Autore Luigi Ferrajoli
Titolo Perchè una Costituzione della Terra?
EdizioneGiappichelli, Torino, 2021 , pag. 78, cop.fle., dim. 12x17x0,5 cm , Isbn 978-88-921-3855-1
LettoreRiccardo Terzi, 2021
Classe politica , diritto , ecologia , scienze sociali , inizio-fine









 

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Indice


1.  L'umanità di fronte a un bivio: se affrontare
    o subire le emergenze globali. Cosa insegna
    la pandemia del Covid-19                             9

2.  Il progetto di una Costituzione della Terra.
    Le catastrofi globali come effetti di crimini
    di sistema consistenti in violazioni sistematiche
    di diritti fondamentali e di beni comuni            20

3.  Le ragioni di una Costituzione della Terra:
    l'inveramento dell'universalismo dei diritti
    umani e la sopravvivenza dell'umanità               31

4.  Due innovazioni del costituzionalismo globale
    rispetto al costituzionalismo statale:
    l'imposizione di istituzioni globali di garanzia
    e l'espansione del paradigma costituzionale ai
    poteri degli Stati sovrani e dei mercati globali    42

5.  La possibilità, l'obbligatorietà, la necessità e
    l'urgenza di una Costituzione della Terra. La
    vera utopia, il vero realismo                       57


Riferimenti bibliografici                               71


 

 

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1. L'umanità di fronte a un bivio: se affrontare o subire le emergenze globali. Cosa insegna la pandemia del Covid-19


Esistono momenti che sono dei crocevia della storia, nei quali l'umanità si trova di fronte a un bivio: l'involuzione o il progresso, la barbarie o la civiltà, la catastrofe o la rifondazione. Furono tali, nell'età moderna, le rivoluzioni settecentesche e ottocentesche che posero fine all'assolutismo regio e dettero vita allo stato di diritto. È stato un nuovo crocevia della storia la liberazione dal nazifascismo e il quinquennio costituente da cui sono nate le odierne costituzioni rigide e i "mai più" da esse pronunciati agli orrori delle guerre e dei totalitarismi. È di nuovo un bivio, forse il più drammatico e decisivo della sua storia, quello di fronte al quale si trova oggi l'umanità: subire e soccombere alle molteplici minacce ed emergenze globali, oppure opporre ad esse la ragione giuridica e politica attraverso la costruzione di idonee garanzie costituzionali in grado di fronteggiarle.

Una di queste emergenze, la pandemia del Covid-19, è esplosa in maniera terribile lo scorso anno e sta forse provocando un risveglio della ragione. Non è l'emergenza oggettivamente più grave: si pensi solo al riscaldamento climatico, destinato, se non verrà fatto nulla per arrestarlo, a rendere il pianeta inabitabile, oppure alla minaccia nucleare, che in un mondo popolato di migliaia di testate atomiche, in grado distruggere più volte l'umanità, pesa anch'essa sul nostro futuro. Non è neppure la più grave emergenza sanitaria. Ogni anno, da molti decenni, muoiono circa otto milioni di persone per malattie non curate benché curabili e altrettante per l'assenza di acqua potabile e di alimentazione di base.

Ciò che ha fatto della pandemia un'emergenza globale, vissuta in maniera più drammatica di qualunque altra, sono quattro suoi caratteri specifici. Il primo è il fatto che essa ha colpito tutto il mondo, inclusi i paesi ricchi, paralizzando l'economia e sconvolgendo la vita quotidiana dell'intera umanità. Il secondo è la sua spettacolare visibilità: a causa del suo terribile bilancio quotidiano di contagiati e di morti in tutto il mondo, essa rende assai più evidente e intollerabile di qualunque altra emergenza la mancanza di adeguate istituzioni sovranazionali di garanzia, che pure avrebbero dovuto essere introdotte in attuazione del diritto alla salute stabilito in tante carte internazionali dei diritti umani. Il terzo carattere specifico, che fa di questa pandemia un campanello d'allarme che segnala tutte le altre emergenze globali, consiste nel fatto che essa si è rivelata un effetto collaterale delle tante catastrofi ecologiche - delle deforestazioni, dell'inquinamento dell'aria, del riscaldamento climatico, delle coltivazioni e degli allevamenti intensivi - ed ha perciò svelato i nessi che legano la salute delle persone alla salute del pianeta. Infine, il quarto aspetto globale dell'emergenza Covid-19 è l'altissimo grado di integrazione e di interdipendenza da essa rivelato: il contagio in paesi pur lontanissimi non può essere a nessuno indifferente data la sua capacità di diffondersi rapidamente in tutto il mondo.

