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| << | < | > | >> |Indice7 Preambolo La pelle delle immagini 13 Acefalo I7 Betsabea 2I Carezza 25 Defigurazione 29 Equivoco 33 Finestra 37 Goya 43 Humus 47 Incarnato 5I Jolly 55 Kaos 59 Lombi 63 Modello 67 Nube 7I Ottica 75 Presenza 79 Quodlibet 83 Resurrezione 85 Scopofilia 89 Trans 93 Uso 97 Veritas 101 We 105 X 109 Y 113 Zero 115 Indice delle illustrazioni |
| << | < | > | >> |Pagina 7PreamboloPreambolo: prima di deambulare, prima di camminare. Come in una galleria dove le immagini - dipinti e fotografie - si susseguono. L'unico criterio che ci ha guidato nella scelta di queste ventisei immagini è l'arbitrarietà dei gusti e degli interessi personali. Non essendovi criterio ci esponiamo alla critica, ci mettiamo a nudo, spogli di ogni sapere. Non abbiamo pretesti, né finalità che motivino questo modo di procedere, a malapena un «procedere», un incedere, una deambulazione oziosa. D'altronde, non c'è nulla da giustificare o di cui giustificarsi. Il nostro interesse per il nudo è una delle cose più comuni del mondo - quanto meno del mondo dell'arte occidentale, poiché altre regioni e altre epoche dell'arte hanno trovato nella nudità interessi differenti. Potremmo dire che altrove, un po' ovunque, la nudità sembra legata all'erotismo e/o al sacro, mentre il nudo occidentale sembra esporsi per se stesso e offrire in sé un interesse disgiunto da finalità di conoscenza o di piacere. Pur sembrando sempre sul punto di orientarsi verso una verità o verso la gioia dei sensi, il nudo resta come sospeso, in disparte, indefinibile. È attraverso questa esperienza straniante che, a nostra volta in uno stato di sospensione, ci siamo esposti, privi di abiti teorici, all'arte dell'incontro, incontro nudo con figure o momenti singolari di quel nudo che, per se stesso, interessa all'arte. Questo nudo certamente non manca di suscitare curiosità e desiderio, ma non vi si riduce mai. La curiosità e il desiderio sono talmente evidenti, che è subito altrettanto evidente che il nudo indica altro: non indica nulla, vuol solo essere nudo. Nel nostro percorso siamo stati guidati, ognuno secondo le proprie modalità, da una sorta di presenza al tempo stesso colma e spogliata di sé, una sorta di ritegno a esporsi completamente, pudore e audacia uniti in un'apparizione che assume o consuma l'essere. Non l'essere, ma il bagliore; non la permanenza, ma l'istantaneità di ciò che non può mettere radici; non un senso da decifrare e da scovare dietro i segni e i tratti, ma una verità direttamente sulla pelle. Una verità sulla pelle, una pelle come verità: né l'aldilà della pelle cercato dal desiderio, né il suo sotto a cui mira la scienza, ma neppure il segreto spirituale di una carne svelata. Il nudo, per noi, non è né erotico, né anatomico, né autentico. Sta piuttosto al margine o al di qua di queste tre modalità. La verità sulla pelle è la verità che è vera solo nell'esporsi: offerta senza ritegno, senza rivelazione. Il nudo, infatti, rivela solo che non v'è nulla da rivelare, poiché esso è la rivelazione stessa, il rivelante e il rivelabile. Il nudo è quindi instabile ed effimero: appare sulla superficie sottile della pelle, solo per il breve istante del gesto che denuda. [...] | << | < | > | >> |Pagina 21CarezzaÈ vero che il desiderio entra sempre in gioco nella rappresentazione del nudo? Forse sì, ma non si può mai esserne certi. Esistono nudi che sospendono il desiderio, subordinandolo a una presentazione di forme che non sono propriamente da desiderare poiché si accontentano di compiacersi in se stesse, o di essere per se stesse il proprio desiderio e il proprio piacere. Sono nudi quieti, come la Venere d'Urbino di Tiziano o le Demoiselles d'Avignon (e, forse, la maggior parte dei nudi di Picasso), o anche, in altro modo, i nudi di Modigliani. (D'altronde è forse vero che esistono nudi quieti, nudi del desiderio e nudi della sofferenza, ma non per questo è sempre possibile definire un'immagine con una sola di queste categorie). Il desiderio può essere soggetto od oggetto della rappresentazione, ma anche l'uno e l'altro contemporaneamente. Il desiderio è soggetto quando il quadro mostra sia ciò che un soggetto desidera, sia il suo desiderio (che questo soggetto sia il pittore o lo spettatore, fa tutt'uno), mentre è oggetto quando mostra il desiderio all'opera. In questo Pomeriggio a Napoli di Cézanne, le due possibilità sono congiunte. La scena mostrata è una scena di desiderio; la scena di mostrazione, se così si può dire, o la scena mostrante, per usare un termine ancora più maldestro, è quella di un desiderio di vedere, di condividere o di toccare il desiderio mostrato. [...] | << | < | > | >> |Pagina 33FinestraLa storia dell'arte occidentale degli ultimi cinquecento anni - e quindi anche quella del nudo come genere pittorico - si presenta, per