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| << | < | > | >> |Indice5 L'Italia nella Grande Guerra 17 Guerra a fuoco 81 Il soldato fotografato 105 In trincea 123 I vivi e i morti 145 In retrovia 167 Guerra totale 186 Foto simbolo 188 Cronologia 190 Letture consigliate 191 Referenze |
| << | < | > | >> |Pagina 5Evento epocale che dà inizio all'età contemporanea, straordinario moltiplicatore di sofferenze e ricchezze, crogiolo di esperienze diverse e totalizzanti, il primo conflitto mondiale (1914-18) scaraventò i paesi belligeranti in una guerra totale dalle proporzioni inaudite che non si sarebbe piú ripresentata con tali spietate caratteristiche. Su tutti i fronti la prima guerra mondiale mobilitò oltre cinquanta milioni di soldati e un numero ingentissimo di lavoratori (uomini e donne) nelle fabbriche della produzione bellica. Il conflitto disegnò i confini politici del mondo contemporaneo, introdusse la società alla percezione della modernità, ma costò la vita a non meno di nove milioni di soldati e a un numero quasi corrispondente di civili, uccisi dalle privazioni e dalle malattie provocate dal conflitto (micidiale l'epidemia influenzale «spagnola» del 1917-18), senza considerare l'incalcolabile numero degli invalidi e di quanti furono colpiti nel corpo e nella psiche. La Grande Guerra (come da subito venne chiamata) fu una guerra di massa, che vide i paesi belligeranti impegnati in un gigantesco confronto industriale e finanziario (in questo senso fu decisivo l'intervento americano a fianco dell'Intesa nel 1917) nell'intento di sostenere sempre piú massicce prove militari. Una guerra totale, in cui tutte le risorse vennero chiamate in causa: la vita dei soldati al fronte cosí come le capacità produttive dell'industria bellica e il consenso delle popolazioni, chiamate dal patriottismo e dalla propaganda a sostenere con il lavoro e l'autofinanziamento il complessivo sforzo degli eserciti. Tutto incominciò il 28 giugno 1914 a Sarajevo, quando Gavrilo Princip, studente bosniaco affiliato a un movimento irredentista slavo, uccise a colpi di pistola il principe ereditario asburgico, l'arciduca Francesco Ferdinando, assieme alla sua consorte. L'Austria-Ungheria ritenne il paese ospitante responsabile dell'increscioso atto di terrorismo ed esattamente un mese dopo, il 28 luglio, dichiarò guerra alla Serbia e la invase. L'atto di forza austriaco nei Balcani compromise ulteriorinente il già precario equilibrio tra le maggiori potenze europee (in particolare Inghilterra e Germania, in competizione per il predominio economico in Europa e nelle colonie) e, in un clima di accentuato militarismo, la diplomazia lasciò il passo agli stati maggiori. Toccava ora alle armi risolvere i vari contrasti (economici, politici, etnici) che da tempo dilaniavano l'Europa. L'Impero zarista, legato alla Serbia da un patto militare, mobilitò il proprio esercito ai confini con l'Austria-Ungheria (invadendo la Galizia) e con la Germania. Quest'ultima, sentendosi direttamente minacciata, il 1° agosto dichiarò guerra alla Russia, che non aveva aderito alla richiesta di neutralità (in realtà un vero e proprio ultimatum militare). Due giorni dopo la Germania dichiarò guerra alla Francia, alleata della Russia, e la invase passando per il Belgio. Ciò provocò l'immediato intervento dell'Inghilterra a fianco dei suoi alleati: gli anglo-francesi contrattaccarono, vennero fermati in territorio francese dalla difesa tedesca e sul fronte occidentale si stabilirono, dal Mare del Nord alla neutrale Svizzera, due opposti, continui sistemi trincerati. Nell'estate dei 1914 si misuravano militarmente le forze dell'Intesa (Inghilterra, Francia, Russia, Serbia, Montenegro, Giappone) contro