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| << | < | > | >> |IndiceSigle 7 Il duce, il bambino «ebreo», il prosciutto e altre storie 9 Gli episodi del 1929 12 Gli episodi del 1930 24 Dopo il 1930 26 Prologo 39 Una visita 39 Un comunicato 42 In parallelo 56 1. Pallidi giudei (1900-1918) 61 Popolo della vendetta 61 Cattolici, laici, socialisti 80 Un fatto è sempre un fatto 102 2. Idee di razza 139 Razzismi 139 Élites 158 Pangermanesimo 169 Socialisti 193 Guerra e demografia 209 3. Ignorante e antisemita (1918-1919) 225 Un'adunata 224 Schiff e altri 240 4. Programmi 257 Parigi 257 Razza-nazione 266 Il partito 288 5. Le autointerpretazioni del 1938 321 6. Contro i capi ebrei (1920-1922) 341 Pogrom 341 I capi 349 Immediatamente stranieri. 1921 364 Un censimento 370 7. Pacificazione (o forse no) 379 Pacificazione 379 O forse no 411 8. Verso il futuro 451 Il personaggio 452 Razzista 455 Antisemita 456 Fusione 461 Fascismo 465 Progetti, programmi 468 Coerenza e segreti 477 Imperi 482 Oriente 484 La storia 485 Indice dei nomi 489 |
| << | < | > | >> |Pagina 9Il duce, il bambino «ebreo», il prosciutto e altre storieNegli ultimi anni, alcuni studi - senza particolare clamore, ma con molti e ineccepibili documenti - hanno notevolmente modificato la storiografia mussoliniana e fascista. In pratica grazie a questi studi è stato retrodatato, e di parecchio, l'avvio delle intenzioni razziste di Mussolini e in particolare delle sue concrete decisioni antisemite. Si è così giunti a individuare le prime iniziative razziste esplicite del duce contro gli ebrei, italiani e non - ma anche a favore di un razzismo antinero - agli inizi degli anni Trenta. E il risultato di una ricerca non ancora conclusa, ma già certamente ricca di conseguenze. Da quanto sta emergendo, Mussolini e il fascismo, a modo loro, sul piano razzista provarono a essere concorrenziali rispetto al nazismo, che in quella fase saliva al potere e s'imponeva in Europa. Si è delineato in sostanza un fascismo italiano che - tra il 1932 e il 1934 - tentava di indicare a Hitler e al mondo una propria via razzista, probabilmente molto più politica e meno urlata di quella nazista. Rispetto alle tesi che negano addirittura l'esistenza di un razzismo mussoliniano o sostengono invece che Mussolini avrebbe imparato da Hitler, si è delineata una realtà completamente diversa, molto articolata e ricca di sfumature. Il razzismo mussoliniano preesisteva alla salita al potere di Hitler. In modo autonomo, aveva trovato sue soluzioni persecutorie. Quando poi il nazismo conobbe una forte crescita politica, il razzismo mussoliniano ebbe un impulso nuovo: ovvero indurì le proprie posizioni e, allo stesso tempo, acquistò una prospettiva più ampia. In altre parole, l'ascesa prodigiosa di Hitler, razzista integrale, incrociò un Mussolini che elaborava un complesso accordo internazionale, il Patto a Quattro, in cui si prospettava un'Europa bianca, ricompattata e aggressiva (e in effetti l'Italia finì, di lì a poco, per essere l'unico paese che in quel periodo invase una nazione africana). Allo stesso tempo, Mussolini mise a punto una severa azione razzista e antisemita interna: in gran parte segreta (ma non del tutto), cautissima, ma anche piuttosto chiara e non priva di minacciosità più estese, seppure senza le asprezze pubbliche e le violenze del nazismo. In base a quest'azione, nel giro di qualche anno l'Italia si sarebbe dovuta presentare al resto dell'Europa senza ebrei nei posti di comando. Mussolini razzista si lega a queste ricerche e ricostruzioni e ne costituisce una sorta di sviluppo, ma rivolto verso un passato più remoto. Vi viene infatti analizzata la fase di formazione della mentalità, della politica e della strategia razzista di Mussolini, dalla giovinezza fino alla salita al potere. Su varie