Copertina
Autore Michel Faber
Titolo La pioggia deve cadere
EdizioneEinaudi, Torino, 2008, Stile libero Big , pag. 274, cop.fle., dim. 13,5x20,8x1,7 cm , Isbn 978-88-06-17555-9
OriginaleSome Rain Must Fall [1998]
TraduttoreAdelaide Cioni, Tiziana Lo Porto
LettoreAngela Razzini, 2008
Classe narrativa olandese , narrativa neerlandese
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Indice


     La pioggia deve cadere

  3  La pioggia deve cadere
 23  Pesci
 32  In caso di vertigini
 38  Un giocattolo
 48  Signorina Grassina e Signorina Magretta
 73  Mezzo milione di sterline e un miracolo
 85  Il camion rosso del cemento
 93  Un posto caldo e comodo
103  La mano di Nina
119  La crosta dell'inferno
151  La cellula «pettegola»
165  Contabilità
279  Io parlo pidgin americano
205  Il Tunnel dell'Amore
240  Pecore


 

 

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Pagina 3

La pioggia deve cadere


Quando Frances Strathairn tornò a casa trovò la cena pronta.

- Primo giorno del tuo nuovo lavoro, - le disse il suo compagno. - Immaginavo che saresti tornata stanchissima e ho preparato io.

«Il mio rapporto con quest'uomo è in crisi», Si ricordò Frances, baciandolo sulle labbra. «Non c'è dubbio».

Ma ovviamente il dubbio c'era. Stanchissima, crollò sul divano e mangiò la sua cena, che era buonissima. Era una ricetta sua, seguita alla lettera.

- Allora come stanno i bambini?

La domanda non si riferiva a figli, né di lui né di lei: non erano quel genere di coppia. Si riferiva agli allievi della scuola elementare di Rotherey.

- È troppo presto per dirlo, - rispose lei.


La prima cosa che aveva chiesto loro di fare era stata riordinare. Le scarpe allineate in fila. I cappotti appesi agli attaccapanni. I libri di racconti disposti dal piú grande al piú piccolo. Tutte le matite temperate.

Non che fosse una maniaca dell'ordine: semplicemente sapeva, da professionista, che era quello che desideravano i bambini. Era la nuova maestra ed era stata imposta alla classe da un giorno all'altro; dovevano stipulare un contratto. I bambini avevano bisogno di dimostrare che erano buoni e capaci e avevano bisogno che lei dimostrasse la sua autorità.

Soprattutto, avevano bisogno che la vita andasse avanti, col massimo disturbo possibile.

- Poi: avete tutti una gomma? - chiese Frances.

Il fruscio e il rumore di una decina di astucci che venivano svuotati.

- Se avete una gomma piú piccola di cosí, vi do una di queste, - sorrise, alzando una busta di gigantesche Faber-Castell nuove di zecca che si portava sempre dietro quando andava nelle classi nuove.

Stupore generale a mano a mano che ogni singolo bambino si rendeva conto di qualificarsi per uno di quei magnifici doni.

Con la coda dell'occhio, Frances notò che una delle altre maestre della scuola la stava guardando dalla porta dell'aula accanto; senza dubbio si stava domandando se Frances valesse davvero il triplo del normale stipendio di una maestra.

- Adesso, voglio che ciascuno di voi guardi nei suoi quaderni e scelga la pagina in cui ritiene di avere scritto meglio. Quando l'avete scelta, voglio che lasciate i quaderni aperti su quella pagina, tutti insieme sul pavimento, proprio qui... No, non sovrapposti, si devono vedere tutti bene. Bordo contro bordo, come i mattoni di un muro. Però con un po' di spazio in mezzo. Esatto... Lasciate un po' di spazio. Bravi... Bene...

Frances si accovacciò, lasciando intendere ai bambini che era capace di giocare insieme a loro, al loro livello, ma al tempo stesso ricordando, con la sua imponenza e la stoffa della gonna che le si apriva attorno a raggiera, che era qualcosa di diverso. Pur essendo poco interessata alla loro scrittura in questa fase, notò che nessuno degli alunni era visibilmente incapace di scrivere: evidentemente Jenny MacShane, la loro maestra fino alla settimana prima, non era stata tanto male.


La mattina del secondo giorno si presentarono i due bambini che erano stati assenti il primo giorno. Era un buon segno: un passaparola fra le madri, forse.

Frances lesse le giustificazioni: mal di pancia per la piccola Amy, appuntamento dal medico per il piccolo Sam. Piú probabilmente paura, che sarebbe diventata ingestibile se si fosse permesso loro di restare assenti piú a lungo. Riaccolse Amy e Sam nella loro scuola e diede a ciascuno una gomma. Erano piú lenti degli altri ad adattarsi, perciò Frances decise, fra le altre cose, di rimandare il tema all'indomani.


