|
|
| << | < | > | >> |IndiceAlla ricerca del tempio perduto 5 Fanum 7 Culto della terra 10 La Disciplina etrusca 13 Sacralità dei confini 16 Il lago sacro 20 Voltumna e Veltha 25 Il toro, la sirena e santa Cristina 30 Le dodici nicchie 35 Numi e numeri di Pitagora 41 Geopolitica: Bolsena e Orvieto 49 Pellegrinaggi 53 La riva umbra 58 Sacralità del territorio 63 La valle del Fiora 67 Il Concilio annuale 76 Il Tempio di Voltumna 80 Il tempo ciclico e la profezia 85 Appendice 91 Il mito di Pomona e Vertumno 93 Santa Cristina di Bolsena 101 Le "aiole" di Bolsena 103 Templum 105 Viterbo 110 Le rive di Tarquinia e Volsinii 113 Statonia 115 I templi nella Valle di Mezzàno 118 Il mistero delle origini 124 I tempi cambiano 126 Inserto a colori 129 Note 137 Bibliografia 145 |
| << | < | > | >> |Pagina 7FanumUno dei temi centrali affrontato da chi si occupa di materia etrusca riguarda l'ubicazione del Fanum Voltumnae. L'argomento è tra i più significativi per comprendere lo spirito che permeava quella arcaica ed elusiva civiltà. Eppure, nonostante studi, ricerche, investigazioni e scavi, ancora non si conosce nulla intorno a quello che fu il maggiore luogo sacro del popolo etrusco. Fanum Voltumnae è la traduzione in latino di un'equivalente espressione etrusca, oggi non più conosciuta, che viene in genere tradotta "Tempio di Voltumna", sebbene la parola fanum, di derivazione etrusca (fanu), indicasse in origine qualcosa di diverso da un semplice edificio templare che, in latino, troviamo indicato con templum. Il fanum fu un sito sacro presso un ambiente naturale reputato prodigioso, anche di estese proporzioni, spesso un bosco consacrato a divinità femminili: il Fanum di Feronia (Fiano Romano), di Diana (Nemi), di Fortuna (Fano), solo per citare i più noti. L'associazione tra divinità femminile e bosco sacro risale alla preistoria e fu celebrata nella archetipica figura della dea o signora delle fiere, patrona dei boschi e della vita selvaggia. Diana, Cibele, Artemide, Feronia furono i diversi nomi, in luoghi diversi, della Signora dei boschi e delle fiere, spesso venerata presso carismatici luoghi di acque, laghi, promontori, isole e sorgenti. Nella religione dei druidi celtici al fanum corrispondeva il nemeton, il bosco sacro di querce dove i Celti convenivano per le grandi celebrazioni annuali. Nella Grecia arcaica il più celebre bosco sacro di querce fu a Dodona, in Epiro. In età romana, con lo sviluppo dell'edilizia architettonica, la parola fanum assunse significati omologhi a quella di templum, divenendone sinonimo, a significare il classico tempio edificato in muratura secondo canoni architettonici tradizionali. Il significato più antico della parola indica uno speciale sito sacro dove, da età remote, si perpetuava il primordiale culto dei boschi, delle acque e, più estesamente, della terra e del territorio. Fin da quando si è iniziato a scavare il territorio etrusco per spogliare le ricche necropoli e asportarne i 'tesori', la ricerca del Fanum Voltumnae è divenuta per molti archeologi un'ossessione. Innumerevoli volte sono state pronunciate dichiarazioni sull'avvenuta 'scoperta', che puntualmente si sono dissolte nel nulla. Il tempio segreto degli Etruschi – dov'era conservato il tesoro federale della dodecapoli tirrenica – non è ancora stato trovato, perché chi l'ha cercato, finora, non ha mai avuto la minima idea di cosa stesse cercando. La febbre dell'oro, la ricerca di straordinarie scoperte e la conseguente celebrità sono il romantico e ingombrante bagaglio di chi si muove alla cieca, credendo di fare scoperte eccezionali che poi si rivelano effimere. In questo tipo di ricerche, ha svolto un ruolo