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| << | < | > | >> |Indice3 Un giorno difficile 5 La carriera esemplare di un cadetto 6 Un clan molto antico e un matrimonio di rango 10 Il nonno inquietante 12 Qualche aneddoto 15 Una chiacchierata postuma con Kurt von Hammerstein (I) 19 Prima glossa. Gli orrori della Repubblica di Weimar 22 Una chiacchierata postuma con Kurt von Schleicher 31 Seconda glossa. Un viluppo di manovre e intrighi 32 Tempi duri 38 Tre figlie 47 Lavoro d'ufficio 51 Sotto la cappa magica 55 Un insolito pellegrinaggio 59 Il racconto di un vecchio militante 6o L'avventura del signor von Ranke 64 Entra in scena una signora boema 66 Una chiacchierata postuma con Ruth von Mayenburg (I) 67 Tentativi dell'ultima ora 72 Terza glossa. Sul conflitto interiore 74 La guerra invisibile 76 Un banchetto con Hitler 77 Lista dei presenti il 3 febbraio 1933 78 Mosca è in ascolto 82 Una chiacchierata postuma con Kurt von Hammerstein (II) 84 Il dado è tratto 88 E tanti saluti da Hindenburg 88 Una chiacchierata postuma con Kurt von Hammerstein (III) 93 Una chiacchierata postuma con Werner Scholem 98 Un agente segreto nato 102 Due matrimoni molto diversi 110 Uno stile di vita prussiano 111 Il massacro 112 Una resa dei conti di tutt'altro genere 115 Emarginazione (I) 116 Una chiacchierata postuma con Ruth von Mayenburg (II) 119 Una chiacchierata postuma con Leo Roth 122 Sondaggi 125 Una chiacchierata postuma con Helga von Hammerstein (I) 127 Sulla causa penale n. 6222 129 Una chiacchierata postuma con Helga von Hammerstein (II) 130 Le conseguenze di un compleanno 132 Una vita da agente totalmente diversa 133 La talpa nel Bendlerblock 137 Un'altra doppia vita 141 Dalla scheda personale di Leo 142 Senza Helga 145 Dalla selva delle devianze 146 Un messaggio da Mosca 147 L'inquisizione 152 La terza figlia nella ragnatela dello spionaggio 155 Quarta glossa. L'altalena russa 159 I saluti del maresciallo 160 La decapitazione dell'Armata 164 Helga, ovvero la solitudine 166 Quinta glossa. Lo scandalo della simultaneità 169 Visite in campagna 172 Un addio 172 Una chiacchierata postuma con Kurt von Hammerstein (III) 177 Guerra 180 Emarginazione (II) 182 Dal quartier generale del Führer 183 Il funerale 186 Sesta glossa. Qualche considerazione sull'aristocrazia 189 Una stanza nel Bendlerblock 193 Una chiacchierata postuma con Ludwig von Hammerstein 199 La fuga 203 In ricordo di una droghiera 206 L'arresto 208 Corresponsabilità familiare 210 La necrosi del potere 214 Berlino, la fine 217 Il ritorno 219 La madre 222 Quattro lunghi ritorni alla normalità 224 Un inizio nel nuovo mondo 227 Il risveglio dell'agente in sonno 229 Questioni di confine 232 Una chiacchierata postuma con Marie Luise von Münchhausen 234 Gli ultimi anni di Helga 235 Settima glossa. Il silenzio degli Hammerstein 237 Perché questo libro non è un romanzo. Post scriptum 249 Ringraziamenti Appendici 253 Personaggi, istituzioni e fatti storici 267 Fonti 273 Indice dei nomi 281 Crediti fotografici 282 Albero genealogico |
| << | < | > | >> |Pagina 3Il matrimonio del generale Kurt von Hammerstein fu benedetto da sette figli, quattro femmine e tre maschi. Qui si parlerà di lui e della sua famiglia.Un giorno difficile. Come ogni mattina, il 3 febbraio 1933 alle sette in punto il generale lasciò il suo appartamento nell'ala est del Bendlerblock. Non doveva fare molta strada per raggiungere gli uffici. Si trovavano al piano di sotto, dove quella sera stessa si sarebbe seduto a tavola con un uomo di nome Adolf Hitler. Quante volte l'aveva visto prima di allora? Pare che l'avesse incontrato già nell'inverno 1924-25 a casa di un vecchio conoscente, il fabbricante di pianoforti Edwin Bechstein. È quanto dice suo figlio Ludwig, secondo il quale Hitler non aveva fatto una grande impressione sul padre. Allora lo aveva definito un confusionario, anche se abile. La signora Helene Bechstein era stata fin dal principio una grande ammiratrice di Hitler. Non solo lo aveva finanziato durante gli anni di Monaco - si parlava di prestiti e di gioielli - ma lo aveva anche introdotto in quella che riteneva la buona società. Aveva dato grandi cene in suo onore per fargli conoscere amici influenti, gli aveva insegnato come si usa il coltello a tavola, quando e dove si bacia la mano a una signora e come si porta il frac. Poi, qualche anno dopo, nel 1928 o 1929, Hitler era passato dall'appartamento privato del generale nella Hardenbergstraße, non lontano dal Bahnhof Zoo, probabilmente per scoprire cosa si pensasse di lui allo Stato maggiore generale. Franz von Hammerstein, che a quel tempo aveva sette, otto anni, ricorda come suo padre aveva accolto la visita: «Erano seduti sul terrazzino e chiacchieravano. L'opinione di mio padre era che quell'uomo parlasse troppo e in modo troppo confuso. Lo aveva trattato con freddezza. Eppure Hitler aveva cercato di ingraziarselo e gli aveva mandato l'abbonamento omaggio a un periodico nazista». Un terzo incontro era avvenuto il 12 settembre 1931 a casa di un certo signor von Eberhardt, su richiesta di Hitler, che a quel tempo guidava il secondo partito piú forte della Germania. «Hammerstein aveva detto per telefono all'amico [ed ex ministro della difesa] Schleicher: "Il grand'uomo di Monaco desidera parlarci". Schleicher aveva risposto: "Purtroppo non posso"». Il colloquio era durato quattro ore. La prima ora - a parte una considerazione di Hammerstein — Hitler aveva parlato ininterrottamente, durante le altre tre