Colpendo tutto il genere umano senza distinzioni di nazionalità e di ricchezze, mettendo in ginocchio l'economia, alterando la vita di tutti i popoli della Terra e mostrando l'interazione tra emergenza sanitaria ed emergenza ecologica e l'interdipendenza planetaria tra tutti gli esseri umani, questa pandemia sta forse generando la consapevolezza della nostra comune fragilità e del nostro comune destino. Essa costringe perciò a ripensare la politica e l'economia e a riflettere sul nostro passato e sul nostro futuro.

Anzitutto sul nostro passato. Questa tragedia ha fatto registrare il fallimento delle politiche liberiste. Ha portato alla luce la miopia delle politiche dei governi, che hanno tagliato - in Italia, come in molti altri paesi - la spesa per la salute pubblica, chiudendo ospedali, sopprimendo posti letto e riducendo il personale sanitario al fine di ridurre le imposte e di avvantaggiare la sanità privata. Ha inoltre colto tutti i governi impreparati, svelandone la totale imprevidenza. Benché il pericolo di una pandemia fosse stato previsto fin dal settembre 2019 da un rapporto della Banca Mondiale, nulla è stato fatto per fronteggiarlo. In vista delle guerre si fanno esercitazioni militari, si costruiscono bunker, si mettono in atto simulazioni di attacchi e tecniche di difesa, si accumulano armi, carri armati e missili nucleari. Contro il pericolo annunciato di una pandemia non è stato fatto assolutamente nulla. Il Covid-19 ci ha fatto scoprire l'incredibile mancanza delle misure più elementari per fronteggiarlo: dalla scarsità dei reparti di terapia intensiva a quella di respiratori, tamponi e mascherine, fino all'assurda insufficienza di medici e infermieri e all'assenza di un'adeguata organizzazione per l'assistenza domiciliare. L'insensatezza della politica si è rivelata nella maniera più drammatica nei paesi che difettano di una sanità pubblica, a cominciare dagli Stati Uniti. La più grande potenza del mondo ha continuato a produrre armi sempre più micidiali contro nemici inesistenti, ma si è trovata sprovvista di respiratori e tamponi e ha così provocato la morte di centinaia di migliaia di suoi cittadini, molti di più di tutti i suoi caduti nella seconda guerra mondiale.

Di qui la necessità, soprattutto, di una riflessione sul nostro futuro. Sono due gli insegnamenti che si possono trarre dalla pandemia, l'uno relativo al carattere pubblico, l'altro relativo al carattere globale delle garanzie in grado di prevenirla e fronteggiarla.

