|
|
| << | < | > | >> |Pagina 9Prima di saperlo, è già nello splendore del Malecón. Nessuno l'ha preparato alla luce abbagliante delle undici, sul lungomare, con i pescatori di pargo e raby rubia che galleggiano al largo, infilati nelle camere d'aria. Sagome scure di ragazzi si stagliano in cerca di molluschi tra le rocce, di là dal parapetto. «Dov'è tua moglie?» vuole sapere l'autista di pelle scura, un tipo macho. Ha messo la quarta alla Hyundai, che sobbalza lungo l'asfalto rappezzato da poco. Stanno costeggiando il Vedado. «A vedere l'oceano, fuori dall'Avana. Non te l'hanno detto i tuoi amici?» «Quale posto?» «Megali, mi sembra.» «Megano» lo corregge l'autista con una punta di disprezzo, «è una spiaggia a quindici chilometri da qui. Ma non ci passiamo, per andare a Santa Clara.» Seniores imperialistas, no le tenemos absolutamente miedo, avverte su un grande cartello pubblicitario che stanno oltrepassando. «E noi? Quanto ci vorrà per arrivare dove stiamo andando?» «Sono duecentosessanta chilometri. Potremmo farcela in due ore e mezza, ma prima bisogna che troviamo un posto per fare benzina tra qui e Santa Clara.» Ora una folata di vento oceanico investe in pieno la Hyundai e loro due si sono già lasciati alle spalle l'hotel Riviera fatto costruire dal gangster Sam Giancana prima dell'omicidio di Kennedy. Abbandonano il centro e si avvicinano al Castillo de la Punta, dove finisce la passeggiata sul molo e incomincia l'Avana vecchia, mentre proprio adesso Riccardo Modena prova quella improvvisa sensazione di piacere, una canzone gioiosa si risveglia di colpo dentro di lui cancellando l'inevitabile delusione provata il giorno precedente, giacché non si arriva mai in nessun posto veramente all'altezza della nostra immaginazione. Finiti gli alberghi, appaiono le vecchie case coloniali disfatte dal sale e dalla pioggia che brillano nel riflesso marino a destra della Hyundai; quindi il Malecón cede ad avenida del Puerto e subito dopo loro due si infilano nelle stradine dell'Avana vecchia, strettamente sorvegliate dalla polizia, finché sbucano nel tunnel che porta alla carretera monumental e verso oriente. Vamos bien annuncia un ritratto gigantesco di Fidel poco prima che le gru e i magazzini navali nascondano per qualche chilometro la linea orizzontale dell'oceano. «A che ora saremo indietro, all'Avana?» «Tardi. Se vuoi visitare anche il tren blindado.» «Voglio solo vedere il mausoleo, così per curiosità. Al ritorno, pensavo che forse avremmo avuto il tempo di passare a prendere le donne.» «Allora non c'è soltanto tua moglie» osserva l'autista mulatto. «Anche mia figlia. Loro due non si separano tanto facilmente.» Questo è vero, benché Fior abbia vent'anni ormai, e attiri molti più sguardi di Gaia. «Non ce la facciamo per Megano, la strada più avanti peggiora» lo avverte l'autista. Quindi, dopo una pausa di silenzio in cui sfrecciano avanti senza badare alle file in attesa sui lati della strada, con gente di tutte le età che cerca di attirare la loro attenzione per un passaggio, il mulatto vuole ancora sapere. «Perché non sono venute con noi a Santa Clara? A tua moglie non importa di Che Guevara?» «Certo che le piace. A tutte'le donne piace almeno un po' Che Guevara, non lo sai?» «Sì, è così» riconosce l'autista. «Ma oggi non ne aveva voglia. Troppo stanca del viaggio. E poi Fior vuole fare il bagno nell'Atlantico. Da queste parti l'acqua è sempre abbastanza calda, no?» «Fior?» «Il soprannome di mia figlia. Si chiama Fiordiligi, in realtà.» Così aveva voluto chiamarla Gaia, in omaggio a Mozart. In quel periodo loro due avevano frequentato un bel po' di teatri, a Milano, seduti nelle poltrone che la famiglia di lei prenotava da generazioni. Quello era stato il periodo musicale più intenso della moglie, subito dopo il matrimonio. «È caldo, il mare. Però non capisco perché sono andate alla spiaggia di