avevano discusso, e pare — secondo il signor von Eberhardt — che concludendo Hammerstein avesse dichiarato: «Noi vogliamo arrivarci piú lentamente. Per il resto siamo dello stesso avviso». Lo aveva detto davvero? Sarebbe un indizio delle profonde ambiguità tipiche di un'epoca di crisi, da cui non erano immuni neppure le teste piú fini. Dopo quel colloquio, Schleicher aveva chiesto al signor Eberhardt: «Allora, cosa ne pensa di questo Hitler?» — «Anche se molto di quanto dice quest'uomo è da scartare, non possiamo ignorarlo, viste le grandi masse che lo seguono». — «Che me ne faccio di quello psicopatico?» pare avesse risposto Schleicher, a quel tempo generale di brigata e uno degli uomini politici piú influenti del paese. Non era passato un anno e lo «psicopatico» aveva preso il potere in Germania. Il 3 febbraio 1933 si presentò per la prima volta davanti al comando della Reichswehr, le forze armate tedesche, per esporre i suoi piani e, se possibile, guadagnarne la fiducia. A fare gli onori di casa quella sera era il generale Kurt Freiherr von Hammerstein-Equord. Il barone von Hammerstein aveva allora cinquantaquattro anni e sembrava aver davvero raggiunto l'apice della carriera. Nel 1929, quand'era generale di brigata, era stato nominato Capo del Truppenamt, l'Ufficio delle truppe, nome di copertura del Capo di Stato maggiore generale della Reichswehr, che ufficialmente, stando al Trattato di Versailles, non poteva disporre di un simile organo di comando. Un anno dopo era stato promosso generale di corpo d'armata e nominato Comandante in capo dell'esercito; era la carica piú elevata dell'esercito tedesco. La scelta a suo tempo era stata molto controversa. I partiti di destra lo contestavano violentemente; lo accusavano di non essere abbastanza «nazionalista». Al ministero della difesa lo chiamavano il «generale rosso», probabilmente perché, per esperienza personale, conosceva bene l'Armata Rossa. Hammerstein era impressionato dallo stretto legame che univa l'esercito russo al popolo, mentre politicamente la Reichswehr era del tutto isolata dalla classe operaia. Nondimeno era assurdo attaccarlo definendolo uomo di sinistra come faceva il «Völkischer Beobachter»; in fondo, per quanto concerneva il suo modo di essere, era un nobile e un militare della vecchia guardia. Durante un'adunanza dei comandanti nel febbraio del 1932, si era espresso in modo piuttosto chiaro: «Ideologicamente siamo tutti di destra, ma dobbiamo tener presente di chi è la colpa se l'attuale politica interna è in rovina. Sono stati i vertici dei partiti di destra. Sono loro i colpevoli». Perciò, malgrado potesse vantare una carriera di successo, un anno dopo Hammerstein ne aveva davvero abbastanza del suo incarico. | << | < | > | >> |Pagina 12Qualche aneddoto.Il diciottesimo secolo fu l'epoca aurea di una forma espressiva sintetica che oggi non va piú di moda: l'aneddoto. Se ne sono serviti autori del calibro di Chamfort, Fontenelle e Lichtenberg. Come fonte storica non gode di buona reputazione. È un peccato; chi si interessa di Massime e pensieri, caratteri e aneddoti dovrebbe infatti prestargli se non proprio fede, almeno ascolto. Maria Therese, la figlia di Hammerstein, nelle sue piacevoli memorie, assolutamente prive di saccenteria, racconta del padre: «Ha due indici giganteschi, ne porge uno a Butzi [Marie Luise] e l'altro a me, e ci accompagna lungo il Südwestcorso a vedere i cavalli portati li dalla Moabiter Kaserne, ci mette in mano una zolletta di zucchero e ci mostra come premere forte il pollice contro l'indice, in modo tale che il cavallo non l'addenti. È l'unico insegnamento di mio padre precedente al 1914 che io ricordi» (1913). «I miei genitori corrono intorno al tavolo rotondo apparecchiato per la colazione, sotto il quale mi sono rannicchiata. Lei ha in mano il giornale del mattino e papà la insegue per prenderlo. Mi sembrava una cosa molto strana. Anche se avevo solo quattro anni, mi accorsi che non si trattava di buone notizie. Il giornale annunciava la mobilitazione generale» (1914). «Un giorno, di mattina, mio padre sbircia dalla porta nella nostra camera buia. Ha in testa l'elmo con un grande pennacchio bianco e ci saluta perché lascia Berlino per andare al quartier generale con il treno speciale dell'imperatore. A quel tempo era capitano nello Stato maggiore generale» (1914). Helga, la sorella minore di Maria Therese, contribuisce con una storia meno idilliaca: «Nella grande sala da pranzo con le sedie rivestite di damasco verde provenienti da un qualche castello e un tavolo tozzo, assolutamente inadatto. Papus [il padre] è furioso con noi (Butzi e me), non ricordo piú il motivo, ci picchia con il frustino. È l'unica volta che siamo state picchiate, ma non è stato cosí terribile» (1921). Ancora Maria Therese: «Mio padre ci aveva preso in affitto per tutta l'estate una casa a Steinhorst, nei pressi di Celle. Una parte dell'edificio però era abitata da una famiglia che non voleva andarsene e si era barricata dentro. Non voleva liberare la cucina e intendeva difendere l'appartamento con le armi. Mio padre entrò nella loro sala da pranzo, anche lui con un'arma in mano. E l'unica volta che l'ho visto in una situazione da guerra civile, e per di piú in casa sua. Dovette affrontare una lunga causa per indurre finalmente la famiglia ad andarsene. E pensare che l'aveva presa in affitto solo per non doversi preoccupare della sua grande famiglia nella Berlino di quegli anni» (1921). «Davanti a casa si