questioni risulterà molto chiaro come il successivo razzismo e antisemitismo del capo del fascismo abbia avuto radici proprio in questi anni di formazione. Naturalmente non si trattò di un progetto preordinato, lineare e ben definito dal principio: ogni passaggio successivo potrebbe essere stato il frutto del precedente, ma anche di altri fattori, in una sequenza non prevedibile (e talvolta difficile da capire). Però Mussolini partiva da un pensiero di fondo elaborato molto per tempo. E ci fu una grandissima coerenza tra quel prima e il suo successivo e più noto razzismo, a proposito sia dell'idea di razza sia di quelle relative agli ebrei. Ma ci sono altre conseguenze ancora. Se finora la storia del razzismo fascista era stata ricostruita soprattutto a partire dalla guerra d'Etiopia o dal fatidico 1938, e in riferimento alla normativa specifica contro gli ebrei e i neri, ora andrà indagata in varie altre direzioni. Di qui insomma può prendere forma un'impostazione di studio più aperta e duttile e poi nuove vere e proprie linee di ricerca, e persino una nuova idea di cronologia del fascismo. Innanzitutto, si dovrà iniziare a studiare come si è formata in Italia una mentalità pubblica nazionale razzista tra gli anni Venti e Trenta: perché il fascismo ebbe indubbiamente una base razzistico-discriminatoria. Poi andranno studiati gli atteggiamenti e le decisioni fasciste e di governo relativi alle minoranze interne che, in una fase di complessa definizione del concetto di minoranza, avevano un fortissimo connotato razziale. Ancora: occorrerà ripercorrere i rapporti internazionali su questo punto, e non solo tra l'Italia e gli altri paesi, ma tra il Partito fascista e altri partiti stranieri e forse, in senso più generale, tra razzismo fascista e razzismo in altri paesi. La netta impressione che ormai emerge è che il fascismo, a proposito di razza, negli anni Venti abbia dato lezioni a tutta l'Europa e non solo ai nazisti bavaresi; e che abbia tentato di continuare a farlo, seppur con minor fortuna, anche negli anni Trenta. Che insomma sia stato a modo suo una guida politica di razzismo per quel continente che di lì a poco si sarebbe ricoperto del sangue delle razze «diverse». Ci sarà poi ancora da lavorare su Mussolini. Si dovrà ad esempio capire quando e come si affacciò davvero nella sua mente e nelle sue azioni il problema del razzismo antinero. Finora l'unica certezza in proposito è che per quanto riguarda il razzismo in colonia, Mussolini contribuì a emanare la legge organica per l'Eritrea e la Somalia del luglio 1933, che pose dei limiti ai requisiti che doveva possedere un «meticcio» per ottenere la cittadinanza italiana: ma, come si vedrà, si trattava di una legge non del tutto innovativa e che era un esito diretto di quelle dell'Italia liberale. Invece, per quanto riguarda il razzismo metropolitano, nell'aprile 1934 il duce si esibì in un'eclatante azione di censura letteraria contro un romanzetto che parlava di un rapporto tra una donna bianca e un uomo nero e proprio per difendere la «dignità» della razza italiana. Si avvicinava la conquista d'Etiopia e questo ne era un annuncio. Ma non è detto che il problema del razzismo antinero non fosse stato da lui affrontato anche in precedenza. Cruciale invece, da subito, fu il suo antisemitismo e l'azione esplicita contro gli ebrei. Alla formazione dell'antisemitismo mussoliniano e al suo primissimo dispiegarsi (anche nei fatti) questo libro dedica moltissime pagine. Quest'introduzione, di seguito, ricostruirà invece ciò che si sa finora delle varie azioni contro gli ebrei di Mussolini uomo di stato. Fino alle vere e proprie «leggi razziali», di cui Mussolini fu direttamente responsabile e ispiratore anche in vari dettagli. I tempi si accorciano, i vuoti si riempiono. Gli ultimi atti e gesti antisemiti