenti passioni e sostiene di registrarle e dirigerle per mezzo di punti di pressione sul corpo umano!
È così che è iniziato il Novecento. Se no come avrebbe potuto proseguire e
finire come ha fatto.
Blanche aveva paura di abbandonarlo. Sarebbe stato perduto, solo con la sua scimmietta Zibidie. Di tanto in tanto discreti accenni alla fama crescente di Blanche. È umile. Non vuole darsi arie. In compenso chiare allusioni a una critica pubblica sempre più diffusa nei confronti di lui. Alla fine la sua confessione nel Morvan. I miei esperimenti sono in un vicolo cieco. Il 17 settembre 1883 Charcot accolse un gruppo di giovani studenti di medicina russi composto da Semione Minor, Olga Tolstoj, Piotr Ivanov e Felicia Cheftel. Parlavano tutti francese ed erano — per usare un termine moderno — femministi. Erano molto gentili. Accusarono Charcot e la direzione dell'ospedale di trattare crudelmente le "donne rinchiuse" e chiesero senza mezzi termini il grado di verità dei rapporti pervenuti a San Pietroburgo, che sostenevano che alla Salpêtrière si utilizzavano "vecchi metodi zaristi durante le crisi isteriche delle donne, come per esempio massaggiare la zona del collo dell'utero durante gli attacchi in modo da dissolvere l'eventuale liquido seminale coagulato o rappreso, cosa che dovrebbe riuscire a calmare la paziente". Charcot li aveva rassicurati dicendo loro che simili metodi venivano utilizzati solo in casi particolari. Il colloquio con gli studenti russi — per quanto francofoni — era stato per il resto dedicato ai tentativi fatti all'Istituto Pasteur per curare dei contadini russi infetti dalla rabbia, oltre che alla presenza di isteriche e ninfomani nella letteratura moderna. Gli studenti russi erano rimasti stupiti, e scioccati, dalla gentilezza e dal fascino di Charcot, e avevano chiesto di poter incontrare anche la sua famosa medium Blanche Wittman, cosa cui Charcot dopo qualche esitazione aveva acconsentito, ma che la medium aveva rifiutato. Charcot si era allora conformato. Niente colloquio con Blanche. Si può notare il costante flusso di studenti russi in visita a Charcot. Fu solo nel 1886 che furono sostituiti da giovani modernisti di tutt'altro genere, quando il trentenne Sigmund Freud iniziò a lavorare per Charcot come segretario, e poi interprete e continuatore delle sue idee ed esperienze. | << | < | > | >> |Pagina 192Nel Libro delle domande Blanche nomina due volte il punto di svolta. La seconda volta aveva capito. La domanda introduttiva è Quando ho trovato la spiegazione al crollo di Marie? (la prima volta la parola utilizzata era un improprio "dilemma"). Si tratta del furto della lettera scritta a L'Arcouest. Di sicuro Blanche aveva finito per capirne le conseguenze. Per il resto, la stessa descrizione di quella notte terribile. Marie si precipitò in camera mia, si gettò in ginocchio accanto alla mia cassetta di legno, con il viso pallido e i capelli in disordine, esprimendo una profonda disperazione e rassegnazione ma con un espressione contratta e severa che mi fece desiderare che si mettesse a piangere, anche se diceva che non ci riusciva.
C'era stato un furto nell'appartamento segreto di Paul e Marie. Qualcuno
aveva forzato la porta, perquisito l'appartamento e rubato le lettere che Marie
aveva scritto a Paul. La cosa peggiore era che tra queste c'era anche la lunga
lettera che gli aveva scritto da L'Arcouest nell'agosto del 1910. Le chiesi
perché proprio quella lettera costituisse un pericolo così grande, mi rispose:
non avrebbe mai dovuto essere scritta. Perché l'hai scritta allora, le chiesi, è
stato l'amore, rispose.
Sembrava che tutti lo sapessero, ma non era di dominio pubblico. Poi divenne di dominio pubblico. Il 3 novembre 1911 si chiuse il congresso di Solvay. Marie e Paul vi avevano entrambi partecipato, Marie si era trovata in profondo contrasto con Rutherford a proposito della natura del decadimento dei raggi beta, Einstein scrisse in una lettera a Heinrich Zangger che durante il congresso aveva passato parecchio tempo con Marie e Paul, "sono davvero delle persone deliziose, Madame Curie ha perfino promesso di venirmi a trovare con le sue figlie". Einstein descrive anche la sua grande ammirazione per "la passione e la brillante intelligenza" di Marie – ma il giorno dopo la chiusura del congresso, il 4 novembre 1911, la vita di Marie va in pezzi, e da quel momento non si sarebbe più dedicata alla ricerca. È il quotidiano Le Journal che riporta in prima pagina, come notizia principale, che Marie Sidodowska Curie ha distrutto il matrimonio di un uomo sposato. C'è anche una sua foto. Il titolo suona: "Una storia d'amore. Madame Curie e il professor Langevin". L'articolo inizia con le parole "I fuochi del radio con la loro misteriosa luminescenza azzurra hanno acceso una fiamma nel cuore di uno degli scienziati che li studiano con tanta devozione, mentre la moglie e i figli dello stesso scienziato piangono disperati."
La misteriosa luminescenza azzurra. Marie, Marie, ormai si è lanciata.
Se si è saliti così in alto, la caduta è dura. E fu davvero una caduta, su questo sembravano tutti d'accordo. Anche Marie, che era caduta nel cratere ardente dell'amore e all'improvviso sentiva il dolore. Che era ingiusto! ingiusto! dopo tutto aveva solo amato! Ma c'erano le bambine. Cosa non avrebbero dovuto sopportare! Le ragazze, la scuola, erano cose che non poteva controllare, e che colpivano le bambine! Le bambine! Non c'era un solo giornale che non schiumasse di rabbia. Le Petit Journal sosteneva che si dovesse riprendere il dibattito perso con Dreyfus: Marie era sicuramente ebrea, il collegamento era evidente, anche se remoto. Era un'ebrea e una straniera che minacciava la famiglia francese dall'interno. Sempre la stessa cosa! come nell'esercito! come in politica! Si pubblicavano interviste a tutta pagina di una Jeanne Langevin in lacrime, una donna timida e che detestava la pubblicità, ma che mandò alla ribalta sua madre. Questa fece un'analisi molto approfondita della sfasciamatrimoni Marie Sklodowska Curie, che era polacca, poco femminile e non pensava che ai libri, al laboratorio e alla gloria. I giornali rispettabili presero unanunemente le distanze da Marie, questo accadeva il 6 novembre. Il 7 novembre 1911, il ritmo si fa serrato, l'agenzia Reuters annunciò che Marie Curie aveva ricevuto il premio Nobel per la chimica. Era la prima volta che qualcuno riceveva un secondo premio Nobel. Non una parola sull'assegnazione nella stampa francese. La vergogna! La vergogna che una donna scostumata avesse distrutto una famiglia francese, e la vergogna per la Francia che una scienziata "francese" in quelle odiose circostanze avesse ricevuto un premio Nobel.
Su cui era perciò meglio tacere.
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