Megano. C'è molto di meglio.» «Come facevano a saperlo? Ma poi non è così importante. Volevano soltanto camminare su una spiaggia tropicale, le donne sono fatte così. Si saranno messe d'accordo con qualcuno della Casa de las Americas, di sicuro. Così quando sono stanche le riportano in albergo. L'appuntamento è là, domani» ricorda al ragazzo. «Te l'hanno detto?» «Solo che devo passare a prenderti alle dieci al Palacio O'Farrill. Però non capisco perché ti hanno mandato da solo a Santa Clara» si ostina l'autista mulatto. «Ho chiesto io di venirci» taglia corto Riccardo, e questa è una mezza bugia perché in realtà l'avrebbe evitato volentieri, ma ai cubani sarebbe sembrato scortese. È una specie di visita obbligata, questa, come alla Bastiglia e al Muro di Berlino. Riccardo Modena osserva il ragazzo mentre fa partire il condizionatore al massimo, serio, senza dubitare che a lui possa non piacere starsene come i cubani, congelato per ore filate. «Mi dici come ti chiami?» «Virgilio, poi ho tanti soprannomi.» «Bello, Virgilio. Lo dici da italiano.» «Mio padre era italiano ho ancora il passaporto.» «Vuol dire che mi farai da guida in questa parte del mondo, Virgilio.» Se ha il passaporto, il ragazzo potrebbe andarsene anche domani da qui, riflette Riccardo Modena mentre osserva le sue braccia scure, muscolose, e le mani strette con forza esagerata al volante. Può darsi che non voglia. Ma no, è una questione di soldi e non di passaporto, per un volo diretto in Italia dovrebbe lavorare cinquant'anni. E forse non basterebbe. O mettersi nella prostituzione, o nel contrabbando. Tiene i capelli crespi molto lunghi, sciolti sulle spalle, basette larghe e baffi spioventi come i cantanti rock degli anni sessanta, la giacca di jeans senza maniche fa risaltare i muscoli dei bicipiti. Non può avere molto più di vent'anni. Lo sorprende il fatto che anche lui stia sudando, benché l'automobile abbia incominciato a riempirsi d'aria gelata. «Il nome te lo ha dato tuo padre, allora.» «Anche mia madre. Erano d'accordo, almeno su quello.» Proprio in questo momento da un gruppo di autostoppisti in attesa lungo il ciglio della strada si stacca un poliziotto in uniforme, facendo cenno all'auto di fermarsi. Loro però mantengono l'andatura e, all'ultimo momento, scartano per evitarlo. «Un trucco. Cercano di fermarti e convincerti a portarli dove vogliono loro. O a tirar fuori dei soldi.» Proseguono per un po', sfiorando uomini e donne che sfilano silenziosamente lungo la strada, cercando un po' d'ombra sotto un albero, per poi aspettare un'anima pietosa disposta a caricarli. Oppure l' amarillo, l'uomo vestito di giallo che prima o poi compare incaricandosi di fermare un veicolo perché recuperi i pedoni abbandonati lungo il percorso, come uno spazzino stradale. «Non ti viene voglia di andarci, in Italia, una volta o l'altra? O magari in un altro posto lontano da qui?» Mentre lo chiede, si è già pentito di aver toccato l'argomento. «Qualche volta sì. Ma dovrei vivere due vite per trovare i soldi. Però» prosegue voltandosi verso Riccardo, «forse tu potresti darmeli.» «Come?» «Potrebbe venirti un'idea. Un'occasione per me.» «Riccardo si terge il sudore dalla fronte, e poi alle guance, gli si sta ghiacciando addosso con quel condizionatore tenuto al massimo. | << | < | > | >> |Pagina 73L'orologio sul comodino segna le sette e venti, dunque se n'è andata senza che lui se ne accorgesse e a quest'ora lei e Fior dovrebbero essere addirittura già in volo per quel maledetto posto. Riccardo si lascia ricadere sul letto, sospirando e affondando la nuca tra le mani incrociate, continuando come prima a non pensare a niente. Strano come la sua mente sia completamente libera, adesso è proprio una tavola sgombra. Deve aver dormito due ore, dopo che Gaia ha deciso di lasciarlo lì da solo, con il condizionatore acceso, e lui non si ricorda neppure di aver