Il primo insegnamento consiste nel riconoscimento del valore vitale della sanità pubblica. Con il suo carico quotidiano di morti e di contagiati, la pandemia ha mostrato il valore inestimabile della sanità pubblica e del suo carattere universalistico e gratuito, in attuazione del diritto costituzionale alla salute, e la superiorità dei sistemi politici che ne sono dotati rispetto a quelli nei quali la salute e la vita sono affidate alle assicurazioni e alla sanità privata. Ha sollecitato e promosso il potenziamento dei sistemi sanitari, la moltiplicazione dei posti letto e dei reparti di terapia intensiva, l'aumento del numero dei medici e degli infermieri e la produzione di idonee attrezzature sanitarie. Ha infine mostrato l'irrazionalità - e, a mio parere, l'incostituzionalità, per contrasto con il principio di uguaglianza - dell'esistenza, in Italia, di 20 sistemi sanitari differenti quante sono le Regioni. Solo la sanità pubblica può infatti garantire l'uguaglianza nella garanzia del diritto alla salute. Solo la gestione pubblica è in grado, in caso di pandemia, di limitare razionalmente i danni provenienti dalle leggi del mercato, che costringono le imprese a una corsa folle alla riapertura per non essere espulse dalle imprese più zelanti, imponendo una generale sospensione delle attività, tanto più breve e sicura quanto più uniforme e generalizzata, senza possibilità per nessuno di soccombere o di sopraffare gli altri. Solo la sfera pubblica può produrre le attrezzature necessarie a fronteggiare le epidemie, al di là delle convenienze economiche del momento, e destinare fondi adeguati per lo sviluppo e la promozione della ricerca medica in tema di terapie e di vaccini, nonché per l'organizzazione della loro distribuzione gratuita a tutti quali beni fondamentali.

Più in generale, la pandemia del Covid-19 ha mostrato la necessità di riabilitare il ruolo della sfera pubblica nel governo dell'economia. Essa ha reso evidente il valore insostituibile e vitale dello Stato, dal quale tutti, e più di tutti i liberisti antistatalisti, pretendono letteralmente tutto: cure gratuite e fiumi di denaro alle aziende in difficoltà, salvataggio delle vite umane e salvataggio delle imprese, limitazione dei contagi e ripresa economica. Ha mostrato l'insensatezza dell'idea che solo il mercato sia abilitato a stabilire, sulla base unicamente delle prospettive di maggiori profitti, in quali settori produttivi investire, senza curarsi dei danni all'ambiente, ai pubblici interessi e ai diritti fondamentali di tutti. Ha perciò riabilitato l'idea stessa della politica economica, quale politica al tempo stesso industriale, sociale e fiscale, diretta a regolare - favorendo o scoraggiando con lo strumento fiscale e, se necessario, imponendo o vietando - che cosa e come produrre e consumare a tutela degli interessi generali, della salvaguardia dell'ambiente, della qualità del lavoro e dei diritti fondamentali, a cominciare dalla salute. Ha insomma fatto scoprire il ruolo della politica quale capacità di orientare lo sviluppo economico, disincentivando le produzioni dannose ai beni comuni e ai diritti di tutti e promuovendo investimenti, anche direttamente pubblici, nella ricerca, nella sanità, nella scuola, nella tutela del patrimonio artistico e naturale e nelle sole produzioni ecologicamente sostenibili.

C'è poi un secondo, non meno importante insegnamento. Esso proviene dal carattere globale della pandemia che richiede, come risposta razionale, una gestione, di carattere a sua volta globale, ad opera di un'istituzione globale di garanzia. Abbiamo infatti sperimentato e capito che basta che in qualche paese o regione vengano adottate misure inadeguate o intempestive perché si riaprano, con gli spostamenti, i pericoli di contagio e si moltiplichino le infezioni e i decessi in tutti gli altri paesi. Il nostro ordinamento internazionale dispone già di un'Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma questa istituzione non è neppure lontanamente all'altezza delle funzioni di garanzia affidatele, a causa degli scarsissimi mezzi - 4 miliardi e 800 milioni ogni 2 anni, in gran parte provenienti da privati - e della mancanza di effettivi poteri. Basti pensare che non è stata neppure in grado di portare nei paesi poveri del mondo i farmaci salva-vita - in origine poco più di 200, oggi 460 - che 40 anni fa essa stessa stabilì che dovessero essere universalmente accessibili e la cui mancanza provoca ogni anno milioni di morti. Per di più ha dato prova, in questa occasione, di una clamorosa inefficienza. Occorrerebbe perciò riformarla e rafforzarla, quanto ai finanziamenti e quanto ai poteri, per porla in grado in primo luogo di prevenire le epidemie e di bloccarne sul nascere il contagio; in secondo luogo, di rispondere alle emergenze sulla base di un principio di sussidiarietà che assegni ai livelli normativi superiori l'adozione di uniformi principi guida e a quelli inferiori il loro adattamento alle diverse situazioni territoriali; in terzo luogo di portare i necessari soccorsi medici ai paesi più poveri e più sforniti di servizi sanitari. Se ci fosse stata una simile gestione unitaria e tempestiva multi-livello della pandemia, coordinata da una vera istituzione globale di garanzia, oggi non piangeremmo milioni di morti.