sicuri del giovane Mussolini rintracciati in questo libro sono della metà del 1923. I primi atti concreti e ostili identificati in quest'introduzione sono dell'inizio 1929, ma si intravvedono elaborazioni e pensieri precedenti di diversi mesi. Le prime decisioni operativamente antisemite e in parte pubbliche che si conoscono (a parte una legge, su cui si dirà) risalgono al 1932-1933. Una certa continuità viene stabilita. Si trattava di una forma mentis, ma via via divenne continuità di scelte: caute, guardinghe, «politiche»; progressivamente sempre più dure e applicative. Ecco dunque questa sorta di piccola cronologia antisemita mussoliniana. Si usa, nelle prime pagine, documentazione nuova e, di seguito, si riordinano le ricerche fin qui apparse. | << | < | > | >> |Pagina 36Inoltre, Mussolini prese decisioni a proposito di ebrei in numerosi casi singoli. Per fare un solo esempio, nell'aprile 1943 diede di persona l'ordine che un ebreo malato («sacralizzazione della quarta vertebra lombare») potesse andare al Lido di Venezia a fare una cura balneare solo se abitava a Venezia: «altrimenti vada in luogo meno mondano se è per cura», ordinò. Tra l'altro si trattava di un ebreo fascista pluridecorato. E infine, dopo l'8 settembre 1943, si aprì il buco nero della concreta Shoà in Italia, ancor oggi oggetto di studi anche per quanto riguardò il ruolo di Mussolini, che era da tempo al corrente dello sterminio in atto in Europa. E colluso con i nazisti. Nella società razzista europea era ormai solo un socio di minoranza, ma continuava a fare il proprio «dovere».Dal 1929 in poi la politica antisemita di Mussolini conobbe una notevole linearità e varie fasi. Emanazione diretta della «formazione» razzista e antisemita di cui si parla in questo libro, ebbe un forte connotato socio-politico: venne cioè applicato un controllo su gruppi e persone singole — dovuto quasi certamente all'idea del formarsi di un'organizzazione ebraica — a cui seguì qualche eliminazione dai loro ruoli (in modo cauto, calibrato o segreto, eccetera, ma in maniera sempre più sicura e circostanziata) dei cosiddetti infidi «capi ebrei», i capi del «popolo della vendetta» come li aveva chiamati tempo addietro. Chiari erano stati i segnali, inviati già nel 1928, su come Mussolini supponesse una colleganza tra ebraismo e antifascismo (ma si vedrà, anche questo era un motivo nato prima della presa del potere). Probabilmente aveva stabilito anche una relazione tra il «pericolo» costituito dagli ebrei e il contemporaneo Concordato firmato con la Chiesa. Ai suoi occhi invece contava meno o per nulla, sembrerebbe, il pericolo creato dalla Palestina e dalla tendenza a formarsi di uno stato ebraico. Era comunque assai in anticipo rispetto alle prime vittorie elettorali del nazismo. In questa fase Mussolini regolava i suoi antichi conti personali e politici e li trasformava in una pulsione antisemita da trasferire a tutta l'amministrazione alle sue dipendenze. Ma erano «esperimenti» ancora più o meno segreti e a piccolo raggio. A partire dal 1932-1934, questa politica divenne un po' più pubblica e allargata a un maggior numero di settori della società. Venne espressa, in tendenza, anche in politica estera, prima con alcune esternazioni a Hitler, poi con un tentativo di aggregazione, sotto le insegne del fascismo, delle forze antisemite europee: tentativo peraltro di poco successo. Il fascismo, atto dopo atto, diventava un regime vieppiù ostile in maniera aperta verso gli ebrei e dirigeva un paese sempre più palesemente povero, a vari livelli, di dirigenti ebrei. Era un'evoluzione che aveva un'evidente relazione con la crescita nel teatro europeo di un nazismo antisemita che rubava la scena a Mussolini. Ma, come si è visto, il razzismo mussoliniano aveva anche proprie originali radici, indirizzi