sognato. Perché non ha sognato, in effetti.E dunque non sarà oggi che loro due sulla spiaggia di Cayo Coco si parleranno, né lei avrà modo di rivelargli il motivo per cui è venuta qui con lui. Anche se Riccardo lo conosce già, naturalmente. Ma se lei gli avesse rivolto una domanda precisa, in quel luogo paradisiaco, allora gli sarebbe toccato confessarle di non conoscere la risposta, né su loro due e sul loro futuro insieme, né riguardo a nessun altro argomento importante. Niente, sarebbe stato costretto a riconoscere che la sua mente è una tavola sgombra, che anzi lui non è mai stato così lucido come adesso, ma non ha proprio risposte su questo punto. Soltanto, mettere le cose in chiaro sulla spiaggia di Cayo Coco sarebbe stato crudele. Bene, dal momento che è andata così, dovrà trovare il modo di rimediare alla sua assenza di oggi, cominciando da questa sera. Alle nove, gli sembra di ricordare che Gaia abbia parlato proprio delle nove, comunque appena rimetteranno piede all'Avana. Fior verrà a cercarlo, questo è sicuro. Dunque lui dovrà essere là per lei e portarla a cena in qualche bel posto. Fior e non Gaia? Chissà mai perché la moglie ha nominato soltanto Fior, senza aggiungere se stessa. E poi, che senso aveva la raccomandazione di non mancare, rivolta a lui? Dove potrebbe andarsene, da solo all'Avana, con la sua cartelletta piena di fogli ancora da leggere e la sua ripetuta tendenza a sentirsi male? Per l'appunto, come aveva temuto, quel sapore amaro sulle labbra se ne sta ancora lì, non se ne vuole andare, adesso gli piacerebbe scacciarlo con qualcosa d'altro, però nella camera non c'è niente da mangiare o da bere. D'altra parte ha un po' di tempo davanti, adesso. Parecchio tempo anzi, e mentre sta sforzandosi di contare le ore che lo separano dalle nove di sera piomba di nuovo in un sonno leggero, popolato questa volta dal volo di strani uccelli esotici e altri animali multicolori. Si sveglia di colpo alle otto e mezza, sentendosi molto meglio, certe immagini dalle tinte vivaci si aggirano ancora nel suo cervello, come annunciando qualcosa di piacevole, e anche le energie sono fresche come in una mattinata piena di promesse. Spalanca le persiane marroni, e il suo sguardo vaga sulle terrazze in rovina degli edifici di fronte, bassi, da cui esala una nebbiolina umida, mentre fra i panni stesi ad asciugare si aggirano giovani in maglietta, scuri e affaccendati. Uno di questi, scorgendo Riccardo affacciato al davanzale, si sbraccia puntandosi l'indice al petto, gli sta chiedendo in regalo una maglietta o un paio di pantaloni probabilmente, gli indica le cose che vorrebbe avere da lui, ambasciatore di un mondo ricco e felice, ma Riccardo non è per niente dell'umore giusto dopo l'incidente del giorno prima, nel barrio proletario, e si ritira indecorosamente girandogli le spalle. Un quarto d'ora più tardi è seduto a un tavolino di marmo del Don Ricardo, il ristorante dell'O'Farrill, dove si è radunata una piccola compagnia di turisti occidentali protetta dall'aria gelida del condizionatore, alcuni si alzano di tanto in tanto per portarsi nel patio il vassoio del desayuno e quando spalancano la porta una folata di quell'aria esterna popolata di umori arriva fino a lui. Resta per un po' là dentro, riempiendosi il piatto di toronqua e naranja deliziosamente asprigne tagliate a grandi fette, e poi marmellata di guayaba che gli si attacca ai denti oltre a strane salse da cui si lascia tentare spalmandole sul pane scuro, soltanto il caffè se lo sarebbe aspettato migliore, più forte, ma è comunque un grande conforto trovarsi lì solo, senza dover rispondere a nessuno, tanto meno a Gaia, solo con la sua cartelletta piena di fogli e l'indifferenza dei camerieri che sembrano aggirarsi là intorno soltanto per coreografia, in attesa di qualcuno che dia loro il cambio. Dopo poco si sposta nel patio sormontato da