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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 9 La favola latina 37 Fedro 57 Aviano 81 Nota biografica 87 Nota bibliografica 113 Nota critica 129 Avvertenza 137 FAVOLE DI FEDRO 139 Libro I 181 Libro II 197 Libro III 235 Libro IV 279 Libro V 297 Appendice Perottina 341 FAVOLE DI AVIANO 419 Indice dei nomi propri, dei personaggi e delle cose notevoli |
| << | < | > | >> |Pagina 91. Una favola avrebbe risolto la prima secessione della plebe. Raccontando l'apologo della ribellione delle membra contro lo stomaco, Menenio Agrippa nel 494 a. C. avrebbe convinto l'esercito, che si era ritirato per protesta sul Monte Sacro, a fare rientro a Roma. Lo riferisce Livio (2, 32, 8-12); ma la notizia non garantisce la presenza di una favola di tipo esopico a Roma già all'inizio del V secolo a. C.; essa mette solo in evidenza il valore di simili racconti, noto alla teoria aristotelica dell'argomentazione e alle scuole di retorica. La favola è un esempio dotato di potere persuasivo cui fa ricorso l'oratore, il facundus Menenio, per fare giungere il suo messaggio a un pubblico che egli conosce a fondo: dalla plebe proviene Menenio, alla plebe egli deve parlare. Fulcro è dunque l'uditorio che condiziona la scelta degli strumenti argomentativi e del lessico, e così Menenio Agrippa, il delegato dei patrizi, nella sua posizione di superiorità intellettuale e dialettica, prisco illo dicendi et horrido modo nihil aliud quam hoc narrasse fertur. | << | < | > | >> |Pagina 112. Che cosa si intende per favola esopica? Nel mondo antico circolavano vari tipi di favole: oltre alle esopiche anche favole egizie, libiche, sibaritiche, frigie, cilicie, carie, ciprie, di cui oggi non riusciamo a individuare le differenze nonostante i tentativi di spiegazione da parte dei retori di epoca imperiale. Ci limitiamo quindi a esporre brevemente i tratti salienti della favola esopica, la cui origine è stata ricondotta all'area mesopotamica, alla cultura sumerica e accadico-babilonese, fermo restando che anche in altre parti del mondo possono essere nati racconti di tipo «esopico». Dobbiamo qui ricorrere a generalizzazioni, senza pretendere di dare della favola esopica una definizione rigorosa, valida per ogni periodo e occasione. La favola stessa, per la sua variabilità, lo esclude. Accantoniamo dunque la fortunata determinazione di favola come «storia fittizia che rappresenta una verità (o una realtà)», e osserviamo piuttosto che la favola appare quasi sempre formata da due parti, il racconto e il commento (la «morale»), che può essere all'inizio della narrazione (promythion) e/o alla fine (epimythion). Il racconto, preferibilmente breve, rappresenta un'azione unica, che di solito si svolge nel passato e in una sola scena. L'azione, per lo più fittizia, è sostenuta da un numero limitato di personaggi, che in genere sono animali, ma possono essere anche piante, uomini, dèi, oggetti, personificazioni, ecc.; pertanto il loro operato appare verosimile o inverosimile, ma comunque sempre rispettoso delle leggi naturali fondamentali (è inverosimile che il lupo parli, ma è sempre il lupo che mangia l'agnello, non avviene mai il contrario). Si deve tuttavia precisare che le qualità attribuite agli animali (concordanti con le osservazioni «scientifiche» di Aristotele, Eliano, Plinio) non sono costanti in tutte le favole, perché l'ethos del singolo animale si compone di atteggiamenti diversi: il leone, nobile e generoso, può cedere alla violenza sanguinaria; il lupo, infido e vorace, può rinunciare a tutto per la libertà; il cane, ingordo e sciocco, può essere accorto e fedele; l'asino, vigliacco e ignobile, sa anche sopportare, con filosofica rassegnazione, il suo destino di oppresso. Questa varietà, non incoerenza, dei modi di essere dei protagonisti per eccellenza della favola esopica, nello sviluppo del genere letterario subisce un processo di cristallizzazione, che prevede anche una diversa valutazione e simbologia del singolo animale. Comunque, in ogni tempo, c'è sempre un carattere predominante e distintivo della specie zoologica, tanto che spesso è sufficiente il nome dei personaggi, presentati come a tutti ben noti, per suggerire i dati su cui poggerà la trama, ma non il suo esito determinato dalla scelta dell'azione. L'intreccio riproduce quasi sempre la struttura del conflitto, propria del resto a ogni genere di narrativa, perché anche l'azione di un romanzo è il