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| << | < | > | >> |Indice9 Presentazione Giovanni Ferretti La questione 19 Filosofia come ermeneutica dell’esperienza religiosa cristiana Claudio Ciancio 37 Tra fede cristiana e filosofia: una circolarità ermeneutica Virgilio Melchiorre 59 Identità cristiana e natio fidei. Un appello teologico alla ragione Pierangelo Sequeri Figure storiche 77 L’essere e il tempo. Filosofia e teologia in Gregorio di Nissa Enrico Peroli 97 Agostino e la difficile mediazione della doctrina christiana Luigi Alici 113 L’aristotelismo critico di Tommaso d’Aquino Alessandro Ghisalberti 131 Il rapporto tra filosofia e teologia in Cusano Werner Breierwaltes 167 Fede e ragione. Un confronto tra Barth, Lutero e Tommaso Sergio Rostagno 187 Esperienza cristiana e "filosofia" in Pascal Domenico Bosco 219 Le due circonferenze di Kant e il Maestro del Vangelo Stefano Semplici 229 Schleiermacher: dalla filosofia alla dottrina della fede Giovanni Moretto 243 Ispirazione cristiana e autonomia del pensiero in Hegel Maurizio Pagano 255 Kierkegaard filosofo cristiano Umberto Regina 269 Antonio Rosmini e la valenza filosofica dell’evento Cristo Giuseppe Lorizio 287 V. Solov’ev: verificare la fede dei Padri Nynfa Bosco 301 Edith Stein: identità del soggetto e Rivelazione Angela Ales Bello 315 Gabriel Marcel e la problematicità del credere Franco Riva 329 «Senza filosofia nessuna teologia». Identità cristiana e filosofia in Hans Urs von Balthasar Ezio Prato 345 Filosofia autonoma e teologia eteronoma? Le risposte di Dietrich Bonhoeffer Alberto Gallas Contributi 361 Nuove prospettive fenomenologico-esistenziali Gian Luigi Brena 369 Il Cristianesimo, la ragione filosofica e la sfida del postmoderno Angelo Gampodonico 377 Relazionalità antropologica e relazionalità teologica Santino Gavaciuti 389 Pensare nella fede Angelarnaria Isoldi Jacobelli 393 Lo statuto antropologico delle identità umane. Una prospettiva dialogico-maieutica Roberto Mancini 409 Precomprensione cristiana dell’esistenza. Un tema ermeneutico e una questione di sincerità Armando Rigobello 423 Per una critica della razionalità ontologica Antonio Schiavo |
| << | < | > | >> |Pagina 31Uno dei punti decisivi su cui si è fondata tanto la lunga tradizione di ostilità della filosofia nei confronti del cristianesimo quanto la convergenza assimilatrice è stata la pretesa inadeguatezza della religione sotto il profilo del sapere, quell’inadeguatezza per cui la religione è stata vista come il luogo della superstizione e delle favole o almeno, nella tradizione idealistica da Hegel fino a Croce e Gentile, come il luogo in cui la verità è espressa in forma ancora inadeguata, adatta alle menti incolte e non filosofiche. La distinzione principale tra cristianesimo e filosofia, che qui si riconosce, è una distinzione di gradi del sapere. Scrive Hegel: "La filosofia si rende esplicita solo in quanto rende esplicita la religione e, rendendosi esplicita, fa esplicita la religione"; ne consegue che «religione e filosofia vengono a coincidere» e la coincidenza è talmente piena che non riguarda solo i contenuti ma anche le funzioni: della filosofia si dice infatti che è «servizio divino».È chiaro che, se viene assimilato al sapere, il cristianesimo può, nel migliore dei casi (quello dell’idealismo ma non invece quello dell’illuminismo), ottenere un riconoscimento di verità, ma questo a prezzo di una sottomissione al grado più elevato del sapere. In realtà cristianesimo e filosofia non si differenziano solo come sapere rappresentativo e sapere razionale, cosi come non si differenziano come sapere dogmatico e sapere critico, perché il cristianesimo è più che sapere; esso è, in quanto esperienza religiosa, contatto originario con la verità. Devo riprendere qui quanto ho detto sopra a proposito della criticità della filosofia, per precisare che il rafforzamento o almeno la conferma che essa trova nel rapporto di libertà con la verità che il cristianesimo manifesta, è un aspetto insieme della continuità e della discontinuità, della convergenza ma anche della necessaria distinzione di cristianesimo e filosofia. La libertà del rapporto religioso con la verità è anzitutto esperienza dell’adesione e della scelta, adesione e scelta che si compiono nella lotta contro le istanze del rifiuto. L'istanza critica della filosofia è invece anzitutto un atto teoretico di sospensione delle pretese di verità anche della religione, una sospensione che può essere umile e fiduciosa ma è pur sempre sospensione. L’esperienza religiosa è adesione esistenziale alla verità; anche se contrastata, è esperienza della verità. La filosofia nella sua istanza critica compie sempre un