molti aspetti, come il reiterato tentativo compiuto da uno sguardo furtivo, nascosto dietro la finestra (ad esempio, nell'arte rinascimentale) o dietro il vetro smerigliato di una camera obscura (ad esempio, nell'arte olandese del XVII secolo), di cogliere un soggetto più o meno consapevole di essere osservato. Per questa tradizione, assai eterogenea nella sua vastità, l'artista è colui che si affaccia alla finestra della rappresentazione e fissa su un supporto omogeneo lo spazio-tempo del soggetto. Ma se nella pittura e nella scultura l'intervento della «mano» dell'artista è in grado di introdurre uno sfasamento continuo e una proliferazione di piani spaziali e temporali, nella fotografia la riduzione a una sola dimensione spazio-temporale diviene inevitabile. La fotografia, di norma, ferma il tempo, attesta la presenza di un oggetto, rendendola «istantanea». Non c'è più alcuna traccia della «mano», del suo muoversi dentro lo spazio pittorico in momenti diversi e distanti tra loro. All'interno di questa ipotesi sulla rappresentazione occidentale - condivisa da un artista come David Hockney in diversi suoi scritti, e analizzata, ad esempio, con grande finezza storica e teoretica da Svetlana Alpers e, più recentemente, da Victor I. Stoichita in L'invenzione del quadro - il soggetto della fotografia, e il nudo in particolare, diventa un oggetto a cui viene imposta un'unità spazio-temporale. Il suo unico spazio-tempo diviene quello del voyeur, quello dell'occhio di colui che guarda dalla «finestra». La sua esistenza è ricondotta all'unità di uno sguardo e, quindi, espropriata della sua presenza corporea, della frammentazione di sensazioni e temporalità eterogenee che il corpo è per il soggetto. Come scrive Barthes in La camera chiara, «la Fotografia è l'avvento di me stesso come altro». Il mio corpo diviene un oggetto che io stesso posso osservare: un clone inanimato. Il nudo fotografico, dunque, molto spesso, è unidimensionale - perde, nell'istantaneità fotografica, quella capacità di muoversi nel tempo e nello spazio che lo rende vivo. È quasi sempre così. Ma non sempre. A volte la «finestra» dello sguardo è mandata in frantumi e il corpo riassume una vitalità differente. Ian Washing His Hair (1983) è uno tra i collage fotografici più noti di Hockney. [...] | << | < | > | >> |Pagina 79QuodlibetTra le diverse possibilità che le arti figurative offrono per rappresentare il nudo, il disegno è forse la più sorprendente per la sua stessa nudità di mezzi. Il disegno mette a nudo l'arte del nudo, lo spoglia di tutto, rendendo il corpo alla sua effimera presenza. Nei disegni rinascimentali, su piccoli e grandi fogli, i corpi si moltiplicano, si frammentano, si sdoppiano. Accanto a una figura centrale, appaiono mani, piedi, gambe, torsi, glutei, alluci, nasi. Spesso si tratta di studi in vista di opere da realizzare ma, a volte, i soggetti rappresentati non sembrano rinviare in alcun modo a composizioni pittoriche: paiono fine a se stessi. Disegni liberi e liberati da ogni strumentalità. Free sketches, come li definisce anche Janet Cox-Rearick. Disegni sperimentali che espongono e si espongono al limite dell'arte di quel tempo. Disegni che vivono di una vita propria e che, in quanto tali, vengono talora firmati e datati. I disegni, le carte e gli schizzi, soprattutto quando fungono da ritratti, già dalla metà del Quattrocento, tanto al Nord quanto in ambiente fiorentino, assumono un valore ben più ampio di quello preparatorio. «I disegni - scrive Giovanni Agosti - non serv[o]no solo a scopi pratici, ma ven[go]no raccolti come testimonianza dell'abilità degli artisti: un interesse insomma non solo iconografico e, men che meno, strumentale». Molti disegni divengono «opere» autonome, fino a diventare omaggi preziosi, veri pezzi da collezione (dall' Abbondanza del Botticelli e dalla Giuditta del Mantegna fino a quelli che Wilde, prima, e Hirst, poi, individuano come i presentation drawings di Michelangelo: disegni più o meno compiuti offerti agli amici intimi). Sabba da Castiglione, grande collezionista di grafica, nei suoi Ricordi, apparsi a Bologna nel 1546, scriverà, dando così voce a una nuova sensibilità: «Uno schizzo, una bozza di semplice carbone e di penna ne' riguardanti non meno aggrada che le figure di molto oro ricche [...] per rispetto che in esso schizzo forse meglio si vede et si comprende la nobiltà dell'arte che in quelle con tanta delicatezza et diligenza ornate et colorite». In questo Autoritratto in mutande - sul cui recto sono rappresentate due figure preparatorie, estremamente realistiche, per la Cena in Emmaus, e che risale quindi molto probabilmente al 1525, periodo cruciale e di svolta tanto per il pittore della scuola fiorentina quanto per tutta l'arte italiana - Pontormo espone il disegno all'intimità stessa dell'arte, alla sua dimensione più nuda. |