Anche Frances era lenta ad adattarsi alla sua nuova casa sulla collina, alle spalle del paesino di Rotherey.

Durante il suo ultimo incarico aveva vissuto in un appartamento scalcagnato con decorazioni orrende e mobili messi insieme in fretta e furia. Le piaceva quel posto: in passato era stato il reparto per l'ergoterapia di un manicomio, prima che il passaggio al sistema di assistenza domestica sfrattasse i degenti. C'erano ancora dei dettagli affascinanti in giro per la casa: qualche segnaccio alle pareti, degli strani affari di plastica per coprire le prese elettriche, un cesto di vimini per i vestiti intrecciato da una mano instabile.

La casa di Rotherey invece era una casa popolare, accogliente e generica: ci avevano vissuto un poliziotto con la moglie, e avevano rispettato tutte le sue integrità di casa prefabbricata. Non c'era nemmeno una foto segnaletica appesa sopra il gabinetto.

- Questo posto è cosí anonimo. Mi mette i brividi, - disse a Nick, il suo compagno.

- Be' ... vuoi che cambi qualcosa? - si offri lui. - Il tempo ce l'ho.

In effetti di tempo ne aveva, considerato che si era preso un anno sabbatico in attesa che gli valutassero la tesi di dottorato, ma Frances non riusciva a immaginare cosa si sarebbe potuto fare a quella casa. Piuttosto avrebbe voluto che cambiasse lui.

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Pagina 73

Mezzo milione di sterline e un miracolo


Quando la Madonna cadde dal piedistallo e si infranse in mille pezzi sotto i loro occhi, Robbie e McNair capirono che non li aspettava un lavoro facile.

- Tu che ne pensi? - chiese Robbie, quando si accovacciarono a esaminare i cocci. Vedeva bene che sarebbe stato impossibile riparare la statua, ma si sentiva in dovere di rimettersi all'esperienza e all'autorità del capo.

- Ormai la possiamo usare come ghiaia per le strade, - si accigliò McNair, rigirandosi nelle grosse mani dei piccoli frammenti della Madonna. - Il dottor Prosser non sarà contento.

Il dottor Prosser era il vecchio funzionario che aveva appaltato a McNair la supervisione dei lavori di restauro di St Hilda, una bella chiesa vittoriana che era rimasta derelitta per buona parte del secolo. Finalmente si erano trovati i fondi per salvarla dalla rovina totale: mezzo milione di sterline.

McNair aveva nutrito qualche riserva sin dall'inizio. In genere la sua ditta si occupava del restauro di vecchi edifici abbandonati, vero, ma di chiese ne aveva fatte poche, e comunque non cattoliche, e comunque non cosí malridotte da avere le tegole del tetto che cascavano dentro dal soffitto, o da dover camminare con la cacca di piccione fino alle caviglie e da avere statue capaci di farti rincretinire.

- Non ce l'ha qualche cattolico che le faccia il lavoro? - aveva chiesto al dottor Prosser.

- Non qui nel Ross-shire, - sospirò il burocrate.

- Per sistemare questo posto, - l'aveva avvertito McNair, - le ci vorrà piú di mezzo milione di sterline. Le ci vorrà un miracolo.

- Abbiamo fatto domanda per altri finanziamenti l'anno prossimo, - disse il dottor Prosser. - È cosí che si fa. Un anno per volta. Lei cominci col fare del suo meglio, poi si vedrà.

Cosí McNair aveva accettato.

E se n'era pentito quasi subito. In questa fase, già dopo settimane dall'inizio dei lavori, aveva solo finito di ripulire il posto dai calcinacci; aveva dovuto assoldare un sacco di operai in piú, e portare via diversi camion stracarichi di spazzatura. St Hilda era ancora un'area disastrata. Le pareti interne erano piene di buchi da cui spuntava la paglia disintegrata che i costruttori avevano usato come isolante. La metà delle assi del pavimento erano marcite, comprese (probabilmente) quelle che sostenevano la vecchia e splendida acquasantiera di pietra. Ogni struttura, superficie e oggetto dentro St Hilda sembrava essere sospeso in una specie di limbo del restauratore: troppo fragile o danneggiato per tenerlo com'era, ma al tempo stesso troppo solido e prezioso per tirarlo via e sostituirlo. I vetri colorati alle finestre, per esempio, erano un modello di artigianato vittoriano, peccato che ne fossero sopravvissuti solo pochi frammenti.

McNair e il suo apprendista, Robbie, erano al centro spaccato della navata, e stavano decidendo da che parte procedere. Avevano già speso migliaia di sterline, e l'unico risultato era che la chiesa aveva un'aria piú triste e piú vuota. McNair domandò a Robbie se avesse qualche idea.

