Copertina
Autore Davide Ferrario
CoautoreAttilio Concari
Titolo Guardami
SottotitoloStorie dal porno
Edizionemanifestolibri, Roma, 1999 , pag. 160, dim. 155x215x13 mm , Isbn 978-88-7285-183-8
LettoreRenato di Stefano, 2002
Classe fotografia , cinema , sociologia , erotica
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Pagina 9

INTRODUZIONE
OVVERO [I CAN'T GET NO] SATISFACTION


E' stato a Budapest, su un set porno.

La locatíon era un castello, in una sera di giugno, tiepida. Davanti a me, sei o sette corpi intrecciati. Leccavano, spingevano, pompavano l'uno nell'altro. Sospiri e gemiti uscivano ogni tanto dal groviglio, fustigati dal regista che voleva maggiore energia nella scena.

"Fei! Fei! Expression!".

Io guardavo. Sì, facevo esattamente questo: guardavo, né più né meno. Dentro di me, nel mio inconscio, nel mio sistema desiderante, nel mio istinto basico, nulla. Non un moto o uno stimolo. Non una pulsione erotica. E' difficile eccitarsi durante la lavorazione di un film hard, così come è assolutamente noioso starsene sul set di un film vero.

Però.

Però appena l'occhio - e fu meno di un secondo - passò dalla scena vera giù, a osservare il display della telecamera digitale che avevo in mano e che usavo per prendere appunti di ripresa, tutto cambiò. Quell'attività sessuale così poco interessante nella realtà a due metri da me, mutava natura all'improvviso dentro il piccolo monitor.

Un membro stantuffante.

Una fronte imperata di sudore.

Una lingua che si estenuava su una clitoride.

Non appena la realtà diventava inquadratura, immagine, movimento, suggestione, storia - ogni cosa mutava di segno. E dentro, in qualche posto che aveva a che fare in parte con i miei testicoli ma soprattutto con la mia testa, partiva come un brivido, una scarica elettrica lungo il midollo. Le cose prendevano senso solo lì, in quei pochi centimetri quadrati di cristalli liquidi. E avevo scoperto quello che ero venuto a cercare, la ragione intima per fare Guardami.


Personalmente, non sono né un consumatore di materiale pornografico né un erotomane. Non lo dico per salvarmi l'anima. Innanzitutto perchè all'anima non ci credo. E poi perchè la pornografia è un fatto di massa, non certo un vizio che si tiene nascosto.

Anni fa, forse il '91, in tempi non sospetti, feci un documentario sui leghisti. Non la pensavo certo come loro, ma vivevo a Bergamo e sentivo che quello che succedeva intorno mi riguardava. Il documentario servì prima di tutto a me per capire.

Più o meno la stessa cosa è successa per Guardami. la pornografia è un fenomeno importante, taglia trasversalmente ogni cultura e religione. Parla di sesso, che è una cosa che riguarda tutti, compresi quelli (soprattutto quelli) che ne sminuiscono l'importanza. La si può condannare, ma non se ne può fare a meno. Infatti in Italia è - teoricamente - vietata: ma questo è lo stesso paese che ha mandato Cicciolina in Parlamento.


Un film su una donna che fa i film porno, dunque. Uno dei pochi personaggi femminili a cui - come uomo - riuscivo a pensare con qualche interesse e senza troppa ideologia. Forse perchè la pornostar è un'icona che mette in crisi la cattiva coscienza postfemminista degli uomini maturati, come me, nel gran casino degli anni settanta. Ma appunto perchè la pornografia non è il mio pane quotidiano avevo bisogno di documentarmi, conoscere, vedere, incontrare. Spero che il senso profondo di questo lavoro di ricerca sia finito nel film - e non sotto forma di documentazione sociologica. Ma, man mano che preparavo Guardami, mi rendevo conto che c'era una quantità di episodi, situazioni, fatti, persone e pensieri che non sarebbero potuti entrare nella storia, e che però meritavano di essere conosciuti. Ecco il senso di questo libro, allora. Una specie di diario di bordo pre/para/metacinematografico, di cui le immagini di Attilio Concari, amico e complice, sono parte integrante, la spina dorsale stessa.

Ma, prima di tutto, fatemi chiarire una cosa.


Se qualcuno pensa che il mondo dell' hard sia un universo trasgressivo, si sbaglia di grosso. L' hard è uno degli ambienti più borghesi che si possano immaginare. Nel profondo dell'animo - e dei corpo - è lo specchio della società "normale", ma senza ipocrisie né alibi moralistici. Nel porno contano solo i soldi, la fama e il potere che ne consegue, esattamente come in tutti gli ambiti della civiltà occidentale avanzata. Ma mentre nel capitalismo tutto questo si regge su un'impalcatura ideologica che contempla principi morali e/o etici in vario grado invocati (e disattesi), nel porno tutto è reificato al grado zero della legge del profitto. Il corpo è una merce e come tale viene trattato da tutti, secondo la classica regola della domanda e dell'offerta: sia dagli imprenditori del settore che dalla manodopera.

Per esperienza personale, non c'è "tristezza" su un set hard. Non più (certo meno) di quanta ce ne sia in una linea di montaggio o in un ufficio. E', in modo assoluto, un lavoro come un altro. E il fatto che l'articolo in vendita sia il sesso rende tutto più semplice e meno ambiguo: qui nessuno ha secondi fini. Mentre altrove il sesso viene quotidianamente usato da uomini e donne per fare carriera o come strumento di gestione del potere, qui lo scambio è alla luce del sole. E se un'attrice va a letto con il regista per ottenere una parte non fa altro che confermare la regola.

Da questo punto di vista, la cosa che dà maggiore soddisfazione ai performers del porno è "fare un lavoro fatto bene". E' una delle cose che più mi ha colpito, prigioniero com'ero della sciocca curiosità che fa capolino a ogni intervista con Selen o Jessica Rizzo: "Ma si gode davvero durante le riprese?". La mia impressione è che il piacere non stia nella meccanica del sesso, ma nell'idea che la prestazione ínterpretata in una certa scena sia "uscita bene".

Certo, la componente esibizionistica di maschi e femmine è essenziale: ma non molto più che per qualsiasi altro attore o attrice regolare. Chiedete a questi ultimi se, sotto i riflettori o davanti a una macchina da presa, non provano anche una forma di piacere erotico.

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