un lucernaio a cupola, le volute sono di vetro spesso e ci fa sempre buio, in alto i colonnati di marmo si inseguono lungo i piani ombrosi e deserti, ma di fronte spicca il portale luminoso che dà sul Chacón, la strada del porto. La luce è appena sufficiente a scorrere le pagine che gli ha consegnato Balaguer, eppure finisce per dimenticare tutto il resto e si ritrova a tu per tu con l'uomo per il quale è venuto fin qui e che in fondo si aspettava di trovare, sopravvissuto in spirito ed effigie a tutte le disastrose repliche della storia che sembravano averlo messo fuori gioco. E quanto a questo, ancora un eterno adolescente, amato nonostante i suoi fallimenti, o forse proprio per questo, rimpianto da generazioni diverse e lontane tra loro, non ce n'è una che non lo senta come uno dei suoi, portatore degli stessi valori, dei medesimi sogni e speranze accuratamente conservati in vista di un domani decente, e dunque pronto per essere innalzato gioiosamente sui vessilli da Parigi a Buenos Aires. A Seattle, Pechino, Genova, eccetera, sempre lo stesso. Benché siano cambiate certe abitudini, e oggi non sia più possibile ritrovarlo appeso alle pareti delle mansarde affittate da ragazze ardimentose, come Tania appunto. «Ma ha ripulito l'Avana dai ruffiani e dalle prostitute» gli ha detto la sua irreprensibile Gaia, in aereo. Deve ricordarsi di chiedere a Fior, questa sera, se anche lei è d'accordo, che cosa ne pensa del Che anche se non ne ha letto una riga, però deve aver visto molte delle sue fotografie, probabilmente lo troverà anche lei tremendamente virile, anzi sospetta che le piacciano proprio questi tipi disperati, sembrano fatti apposta per venire incontro alla sua anima da vergine amazzone, ereditata dalla madre, del resto non ha protestato quando si è ritrovata accanto i muscoli di Virgilio, sulla Hyundai. In ogni caso adesso il vecchio Che è lì di fronte a lui, resuscitato attraverso i nastri amorosamente trascritti dai suoi seguaci; a noi due allora, pensa Riccardo, e mentre scorre le pagine prova quella sensazione domestica di imbattersi nelle memorie d'infanzia, una volta del resto l'aveva scritto anche Kundera, lo scrittore boemo, che vedere Hitler in un documentario lo commuoveva perché gli ricordava la sua giovinezza, e inevitabilmente col tempo tutto cambia di significato, è un effetto della legge eterna che regola il mutamento. Mentre scorre i fogli trattenuti dal nastro nella cartelletta, Riccardo deve riconoscere che ci vuole coraggio a proclamare certe cose in pubblico. Un coraggio da Che. Non solo intellettuale ma anche fisico, anzi una molla vagamente suicida, le sue erano vere e proprie considerazioni eretiche. Quando ti sistemano accanto uno di quei registratori preistorici messi a disposizione dal ministero affinché nemmeno una tua parola vada perduta, e tu devi parlare a braccio, quello che dici può sempre essere usato contro di te. Una vena suicida c'era, appunto, fin dall'inizio. Non vera pazzia, però. Qualcos'altro, da studente ci si era arrovellato per scoprire cos'era. Una vena strana e fatalista, molto prima che partisse per la Bolivia e si facesse ammazzare. E ora questi brani inediti dei suoi discorsi che gli offre Balaguer – qui per esempio, dove dice di Marx che gli trova addosso qualcosa della pedanteria filosofica della sinistra hegeliana – sembrano confermarlo in pieno. O quando se la prende con Engels, denunciando che alla mente più gelida della rivoluzione in realtà piaceva prendere a cannonate le zanzare. E Lenin, poi, quello doveva amarlo meno di tutti, è chiaro, perché sacrificava l'umanità alla tattica, e predicava ai compagni la necessità di fare un passo indietro durante la lotta per recuperare le forze e balzare in avanti subito dopo. Ma quando ti fermi, e cominci a guardare indietro non sai mai che cosa puoi scoprire dentro di te, pensava il Che. E quel gran