Invece ciascuno Stato ha adottato contro il virus, in tempi diversi, misure diverse ed eterogenee da regione a regione, talora del tutto insufficienti perché condizionate dal timore di danneggiare l'economia e, in tutti i casi, fonti di incertezze e conflitti tra i diversi livelli decisionali. Perfino in Europa i 27 paesi membri si sono mossi in ordine sparso, adottando ciascuno strategie differenti, benché una gestione comune delle epidemie sia addirittura imposta dai suoi Trattati costituenti. L'articolo 168 del Trattato sul funzionamento dell'Unione, dopo aver dichiarato che «l'Unione è garante di un livello elevato di protezione della salute umana», afferma che «gli Stati membri coordinano tra loro, in collegamento con la Commissione, le rispettive politiche» e che «il Parlamento europeo e il Consiglio possono anche adottare misure per proteggere la salute umana, in particolare per lottare contro i grandi flagelli che si propagano oltre frontiera». Inoltre l'articolo 222, intitolato «clausole di solidarietà», stabilisce che «l'Unione e gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia vittima di una calamità naturale». È invece accaduto che l'Unione Europea la cui Commissione ha tra i suoi componenti un commissario per la salute, un altro per la coesione e perfino un commissario per la gestione delle crisi - ha rinunciato a prendere in mano il governo dell'epidemia con direttive sanitarie omogenee per tutti gli Stati membri. Fortunatamente l'Unione ha poi preso in mano la valutazione, l'acquisto e la distribuzione dei vaccini. Ma il carattere planetario delle pandemie, che non conoscono confini e colpiscono tutti, richiederebbe, fin dalla loro prevenzione, una risposta comune, e suggerisce perciò la trasformazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità in una vera istituzione globale di garanzia, dotata dei poteri e dei mezzi necessari per affrontare i contagi con misure omogenee, razionali e adeguate.

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3. Le ragioni di una Costituzione della Terra: l'inveramento dell'universalismo dei diritti umani e la sopravvivenza dell'umanità


Ebbene, la prevenzione di questa macro-criminalità di sistema può essere realizzata, da una politica all'altezza delle sfide globali, solo imponendo rigidi limiti e vincoli costituzionali ai poteri attualmente selvaggi della politica e dell'economia. Vengo così alla seconda e più importante questione sollevata da queste emergenze, quella della risposta istituzionale in grado di fronteggiarle. Tale risposta, cioè un adeguato sistema di limiti e vincoli ai poteri globali che la cultura giuridica e politica ha l'onere di progettare, non può che consistere nell'espansione del paradigma costituzionale all'ordinamento internazionale.

Certo, questo progetto - la stipulazione di una Costituzione della Terra - può apparire inverosimile. Come è possibile, in tempi come gli attuali, di crisi delle democrazie nazionali anche nei paesi più avanzati, ipotizzare una democrazia cosmopolitica e una costituzione globale che accomuni non già un popolo, ma centinaia di popoli eterogenei, talora tra loro in conflitto? Come è possibile che un simile patto possa essere condiviso da 196 Stati sovrani e da quei nuovi sovrani irresponsabili e invisibili nei quali si sono trasformati i mercati?

La tesi che sosterrò è che proprio gli argomenti scettici sottostanti a queste domande - i processi decostituenti in atto nelle nostre democrazie, l'inesistenza di un popolo globale omogeneo e l'esistenza di Stati e mercati sovrani - sono altrettante ragioni teoriche a sostegno della necessità e dell'urgenza di un allargamento a livello internazionale del paradigma costituzionale. Si pone qui una questione teorica fondamentale che riguarda la natura ed il ruolo delle costituzioni. Si possono avere due concezioni opposte di "costituzione", che a loro volta suppongono due nozioni opposte di "popolo" e di "volontà popolare" e sono alla base di altrettante concezioni parimenti opposte della "democrazia politica".