gioco delle forze opposte o convergenti presenti nell'opera. Il tipo più comune è lo schema che affronta due personaggi antitetici, o comunque riconducibili a due mediante l'accorpamento o lo spostamento dei protagonisti. Nello scontro, che può essere solo verbale, la vittoria spetta non (o non sempre) al più forte, ma a chi ha valutato meglio la situazione e l'obiettivo da raggiungere, scegliendo una maniera di agire in grado di ribaltare a suo favore le circostanze. La dote che consente al personaggio più debole di non essere l'eterno sconfitto è la μητις, la prudentia, cioè pro-videntia, unita a sollertia; si tratta di una forma di intelligenza che punta all'efficacia pratica. Frutto di una lunga esperienza, la μητις combina intuito, previsione, attenzione, senso dell'opportunità, colpo d'occhio, rapidità nel cambiare e nel cogliere al volo l'occasione fuggente, abilità nel fingere e nel tessere stratagemmi di ogni tipo. Solo se si possiede una μητις superiore a quella dell'avversario, si ha la possibilità di sopravvivere, possibilità che non significa anche certezza. Talvolta il conflitto tra due contendenti è risolto da un terzo personaggio, che funziona come ago della bilancia. Ininfluente sull'azione è invece il cosiddetto survenant, un soggetto che sopraggiunge sul luogo dell'avvenimento, resta estraneo alla vicenda, ma la commenta, incarnando così la voce del narratore della favola.L'azione raccontata ha un significato «secondo»; essa è stata definita, con un gioco di parola, un «pre-testo» di un altro enunciato non narrativo, che fornisce in termini, generalmente astratti, il senso della vicenda esposta. La storia sarebbe dunque l'espressione concreta di un giudizio valutativo fornito dalla cosiddetta morale. Il racconto fittizio richiama il confronto con il mondo umano reale e questo porta la favola nella categoria della parabola, cui va riconosciuto un carattere allegorico. I personaggi e le loro azioni indicano dunque qualcosa d'altro; in genere «la» volpe, non «una» volpe, sta al posto dell'uomo astuto, o addirittura, come in Fedro, è l'incarnazione dell'astuzia; il leone è il simbolo di chi è potente, nobile, feroce, ovvero della potenza non disgiunta dalla nobiltà o dalla ferocia, ecc. Insomma la favola è una storia esemplare che illustra la realtà attraverso una narrazione fittizia e allegorica, per comunicare un messaggio sulla natura degli uomini e della vita e sul comportamento da tenere in determinate situazioni. | << | < | > | >> |Pagina 137Esopo è l'inventore. Fu lui a trovare gli argomenti che io ho elaborato artisticamente in versi senari. Due sono le doti di questo libretto: diverte e, se stai attento, consiglia come vivere. Se poi qualcuno avesse da ridire perché parlano gli alberi e non solo gli animali, si ricordi che noi scherziamo: le storie sono immaginarie. | << | < | > | >> |Pagina 141Allo stesso rivo erano giunti il lupo e l'agnello spinti dalla sete; in alto stava il lupo e molto più in basso l'agnello. Ed ecco che il predone, stimolato dalla sua gola maledetta, tirò fuori un pretesto per litigare. «Perché», disse, «mi hai intorbidato l'acqua proprio mentre bevevo?». E il lanuto, pieno di paura, risponde: «Scusa, lupo, come posso fare quello che recrimini? È da te che scorre giù l'acqua fino alle mie labbra». Respinto dalla forza della verità, il lupo esclama: «Sei mesi fa hai sparlato di me». L'agnello ribatte: «Io? Io non ero ancora nato». «Perdio», lui dice, «è stato tuo padre a sparlare di me». E così lo abbranca e lo sbrana, uccidendolo ingiustamente. Questa favola è scritta per quegli uomini che opprimono gli innocenti con false accuse. | << | < | > | >> |Pagina 181Il genere esopico è costituito da esempi, e con le favole non si cerca altro se non di correggere gli errori degli uomini e di aguzzarne l'ingegno vigile e attivo. Qualunque sia perciò il soggetto scherzoso da narrare, purché catturi l'orecchio e non si allontani dal suo proposito, esso si raccomanda da sé, non per il nome dell'autore. Quanto a me, osserverò scrupolosamente la maniera del nostro vecchio; ma se mi piacerà inserire qualcosa di diverso, in modo che la varietà dei racconti procuri diletto, vorrei, caro lettore, che tu lo accettassi di buon grado, a patto che le innovazioni siano ripagate dalla concisione. Per non essere prolisso nel lodarla, sta' dunque a sentire perché non devi dare nulla agli avidi e devi invece offrire ai discreti quello che non hanno chiesto.