determinante lo scavo archeologico. Nel caso degli Etruschi, ciò ha significato lo scavo ininterrotto, secolare, di ricche e vaste necropoli, non solo al centro, ma anche nel nord e nel sud d'Italia. La caccia ha prodotto come conseguenza il mancato studio del territorio dove gli Etruschi vissero, dove fondarono insediamenti e luoghi sacri, applicando i canoni di un'antica scienza della terra volta all'osservazione dei fenomeni naturali, reputati di origine divina. Dal punto di vista etico, scavare una tomba per depredarla, ieri come oggi, è una profanazione. A meno che il concetto di 'sacro' sia ritenuto obsoleto e la vita e la morte siano considerati fenomeni privi di sacralità, ovvero non richiedano una forma speciale di rispetto e attenzione. Si ripete che i sepolcri vanno scavati per studiarne gli oggetti ivi contenuti, mentre i depositi e gli scantinati dei musei sono strapieni di reperti funerari non inventariati, mai studiati e spesso non accessibili a ricercatori e studiosi. La febbre della grande scoperta è più che diffusa e pur di soddisfarla si è disposti a sbancare intere necropoli, per poi abbandonarle al degrado. Tutta questa attività di scavo, in nome della scienza, ha prodotto la rovina del territorio etrusco e del suo patrimonio monumentale. Peggio ancora, lì dove sono stati allestiti parchi archeologici e "musei all'aperto", l'ambiente naturale è stato spesso snaturato, poiché non si è vista l'intima e significativa relazione tra monumenti e circostante ambiente naturale. La caccia ai tesori delle necropoli ha distolto dallo studio della morfologia territoriale etrusca che, invece, è un aspetto fondamentale per comprendere quell'antica civiltà. Il Fanum Voltumnae non è mai stato trovato perché non era un singolo tempio, ma un esteso territorio consacrato e perché nessuno si è mai curato di capire chi veramente fosse Voltumna, la divinità connessa alla terra e ai particolari luoghi dove era officiato il suo culto. | << | < | > | >> |Pagina 13La Disciplina etruscaQuando intorno al XII sec. a.C. i primi nuclei di Etruschi giunsero sul territorio intorno al lago di Bolsena, già da alcuni millenni il luogo era epicentro di un importante culto della terra e delle acque. Con il loro arrivo il paesaggio lacustre, già segnato e sacralizzato da un popolo dell'età del rame, i Rinaldoniani, venne rifondato secondo le regole e le prescrizioni della Disciplina, la scienza sacra etrusca che, tra le varie dottrine tradizionali, comprendeva anche una particolare "scienza della terra": Autori latini la definiscono 'agrimensura' ma, già dall'unico frammento scritto pervenutoci, si può supporre che non si trattava della semplice divisione confinale dei terreni, ma di una formulazione più complessa, basata sulle relazioni tra mondo divino, territorio e mondo umano. In una leggenda etrusca viene raccontato come la ninfa e sibilla Vecu (latino: Vegoe, Bagoe) abbia rivelato a Aruns Velthumnus, sacerdote di Chiusi, i segreti dell'arte fulgurale (Libri Fulgurales) e l'agrimensura, l'arte di delimitare i confini sacri (Libri Rituales). Una donna fu quindi alle origini della Disciplina. La fondazione e la divisione rituale di un territorio, di una città, di una regione, era di primaria importanza nella società etrusca, perché oltre a regolare le relazioni tra mondo umano e divino, mirava anche a perfezionare le vie di comunicazione tra villaggi, luoghi sacri, necropoli e altri siti intensamente frequentati. Quella etrusca, fu un'occupazione estensiva del territorio, basata su una vasta rete di insediamenti collegati tra loro, così da coprire valli e monti di gran parte dell'Italia centrale. Gli Etruschi crearono