è fermato un furgone per traslochi: mi precipito e aiuto gli uomini portando dentro le sedie della sala da pranzo. Dopo sento Papus dire di me: "Di buon cuore ma sciocca". Deve essergli dispiaciuto che non corressi come gli altri nel nuovo giardino. A lui, l'ultimo "Grandseigneur", la tendenza a non farsi servire era sconosciuta» (1924). «Da Berlino ci porta con sé allo Stechlinsee. Ci fa vedere la riserva forestale di suo padre, proprio lí vicino. Conosce ogni albero e ci dice i nomi: olmo, ontano, frassino... Prende il bosco sul serio. Si procura delle canoe pieghevoli e ci porta sul lago. È felice nell'ambiente dove ha trascorso l'infanzia, e lo siamo anche noi» (anni Venti). «Lo sentivamo parlare solo quando c'erano visite. Non ci mandava via, potevamo stare li ad ascoltare. Ammiravo la sua cultura, ma nel momento decisivo prendevo sempre le parti della mamma. Una volta venne nella mia stanza, nel mezzanino, a scusarsi perché al Tiergarten, in un'occasione simile, si era talmente arrabbiato che me le aveva date col bastone da passeggio. La lunga separazione durante e dopo la guerra aveva fatto sí che lui e la mamma non si fossero abituati a stare insieme. Forse era anche quella la causa del suo totale silenzio a tavola» (1926). «Voleva un'Europa unita, era amico di Coudenhove-Kalergi. Se ci fosse stata una seconda guerra mondiale, diceva, la Germania sarebbe stata divisa. "Il comunismo arriverà, ma cercherò di impedire che arrivi il piú a lungo possibile"» (1929). Joachim Paasche, suo genero, racconta: «Una certa tendenza al lusso non gli era estranea. Gli piacevano il cognac e un buon sigaro. Presiedeva il pranzo di famiglia in silenzio, senza battere ciglio. Ma scoppiò a ridere quando non mi accorsi che nel piatto c'era della selvaggina e pensai che fosse manzo. Lo sentii rivolgersi al domestico con un comando molto antiquato che non avevo mai udito prima» (1931). «I suoi sette figli erano noti per la loro vivacità e l'indole ribelle. E neanche lui somigliava al tipico tedesco coscienzioso e gran lavoratore. Gli piaceva la gente, spesso abbandonava il lavoro e se ne andava a caccia» (1931). «La sua autoironia quando l'antisemitismo prese il sopravvento: "Speriamo di liberarci presto di Hitler, cosí potrò nuovamente maledire gli ebrei". A quel tempo ci si poteva ancora permettere una frase del genere» (1931). Margarethe von Oven, la sua segretaria e futura contessa von Hardenberg, ricorda: «Quando arrivai in ufficio la mattina dopo l'incendio del Reichstag, mi accolse con le parole: "È chiaro che sono stati loro a dargli fuoco!" Ero scioccata, e all'inizio incredula; ero ancora impressionata dalla Giornata di Potsdam e dal giuramento di Hitler. La risposta fu una doccia fredda: "Cosí anche lei si è fatta abbindolare?". Lui e mia madre erano i soli a non farsi buttare sabbia negli occhi» (1933). E Maria Therese riferisce: «Mio padre mi ha baciato due volte in tutta la vita: una volta in corridoio, quando tornò a casa in licenza durante la prima guerra mondiale, e la seconda volta nel 1935, quando lo salutai per emigrare in Giappone». | << | < | > | >> |Pagina 73Al generale von Hammerstein non si possono invece attribuire simpatie per il nazionalsocialismo. Eppure il suo atteggiamento non era privo di ambivalenze e valutazioni errate, ed esistono prove delle sue esitazioni.1930: «Dalle elezioni del 14/9, forte ondata nazionalista e comunista. I nazisti non devono assolutamente dubitare che ogni loro tentativo di compiere atti illegali verrà combattuto nel modo piú duro». Settembre 1930: «Tranne che per i tempi troppo rapidi, in fondo Hitler vuole le stesse cose della Reichswehr». Primavera 1932: «Se i nazionalsocialisti prenderanno il potere legalmente, dovrò farmene una ragione. In caso contrario, imbraccerò le armi». 15 agosto 1932: «Ora posso nuovamente dormire sonni tranquilli, perché so che adesso, in caso di necessità, potrò ordinare alle truppe di sparare sui nazisti. Ora nell'esercito c'è una rabbia straordinaria contro i nazisti». Nondimeno, sia Hammerstein sia l'amico Schleicher avevano considerato fino all'ultimo la partecipazione dei nazionalsocialisti al governo come «il male minore», se paragonata al pericolo di una guerra civile; entrambi avevano continuato a credere erroneamente che fosse possibile «integrare» Hitler e il suo partito nella responsabilità di governo, dividerli e «addomesticarli». Solo il 31 gennaio 1933 quelle illusioni si dileguarono. Maria Therese ricorda la visita di un'amica di famiglia svizzera nell'alloggio di di servizio di Hammerstein. Inez Wille, giornalista e nipote di un generale dell'esercito della Confederazione, era andata a Berlino per sapere dal capo dell'esercito tedesco come valutasse la situazione. «Slanciata, con un tailleur inglese grigio, seduta in poltrona di fronte a mio padre, serissima e in tono quasi duro chiese: "Cos'è successo?". La risposta di mio padre fu pregnante e laconica: "Ci siamo tuffati a capofitto nel fascismo". Non cercò di indorarle la pillola». A un giovane commilitone del 3° Reggimento guardie disse: «Il 98 per cento del popolo tedesco è ubriaco». | << | < | > | >> |Pagina 79Ogg. Programma del fascismo
Il 3 febbraio, nei locali di servizio del generale v. Blomberg
[recte
Hammerstein], Hitler ha esposto il suo programma di
fronte a una cerchia ristretta di comandanti della RW. Ha pronunciato le prime
parole restando seduto, poi, preso da sempre
maggiore esaltazione, gesticolando e allungandosi sul tavolo.