passo indietro con il quale, come dice Schelling, si abbandona tutto: «Chi vuole veramente filosofare deve rinunciare a ogni speranza, a ogni desiderio, a ogni nostalgia; non deve voler nulla nè saper nulla, sentirsi del tutto povero e nudo». Perció non si può propriamente istituire una comparazione tra filosofia e cristianesimo, come avverrebbe se fossero saperi di forme e di gradi diversi. E infatti a seconda del punto di vista da cui sono compresi si rivelano di volta in volta superiori o inferiori. La religione è più originaria e più ricca di contenuto ed è più che un sapere, è un’adesione, un contatto originario con la verità, ma paga questa superiorità in termini di minore consapevolezza critica e chiarezza; al contrario la filosofia paga la sua maggiore consapevolezza, criticità e analiticità con un certo impoverimento dei contenuti e una difficoltà ad abbracciarli unitariamente, che consegue ad un distanziamento dall’esperienza. Pensare il rapporto fra filosofia e cristianesimo come rapporto tra sapere superiore e sapere inferiore impedisce dunque di riconoscere la loro distinzione. In questo modo non vi è incontro autentico e rapporto fecondo, perché si finisce per affermare la superiorità della filosofia: l’unità e la continuità di cristianesimo e filosofia viene affermata a prezzo dell’autonomia del cristianesimo. E nemmeno si ha un rapporto fecondo, quando vengono considerati come saperi diversi (provenienti cioè da due diverse fonti della verità, la ragione e la rivelazione), tra i quali si può stabilire tutt’al più una non contraddizione e persino un’integrazione, ma in fondo una reciproca estraneità. | << | < | > | >> |Pagina 97Agostino e la difficile mediazione della doctrina christiana
Luigi Alici
(Università di Macerata)
1. Fede e ricerca Interrogandosi sugli esiti della separazione di teologia e filosofia che continuano a pesare sull’etica contemporanea, John Rist li ha recentemente ricollegati ad un doppio processo di decantazione formale: da un lato la ricerca filosofica ha privilegiato il paradigma metodologico della coerenza interna del discorso, dall’altro lo spessore teologico della rivelazione cristiana si è sempre più assottigliato, riducendosi progressivamente dalla traditio alla sola Scriptura, dalla fede in Cristo alla fede nell’uomo e nei suoi ideali. L’esito estremo di questo processo induce oggi, secondo Rist, a riconsiderare il rapporto tra teologia e filosofia, evitando di ridurlo ad una vuota separazione metodologica: come Agostino ci ha insegnato, infatti, la teologia è «una forma avanzata di filosofia», che può mettere a disposizione dell’uomo un quadro esplicativo molto più ricco, anche se affidandolo alla fede e alla speranza, oltre che alla conoscenza. E tipico della tradizione patristica, e del modello agostiniano in particolare, il pensare che le difficoltà insuperabili incontrate dai filosofi pagani fossero quindi dovute più ad un insuperabile deficit di dati conoscitivi disponibili, che a problemi tecnici di logica del discorso filosofico. È un passaggio obbligato, per chiunque cerchi di riflettere intorno al rapporto tra identità cristiana e filosofia, interpellare la complessa eredità del paradigma agostiniano, a partire da un’ermeneutica del celebre | << | < | > | >> |Pagina 113L’aristotelismo critico di Tommaso d’Aquino
Alessandro Ghisalberti
(Università Cattolica, Milano)
I. Tipologie storiografiche dell'aristotelismo scolastico Ancora oggi, sia nella letteratura manualistica, sia nella storiografia filosofica non specialistica, ottiene ampio consenso il quadro dell’aristotelismo medievale magistralmente delineato da Bruno Nardi mezzo secolo fa. Nardi distingueva allora tre correnti principali della trasmissione dell'opera di Aristotele nell’Occidente latino medievale: 1) un aristotelismo agostinizzante e «avicennizante», condizionato da suggestioni platoniche, il cui contributo originale consisterebbe anzitutto nello sforzo di superare, grazie alla nozione ebraico-arabo-cristiana di «creazione», la concezione greca di "materia prima", riconducendola al rapporto di genere e specie (laddove il «genere», vale a dire la materia, sarebbe comunque una forma corporeitatis indefinita e totipotenziale); 2) un aristotelismo averroistico, ben esemplificato dalle parole di Alberto Magno: «Theologica non conveniunt cum physicis principiis», fautrici di una preliminare separazione di ambito e di metodo tra l’indagine naturale e la speculazione teologica; 3) infine l’aristotelismo tomistico, impegnato in un’esegesi concordista, nella quale trovassero posto le specifiche esigenze del dogma cristiano e la costruzione filosofico-scientifica che sorregge la cosmologia aristotelica. In contrasto con le ultime due tendenze, ma a ben vedere soprattutto in netta divergenza dalla linea concordista che appariva la più compromettente per la purezza della fede cristiana, i pensatori francescani medievali avevano cercato di battere un’altra strada, rivendicando: a) l’intelligibilità del singolo esistente in quanto singolo, b) l'onnipotenza divina e la radicale contingenza di tutte le cose, c) la dottrina fisica dell'impetus, che "modifica sostanzialmente il concetto aristotelico del movimento" | << | < | > | >> |Pagina 219Le due circonferenze di Kant e il Maestro del Vangelo