e soluzioni. Poi ci si avviò verso un fascismo antisemita e persecutorio in maniera indiscriminata. L'allargamento dell'antisemitismo mussoliniano si vide bene già nel 1934, quando le eliminazioni via via raggiunsero i gradi più bassi dell'amministrazione e quando venne anche presa di mira una giornalista non molto nota. Ma ci fu anche un punto di svolta (magari all'inizio confuso), in cui Mussolini decise che si dovevano colpire indistintamente tutti gli ebrei in Italia, mettendo in moto un vero processo antisemita nazionale a questo punto del tutto pubblico. Si può supporre che questo cambio d'indirizzo sia da collocare intorno al giugno del 1935, come si spiegherà meglio nel libro, in base ad alcuni documenti e a una dichiarazione di Mussolini. Dal giugno 1935 in poi, e cioè prima dell'avvicinamento politico alla Germania, sembra quindi che Mussolini avesse deciso che l'antisemitismo e insieme a esso il razzismo dovessero coinvolgere tutto il paese, e che dovessero prendere avvio nel giro di un paio d'anni (e due in effetti furono). A quel punto probabilmente fu davvero impostata una strategia persecutoria con veri caratteri antisemiti e rivolta alla pubblica opinione. Quando, con il libro di Paolo Orano, alla metà del 1937, incominciò un'autentica campagna stampa antisemita, le «operazioni» erano in realtà in corso da almeno otto anni e programmate da due. Erano state all'inizio «politiche» e non violente; a carattere perennemente sussultorio; ma, grazie forse anche al segreto che le aveva circondate, ebbero una vastità e profondità notevoli. Nel 1938 lo sbocco persecutorio sul piano dei «diritti», come l'ha definito Michele Sarfatti – e cioè contro i diritti al lavoro, all'istruzione, al benessere, perfino al matrimonio degli ebrei, italiani e non – fu un esito dunque ben rodato, oltre che scontato, come del resto all'epoca sottolineò più volte lo stesso Mussolini. E in molti, davvero moltissimi italiani ormai dovevano saperlo. | << | < | > | >> |Pagina 39Una visita Poche settimane prima che Mussolini salisse al potere, in un giorno non ben precisabile del settembre 1922 venne a trovarlo a Milano, al «Popolo d'Italia», un brillante trentenne tedesco, Kurt Lüdecke, poliglotta, uomo di mondo dai mille mestieri. Lo mandava, a quanto costui raccontò nelle memorie pubblicate quindici anni dopo in USA e Gran Bretagna, Adolf Hitler. Lüdecke andò a Milano col preciso scopo di contattare il direttore del «Popolo d'Italia» per conto di Hitler. Mussolini, stando sempre a quelle memorie, lo ricevette e i due colloquiarono, per ben quattro ore, di vari argomenti. In quell'occasione, il futuro duce avrebbe sentito citare per la prima volta il nome del futuro Führer, che era ancora un pressoché sconosciuto agitatore politico tedesco. Tra le altre cose, i due parlarono anche di ebrei e di ebraismo. | << | < | > | >> |Pagina 56In paralleloDai due episodi descritti nelle pagine precedenti emerge un Mussolini, in pieno 1922, antiebraico e antisemita. E, insieme a lui, un partito che si colorava delle stesse tinte. Il fatto era stato segnalato da alcuni giornali. È un'immagine storiografica del capo del fascismo e del suo partito, per questo periodo, piuttosto insolita. Tuttavia questi episodi non furono casuali, ma giunsero dopo che Mussolini, a partire dagli inizi del secolo, su questi temi aveva percorso un lungo e labirintico itinerario intellettuale. Il cammino procedette su diversi piani. Molto per tempo Mussolini elaborò, in parallelo ai pensieri sugli ebrei, una complicata rete di riflessioni, di letture, di dichiarazioni e di gesti a proposito della razza e del razzismo, destinata a intrecciarsi con quelle stesse riflessioni e a completarle o a esserne completata. Questo libro vuole appunto ricostruire quell'insieme di dichiarazioni, prese di