quelle dell'Alleanza (Germania, Austria-Ungheria, Turchia), mentre altri paesi - fra cui l'Italia, formalmente legata a un patto militare difensivo con la Germania e l'Austria-Ungheria (Triplice Alleanza) - rimasero inizialmente neutrali. Rispetto alla necessità di entrare in guerra il governo, l'opinione pubblica e i movimenti politici italiani erano divisi. Lo schieramento neutralista (socialisti in nome dell'internazionalismo proletario, cattolici influenzati dalle posizioni della Santa Sede, moderati liberali) era a favore di una neutralità negoziata. Le forze interventiste (nazionalisti, repubblicani, socialisti rifornisti), sostenute dai principali giornali nazionali, non nascondevano la volontà di portare a compimento il disegno risorgimentale e richiedevano a gran voce i territori oltre confine simboleggiati dal binomio Trento-Trieste. Non si erano ancora spenti gli echi delle sollevazioni socialiste del giugno del 1914 in Romagna e nelle Marche (la cosiddetta «settimana rossa») sedate da centomila soldati in assetto di guerra, ma il quadro delle relazioni internazionali imponeva all'Italia una scelta di campo. Le pressioni degli Alleati si facevano incalzanti, mentre dall'Austria (il cui contegno aggressivo nei Balcani aveva in pratica sciolto il governo italiano dagli obblighi della Triplice Alleanza) giungevano imprecisate concessioni in favore della neutralità italiana. Il 26 aprile del 1915, dopo vari concitati passi diplomatici, il ministro degli Esteri Giorgio Sidney Sonnino, d'accordo con il capo del governo Antonio Salandra e il re Vittorio Emanuele III ma all'insaputa del Parlamento, autorizzò a Londra la firma di un patto segreto (lo rimarrà fino al 1917) con l'Intesa, che prevedeva l'entrata in guerra dell'Italia entro un mese. In ossequio a tale patto, mentre nel paese si organizzavano massicce manifestazioni interventiste (con il socialista Mussolini, il sindacalista De Ambris e il nazionalista D'Annunzio in prima fila), il 23 maggio il Consiglio dei ministri firmò la dichiarazione di guerra all'Austria-Ungheria, indisse la mobilitazione generale e affidò la conduzione militare dell'esercito al generale Luigi Cadorna. | << | < | > | >> |Pagina 9Italiani in divisaIl primo conflitto mondiale impose il confronto di nazioni in armi. L'Italia, paese in gran parte agricolo, come del resto l'Austria-Ungheria, scaraventò in trincea un esercito proveniente essenzialmente dalle campagne. Nel corso del conflitto l'incremento della produzione bellica richiamò gli operai specializzati nelle fabbriche (soprattutto nel cosiddetto «triangolo industriale» di Torino, Milano e Genova) e, di fronte all'inasprimento delle prove belliche e all'aumento progressivo delle perdite, furono soprattutto i contadini del sud e delle aree agricole del centro-nord a rimpiazzare i vuoti dei reggimenti schierati sul Carso e sull'Isonzo. Un esercito di contadini e di lavoratori venne comandato, in trincea, da ufficiali in servizio permanente effettivo e di complemento, cioè provenienti dalla società civile, dalle professioni, dalla piccola borghesia cittadina e rurale o direttamente dalle aule dell'università e del liceo. Da un certo punto di vista la guerra è stata, per il giovane Regno d'Italia, una grande prova di coesione nazionale. Vestita la divisa, un'emergente classe dirigente offrí alla struttura militare un apporto insostituibíle. A diretto contatto con i reparti, tenenti e capitani riuscirono infatti, con la parola e con l'esempio, con la disciplina e l'incoraggiamento, a tenere insieme un esercito senza particolari tradizioni militari, composto da uomini che combattevano per dovere e senso di