Si può concepire la costituzione come l'espressione dell'identità e della volontà di un popolo. È la concezione nazionalista e identitaria della costituzione formulata da Carl Schmitt negli anni trenta del secolo scorso e riproposta, unitamente all'idea del popolo come macro-soggetto dotato di volontà unitaria e della democrazia come onnipotenza delle maggioranze, dai tanti populismi e sovranismi odierni. Ogni costituzione, scrisse Schmitt, è l'espressione dell'«identità» e dell'«unità del popolo come totalità politica», ovvero l'atto che «costituisce la forma e la specie dell'unità politica, la cui esistenza è presupposta». Il suo fondamento assiologico consisterebbe nella coesione sociale e nell'omogeneità culturale dei soggetti cui è destinata, o peggio in una loro comune volontà e identità nazionale. Le costituzioni, perciò, presupporrebbero l'esistenza di un demos omogeneo e una sua qualche volontà unitaria quali fonti non solo della loro effettività ma anche della loro legittimità.

Diametralmente opposta è la concezione della costituzione quale sistema di limiti e vincoli imposti a tutti i poteri dalla sua rigidità, a garanzia del pluralismo politico e dei diritti fondamentali costituzionalmente stabiliti. Secondo questo paradigma, la costituzione va intesa, hobbesianamente, come un patto di convivenza pacifica tra differenti e disuguali: un patto di non aggressione, con il quale si conviene la tutela e il rispetto di tutte le differenze personali di identità, e un patto di mutuo soccorso, con il quale si conviene la riduzione delle eccessive disuguaglianze economiche e materiali.

Per questo la costituzione è tanto più legittima, necessaria ed urgente quanto più profonde, eterogenee e conflittuali sono le differenze personali che essa ha il compito di tutelare e quanto più vistose e intollerabili sono le disuguaglianze materiali che essa è chiamata a rimuovere o a ridurre. Essa non serve a rappresentare organicamente una supposta volontà del popolo o ad esprimerne una qualche omogeneità sociale o identità collettiva. Se fosse solo il riflesso della comune volontà di tutti avrebbe contenuti minimi ed estremamente generici e se ne potrebbe tranquillamente fare a meno. Essa serve bensì a garantire il principio di uguaglianza e i diritti fondamentali di tutti, anche contro la maggioranza, e perciò ad assicurare la convivenza pacifica tra soggetti e interessi diversi e virtualmente in conflitto. Poiché stabilisce le pre-condizioni della vita civile, la sua legittimità, diversamente da quella delle leggi ordinarie, consiste nel fatto non già di essere voluta da tutti, bensì di garantire tutti; non tanto nella forma della sua produzione - nel "chi" la produce e nel "come" è prodotta - quanto piuttosto nella sostanza, cioè nei contenuti delle norme costituzionali prodotte; non quindi nel consenso della maggioranza, ma nell'uguaglianza, con essa stipulata, di tutti i loro destinatari, cioè nella loro «égalité en droits» come dice l'articolo 1 della Déclaration del 1789. Se questa dichiarazione fosse stata messa ai voti nella Francia di fine Settecento, essa non sarebbe stata approvata che da un'infima minoranza. Per questo, perché il suo fondamento risiede non già nel consenso ma nella garanzia di tutti, la costituzione, in quanto contratto sociale in forma scritta, è necessaria e vitale, più ancora che a livello nazionale, a livello internazionale, ove maggiori sono le differenze culturali e politiche e le disuguaglianze economiche e materiali e perciò i pericoli di guerra o di sopraffazione.

[...]