una complessa rete di allineamenti e triangolazioni che attraversava i luoghi del territorio secondo uno schema che oggi è possibile ricostruire. Le città etrusche, Roma compresa, furono fondate utilizzando un sistema riscontrabile in altre antiche civiltà, di universale diffusione: nel sito da fondare veniva individuato un punto centrale chiamato 'ombelico' (umbilicus urbis a Roma, omphalos in Grecia), intorno al quale si organizzava una minuziosa divisione in quattro parti, corrispondenti alle quattro direzioni spaziali. Questa divisione la ritroviamo nella pianta originaria di Roma, dove ciascuna delle quattro parti della città era un 'quartiere'. Il sistema venne utilizzato nel mondo antico non solo per la fondazione di città, ma anche di nazioni. Numerosi sono gli "Imperi di Mezzo" ricordati dagli storici, con un 'ombelico' centrale e quattro regioni intorno ad esso: così fu nell'Impero di Mezzo della Cina, in Irlanda (Impero di Meadth), in Perù (Tawantinsujo). L'ubicazione del Fanum Voltumnae può essere chiarita solo se affrontata in un contesto simile. Il fanum non fu un semplice tempio, un edificio architettonico, ma un territorio esteso con più templi e luoghi sacri, disposti secondo una concezione in cui la terra e i suoi luoghi non erano neutri, ma possedevano specifiche qualità e poteri differenziati. I maggiori centri sacri del mondo antico furono fondati presso siti naturali provvisti di caratteristiche eccezionali e prodigiose. Spesso questi siti erano inseriti in uno spettacolare scenario naturalistico, come nel sito sacro degli antichi Islandesi, presso Thingvellir, dove una colossale faglia vulcanica sovrastata da un torrione roccioso accoglieva, nei giorni intorno al solstizio estivo, i 12 capi e sacerdoti che governavano l'Islanda. Nella faglia vulcanica veniva celebrata la "Althing"; la tradizionale assemblea nazionale, al tempo stesso fiera e momento di incontri e di scambi tra gli Islandesi. Altra caratteristica degli antichi sacrari fu di essere ubicati fuori dai centri abitati: la piana di Giza in Egitto, l'area sacra di Eleusi, il sacrario di Delfi, il cerchio megalitico di Stonehenge, il Kabeiron di Lemno. I sacrari dove si celebravano assemblee annuali o stagionali sorsero presso monti, laghi, sorgenti e luoghi dove la sacralità era ritualizzata in scenari di forte impatto ambientale. All'assemblea annuale ci si recava in pellegrinaggio, spesso venendo anche da lontano, in un viaggio di rigenerazione attraverso un itinerario di luoghi sacri la cui meta finale era il sacrario nazionale, ombelico sacro di tutto il territorio. Oltre la meta finale erano importanti anche i camminamenti e le vie che componevano il pellegrinaggio. Per molti Etruschi che vivevano lontano dal lago di Bolsena, l'annuale pellegrinaggio al Fanum comportava l'attraversamento di valichi montani e regioni selvagge e boschive. Le difficoltà affrontate da quei pellegrini sono documentate nel Rescritto di Spello, un'iscrizione su lapide firmata dall'imperatore Costantino (IV sec. d.C.) con la quale si concedeva agli umbri spellini, per evitare i pericoli e le difficoltà del viaggio, di poter celebrare l'annuale concilio presso un loro santuario. La divisione territoriale dell'Etruria venne attuata secondo un modello archetipico rinvenibile nelle più diverse civiltà del passato. La divisione in 4 regioni, intorno a un ombelico centrale, si ritrova nel sistema della dodecapoli del Madagascar precoloniale; nella repubblica russa della Georgia dove, su una montagna a nord di Tiblisi, 12 tribù convenivano annualmente; nel Galles e nell'Irlanda dei Celti, ambedue divise in 4 province disposte intorno a una