obbedienza, emotivamente e ideologicamente assai poco coinvolti in quella che i superiori e i giornali chiamavano la «quarta guerra d'indipendenza». La sostanziale mancanza di motivazioni della grande massa dei soldati italiani (un dato ormai accertato dalla storiografia) non si convertí in una minore efficienza dell'esercito. Paradossalmente, anzi, l'abitudine alla passività e l'ossequio dell'autorità insiti nell'arretrata società rurale italiana d'inizio secolo si incontrarono, in trincea, con le caratteristiche tendenzialmente massificanti della guerra di posizione, che richiedeva ai soldati di tutti gli eserciti l'esecuzione passiva di comandi semplici (attaccare frontalmente, resistere in trincea). In trincea bisognava resistere e obbedire, avanzare e morire, e in questo contesto l'esercito italiano sopportò e superò prove durissime con un comportamento in battaglia complessivamente analogo, a quello di altri piú titolati eserciti. Dal 1915 al 1918 circa cinque milioni di italiani vestirono il grigioverde e oltre due terzi di essi combatterono in trincea. Tale esperienza - lo sappiamo dalle numerosissime testimonianze che ancora oggi emergono dagli archivi di famiglia - segnò in maniera indelebile piú generazioni in armi. La trincea era soprattutto paura e orrore. Paura di perdere la vita, di subire una mutilazione, di andare all'attacco; orrore per lo scempio dei corpi, per la violenza che vi si esercitava, per le terribili condizioni igieniche in cui si doveva sopravvivere. Paure giustificate: circa 650.000 soldati lasciarono la vita sul campo di battaglia; non meno di centomila, su un totale di circa seicentomila prigionieri, morirono in piú o meno improvvisati ospedali militari o in lontani lager; 220.000 subirono un'accertata rilevante menomazione nel fisico o nella psiche; molti di piú patirono per anni i postumi di malattie, infezioni o ferite contratte in guerra. La trincea impose prove durissime, a cui molti, individualmente, tentarono di sottrarsi. I dati della giustizia militare rilevano un universo di comportamenti di fuga (renitenza, diserzione, autolesionismo e simulazione) che possiamo considerare forme di eloquente opposizione alla guerra e alle sue regole. Si ha notizia di 470.000 processi per renitenza alla chiamata (370.000 dei quali a carico di emigranti all'estero), mentre nei confronti dei militari vennero intentati oltre 260.000 procedimenti penali, 170.000 dei quali si conclusero con una condanna, nella maggior parte dei casi (oltre centomila) per diserzione e/o ritardato ritorno al reparto. Le sentenze di morte furono quattromila, settecentocinquanta delle quali effettivamente eseguite; circa quindicimila soldati vennero condannati all'ergastolo o a lunghe pene detentive. Non è invece possibile determinare (i casi documentati sono qualche centinaio) quante furono le esecuzioni sommarie, ordinate senza processo, in momenti di necessità, cosí come, ovviamente, sfuggono i comportamenti illeciti non intercettati dalla pur attenta disciplina militare. |
| << | < | > | >> |RiferimentiLetture consigliate Le brevi note che seguono vogliono offrire alcune indicazioni bibliografiche di facile reperimento per l'approfondimento di temi e problemi esposti in maniera necessariamente sintetica in questo volume. Un sintetico quadro politico-diplomatíco dell'Europa all'inizio del conflitto in J. Joll, Le origini della prima guerra mondiale, Roma-Bari, 1985; G.E. Rusconi, Rischio 1914: come si decide una guerra, Bologna, 1987. Vedi inoltre la recente sintesi di M. Isnenghi, La Grande Guerra, Firenze 1993. Per l'Italia, AA.VV., Benedetto XV, i cattolici e la prima guerra mondiale, Roma, 1965; AA.VV., Il trauma dell'intervento, Firenze, 