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| << | < | > | >> |Pagina 9L'uomo è uno e nessuno. Porta da anni la sua faccia appiccicata alla testa e la sua ombra cucita ai piedi e ancora non è riuscito a capire quale delle due pesa di più. Qualche volta prova l'impulso irrefrenabile di staccarle e appenderle a un chiodo e restare lì, seduto a terra, come un burattino al quale una mano pietosa ha tagliato i fili. A volte la fatica cancella tutto e non concede la possibilità di capire che l'unico modo valido di seguire la ragione è abbandonarsi a una corsa sfrenata sul cammino della follia. Tutto intorno è un continuo inseguirsi di facce e ombre e voci, persone che non si pongono nemmeno la domanda e accettano passivamente una vita senza risposte per la noia o il dolore del viaggio, accontentandosi di spedire qualche stupida cartolina ogni tanto. C'è musica dove si trova, ci sono corpi che si muovono, bocche che sorridono, parole che si scambiano e lui sta fra di loro, uno in più per la curiosità di chi vedrà sbiadire giorno per giorno anche questa fotografia. L'uomo si appoggia a una colonna e pensa che sono tutti inutili. Di fronte a lui, dall'altra parte della sala, sedute una di fianco all'altra a un tavolo vicino alla grande vetrata che dà sul giardino, ci sono due persone, un uomo e una donna. Nella luce soffusa, lei è sottile e dolce come la malinconia, ha i capelli neri e gli occhi sono verdi, talmente luminosi e grandi che li vede anche da lì. Lui ha occhi solo per la sua bellezza e le parla all'orecchio, per farsi sentire oltre il frastuono della musica. Si tengono per mano e lei ride alle parole del compagno, rovesciando la testa all'indietro o nascondendo il viso nell'incavo della sua spalla. Poco fa lei si è voltata, forse punta in qualche modo dalla fissità dello sguardo dell'uomo appoggiato a una colonna, cercando l'origine di un lontano disagio. I loro occhi si sono incrociati ma quelli di lei sono passati indifferenti sulla sua faccia come sul resto del mondo che la circonda. È tornata a regalare il miracolo di quegli occhi all'uomo che è con lei e che la ricambia con lo stesso sguardo, impermeabile a ogni messaggio esterno al di fuori della sua presenza. Sono giovani, belli, felici. L'uomo appoggiato a una colonna pensa che presto moriranno. | << | < | > | >> |Pagina 11Jean-Loup Verdier premette il pulsante del telecomando e solo quando la saracinesca fu aperta a metà accese il motore, per non respirare i gas di scarico nello spazio ristretto del box. La luce dei fari lasciò lentamente la parete di metallo che si sollevava per andare a bucare lo schermo nero dell'oscurità davanti a lui. Mise su drive la leva del cambio automatico e, quando l'apertura fu completa, premette l'acceleratore e guidò lentamente l'SLK all'esterno. Pigiò il tasto di chiusura puntando il telecomando con il braccio alzato sulla testa, e mentre aspettava il clang della porta che si richiudeva rimase a guardare il panorama che si apriva davanti al cortile di casa sua. Montecarlo era un letto di cemento sul mare. Sotto i suoi occhi la città quasi non aveva forma, avvolta nella leggera foschia di vapore che rifletteva le luci accese nella sera. Poco sotto di lui, i campi illuminati del Country Club, già su territorio francese, dove probabilmente si stava allenando qualche star del tennis internazionale, di fianco al dito alzato di Parc Saint-Roman, uno dei grattacieli più alti della città. Più giù, verso Cap d'Ail, sotto la rocca della città vecchia, si indovinava il quartiere di Fontvieille, strappato all'acqua metro per metro, pezzo per pezzo. Accese contemporaneamente una sigaretta e la radio sintonizzata su Radio Monte Carlo. Mentre avviava la macchina su per la rampa che portava alla strada, con il telecomando azionò l'apertura del cancello. Svoltò a sinistra e scese lentamente verso la città godendo l'aria già calda di fine maggio. Dalla radio arrivava Pride, un brano degli U2, l'inconfondibile ritmica di chitarra in sottofondo. Sorrise. Stefania Vassallo, la dee-jay che conduceva la trasmissione a quell'ora su Radio Monte Carlo, aveva un'autentica passione per «The Edge», il chitarrista della band irlandese. Non perdeva occasione per infilare un loro pezzo nel suo programma. In radio l'avevano presa in giro per mesi per l'aria sognante che aveva ostentato come un make-up quando era finalmente riuscita a conquistarsi un'intervista con i suoi idoli. Mentre da Beausoled scendeva la strada tutta curve che porta verso il centro, prese a battere il tempo con il piede sinistro alternato a un levare della mano destra sul volante, assecondando Bono che raccontava con voce piena di ruggine e di malinconia storie di un uomo venuto in the name of love. C'era un anticipo d'estate nell'aria, con quel particolare aroma che solo le città di mare hanno. Odore di salmastro, pini, rosmarino e nulla di fatto. Promesse e scommesse. Non mantenute le prime, perse le seconde. Il mare, i pini, il rosmarino e le fioriture d'estate sarebbero stati lì ancora per molto, molto tempo dopo di lui e di tutti quelli come lui, che si affannavano in quel posto e in altri posti come quello. Tuttavia stava viaggiando con la macchina scoperta senza nessun problema di temperatura, vento nei capelli, anche lui con le sue buone promesse nel cuore e le sue buone scommesse nella vita. C'era di peggio al mondo. Nonostante l'ora, era solo sulla strada. Prese il mozzicone della sigaretta tenendolo fra il pollice e il medio e lo lanciò verso l'alto, seguendone nello specchietto retrovisore la parabola luminosa. Lo vide battere sull'asfalto e disperdersi in minuscole scintille. L'ultima boccata di fumo si perse nello stesso vento. Arrivò al fondo della discesa e rimase un istante indeciso su che strada fare per raggiungere la zona del porto. Mentre percorreva la rotonda optò per un giro in centro e imboccò Boulevard d'Italie. I turisti iniziavano ad affollare il Principato. Il periodo del Gran Premio di Formula Uno, appena finito, era come un segnale dell'inizio dell'estate monegasca. D'ora in poi, i giorni, le sere e le notti della costa sarebbero stati un viavai di attori e spettatori. Da una parte limousine con autista e gente dall'aria sufficiente e annoiata all'interno. Dall'altra utilitarie con all'interno gente sudata e ammirata. Uguali a quelli che adesso stavano in piedi davanti alle vetrine, il riflesso delle luci negli occhi. C'era sicuramente qualcuno che si chiedeva come trovare il tempo per venirsi a comperare quella giacca, mentre qualcun altro si chiedeva come trovare il denaro. Erano il bianco e il nero, due categorie estreme, in mezzo alle quali si stendeva una serie impressionante di sfumature di grigio. Molti a vivere con l'unico scopo di buttare fumo negli occhi, altri cercando di buttarlo via. Jean-Loup pensò che le priorità della vita, tutto sommato, sono abbastanza semplici e ripetitive, e in pochi posti al mondo come quello era possibile quantificarle. La caccia al denaro al primo posto. Alcuni ce l'hanno e tutti gli altri lo vogliono. Semplice. Un luogo comune diviene tale per la dose di verità che cela al suo interno. Forse il denaro non dà la felicità, ma aspettando che la felicità arrivi è un bel modo per passare il tempo.
Questo pensavano tutti.
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