Nell'opinione dei generali è stato molto logico ed efficace, persuasivo per
quanto riguarda i problemi di politica interna. Meno chiaro in politica estera.
Ha ripetuto fino a dieci volte i punti piú importanti, nello stile dei suoi
discorsi di propaganda.
Copia del verbale redatto ufficiosamente! Come nella vita degli individui si impone sempre il piú forte e il migliore, cosí anche nella vita dei popoli. La forte razza europea, una piccola minoranza, ha assoggettato per secoli milioni di persone e costruito sulle loro spalle la cultura europea. Esisteva uno scambio. L'Europa forniva prodotti industriali, beni culturali e cosí via, mentre le colonie, le razze inferiori, dovevano offrire il loro lavoro, le loro materie prime. Oggi, in questa evoluzione normale si è verificata una svolta. Se in Europa volessimo sfruttare l'intera capacità delle industrie, le colonie non sarebbero in grado di offrire una contropartita esauriente. Inoltre, in Asia orientale, per esempio, e in buona misura nell'Europa sudorientale, sono sorte industrie che producono con forza lavoro piú a buon mercato e cercano di soppiantare la razza superiore di un tempo. A queste ragioni di crisi generale si aggiungono i danni provocati dalla guerra mondiale. Perché la guerra mondiale non ha risanato nessuno degli Stati europei? Perché nessuno è stato abbastanza coerente. Se per esempio l'Inghilterra avesse imposto alla Germania solo questa clausola: niente navigazione, niente commercio estero, nessuna alleanza con altri Stati, oggi l'Inghilterra sarebbe sana. L'Inghilterra può ancora risanarsi, solo se dal punto di vista cosmopolita torna a quello della razza superiore che l'ha resa grande. La stessa cosa sarebbe valsa per la Germania in caso di vittoria. Com'è effettivamente la situazione odierna, dopo la guerra mondiale? Nella Germania del 1918 vigeva la totale autarchia, eppure circa otto milioni di persone erano escluse del tutto dalla produzione. Per poter far fronte alle riparazioni, si cominciò a esportare, le forniture di materiale in conto riparazioni generarono un aumento della produzione, gli otto milioni di persone furono pian piano reimpiegati. Ovviamente, questi fatti comportarono un aumento delle importazioni. Allora ebbe inizio la razionalizzazione, le persone divennero superflue, cominciò la disoccupazione. La terza ragione è l'avvelenamento del mondo a opera del bolscevismo. Per il bolscevismo, povertà e basso standard di vita sono l'ideale. È la concezione del mondo di coloro che, a causa della lunga disoccupazione, si sono abituati a non avere bisogni. È un fatto che gli uomini di razza inferiore debbano essere costretti alla civiltà. Se una recluta non viene continuamente costretta a lavarsi, non si lava. Cosí, questi uomini vorrebbero perseverare in una volontaria inciviltà. A ciò si aggiunge poi che questi uomini si sentono piú solidali verso persone di livello altrettanto basso ma di altri popoli, piuttosto che verso i propri Volksgenosse, gli appartenenti alla propria comunità nazionale. Già una volta una civiltà è decaduta a causa di un ideale di povertà. L'antichità classica è decaduta quando il cristianesimo ha cominciato a predicare la povertà volontaria. Come si può dunque salvare la Germania? Come si può eliminare la disoccupazione? Sono un profeta da quattordici anni e continuo a dire: tutti questi piani economici, la concessione di credito all'industria, le sovvenzioni statali sono sciocchezze. La disoccupazione si può eliminare in due modi: primo, con l'esportazione a ogni prezzo e con ogni mezzo. Secondo, con una politica di colonizzazione in grande stile, che abbia come presupposto un allargamento dello spazio vitale del popolo tedesco. Il mio consiglio sarebbe di seguire quest'ultima strada. Nell'arco di cinquanta-sessant'anni, avremmo uno Stato sano totalmente nuovo. Tuttavia, si può porre mano alla realizzazione di questi piani solo se verranno creati i presupposti per farlo. Questo presupposto si chiama consolidamento dello Stato. Dobbiamo tornare alle ideologie sulle quali fu fondato lo Stato. Non bisogna piú essere cosmopoliti. Democrazia e pacifismo sono impossibili. Tutti sanno che nell'esercito la democrazia è fuori discussione. Anche in economia è dannosa. I consigli operai sono una sciocchezza tanto quanto i consigli dei soldati. Perché allora si ritiene possibile la democrazia nello Stato? In Germania le cose stanno cosí: oggi il 50 per cento del popolo vuole uno Stato nella nostra ottica e ha un atteggiamento positivo verso il nazionalsocialismo, mentre il 50 per cento nega lo Stato e dice che è solo uno strumento di oppressione nei suoi confronti. Gli uni disprezzano il tradimento della patria, gli altri dicono che il tradimento della patria è un loro dovere. E a entrambi la democrazia lascia libertà di opinione. Poi, quando i primi, seguendo la loro ideologia, commettono effettivamente alto tradimento, vengono puniti. È una contraddizione e una cosa insensata. Perciò è nostro compito conquistare il potere politico, reprimere nel modo piú aspro ogni opinione sovversiva ed educare il popolo alla morale. Ogni tentativo di tradimento della patria deve essere punito inesorabilmente con la morte. La repressione del marxismo con ogni mezzo è il mio obiettivo. Secondo me non ha senso sostenere adesso a Ginevra la causa della parità di diritti e poi limitarsi a potenziare l'esercito. A cosa serve un esercito di soldati contagiati? A cosa serve la coscrizione obbligatoria se prima e dopo il servizio militare i soldati sono soggetti a ogni sorta di propaganda? Prima di tutto