posizione, letture e analisi e capirne gli esiti. Si tratterà di mettere a fuoco, quindi, in quale ambiente Mussolini si mosse, quali erano i suoi punti di riferimento e gli interlocutori e come si svolgeva il dibattito e lo scontro intorno a lui: perché una discussione, e piuttosto complessa, su come attrezzare il paese di un pensiero e di una politica razzista e antisemita, in quel periodo indubbiamente ci fu. Per far tutto questo, si procederà lungo due binari paralleli del ragionare e del fare politica di Mussolini: quello razzista e quello specificamente antisemita. Si seguirà inoltre un andamento cronologico, dal Mussolini giovane fino alla presa del potere nel 1922. In questo modo, a un capitolo sull'evolversi delle riflessioni e talvolta delle azioni di Mussolini a proposito di ebrei (cap. 1), ne seguirà un altro, parallelo, relativo alle sue esternazioni sul razzismo (cap. 2). Poi ancora un capitolo sugli ebrei (cap. 3), uno sulla razza (cap. 4) e di nuovo uno sugli ebrei (cap. 6). Il cap. 7 proporrà un'analisi incrociata degli atteggiamenti di Mussolini e del fascismo su entrambi i temi, ma in particolare sugli ebrei nell'anno della «marcia», il 1922. Il cap. 5 sarà invece dedicato ad alcune affermazioni fatte da Mussolini nel 1938 a proposito delle origini del razzismo fascista. In quel periodo gli si impose la necessità di una «ricostruzione» storica e politica su quanto era successo trenta-quaranta anni prima. Spesso, peraltro, le due questioni — razza ed ebrei — si intrecceranno anche all'interno dei singoli capitoli, proprio perché erano temi tra loro quasi sempre inestricabili. E poi si considererà l'evoluzione della carriera di Mussolini e proprio in relazione ai cambiamenti dei ragionamenti razzisti. La politica senza dubbio impresse un suo ritmo a quest'aspetto dell'elaborazione ideologica mussoliniana; ma vale anche l'inverso. Per i documenti da utilizzare, si sono incontrati alcuni ostacoli. Di documentazione originale, diretta e personale sui «razzisti» italiani, ce n'è poca. Il motivo di fondo è che nella seconda metà del Novecento il razzismo in toto è stato messo al bando, e con difficoltà sono stati conservati o versati agli archivi pubblici fondi privati di «razzisti» acclarati o anche di intellettuali e politici che, all'epoca, sul tema del razzismo condussero analisi, presero posizione, sostennero tesi. In questo senso, ad aggravare la situazione si è aggiunta anche la responsabilità di una «vulgata» storiografica che ha sostenuto che il razzismo in Italia all'inizio del secolo non è esistito, neanche in campo culturale. Era una vulgata fortemente influenzata da uno storicismo marxista, De Felice compreso, che mal accettava il passaggio da un'interpretazione della politica come lotta di classe a una come lotta di razze: persino quando essa proveniva da movimenti e regimi «nemici» come fascismo e nazismo. Inoltre esprimeva la ferma intenzione di differenziare in modo marcato fascismo e nazismo sul piano del radicalismo ideologico (spesso confondendo gli esiti con le premesse). Quest'impostazione ha influenzato tra l'altro, per quanto riguarda la storia d'Italia, uno studioso straniero di grande spessore e peso, George Mosse, ed è diventata una «vulgata internazionale». Tutto ciò non ha certo favorito l'analisi e la conservazione della documentazione «razzista». [...] In questo libro si analizzeranno articoli, discorsi e saggi, molti dei quali sfuggiti alla scarsa attenzione degli storici o talvolta considerati minori o insignificanti. Si tratta invece per lo più di testi che adesso si riesce a intendere o a decifrare in modo migliore di prima e proprio perché letti con altri. Il caposaldo documentario per gli scritti veri e propri di Mussolini è ancora oggi l' Opera omnia dei due Susmel, una raccolta che merita rispetto