Sopra a un giovenco, che aveva abbattuto, se ne stava il
leone. Arricò un predatore a reclamare una parte. «Te la
darei», disse, «se tu non fossi solito prendertela da solo»;
e cacciò il prepotente. Capitò per caso nello stesso luogo
un viandante inoffensivo, e vista la belva, si tirò indietro.
Allora il leone, mansueto, gli disse: «Non hai motivo di temere; su, coraggio,
prendi la parte che è dovuta alla tua discrezione». Poi, divisa la preda,
raggiunse la foresta, per lasciare via libera all'uomo. Esempio davvero
straordinario e lodevole; ma, di fatto, gli avidi sono ricchi e poveri i
modesti.
Gli uomini, siano essi amanti o amati, sono comunque spogliati dalle donne; lo impariamo proprio dagli esempi.
Una donna non inesperta, capace di nascondere gli anni
con raffinati artifici, teneva legato a sé un tale di mezza età,
ma il cuore dello stesso uomo lo aveva conquistato una bella
ragazza. Tutte e due le donne, volendo sembrare sue coetanee, si misero, ora
l'una ora l'altra, a spiluccare all'uomo i
capelli. Lui, credendo di essere bene acconciato da tutta
quella cura femminile, all'improvviso si trovò calvo; la ragazza gli aveva
strappato dalle radici i capelli bianchi, la vecchia i neri.
Un tale, morsicato da un cane rabbioso, gettò a quella bestiaccia un pezzo di pane inzuppato del suo sangue, perché aveva sentito dire che quello era il rimedio per una ferita simile. Allora Esopo gli disse così: «Non farlo in presenza di altri cani, perché non ci mangino vivi quando dovessero accorgersi che per il male c'è una ricompensa simile». Il successo dei malvagi attira molti altri. | << | < | > | >> |Pagina 341| << | < | > | >> |Pagina 361Un cavaliere calvo, che era solito fissarsi dei capelli alla testa, portando una capigliatura altrui sul suo capo pelato, se ne andò al Campo Marzio per mettersi in mostra nella sua risplendente armatura e cominciò a fare volteggiare il suo cavallo ubbidiente al morso. Ma ecco che raffiche di Borea soffiano frontalmente contro di lui e tutti vedono la sua testa ridicola, perché, cadutagli la parrucca, subito luccicò il suo cranio pelato, che prima era di colore diverso per via della capigliatura posticcia. Quello allora, accorgendosi di essere oggetto di riso per tante migliaia di persone, da uomo avveduto, vanificò con abilità i motteggi, ribattendo: «Cosa c'è da meravigliarsi se i capelli posticci sono fuggiti via da uno che era stato già abbandonato dalla capigliatura nata con lui?».
Un fiume aveva strappato dalle rive che smottavano una
coppia di vasi e li trascinava insieme nelle sue acque infuriate. Ma diversa era
stata la tecnica e la materia che aveva
creato i due recipienti: uno era stato fuso in bronzo, l'altro
era stato plasmato in argilla. Differente era l'accordo di movimento tra il vaso
fragile e quello resistente e la fiumana
dilagava seguendo un corso non preciso. Il vaso di bronzo
giurava di tenersi più lontano dal cammino normale per non
spezzare e frantumare il vaso di terracotta. Ma questo, temendo il danno che il
più pesante può recare al leggero e
poiché non c'è alcuna sicurezza per il piccolo a stare con il
grande, gli disse: «Anche se mi hai rassicurato a parole, non
potrò scacciare il timore dal mio animo, perché sia che l'onda spinga me verso
di te, sia te verso di me, di entrambi gli
incidenti sarò sempre io la sola vittima».
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