bisogna estirpare il marxismo. Poi, grazie all'attività educativa del mio movimento, l'esercito avrà a disposizione reclute di prima categoria e cosí avremo la garanzia che, anche dopo il servizio militare, in loro resterà lo spirito della morale e del nazionalismo. Per raggiungere questo obiettivo, aspiro al potere politico totale. Mi pongo un limite di sei-otto anni per annientare totalmente il marxismo. Poi l'esercito sarà in grado di condurre un'attiva politica estera, e il fine di ampliare lo spazio vitale del popolo tedesco sarà raggiunto anche a mano armata. La meta sarà probabilmente l'Est. Tuttavia, non è possibile germanizzare la popolazione del paese annesso o conquistato. Si può germanizzare solo il suolo. Bisogna espellere senza riguardo alcuni milioni di persone, come hanno fatto la Polonia e la Francia dopo la guerra. Per la Germania è molto pericoloso il periodo di transizione. Se la Francia avrà uomini di Stato intelligenti, attaccherà a ogni costo. Cercherà di portare la Russia dalla sua parte, forse persino di allearsi con lei. Perciò è necessaria una grande accelerazione. Con il mio movimento, ho costituito già adesso un corpo estraneo all'interno dello Stato democratico che, grazie alla sua struttura complessiva, è capace fin da subito di edificare il nuovo Stato. Ha una gerarchia con autorità di comando assoluta, un'immagine in piccolo del nuovo Stato. L'evoluzione del movimento in Germania sarà diversa da quella del fascismo italiano. Come quello, soffocheremo il marxismo. Ma il nostro rapporto verso l'esercito sarà diverso. Staremo dalla parte dell'esercito e lavoreremo con e per l'esercito. Il glorioso esercito tedesco, animato dallo stesso spirito che lo caratterizzava durante l'epoca eroica della guerra mondiale, adempierà autonomamente ai suoi compiti. Ora, signori generali, rivolgo a loro la preghiera di combattere con me per il grande scopo, di comprendermi e di sostenermi, non con le armi, ma moralmente. Per la battaglia sul fronte interno ho creato da me le mie armi, l'esercito è destinato a risolvere solo i conflitti di politica estera. Non troveranno un altro uomo che si impegni come me con tutte le sue forze per raggiungere lo scopo, per la salvezza della Germania. E quando mi si dice: «Il raggiungimento dello scopo è nelle sue mani!», rispondo: «Bene, allora sfruttiamole!» | << | < | > | >> |Pagina 155Quarta glossa.
L'altalena russa.
Benché non sia passato molto tempo da quando si è fermata, un paio di decenni appena, «noi», i Tedeschi, abbiamo quasi dimenticato il senso di vertigine che l'altalena russa ha provocato nelle nostre teste per intere generazioni. Strano! Infatti, i rapporti oscillanti con il nostro gigantesco vicino a Oriente, ora stretti, ora distaccati, sono stati fatali e carichi di promesse per entrambe le parti. L'inizio di questa relazione ossessiva può essere compreso al meglio risalendo all'epoca della Rivoluzione francese. Il seme di una fratellanza d'armi russo-tedesca fu piantato già nel 1793 da un trattato segreto russo-prussiano indirizzato contro la Polonia, «per combattere lo spirito dell'insurrezione e della perniciosa innovazione». Poi però il «nemico mortale» arrivò dall'Occidente. Cosí la vedevano le antiche monarchie e, di fronte all'occupazione napoleonica, anche la maggior parte dei Tedeschi. I Prussiani furono costretti a entrare in guerra contro i Russi al fianco di Napoleone. Nel 1812, dopo la sua disastrosa sconfitta, si ebbe il rovesciamento di quella fragile alleanza. Grazie a un tenente colonnello al servizio dei Russi di nome Clausewitz e a un generale di brigata prussiano di nome Yorck, a Tauroggen venne stipulato un primo armistizio. Le conseguenze non si fecero attendere: la sconfitta di Napoleone, la salvezza della Prussia, le guerre di liberazione contro i Francesi, la Battaglia delle nazioni a Lipsia, il Congresso di Vienna, la Santa Alleanza con gli zar, la spartizione della Polonia, e poi il silenzio. Tutto questo accadde ancora all'insegna della classica politica di gabinetto, alla quale però i popoli ormai non volevano piú sottostare. Furono soprattutto i Polacchi a turbare la pace, ma anche in Europa occidentale si nutriva un certo risentimento verso i monarchi per grazia divina. Malgrado tutte le sommosse e le rivoluzioni, l'amicizia russo-prussiana resse per quasi ottant'anni. Si fondava, da Metternich a Bismarck, su un calcolo politico assolutamente razionale. L'equilibrio era il fondamento della politica estera. Sotto la superficie della politica e del potere, germinavano però già da tempo ambivalenze, rivalità, speranze e risentimenti ben diversi e profondamente radicati. I ceti colti leggevano Tolstoj e Dostoevskij, Rilke si recava in pellegrinaggio in Russia. Molti Tedeschi vedevano nella Terza Roma il rimedio universale contro le tensioni del freddo Occidente capitalista e senz'anima, una visione in cui non mancava un pizzico di antisemitismo. Ma la Russia fungeva anche da superficie su cui la sinistra, che simpatizzava con i narodniki e la rivoluzione del 1905, proiettava le proprie utopie. Nel 1890, quando il governo tedesco invalidò il Trattato di riassicurazione negoziato da Bismarck, l'altalena si rimise in movimento. Nel 1914 la Russia si trasformò nuovamente in un pericoloso nemico, e sulle cartoline della posta militare comparve la scritta: «Ogni proiettile, un russo!». L' Untermensch, l'uomo di razza inferiore venuto dall'Est, non è un'invenzione dei nazionalsocialisti. Già nel 1915 si voltò di nuovo pagina. Per fiaccare il nemico in guerra, l'impero germanico finanziò i bolscevichi