Ma le ragioni e il fondamento del costituzionalismo globale non sono soltanto di carattere teorico. Non esprimono e non soddisfano solo la concezione pluralista e garantista delle costituzioni e della democrazia, in opposizione alla loro concezione identitaria e sovranista. Consistono anche, e soprattutto, nel fatto ben più pressante che solo un costituzionalismo globale può assicurare la sopravvivenza dell'umanità. È infatti del tutto inverosimile che quasi 8 miliardi di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile possano a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, fino alla sua inabitabilità, alla crescita delle disuguaglianze e della povertà e, insieme, dei razzismi, dei fondamentalismi, dei totalitarismi e della criminalità.

[...]

Per questo i crimini di sistema, benché catastrofici, non sono fronteggiabili dagli Stati nazionali. Essi sono tutti tra loro interconnessi: la fuga dei migranti è il prodotto dei cambiamenti climatici, delle guerre e della crescita della povertà, che a loro volta sono il frutto del capitalismo selvaggio e predatorio, a sua volta sorretto dalle politiche liberiste e dalla disgregazione delle soggettività collettive provocata dalla precarizzazione dei rapporti di lavoro, a beneficio dei populismi e delle loro campagne identitarie e razziste. Ciò che li accomuna, e che giustifica la loro denominazione come crimini di sistema, è che soltanto decisioni sistemiche e di livello globale, in attuazione di limiti e vincoli costituzionali, sono in grado di fronteggiarli. Nessuno Stato aprirà totalmente le sue frontiere se non lo faranno anche gli altri Stati. Nessun governo affronterà mai, da solo, i problemi della disuguaglianza globale, della fame e della sete nel mondo e delle malattie non curate di centinaia di milioni di persone. Nessun paese, e meno che mai quelli dotati di armamenti nucleari, procederà a un disarmo unilaterale. Tanto meno i singoli Stati si faranno mai carico, singolarmente, del salvataggio del pianeta attraverso una riconversione ecologica delle proprie economie. Solo un garantismo costituzionale di carattere globale può mettere l'umanità in grado di rompere questa spirale perversa, sostituendola con l'opposta sinergia tra le varie classi di diritti fondamentali e le corrispondenti dimensioni e livelli della democrazia.

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La Costituzione della Terra che proponiamo di elaborare si caratterizzerà invece per un allargamento del paradigma costituzionale oltre lo Stato, in tre direzioni:

a) in primo luogo in direzione di un costituzionalismo sovranazionale o di diritto internazionale, in aggiunta all'odierno costituzionalismo statale, tramite la previsione di funzioni e di istituzioni sovra-statali di garanzia all'altezza dei poteri economici e politici globali;

b) in secondo luogo in direzione di un costituzionalismo di diritto privato, in aggiunta all'odierno costituzionalismo di diritto pubblico, tramite l'introduzione di un sistema adeguato di regole e di garanzie nei confronti degli attuali poteri selvaggi dei mercati;

c) in terzo luogo in direzione di un costituzionalismo dei beni fondamentali, in aggiunta a quello dei diritti fondamentali, tramite la previsione di garanzie dirette a conservare e ad assicurare l'accesso di tutti al godimento di beni vitali come sono i beni comuni, ma anche i farmaci salva-vita e l'alimentazione di base.

Sono tre espansioni dettate dalla logica stessa del costituzionalismo, la cui storia è la storia di un progressivo allargamento delle sue tutele: dai diritti di libertà nelle prime dichiarazioni e nelle costituzioni ottocentesche, al diritto di sciopero e ai diritti sociali nelle costituzioni del secolo scorso, fino ai nuovi diritti alla pace, all'ambiente, all'informazione, all'acqua, all'alimentazione e ai beni comuni, la cui tutela internazionale si rivela oggi assolutamente vitale e fondamentale ma non ancora costituzionalizzata. Si è trattato e continuerà a trattarsi di una storia sociale e politica, oltre che teorica, dato che nessuno di questi diritti è mai calato dall'alto, ma tutti sono stati conquistati da movimenti rivoluzionari o riformatori: le grandi rivoluzioni americana e francese, poi i moti ottocenteschi in Europa per gli statuti, poi la lotta di liberazione antifascista da cui sono nate le odierne costituzioni rigide, infine le lotte operaie, femministe, pacifiste ed ecologiste di questi ultimi decenni.

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