per la pazienza certosina con cui è stata portata a termine e anche perché all'epoca ha usufruito di testimoni viventi, tra cui lo stesso autore, di collezioni di giornali più facilmente disponibili eccetera. Duole anzi che non sia stata usata di più e meglio in passato. È però anche un'opera «religiosa», condotta da fedeli e seguaci del duce che ne volevano esaltare la memoria: in questo senso, mancano alcuni dei testi più sgradevoli e compromettenti della produzione mussoliniana, che vanno perciò riportati alla luce. Inoltre, essa va integrata con un controllo dei singoli pezzi e con un'attenta lettura diretta e completa dei giornali di Mussolini, piccoli e talvolta minuscoli organismi editoriali dove la sua mano è visibile al di là degli scritti a lui attribuiti o attribuibili. Nell'insieme, quello di Mussolini, nel campo che si andrà a dissodare, fu un percorso tortuoso, perché era mobilissimo nelle scelte, tanto da risultare a volte un opportunista che assecondava tendenze, mode culturali e sentito dire provenienti anche da altri paesi. Per paradosso, il nazionalista Mussolini fu un notevole internazionalista della cultura. In effetti forse a partire dalla sua esperienza di emigrante, forse grazie alla discreta conoscenza di alcune lingue straniere, e forse soprattutto per l'internazionalismo socialista in cui fu immerso a lungo, era straordinariamente attento a quanto succedeva altrove. Anche questo ne faceva un personaggio strano e propulsivo in un'epoca di violenta «mondializzazione» come quella che precedette e seguì la prima guerra mondiale e soprattutto in un paese ancora chiuso su sé stesso come il nostro. La continuità di quel percorso razzista, se seguito con molta attenzione, è impressionante. Si può perfino avanzare la tesi che Mussolini sia stato l'intellettuale del Novecento che in Italia e non solo ha scritto (e pensato) più a lungo in termini di razza e razzismo. È vero che ha avuto la fortuna di avere due esegeti fedeli come i Susmel, che hanno raccolto per anni tutto ciò che si poteva raccogliere dei suoi scritti. Ma è anche vero che non risulta che altri personaggi, Hitler compreso, abbiano scritto in maniera positiva, con la stessa continuità, ritmo e talvolta anche respiro, e per quasi quarant'anni, di razza e razzismo. Si trattava di pensieri (e talvolta di azioni) «solidi» e duraturi. | << | < | > | >> |Pagina 139Razzismi Razza, razzismo. È ancora una vicenda tutta da studiare, ma alcune definizioni politico-razziste sono riscontrabili già all'epoca del primo Risorgimento. Alberto Banti, ín proposito, ha indagato con acume, trovando, nella formazione del «discorso nazionale», varie tracce völkisch (Manzoni, Berchet) e di esaltazione del «genio italico» (Vincenzo Cuoco). Così come molto presto (anni Cinquanta dell'Ottocento) alcuni tra i primi ideologi della Nuova Italia (Massimo D'Azeglio, Cesare Correnti, Pasquale Stanislao Mancini) incominciarono a discutere e a identificare la razza come elemento costitutivo della nazione. Ma soprattutto bisogna ricordare il più famoso poeta e intellettuale e maestro democratico, Giosue Carducci, non precisamente un teorico dell'arianesimo, ma un sicuro esaltatore di «valori "ariani"». L'«arianesimo» di Carducci era anticattolico e, in quanto tale, anche antiebraico perché l'ebreo Gesù aveva fondato la Chiesa; ma era anche avverso agli elementi antropologicamente non autoctoni. Non essendo gli ebrei da considerare «italiani autoctoni», in tal senso Carducci era banalmente antisemita. E potrebbe essere stato in questo senso uno dei maestri indiretti di Mussolini. Sotto questo profilo però è ancora più interessante che, di recente, siano stati portati alla luce, di Leonida Bissolati, il primo direttore del socialista «Avanti!», alcuni scritti razzisti giovanili inneggianti alla «superiorità dell'ariano» sulle «razze inferiori». Infine bisogna anche considerare la produzione più propriamente tecnico-scientifica (di medici, antropologi, statistici, educatori), che anch'essa, alla fine dell'Ottocento e nei primissimi anni del Novecento, incominciò a far riferimento alla razza e alle razze. Erano scritti e interventi che sottolineavano la presenza sempre più forte di una cultura laica in un nuovo stato che cercava davvero di estendere il controllo su persone e gruppi. Definire materialmente una «razza» comune, e quindi un «corpo della nazione», era un modo per delimitare un terreno su cui un'intera, composita e allargata dirigenza poteva ragionare e operare concretamente. Erano spunti dispersi, ma anche molto solidi, sintomo di una mentalità che si stava formando. Ma, a parte le teorie, bisogna considerare la «pratica». Per quanto riguarda l'attività governativa e legislativa italiana, un sussulto fortissimo al razzismo fu dato dall'«impresa africana» che ebbe luogo negli anni Novanta dell'Ottocento e che però fu stroncata dalla dura sconfitta di Adua. In questo periodo una certa ideologia razzista e colonialista mise radici anche nella politica e nella cultura di sinistra. Ciò avvenne in particolare dopo la guerra d'Africa e in ritardo rispetto ad altri paesi d'Europa (Francia, Gran Bretagna, Germania), dove il dibattito anche istituzionale sui rapporti coloniali con la «razza negra» era avviato da decenni. All'epoca (metà degli anni Ottanta dell'Ottocento) per l'Italia è da ricordare soprattutto una famosa polemica sullo stesso tema affrontato da Bissolati, i rapporti cioè tra razze «superiori» e civili e quelle (africane, ma non solo) «inferiori» e barbare. Ne furono protagonisti due personaggi democratici di spicco iscritti al Partito repubblicano: Giovanni Bovio, schierato a favore della gerarchia delle razze e, su questa base, favorevole all'intervento in Africa; e il geografo Arcangelo Ghisleri, contrario. Insieme a loro al dibattito parteciparono altri intellettuali della parte democratica come Napoleone Colajanni e Gabriele Rosa. La discussione fu poi raccolta in un libro, Le Razze Umane e il Diritto nella Questione Coloniale, pubblicato dapprima nel 1888 e poi, con l'aggiunta di altri testi, nel 1896. A quest'ultima pubblicazione seguirono altri interventi ancora sul medesimo argomento. Così nel 1898 il futuro esperto socialista di questioni coloniali (e più tardi fascista e razzista), Gennaro Mondaini, pubblicò un libro che discuteva il «Negro Problem» negli USA, e prospettava una possibile integrazione sociale tra bianchi e neri. Nell'introduzione, il sociologo Enrico Morselli però ribadì il principio della superiorità della razza bianca, trattando il tema a lungo e in termini perfino di supposta «tolleranza» da parte dei bianchi verso i neri. È anche vero però che, più o meno negli stessi anni, sull'«Avanti!» si potevano leggere degli articoli di fondo che negavano con forza l'idea stessa dell'esistenza della razza: Non esistono delle razze diverse, ma solo dei popoli differenti. | << | < | > | >> |Pagina 225Un'adunata Alla fine della guerra, nel pensiero di Mussolini l'opzione razzista e discriminatoria (non esplicitamente persecutoria, sia chiaro) era ormai radicata. Da tempo era stabile quella contro gli ebrei in generale, con uno speciale accanimento riguardo alla loro religione. In un pezzo del novembre 1918, a proposito della vittoria in guerra, Mussolini inserì una metafora sul «Tempio». In prima battuta alludeva alla sconfitta politica subita dal pacifismo cattolico, ma giocava senza dubbio con il ricordo della distruzione del Tempio di Gerusalemme da parte dei romani, forse con qualche allusione indiretta al «disfattismo ebraico» che avrebbe trovato – aveva scritto il «Popolo d'Italia» – una tribuna