Il ragazzo, pensieroso, diede un calcio allo spesso strato di escrementi di piccione per terra.

- Mi sa che l'unico modo per levarlo è piallarlo, - azzardò.

McNair sospirò. Aveva sperato in qualcosa di un po' piú ispirato.

- Tutti quei soldi non potevano investirli nell'industria scozzese, invece? - esclamò a un tratto. - Pensa a quanti posti di lavoro si potrebbero creare con mezzo milione di sterline.

Robbie aggrottò la fronte, cercando di immaginare in che modo si sarebbero potuti creare dei posti di lavoro con mezzo milione di sterline. Gli veniva difficile quanto immaginare come trasformare l'acqua in vino.

- Avrebbero potuto costruire un... un centro commerciale, magari.

- Come?

- In un posto dove non ce n'è già uno. A Uist, magari.

- Come? Ma che stai dicendo?

- A Uist ci sono stato una volta. Quando mi alzavo io l'alimentari era sempre chiuso. Potevo morire di fame.

Percependo il peso dell'incredulità di McNair, Robbie non aggiunse altro. Lo sforzo di pensare a un modo per trasformare il denaro in posti di lavoro l'aveva sfinito. Personalmente non capiva perché, se avanzava mezzo milione di sterline da spendere in qualche paesino delle Highlands, non lo si poteva semplicemente distribuire in parti uguali fra i pochi abitanti. A quel punto i posti di lavoro sarebbero stati superflui, no?

Un'altra idea che era venuta a Robbie di quello che si poteva fare con mezzo milione di sterline era costruire un cinema multisala gigante in qualche posto tipo Invergordon, magari. D'accordo, ci abitava lui, ma avrebbe attirato un mucchio di spettatori dalle navi e dalle piattaforme petrolifere, di sicuro. Non c'era mai niente da fare.

Appena qualche giorno prima, Robbie era andato in una discoteca mostruosa, ad Alness, nella speranza di imprimere una svolta alla sua vita. Era il tipo di discoteca in cui sono vietati gli alcolici, perciò tutti facevano in modo di arrivarci già completamente ubriachi. Robbie aveva perlustrato tutta la sala, da parete a parete, alla ricerca di una ragazza che non avesse l'aria di stare per addormentarsi, o vomitare, o mordergli il collo. Ne aveva trovata soltanto una. Era bassissima, sembrava simpaticissima, era annoiatissima. Gli aveva chiesto che lavoro faceva. Lui aveva risposto che era uno scalpellino e che stava sistemando una chiesa.

- Oh, interessante, - aveva detto lei.

- Ehm... in realtà è noiosissimo, - aveva risposto lui.

- Oh, - aveva detto lei, distogliendo appena lo sguardo e battendo il piede al ritmo meccanico della musica londinese.

A ripensarci poi, Robbie non capiva perché avesse detto che il suo lavoro era noioso. Per timidezza, immaginava, perché non lo pensava davvero. In realtà l'impresa di ridare a St Hilda l'aspetto di una vera e propria chiesa - e non solo una chiesa, ma una chiesa diversa da quelle con cui era cresciuto lui - era piuttosto emozionante. Riattaccare un mensolone dalle cesellature intricate, nascondendo la crepa usando una colla fatta con la polvere della pietra originale mischiata col cemento: quella sí che era una soddisfazione.

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Pagina 165

Contabilità


Mentre cresceva nella fattoria che non era piú una fattoria, a Margo non fu mai permesso di dimenticarsi delle difficoltà della vita. A tre anni sapeva già che i soldi non crescono sugli alberi, e il padre la aggiornò sul resto via via che la sua piccola mente diventava abbastanza grande da incamerare le informazioni, non c'era dettaglio troppo prosaico o troppo avvilente.

A tredici anni, Margo era dolorosamente consapevole che tutto nella sua vita dipendeva da tre invii bisettimanali di soldi dal governo: una pensione d'invalidità per la nonna, un'indennità da genitore solo per il padre, Frank, e un assegno di disoccupazione, sempre per Frank. A quanto pareva Margo non aveva crediti con il governo. Per rimediare lavorava, occupandosi praticamente di tutto quello che restava da fare nella fattoria che non era piú una fattoria. Di andare a scuola non se ne parlava neanche, perché a sua nonna venivano le piaghe da decubito se non veniva girata minimo ogni due ore, e perché non si poteva pretendere che il padre stesse piú di otto ore senza mangiare.