con contributi milionari e, su consiglio dello Stato maggiore generale, rese possibile il viaggio di Lenin a Pietrogrado. Questi contraccambiò, alla fine del 1917, ordinando al governo dei soviet di concordare una tregua con la Germania. Quella situazione di apparente armonia si ribaltò appena tre mesi dopo; l'esercito tedesco attaccò lo Stato sovietico spingendosi fino in Crimea, nel Caucaso e in Finlandia. A quel punto Lenin si vide costretto a firmare con la Germania una pace separata. La sconfitta dell'impero germanico e il Trattato di Versailles produssero una situazione nuova. Ora, seppure per ragioni diverse, entrambe le potenze, quella tedesca e quella russa, si vedevano isolate in politica estera. Almeno da un punto di vista strategico, gli stati-paria sono sempre uniti da un interesse comune. Un nuovo patto di convenienza cominciò a profilarsi al piú tardi nel 1922, a Rapallo. Vi ebbe un ruolo anche il sentimento antipolacco; i Tedeschi non avevano rinunciato alle ambizioni territoriali sulle regioni perdute con il Trattato di Versailles, e i Polacchi, a loro volta, reagivano con un misto di paura e animosità a ogni tentativo di riconciliazione tra i loro due vicini. L'altalena non stava ferma neppure sul piano ideologico. Il sentimento anti-occidentale trovò la sua ormai classica formulazione nel 1918, con le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann; undici anni dopo venne pubblicato un poderoso volume dal titolo Der Geist als Widersacher der Seele (Lo spirito come nemico dell'anima). La «cultura» tedesca veniva contrapposta alla «civilizzazione» anglosassone e francese - un confronto in cui il sostegno della celebre anima russa era assai gradito. Nella «natura dei Russi», Oswald Spengler vedeva «la promessa di una cultura a venire, mentre le ombre della sera si fanno sempre piú lunghe sull'Occidente» e sosteneva l'alleanza con l'Unione Sovietica. Secondo la Sinistra tedesca, che si entusiasmava piú per la dittatura del proletariato che per le speculazioni storico-filosofiche, a Oriente era sorto l'astro della rivoluzione. Senza l'esempio del putsch d'ottobre, la Lega di Spartaco e il KPD non avrebbero intravisto nessuna prospettiva per il futuro nella Repubblica di Weimar. «Giú le mani dalla Russia sovietica» era una parola d'ordine che tutte le Sinistre potevano far propria. In questo contesto, un ruolo particolarmente importante fu svolto negli anni Venti dalle «Sinistre di destra». Anche se questi nazionalbolscevichi volevano agire in modo indipendente da Mosca, condividevano l'odio del KPD per la civiltà occidentale. Nel 1926, Ernst Niekisch, il loro principale ideologo, scriveva che «essere occidentali significa mirare all'inganno con lo slogan della libertà, pianificare delitti con la professione di fede nell'umanità, portare i popoli alla rovina con l'appello alla pacificazione fra i popoli». Comunque, per quanto riguarda lo «spirito tedesco», in quegli anni non sapeva bene da che parte schierarsi. Indeciso tra fascinazione e paura, sfiducia e speranza, oscillava tra Oriente e Occidente, Destra e Sinistra. Mentre gli uni agitavano lo spauracchio del pericolo bolscevico, gli altri vedevano la salvezza nell'Unione Sovietica. Gli artisti, la gente di teatro, gli scrittori non solo si entusiasmavano per l'avanguardia russa, ma credevano anche in un nuovo mondo a Est. Neppure i nazisti erano immuni dalla seduzione russa. Nel 1924 Goebbels scriveva nel suo diario: «Russia, quando ti sveglierai? Il vecchio mondo brama la tua azione salvifica! Russia, speranza di un mondo morente! Ex oriente lux! Nello spirito, nello Stato, nell'economia, nella grande politica. Uomini russi, mandate al diavolo la canaglia ebrea e porgete la mano alla Germania». Un paio di giorni dopo aver preso il potere, Hitler annunciò i suoi piani, che erano molto piú pericolosi e andavano in direzione opposta. Il marxismo doveva essere sradicato, bisognava creare uno spazio vitale a Est per i Tedeschi sottomettendo gli slavi; la guerra d'aggressione era solo questione di tempo. La svolta successiva non si fece attendere a lungo: nel 1939 ci furono il patto tra Hitler e Stalin e la nuova spartizione della Polonia. L'altalena dondolava in modo sempre piú forte, sempre piú incontrollato; due anni dopo, la Wehrmacht aggredí l'Unione Sovietica e la guerra di sterminio a Est trasformò nuovamente «i Russi» in Untermenschen. «Nei rapporti tra Russi e Tedeschi», dice lo storico Karl Schlögel, «la guerra è l'esperienza comune piú importante — una sorta di capitale sociale comune negativo». Questo valeva almeno per gli eserciti di entrambe le parti. «Ma qui si aggiunge un altro elemento che conferisce un tratto tragico ,e macabro alla sventura generale rappresentata dalla guerra. È un fatto che in guerra si scontrarono Stati maggiori che si conoscevano bene e che adesso dovevano concretamente mettere in pratica quanto si erano insegnati a vicenda prima del conflitto, durante le grandi manovre comuni». D'altra parte, l'attacco di Hitler all'Unione Sovietica suggellò anche la fine di quella comunanza. Nella barbarie della guerra di sterminio perí quella vecchia classe militare che in passato aveva appoggiato la collaborazione russo-tedesca. Dopo la vittoria dell'Armata Rossa, dopo la cacciata dei Tedeschi dai territori orientali dell'Europa centrale, l'antica ambivalenza non priva di tratti nevrotici assunse per la prima volta una forma statale consolidata nella divisione della Germania e nella guerra fredda. Adesso il bene e il male soggiacevano a criteri certi. L'altalena venne per cosí dire avvitata