alla conferenza di Zimmerwald: Il Tempio crolla con fragore improvviso. Il soffio impetuoso della vittoria lo ha abbattuto. Pareva solido ed era fragile; pareva grande ed era meschino. Più bottega che tempio. Dalle macerie, lividi di paura, sbucano i preti. Rimanevano gli ebrei singoli, verso cui aveva alternato momenti di disprezzo, di ostilità e di cautela. Definita la differenza «razziale», su di essi non si era più accanito, anche se più volte era emersa la sua insofferenza. D'altra parte non era davvero l'unico antisemita in campo in quel momento, benché con il suo giornale fosse, secondo l'occasione e il ghiribizzo, tra i più violenti. Dopo la prima guerra mondiale Mussolini diede avvio ai suoi più rilevanti attacchi antisemiti. Proprio in questo periodo in Italia si andava sviluppando, nella politica e nella cultura, quell'antisemitismo che si era affacciato prima della guerra e si era sedimentato durante il conflitto, e il cui bersaglio era il «potere eccessivo» esercitato in vari campi da alcuni ebrei. Pure tra affermati studiosi di quel periodo erano diffuse le osservazioni – in apparenza neutre – sull'alta presenza di ebrei ai gradi più elevati della Società in confronto della esiguità numerica della popolazione israelitica stessa, come si espresse nel 1918 il demografo Livio Livi. A proposito d'antisemitismo, il personaggio forse più in evidenza di questa fase fu ancora una volta il nazionalista Francesco Coppola, dal dicembre 1918 direttore della nuova rivista «Politica». Sul secondo numero del gennaio 1919, in un lungo saggio sulla sistemazione postbellica dell'Europa, Coppola ebbe delle parole minacciose sugli ebrei e l'ebraismo. Erano stati loro, insieme ai tedeschi della Riforma, scrisse, a tracciare i contorni della nefasta «democrazia politica», con i suoi conseguenti miti negativi (egualitarismo, umanitarismo). Attingeva anche lui al solito Nietzsche della Genealogia della morale, ma forse anche a un più fumoso e antisemita Corradini, che nel 1907-1908 aveva parlato del principio disgregatore (il messianismo rivoluzionario) dell'ebraismo. Era stato l'ebraismo attraverso il cristianesimo («le sue origini non sono latine ma ebraiche») a minare l'impero romano; ebraiche erano state pure le radici dell'individualismo corrompitore («ebraica la tendenza all'astrazione universalistica [...] ebraico l'individualismo anarchico contrapposto alla gerarchia organica dello Stato»). Ebraico infine il socialismo, «sino al bolscevismo, covato, fomentato, capeggiato in Russia e in Germania da ebrei». C'è poi un altro dato davvero notevole da sottolineare: sullo stesso numero di «Politica» (sempre gennaio 1919) comparve un altro saggio che appoggiava queste tesi ed era piuttosto prestigioso. L'aveva scritto Benedetto Croce, che aveva parlato, in un lungo testo contro la massoneria, dell'esistenza in proposito di una «questione semita» e del «connaturato messianismo» degli israeliti, che li aveva avvicinati all'organizzazione segreta (tesi che, come si sa, girava da tempo). È anche da notare che, in base alla data che lo stesso Croce mise in calce al suo scritto, erano osservazioni che aveva steso ben sei mesi prima, nel giugno 1918.
Nell'insieme erano concetti diffusi. Soprattutto ciò che scrisse Coppola era
stato anche già da tempo sostenuto in vari modi dal futuro capo del fascismo.
Pure le fonti sembravano in gran parte identiche: Nietzsche soprattutto, un po'
di Carducci, gli storici delle religioni come Cumont, forse qualche notizia
giornalistica. Appare peraltro del tutto impossibile che Mussolini si possa
essere ispirato per la sua nuova fase antisemita proprio a Francesco Coppola, un
personaggio troppo conservatore e per il cui elitarismo più volte manifestò un
autentico disprezzo.
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