Stefano Semplici
(Università di Roma, Tor Vergata)
I. Nel celebre modello kantiano delle due circonferenze concentriche, proposto nella prefazione alla seconda edizione della Religione entro i limiti della sola ragione, il riconoscimento della fede come «sfera più vasta», che contiene al suo interno la pura religione razionale come "sfera più ristretta", tende il rapporto fra le due dimensioni nel senso di una compatibilità ad un tempo dichiarata e sottratta. Dichiarata, perché dall’esplicito rifiuto di considerare i due ambiti come reciprocamente esteriori sembra dover conseguire, con l’identità del centro, quella di un nucleo sufficientemente ampio di verità. Eppure sottratta, o perlomeno fortemente asimmetrica, visto che l’autonomia dell’elemento «storico» della rivelazione viene subito illuministicamente subordinata, senza diritto di replica, al monologo del «filosofo studioso di religione», giudice unico dell’unione fra le due sfere o almeno del tentativo di essa. Siamo cioè molto lontani, per non abbandonare le analogie della geometria, dall’immagine dell’ellissi che sarà di Friedrich Schlegel, con un centro nell’autonomia della ragione e l’altro nell’idea dell’universo, cosicché la filosofia si incontra con la religione riconoscendone e rispettandone il ruolo produttivo rispetto a tutto ciò che in essa stessa è «più che scienza». Ma siamo anche, così almeno appare a prima vista, in una posizione metodologica che colloca pregiudizialmente oltre il limite della ragione e del suo interesse, oltre che della sua competenza, ciò che costituisce il contenuto fondamentale e caratterizzante della fede appunto cristiana: non la consapevolezza «anonima» di una comunicazione di senso fra Dio e uomo "sotto forma di offerta alla libertà", bensì l'esplicita confessione di Gesù come il Cristo, nella dimensione della storicità piena di quest'unica autocomunicazione di Dio agli uomini. | << | < | > | >> |Pagina 243Ispirazione cristiana e autonomia del pensiero in Hegel
Maurizio Pagano
(Università di Trieste)
I. Il confronto con il cristianesimo dagli scritti giovanili alla Fenomenologia Hegel va certamente annoverato tra quei pensatori, per i quali la domanda intorno alla loro identità cristiana, e al modo in cui questa si manifesta eventualmente nella loro filosofia, è oggetto di disputa. Egli rappresenta anzi un caso emblematico e quasi clamoroso in questo senso: com’è noto, già poco tempo dopo la sua morte la scuola da lui fondata si divise radicalmente, proprio sul tema del rapporto tra la sua filosofia e la religione cristiana. E anche le lunghe e sempre più accurate ricerche della Hegelforschung non sono pervenute a dirimere la questione, tanto che tra gli interpreti più autorevoli di oggi sarebbe facile trovare sia chi si dichiara espressamente per l’interpretazione della destra hegeliana, come Michael Theunissen, sia chi opta invece per la prospettiva della sinistra, come Walter Jaeschke.
In compenso si può osservare che la domanda intorno al senso e alla
verità della religione cristiana è ben viva e presente nella mente dello stesso
Hegel, e attraversa tutto il corso della sua riflessione. Essa ottiene risposte
diverse nelle varie tappe del suo cammino, e certo v’è una grande distanza
tra le espressioni duramente critiche degli appunti giovanili del periodo di
Tubinga e di Berna, e la valutazione assai più pacata e favorevole della
Filosofia della religione
matura; ma ciò che mi preme sottolineare fin dall’inizio,
è che Hegel non ha mai smesso di interrogarsi su questo tema, per lui
veramente centrale, e sul rapporto del cristianesimo con la sua filosofia.
E questo viene anche incontro al modo in cui noi ci accostiamo a lui con le
nostre domande: perché una ricerca come la nostra deve certo chiedersi se
si può ravvisare un’identità cristiana nel pensatore preso in esame, ma poi
deve soprattutto domandarsi come questa sì manifesta, come gioca nel
pensare i contenuti, cristiani o «mondani», della sua riflessione e come si
esplica nella sua concezione della filosofia.
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