saldamente grazie al diritto internazionale, anche se le antiche passioni continuavano ad agitarsi silenziosamente. La nuova Ostpolitik le mise una prima sordina, ma il «lungo cammino verso Occidente» percorso dalla Germania è giunto a un'irreversibile conclusione solo nel 1989. Neppure i chimerici tentativi di mettere in discussione tale risultato, intrapresi da un governo tedesco in occasione della seconda guerra in Iraq, possono cambiare la situazione: l'«asse Parigi-Berlino-Mosca» restava solo uno spettrale ricordo di un lunghissimo delirio, di cui i Tedeschi si sono finalmente liberati. Hanno accettato la perdita dei loro antichi insediamenti in Slesia e in Prussia orientale e, anche se per i Polacchi è difficile rinunciare alla loro antica ostilità, alla lunga anche loro dovranno riuscire a cavarsela senza avere un nemico mortale in Occidente. D'accordo, una sintesi cosí sommaria non ha niente di nuovo da offrire a chi abbia qualche dimestichezza con la storia. Ma forse può essere utile a chi desidera comprendere Hammerstein e i suoi contemporanei. | << | < | > | >> |Pagina 166Quinta glossa.Lo scandalo della simultaneità. «Tra le esperienze piú scioccanti e insieme piú significative che si fanno addentrandosi in un'epoca sconosciuta a noi posteri, c'è quella della simultaneità della non-simultaneità, la contiguità tra normalità e terrore, tra consuetudine e scalpore, tra i titoli a lettere cubitali e i testi in corpo minore, tra gli editoriali politici e la prosa pubblicitaria, tra le foto propagandistiche ritoccate e le banali réclame che saltano agli occhi leggendo i giornali». Cosí scrive lo storico Karl Schlögel, che continua: «Accanto all'annuncio delle condanne a morte troviamo l'avviso di un concorso per pianisti; i resoconti sull'ampliamento della rete dei negozi di parrucchiere o delle lavanderie a secco accanto alle notizie sul crescente pericolo di una guerra. Nei cinema si proiettano commedie in stile hollywoodiano, mentre gli appartamenti nel vicino "palazzo del governo" si svuotano in seguito agli arresti. Le prigioni sono ben visibili dalle scuole appena costruite e tutti sanno cosa trasportano i furgoni neri». Schlögel cita dalla «Pravda» e dal quotidiano serale moscovita «Vecernaja Moskva» del 1936. Ma quello che descrive vale anche per la «Münchener Abendzeitung» del 1938. Nella stessa edizione del quotidiano si legge: «Cabaret "Bonbonnière": cresce il successo! Ogni giorno alle 8 l' Iniezione di buonumore... La vecchia sinagoga e l'ultima sala di preghiera degli ebrei di Monaco sono state liquidate... Si rimugina sui problemi, ignorando le cose piú prossime. Provate Schwarz Weiß almeno una volta e vi renderete subito conto che è possibile fumare benissimo e a buon prezzo... Tutte le offerte contrassegnate dalla stella sono realizzate con il ben noto plantare Sempreliscio... Per la vendita di raffinati bustini, guépière ecc., brave piazziste cercasi. Corsetti Kleeberg, azienda ariana dal 1933... Il Gauleiter Wagner regola i conti con gli ebrei... Ultima replica: La donna nei popoli lontani. Spettacolo notturno: Discrezione, punto d'onore... La chiusura dei negozi ebraici non è solo temporanea, bensí permanente... Cerco signora non piú giovane che si senta sola e desideri trascorrere con me un radioso autunno della vita. Sono di temperamento allegro e cerco la felicità... Grande festa dei cacciatori per Sant'Uberto nel distretto venatorio dell'Alta Baviera... Con il recente passaggio in mano tedesca della ditta Felsenthal & C., stabilimenti per la lavorazione di sigari e tabacchi, il processo di arianizzazione nell'industria tedesca del tabacco può considerarsi nel complesso concluso... Lo spumante è economico, Haus Trimborn Cabinet con aggiunta di anidride carbonica, 1,50 la bottiglia da mezzo litro... A tutt'oggi sono stati arrestati a Monaco circa 1000 ebrei con il proposito di usarli come pegno in caso di bisogno. Con l'occasione è emerso che ognuno di loro aveva già qualche conto in sospeso». Va però detto che i pogrom organizzati alla luce del sole nel novembre 1938 costituiscono l'eccezione piuttosto che la regola. A differenza degli stalinisti, in genere i nazisti non mettevano apertamente in mostra i loro crimini, ma li mascheravano sotto la denominazione «Geheime Reichssache» («Materia segreta del Reich»). Entrambi i regimi condividono però le non-simultaneità di cui parla Schlögel, legate all'invincibile tenacia della quotidianità. Quando si tratta di crisi degli alloggi, affari di cuore, preoccupazioni economiche, pane quotidiano e pannolini da lavare, a un certo punto ideologia e propaganda si scontrano con i loro limiti. In questo senso, si può parlare solo di società totalitarie, ma non totali. Neppure nelle condizioni estreme dei campi di concentramento, le guardie riuscirono a spegnere completamente la quotidianità; anche li si continuò a barattare, bisbigliare, accapigliarsi e darsi una mano. Ciò vale a maggior ragione per quel che restava della società civile nel Reich hitleriano, dove varie nicchie sopravvissero fino agli ultimi anni di guerra. D'estate le spiagge erano sovraffollate, ci si dedicava all'apicoltura, si giocava a calcio, si collezionavano francobolli o si andava in barca a vela. La Volksgemeinschaft restava una finzione. Mentre alcuni, dopo il lavoro, curavano l'orto, altri andavano all' Adlon per il tè danzante o si incontravano al Jockey-club. Tuttavia non mancarono naturalmente i tentativi di controllare e sfruttare anche gli spazi di vita residui. L'intrattenimento di massa aveva assoluta priorità. Mentre venivano