balzo in avanti l'Unione Sovietica, in realtà, non l'ha mai fatto. Lo dice chiaro e tondo, Guevara, che al tempo della Nep, durante gli anni venti, il decennio di ferro della rivoluzione sovietica, Lenin ha concesso troppo ai contadini e ai commercianti, anziché colpire più duro, centralizzare la produzione e reprimere gli oppositori, costasse quel che costasse, perché non si può scendere a compromessi quando è in gioco l'avvenire di tutta l'umanità. Un comunista non può mai, in nessun caso, rinunciare a marciare avanti. Altrimenti perde il diritto di farsi chiamare rivoluzionario. Davvero gli è successo qualcosa, deve essere intervenuto uno di quei salti della natura che non si spiegano, come quando un essere anfibio decide di vivere fuori dall'acqua o un uccello perde la capacità di volare, al punto da cambiare completamente la personalità di Ernesto Guevara. Questo è un altro dei dubbi di tanti anni prima, quando a Riccardo importava ancora di queste cose, e adesso mentre legge i fogli di Balaguer si riaffaccia la medesima ipotesi. Che sia scoccata cioè una certa ora in cui Ernesto Che Guevara, il guerriero eroico, si è trasformato definitivamente in quello che era destinato a essere. È avvenuta una metamorfosi. Senza che lui lo sapesse, tutta la sua vita di ragazzo borghese argentino si è rivelata soltanto un prologo al gran salto, alla conversione definitiva, finché si è ritrovato a essere un uomo straordinariamente diverso da prima, libero dai sentimenti normali di invidia e pietà che provano tutti. Completo, cioè, nel senso rivoluzionario. Il primo esempio di una razza nuova che avrebbe potuto prendere il sopravvento sulla terra, se la predicazione evangelica del Che avesse avuto successo. E l'evoluzione umana gli avesse dato ragione. | << | < | > | >> |Pagina 135Ordinano frittura di pesce e tortillas d'uovo.«Pioverà fino a domani» lo informa Virgilio. «Comunque, stai tranquillo. Tranquilo, qui a Cuba non ci sono aids e cose del genere. Io so che cosa ti interessa davvero, comunque.» Riccardo attende che Virgilio glielo dica, quello che secondo lui lo interessa davvero, dopo essersi asciugati i baffi dalla birra. «Tu cerchi il colpo grosso. I veri diari di Che Guevara o qualche altra faccenda simile. E credi di trovarli alla Casa de las Americas.» «Che cos'ha che non va?» «È un posto di gente comprometida. Come fai a non accorgerti di questo?» «Vuoi dire con la censura? Compromessi con il regime?» «Gli intellettuali comprometidos sono come Rafael Balaguer. E come Marinón, che è il più comprometido di tutti. Lavora per il ministero della Cultura, esporta quadri e statue dai musei e si fa aprire conti segreti in Svizzera.» «Anche tu, Virgilio, la grande guida internazionale, lavori per la Casa de las Americas, che dipende dal governo cubano.» «Sì» ammette il ragazzo, «è così.» «Sei anche tu comprometido?» «Certo.» «E perché me lo vieni a raccontare? Vuoi compromettere anche me?» «Tu parti fra poco. Forse potrai fare qualcosa perché io non passi qui tutto il resto della vita.» «Non posso fare niente per te. Lo sai bene. Soprattutto dopo questa faccenda con mia moglie.» «Io posso fare qualcosa per te, invece. Se hai voglia di pubblicare davvero qualcosa di buono.» «Anche Rafael Balaguer mi ha offerto qualcosa di buono. E anche lui è un comprometido.» «Ma io, guarda un po', conosco qualcuno che non lo è.» «Complimenti. Su quest'isola di jineteras e comprometidos.» «Proprio così, jineteras y comprometidos. Tu che cosa ti aspettavi?» «Dimmelo tu, che cosa dovevo aspettarmi.» «Tu sei un occidentale, un ricco occidentale» scuote la testa il ragazzo. «Non sei molto furbo però.» «Va bene, dimmelo.» «Dovevi capire da te, ancora prima di partire, che cos'è qui il comunismo.» «E che cos'è?» «Se guardi dietro il paravento è mafia. Mafia di stato. Contento?» «Tutto qui?» «Tutto qui. Non è poco, se ci rifletti. Il