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| << | < | > | >> |IndiceParte I: Il disegno è illusione 5 Lo specchio magico 7 La vita di M. C. Escher 14 Un artista non catalogabile 17 Contrasti ad incastro 20 La genesi della sua opera 26 Il disegno è illusione 35 L'arte dell'Alhambra 42 Ricerche nel campo della prospettiva 58 Francobolli, decorazioni murali e banconote Parte II: Mondi che non possono esistere 63 La creazione di mondi impossibili 68 L'arte come mestiere 73 Mondi simultanei 80 Mondi impossibili 93 Cristalli e costruzioni 102 L'infinito 112 Indice analitico |
| << | < | > | >> |Pagina 5Parte I: Il disegno è illusione
1 Lo specchio magico
Da ragazzo vivevo in una casa del XVII secolo sul Kaizergracht a Amsterdam. In una delle grandi stanze c'erano dipinti «trompe-l'oeil» sopra le porte. Queste opere in cui predominavano diverse tonalità del grigio avevano un effetto così plastico che si sarebbe potuto credere fossero rilievi marmorei – un inganno, un'illusione che, ripetendosi, ogni volta stupiva. Ancora più caratteristici, a tale riguardo, sono forse gli affreschi delle chiese barocche nell'Europa Centrale e Meridionale, nelle quali la pittura bidimensionale e la scultura tridimensionale si intrecciano senza lasciar trasparire un vero e proprio confine tra le due. Le radici di questo gioco sono da ricercare nel modello di rappresentazione proprio del Rinascimento. La realtà tridimensionale doveva essere riprodotta sulla superficie piana il più fedelmente possibile – cosicché opera d'arte e realtà non potessero essere distinte all'occhio dello spettatore. La rappresentazione artistica doveva evocare a tutto tondo il calore della realtà. Per quanto riguarda i dipinti «trompe-l'oeil», gli affreschi del soffitto e anche per quei ritratti che sembrano sempre seguire lo spettatore con lo sguardo, dovunque questi si sposti, si tratta di una questione di amore del divertimento in se stesso. Non si tratta cioè più dell'imitazione fedele della natura, quanto, piuttosto, di un'illusione ottica. Illusione estrema per il puro amore dell'illusione. Il pittore si diverte provocando quest'inganno, l'osservatore desidera, coscientemente, farsi ingannare ottenendo in questo modo la stessa eccitante sensazione di quando un prestigiatore gli fa credere a una delle sue magie. La suggestione spaziale è così insistita che solo il tatto ci rivela che stiamo di fronte a una superficie piatta. Le opere di Escher hanno in gran parte a che fare con tale ipersuggestione dello spazio, della quale si è appena detto. Ma questa suggestione non è propriamente quello che Escher aveva in mente di evocare. I suoi lavori sono qualcosa di molto di più, cioè, la riflessione della singolare tensione che è propria di una situazione spaziale riprodotta su una superficie piatta. In molte opere egli fa emergere la dimensione spaziale dalla superficie. In altri lavori, Escher si assume consapevolmente il compito di eliminare fin dalle radici qualsiasi suggestione spaziale che sarebbe potuta essere da lui inserita nel quadro. Nella raffinata silografia Tre sfere I, del 1945, che verrà ancora rielaborata nei dettagli in altra occasione, egli sembra avere un colloquio con l'osservatore: «Allora, non ti sembra che quella là sopra sia una sfera completa? Sbagliato, ti inganni, è completamente piatta. Guarda ora, nel mezzo della figura l'ho disegnata piegata. Qua si vede che essa deve essere per forza piatta altrimenti come l'avrei potuta piegare? E più sotto ho messo l'«oggetto» piatto in posizione orizzontale. Nonostante ciò, sono sicuro che la tua forza di immaginazione sia in grado di mutarla nuovamente in un uovo tridimensionale. Convinciti da solo passando il dito sulla carta – percepirai da solo che essa è del tutto piatta. Il disegno è illusione: suggerisce tre dimensioni sebbene sulla carta ce ne siano solo due. Lasciami dunque la possibilità di convicerti un'altra volta che esso è illusione: continuerai a vedere oggetti tridimensionali». Attraverso una logica compositiva Escher realizza l'illusione ottica, dalla quale quasi nessuno riesce a distogliersi. Attraverso i suoi metodi di grafica, attraverso le sue composizioni, «dimostra» la verità della suggestione che egli ha portato nel quadro. I quadri lo dimostrano imperiosamente: «Osservate, vi mostro qualcosa che voi non riterreste possibile.» E quando l'osservatore attento ritorna in sé, saprà che è stato ingannato. Escher gli ha letteralmente fatto apparire qualcosa davanti. Lo ha messo di fronte a uno specchio magico all'interno del quale la magia, per forza maggiore, si compie. In ciò Escher è magistrale e unico in senso assoluto. Osserviamo la litografia: Specchio Magico (1946). Secondo i canoni della critica d'arte, forse questo non è un quadro tra i migliori. Ci viene messo davanti come un rebus. All'interno vi succede qualcosa: a prima vista sembra ci venga raccontata una storia, ma sia l'inizio che la fine sono ancora per il momento nascosti. Tutto comincia in un punto completamente casuale. Vicino all'osservatore, al bordo dello specchio, direttamente sotto il supporto inclinato scorgiamo l'estremità di una piccola ala e la sua immagine riflessa. Se osserviamo la superficie ai suoi margini, notiamo che questa ala continua a svilupparsi fino a diventare un completo cane alato e la sua immagine riflessa. Se prima ci siamo lasciati indurre a ritenere possibile la raffigurazione di un'estremità d'ala, improvvisamente ci risulterà chiara e incontrovertibile la plausibilità dell'intera strana storia. Così come il vero cane si allontana dallo specchio verso destra, allo stesso modo la sua immagine riflessa nello specchio, verso sinistra; e questa immagine riflessa sembra così «reale» che non ci meraviglia veder il cane continuare a camminare anche dietro lo specchio in nessun modo intimorito dal bordo dello stesso. Ora, verso sinistra e verso destra, si muovono cani alati che lungo il cammino raddoppiano di numero. Poi fanno dietro front come due armate. Ma prima che si arrivi ad un incontro, essi cominciano a sfumare nella loro qualità spaziale e si convertono in un disegno piatto su uno sfondo piastrellato. Se fissiamo maggiormente lo sguardo sulla scena, ci accorgiamo che i cani neri, nel momento in cui attraversano lo specchio, diventano bianchi e realizzano questo occupando precisamente gli spazi intermedi più chiari tra i cani neri. Questi cani bianchi scompaiono poi e, alla fine, non ne rimane traccia. Non sono mai esistiti, poiché cani alati non prendono vita in uno specchio. E, nonostante ciò, il mistero ci perseguita, davanti allo specchio, infatti si trova una sfera: nello specchio messo in posizione diagonale rappresentato all'interno del quadro scorgiamo ancora un pezzettino della sua immagine riflessa. Tuttavia ci è presentata come reale anche la sfera posta al di là dello specchio, in mezzo al mondo-riflesso dei cani. Chi è l'uomo che possiede la chiave di questo specchio magico? Perché ha creato immagini come questa – palesemente senza preoccupazioni di ordine estetico? Nei capitoli 2, 3, e 4 esporremo la storia della sua vita e ci sforzeremo di chiarire il suo carettere il più ampiamente possibile, facendo riferimento alle sue lettere e a colloqui personali.
Il capitolo 5 presenta un'analisi della sua produzione nel suo complesso e i
capitoli successivi si occupano precipuamente dell'ispirazione, dei metodi di
lavoro e dei risultati artistici di questo straordinario talento.
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