promulgate le leggi di Norimberga, la UFA produceva film come Immer wenn ich glücklich bin (Sempre, quando sono felice) e Zwei mal zwei im Himmelbett (Due per due nel letto a baldacchino). Al culmine del riarmo, con lo slogan «Kraft durch Freude» (Forza attraverso la gioia) che farebbe impallidire dall'invidia qualsiasi agenzia pubblicitaria contemporanea, venivano organizzate vacanze e crociere per i «lavoratori della mente e del braccio». Il dominio totale degli anni Trenta e Quaranta si scontrava poi anche con i limiti della tecnica. All'epoca, gli strumenti di vigilanza che oggi sono di uso quotidiano persino nelle società democratiche non erano neppure immaginabili. Questo spiega forse quanto appaiano sorprendentemente sinceri e incauti tanti diari e lettere del tempo e quanto il «mugugno» continuo rimanesse in genere privo di conseguenze. La principale fonte di informazioni della Gestapo non era un onnipresente sistema di ascolto e vigilanza, bensí l'imperversare della delazione. Del resto, che nelle condizioni di un simile regime ci fossero zone di apparente normalità non è una consolazione; al contrario, se ne ricava un'impressione piuttosto inquietante. Per chi è venuto dopo dev'essere difficile comprendere come spazi di vita «apolitici» abbiano potuto sopravvivere intatti in presenza del terrore. Ma non si può venire a capo dello scandalo della simultaneità con giudizi morali affrettati, infatti non possiamo semplicemente retrodatarlo. La sua virulenza non si è affievolita neanche nelle condizioni storiche odierne, molto piú rassicuranti. | << | < | > | >> |Pagina 183Il funerale.Kurt von Hammerstein morí nella sua casa di Dahlem il 24 aprile 1943, prima che Hitler potesse vendicarsi di lui. La sua scrivania era vuota. Aveva distrutto tutti gli appunti personali perché non cadessero in mano alla Gestapo. Il figlio Ludwig ricorda: «La sepoltura all'Invaliden-Friedhof, con gli onori militari dovuti a un generale d'armata, venne respinta dalla famiglia perché il presupposto del rito, la bandiera di guerra del Terzo Reich distesa sulla bara, sarebbe stato un'offesa umiliante». Non mancarono violente contrapposizioni con le autorità militari; al comando generale, Kunrat von Hammerstein si trovò ad affrontare una strana controversia: «Se la bara dev'essere avvolta in una bandiera, chiedo che sia la bandiera di guerra della marina imperiale o quella di guerra tedesca, perché mio padre non aveva niente a che fare con la bandiera odierna". "La bandiera della marina imperiale non è possibile". "Allora la bandiera di guerra". "Anche quella non sarà possibile". "Ufficialmente continueranno pure a issarla in determinate occasioni". "Forse in passato"». E cosí via. Al generale che si occupava della questione Kunrat disse: «Il signor generale capirà certamente che non posso farlo accompagnare alla tomba, ora che è indifeso, sotto una bandiera con la croce uncinata». Anche la famiglia si intromise. «Allora non vado in chiesa», minacciò Marie Luise, la sorella di Kunrat, e Helga propose di non tenere il funerale all'Invaliden-Friedhof, com'era previsto in origine, dov'erano sepolti Horst Wessel e altri nazionalsocialisti, bensí al cimitero degli Hammerstein a Steinhorst. Fu un problema anche il nastro sulla corona mandata da Hitler. Al momento di deporla era improvvisamente scomparso. A quanto pare i congiunti l'avevano «dimenticato» nella metropolitana. «Cosí Hammerstein, dopo un ufficio funebre nella chiesa del borgo di Dahlem, fu effettivamente sepolto nel cimitero di famiglia a Steinhorst. Solo un cacciatore del principe Solms-Baruth suonò per lui il segnale di "fine caccia"». Sul 25 aprile 1943 Ursula von Kardoff scrive: «Ero al funerale di Hammerstein. Una cerimonia per nulla sentimentale. Molti generali, una gigantesca corona di Hitler. Hardenberg e vari altri conoscenti. Con Hammerstein scompare un altro uomo in cui molti avevano riposto le loro speranze. Papà [Konrad von Kardoff] ha dipinto un suo bel ritratto, anche se a quel tempo la malattia, un tumore sulla parte sinistra del viso, era già cominciata. Conoscevo poche persone che fossero contrarie al regime in maniera cosí aperta, senza cautele, senza timori. È sorprendente che non sia mai stato arrestato. Raccontava a chiunque volesse starlo a sentire che non avremmo mai potuto sconfiggere la Russia, e già nel 1939 prevedeva che avremmo perso la guerra. Durante la cerimonia mi venne da pensare a quando lo avevo conosciuto a Neuhardenberg, a quando stavo con lui alla posta, gli tenevo il sigaro mentre sparava ai cinghiali — e faceva centro. Con indosso la sua sobria giacca da caccia aveva un aspetto pacifico e familiare, assolutamente alla mano. Quella bonomia esteriore contrastava con i giudizi sferzanti che esprimeva: con un lieve dialetto berlinese, lentamente, quasi per caso, ma colpendo sempre nel segno. Questo gli aveva procurato la fama di essere amareggiato. Com'è facile ricordare con un aggettivo del genere chi vede le cose con sguardo piú lucido... Nei miei confronti Hammerstein era di una cortesia quasi patriarcale. "Tener sgombra la mente per le grandi decisioni", era il motto di quest'uomo incredibilmente pigro, che non conosceva compromessi».
Dopo la morte del padre, Franz von Hammerstein scrisse
nel suo diario: «Malgrado non ne abbia mai parlato, per lui starsene in disparte
a osservare a occhi aperti e senza poter fare nulla come la Germania veniva
mandata in rovina dev'essere stato terribile. Quasi nessuno ha saputo prevedere
come lui gli sviluppi della situazione».
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