Margo l'aveva sempre chiamato «papà», ma ultimamente lui preferiva «Frank» perché diceva che lei non era figlia sua, e lei faceva del suo meglio per cambiare. Frank le diceva che sua madre era una troia con la faccia da scrofa che se la passava meglio da morta, e che sei mai avesse incontrato il bastardo nero responsabile di Margo l'avrebbe ammazzato. - Di sicuro non sono stato io, - sosteneva. - Impossibile. Sono sempre stato attentissimo con il controllo delle nascite. Questo mondo non può permettersi altri bambini. I bambini sono un pozzo senza fondo -. Con questo intendeva, ovviamente, che i bambini costano molto, e Margo lo capiva, ma glielo sentiva dire da tanti di quegli anni che ormai quel modo di dire aveva assunto un valore letterale nella sua mente: certe volte mentre dormiva, immaginava di essere davvero un pozzo senza fondo, e non sentiva niente a parte, ogni tanto, una zolla di terra che le cascava dentro, e ogni tanto una scarica di pioggia.

Quando era sveglia si chiedeva come facesse suo padre - Frank - a essere tanto sicuro che lei fosse figlia di un nero. Aveva in mente qualcuno in particolare? Margo di aborigeni non ne vedeva mai: sembrava che proprio non ne vivessero vicino a Milwullah, anche se il nome era molto aborigeno. Ma Milwullah non si poteva piú considerare entroterra selvaggio: era stata inglobata dalla città, trasformata in una specie di periferia della periferia. Nell'ufficio postale c'era persino un computer (o almeno cosí diceva Frank; Margo non c'era mai stata), c'era un takeaway cinese accanto al pub (Frank aveva comprato la cena lí un Natale, l'anno che Margo si era schiacciata un dito e non poteva cucinare, e a $7,95 a vaschetta le conveniva non lamentarsi) e il tipo che vendeva mangime aveva adibito metà del negozio al noleggio di videocassette (niente videoregistratori a casa di Frank DeVoort, grazie tante). Tutto questo non c'entrava niente con l'entroterra selvaggio di cui leggeva Margo nell'«Australasian Post».

Forse un aborigeno era venuto a trovarli tanto tempo prima, e la madre se n'era innamorata, anche se solo per pochi minuti. Era difficile da immaginare però. Margo si guardava allo specchio e non poteva fare a meno di notare che anche quando era abbronzatissima, restava sempre, be', bianca, addirittura pallida. Forse era per la forma del suo corpo che Frank si era fissato con quell'idea: la testona, il naso piatto, il petto pronunciato, il pancione, le braccia e le gambe lunghe e sottili. Non che fossero prove schiaccianti, comunque. Una volta, quando aveva due o tre anni, l'avevano buttata a terra di faccia, perché sbagliava a fare le cose; forse nella caduta il suo naso aveva perso la sua forma originale.

E quanto al pancione, be', quello era opera di Frank. Di Frank.

Malgrado la mancanza di un'istruzione formale, Margo sapeva tantissime cose, comprese le cose della vita. Ci aveva pensato il padre, Frank, regalandole la serie quasi completa dell' Enciclopedia tematica per ragazzi. Non che glieli avesse dati tutti in una volta, no: li teneva in una grossa pila sotto il letto, in attesa di compleanni, Natali e altre festività, e allora ne prendeva uno e glielo dava. Ovviamente lei sapeva quanti ne mancavano, perché molte volte si stendeva sul pavimento e sbirciava sotto il letto per contarli; sapeva persino alcuni dei titoli che ancora non le aveva regalato (solo alcuni però: era troppo spaventata per muovere la pila). E sapeva per certo che suo padre non li prendeva a caso dalla cima, ma che doveva avere qualche criterio di scelta. Un criterio impossibile da capire, peraltro, perché le aveva dato Comete e meteore quando solo poche settimane prima Margo l'aveva visto in fondo alla pila, mentre Monete e valute, che stava in cima, glielo diede solo tre anni dopo. Metà del divertimento per Margo stava nello sperare ardentemente di ricevere un volume particolare, una specie di esperimento per vedere se riusciva a trasmettere al padre dei messaggi subliminali per influenzarlo almeno in quelle piccole cose.

Quanto ai volumi che aveva già ricevuto, li aveva letti tante di quelle volte che ormai li sapeva a memoria. Avrebbe potuto recitarli davanti a una classe a scuola, se avesse avuto una scuola a cui andare. Una volta una donna del governo era venuta a trovare suo padre - Frank - per parlare della scuola (Margo aveva dovuto nascondersi) e, dopo, Frank le aveva detto che dalle parti loro non c'erano scuole per bambine di sangue aborigeno. Era una legge dello stato, le aveva detto.

Prima Nanna era di grande aiuto nell'istruzione di Margo, perché rispondeva alle domande che non venivano affrontate dai libri. Nel corso degli anni però aveva sviluppato una specie di malattia alle gengive, probabilmente legata al cancro, e aveva smesso di portare la dentiera. Da allora era diventato sempre piú difficile capirla, in piú aveva cominciato a parlare sempre piú a bassa voce, e dopo un po' invece di parlare si limitava a guardare o alzare gli occhi al cielo.

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