1968; B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, vol. 1: L'Italia neutrale, Napoli, 1966. Per l'Austria-Ungheria L. Valiani, La dissoluzione dell'Austria-Ungheria, Bologna, 1973. Per un inquadramento del conflitto italo-austriaco vedi P. Pieri, L'Italia nella prima guerra mondiale (1915-1918), Torino, 1965; P. Melograni, Storia politica della grande guerra, Bari, 1969; G. Rochat, L'Italia nella prima guerra mondiale. Problemi di interpretazione e prospettive di ricerca, Milano, 1976; G. Rochat, G. Massobrio, Breve storia dell'esercito italiano, Torino, 1978. Una sintesi illustrata dei principali avvenimenti bellici del fronte italo-austriaco in L. Fabi, Uomini, armi e campi di battaglia della Grande Guerra, Milano, 1995. Per il complesso scenario dei rapporti tra esercito e società nell'Italia in guerra si veda M. Isnenghi, Il mito della Grande Guerra da Marinetti a Malaparte (3 ed. ampliata), Bologna, 1989 -, Le guerre degli italiani. Parole, immagini, ricordi 1848-1945, Milano, 1989; G. Procacci (a cura di), Stato e classe operaia in Italia durante la prima guerra mondiale, Milano, 1983; G. De Luna, L'Italia in guerra, in AA.VV. Italia moderna. Immagini e storia di un'identità nazionale, vol. 2, Milano, 1983. Vedi inoltre R. Monteleone, Lettere al re. 1914-1918, Roma, 1973; AA.VV., Operai e contadini nella Grande Guerra, Bologna, 1982; A. Monticone, Gli italiani in uniforme 1915-1918, Bari, 1972; i saggi di G. Procacci, Dalla rassegnazione alla rivolta: osservazioni sul comportamento popolare in Italia negli anni della prima guerra mondiale, in «Ricerche Storiche», n° 1, 1989 e -, Gli effetti della grande guerra sulla psicologia della popolazione civile, in «Storia e problemi contemperanei» , 1992. Sul rapporto tra guerra e società vedere inoltre i molti spunti presenti in D. Leoni, C. Zadra (a cura di), La Grande Guerra. Esperienza, memoria, immagini, Bologna, 1986. Le vicende e le aspettative di una grande città asburgica diventata poi italiana in L. Fabi, Trieste 1914-1918: una città in guerra, Trieste, 1996. Sul rilevante tema della guerra di trincea e sulle condizioni materiali e psichiche di soldati e civili interessati dagli eventi bellici v. L. Fabi, Gente di trincea. La grande guerra sul Carso e sull'Isonzo, Milano, 1994. Sulla disciplina nell'esercito italiano v. E. Forcella, A. Monticone, Plotone di esecuzione, Bari, 1968. La propaganda nell'esercito prima e dopo Caporetto in M. Isnenghi, Giornali di trincea 1915-1918, Torino, 1977. Sul tema della prigionia v. G. Procacci, Soldati e prigionieri italiani nella Grande Guerra, Roma, 1993. In L'officina della guerra. La Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale, Torino, 1991. A. Gibelli propone inedite interpretazioni dell'universo mentale dei soldati in trincea basate sull'analisí delle fonti autobiografiche dei soldati sullo sfondo degli studi di G. L. Mosse, Sessualità e nazionalismo (trad. it), Bari, 1984; -, Le guerre mondiali dalla tragedia al mito dei caduti (trad. it.), Bari, 1990; P. Fussell, La Grande Guerra e la memoria moderna (trad. it), Bologna, 1984; R. Wohl, 1914. Storia di una generazione (trad. ít.), Milano, 1984; E. J. Leed, Terra di nessuno. Esperienza bellica e identità personale nella prima guerra mondiale (trad. it.), Bologna, 1985. Interessanti comparazioni in A. Bravo (a cura di), Donne e uomini nelle guerre mondiali, Bari, 1991. Per un piú esauriente quadro storiografico v. le recenti rassegne di G. Rochat, Bibliografia italiana di storia e studi militari 1960-84, Milano, 1987 e di B. Bianchi, La grande guerra nella storiografia italiana dell'ultimo decennio, in «Ricerche storiche», n.3, 1991. | << | < | |