quinta in posizione centrale. Gli Etruschi, durante il loro ciclo storico, utilizzarono le stesse norme dottrinali, grazie al fatto che anche loro interagivano con l'ambiente naturale seguendo le regole di una scienza empirica, nata e praticata in seguito all'osservazione dei fenomeni naturali, tramandata con cura da una tradizione molto più antica. | << | < | > | >> |Pagina 49Geopolitica: Bolsena e OrvietoMaremma significa "terra di mare"; la terra delle pianure e colline che si stendono fino al mare Tirreno. Per la Maremma, si va al mare. Oltre la Maremma collinare, nell'entroterra, si trova il confine naturale di questa regione, la grande arteria delle valli del Paglia e del Tevere. La regione umbra è sul versante a monte di questa via valliva. Orvieto, Chiusi, Todi e Perugia sono gli epicentri umbri sulle vie fluviali collegate al Tevere. Il 'problema' geopolitico degli Umbri è stato da sempre l'accesso alla Maremma e al mare, per esigenze commerciali ed espansionistiche. Tra il confine tosco-laziale e il territorio umbro si trovano due epicentri naturali, il massiccio vulcanico del monte Amiata e il lago di Bolsena. Il monte è il principale regolatore del microclima maremmano e anche il serbatoio idrico di tutta la regione, grazie soprattutto alle acque del fiume Fiora, l'etrusco Armine. Quanto a Bolsena, è il secondo lago vulcanico più esteso al mondo, dopo l'andino Titicaca. Nell'area tra l'Amiata e Bolsena, incluso l'alto viterbese, nacque la cultura di Rinaldone di origini neolitiche che, dopo un lungo e complesso processo formativo, trovò espressione finale nella civiltà etrusca. È antica la conflittuale bipolarità tra la regione di Orvieto e quella di Bolsena, tra il polo strategico, guerriero e 'maschile' di Orvieto e il polo 'femminile' e spirituale del lago di Voltumna e santa Cristina. Conflitti che sono proseguiti per tutto il Medioevo. Gli orvietani, per le genti di Maremma, sono stati invasori e nemici. Il carattere espansionistico e militare di Orvieto è anche dipeso dalla sua posizione geografica: al confine di tre regioni – Umbria, Toscana e Lazio – Orvieto si trova nel bel mezzo di un importante incrocio viario e questa sua caratteristica perdura tutt'oggi con l'importante snodo ferroviario e la principale arteria viaria nazionale, l'autostrada del Sole. Sulla carta geografica dell'Italia centrale si può osservare come l'area vulcanica del tufo comprende quelle che furono le più importanti regioni (lucumonie) etrusche: Vulci, Volsinii e Tarquinia. A queste va aggiunta la regione umbra, incentrata su Orvieto, che però è al di fuori del territorio del tufo e che, in età etrusca, mantenne rapporti con il lago grazie al collegamento con l'antica Tyro, nei pressi dell'attuale Grotte di Castro. Non è senza ragione che l'umbra Orvieto sia da molti ritenuta la perduta Volsinii Veteres dove, secondo la tradizione, sorgeva il sacrario nazionale chiamato Fanum Voltumnae. La rupe orvietana si presenta come un vero nido di aquile, arroccato e imprendibile, a guardia del passaggio a valle dei tanti eserciti, mercanti e pellegrini che nei secoli hanno attraversato la valle del Paglia. La caratteristica di Orvieto è di strategica roccaforte militare, a vigilare un'importante via mercantile, giusto al centro della penisola. Le sue mire espansionistiche sono testimoniate dalle interminabili guerre e conquiste proseguite per tutto il Medioevo, soprattutto nella Maremma tosco-laziale. In questi territori – tra Bolsena, Pitigliano e Castro – gli orvietani si conquistarono l'accesso alle coste tirreniche e ai suoi ricchi mercati, edificando castelli e creando feudi, finché nel XIV sec. dovettero abbandonare tutti i loro possedimenti in seguito all'ascesa della potente famiglia Orsini e al nuovo assetto geopolitico. Una delle ragioni per cui Orvieto non poté essere il centro religioso dei dodici popoli etruschi, lì dove sorgeva il Fanum Voltumnae, è proprio la sua posizione geografica che, se ben si presta al ruolo di roccaforte militare e mercantile, non lo è affatto per un luogo sacro, ovvero un'area naturalmente protetta e caratterizzata da particolari qualità territoriali – in specie abbondanza di acque che si possono invece trovare nel cratere del lago di Bolsena, ricco di acque e protetto dalla conca vulcanica. Orvieto si trova in un'area marginale e isolata dell'Etruria, diversamente da Bolsena che pullula di centri etruschi antichi e importanti, così vicini da trovarsi in stretto contatto l'un l'altro: Bolsena, Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo, Montefiascone, Marta, Turona, Latera, Cornos, Capodimonte, Bisenzio, Gradoli. In ognuno di questi siti le ricerche antropologiche, comparate con quelle archeologiche, hanno dimostrato una sopravvivenza di feste, sagre, cerimonie e tradizioni di origini pre-cristiane, ovvero etrusche. A parte le 'infiorate' primaverili, celebrate quasi ovunque nel giorno del Corpus Domini, sono di particolare interesse la 'Barabbata' di Marta, i 'Misteri di santa Cristina' a Bolsena, la 'fiera' di Latera, il tracciato del 'solco diritto' a Valentano. Secondo chi ha studiato il retroterra culturale e religioso di queste celebrazioni, si è in presenza di una cospicua stratificazione di elementi etrusco-pagani con altri di età cristiana. Il crudele e paradossale martirio di santa Cristina, sottoposta a ogni tipo di tortura, non è che il sunto metaforico di quel drammatico passaggio dalla vecchia alla nuova religione. Dati storici e archeologici confermano che l'attuale Bolsena fu l'antica Volsinii. La prova più concreta è stata fornita dagli scavi della scuola archeologica francese eseguiti da Raymond Bloch. La possente cinta muraria portata alla luce smentisce la tesi che Bolsena fosse Volsinii Novii, come sostenuto dalla scuola archeologica nostrana, secondo cui la città venne eretta nel III sec. a.C. per ospitare la popolazione di Orvieto, Volsinii Veteres, dopo la conquista romana. La cinta muraria di Bolsena è concordemente fatta risalire all'età arcaica, precedente alla conquista romana. Non solo, ma tutte le descrizioni degli autori antichi sulla conformazione della città di Volsinii, la raffigurano munita di mura, con un colle centrale e un territorio ricco di acque. Se a Bolsena questa descrizione si adatta perfettamente, non altrettanto è per Orvieto. La città, infatti, non ha mura, né ne aveva necessità grazie alla posizione imprendibile e arroccata, inoltre sotto a Orvieto non c'è abbondanza di acque, né vi è un colle nel centro del paese. Orvieto fu certamente un importante centro etrusco e se Voltumna fu la maggiore divinità tirrenica, di sicuro un suo tempio doveva trovarsi anche qui. Lo stesso può valere per tutte quelle città come Felsina (Bologna), Volterra, Volturnum (Capua) che furono dedicate alla dea o alla sua controparte maschile, Veltha. Ma il Fanum della dea, luogo sacro di antichissime origini pre-etrusche, il sito dove il potere della terra e delle acque si manifestava prodigiosamente, fu il lago stesso. Lì, già popoli dell'età del rame avevano vissuto ed eretto tumuli megalitici sulle quattro sponde per celebrare il culto delle acque. Lì idearono e scolpirono pozzi, canalizzazioni e coppelle sulle rupi e sulle scogliere, con un rito di fondazione che fu il seme dal quale, dopo millenni, germinò la civiltà etrusca. | << | < | |