comunismo è una pintura. Sotto invece c'è il potere della mafia.» Marx probabilmente avrebbe detto che il comunismo è l'ideologia, il partito la sovrastruttura e che alla base di tutto c'è la mafia, cioè la struttura. Questa considerazione blasfema naturalmente Riccardo Modena la tiene per sé. «Che cosa pensi?» chiede il ragazzo leccandosi la birra sulle labbra. «Che al comunismo bisognerebbe applicare il pensiero di Marx. Lo sai chi era Marx, no? Tuo padre italiano, se credeva in Che Guevara, doveva essere di sicuro anche marxista.» «E che cosa c'entra?» Virgilio non sembra molto convinto. «Marx diceva che l'ideologia è la falsa coscienza delle classi dominanti. È molto semplice, Virgilio, vuol dire che il comunismo è l'ideologia della mafia.» «Ah sì» dice il ragazzo, «questo mi piace. La mafia fa gli affari suoi nell'ombra e i comunisti ci fanno sopra los proclamas, eh?» «Più o meno» ammette Riccardo continuando a meditarci. «Come i cartelli e gli slogan che hanno messo dappertutto?» insiste il ragazzo. «Più o meno.» Riccardo si rivolge al ragazzo dopo averci riflettuto ancora un po' su, sentendosi senza una ragione precisa di umore malinconico, stanco e depresso per tutti questi discorsi pessimisti in cui lo sta trascinando Virgilio. «Se cade il comunismo... perché potrebbe anche cadere alla fine, no?, che cosa succederà, qui, dopo?» «Qui?» e il ragazzo fa una di quelle sue risate cavernose. «Ma è chiaro. Se cade la mafia de estado rimane soltanto la mafia. Quelli di prima restano al loro posto, soltanto si tolgono le medaglie della revolución e si mettono quelle della prostitución.» La facezia gli sembra talmente irresistibile che la birra gli va di traverso, facendolo quasi soffocare. «Non te lo aspettavi, questo, eh, yanqui?» «Va bene» dice Riccardo. «Questo è l'autista che mi hanno messo alle calcagna la Casa de las Americas e il ministerio. Dovrò ricordarmi di dirlo al mio avvocato, quando ci sarà il processo.» «Credi che sia un provocateur?» chiede Virgilio seriamente. «Provocateur? Non saprei.» «No soy provocateur» protesta il ragazzo. «Va bene, non lo sei» gli concede Riccardo. «Adesso finiamo la frittura.» «I veri diari del Che, ti sto offrendo quelli» lo interrompe Virgilio scuotendo la testa. «Non la versione che vogliono rifilarti Marinón e i suoi amici. Chiaro che per arrivarci bisogna rischiare qualcosa. Tu, il tuo libro con la Casa de las Americas e il privilegio di avere un altro autista come me, che ti porta in giro come un gangster capitalista. Perché io non potrò più farlo, naturalmente, dopo che l'avrai pubblicato, non potrò certo portarti in giro. Anzi, qui a Cuba tu non potrai più nemmeno venirci. Ma ci perdi poco, in fondo. In confronto a me, pensaci... sono io che rischio. Anche la vita, capisci?» L'ha detto in tono un po' troppo drammatico perché non sappia di commedia. «Allora non preoccuparti» scherza Riccardo per fargli capire che lo non lo prende davvero sul serio, «lo sai che sono un ospite di riguardo, qui a Cuba. Al momento giusto dirò una buona parola all'orecchio di Balaguer, o di Marinón.» «Tu non la conosci tutta la storia. Sei venuto fin qui senza sapere un bel niente.» Virgilio sembra davvero sconsolato di fronte alla sua ingenuità da occidentale. «Ti hanno raccontato almeno qualcosa di Orlando Borrego?» «No» risponde lui, poi gli viene in mente che Rafael Balaguer gliene ha parlato. «Orlando Borrego è un tale che aveva conosciuto il Che, un suo compagno di lotta. Lui ha trascritto tutto, dal primo all'ultimo discorso pubblico. In sei volumi, carta pregiata per gli alti funzionari di partito. E dentro c'era proprio tutto. Anche quello che non avrebbe dovuto esserci, capisci? Quello che la rivoluzione e Fidel per primo non potevano tollerare che ci fosse. L'ordine è stato di leggere, ma soltanto fra pochi iniziati, e poi far sparire. Tutto al macero, probabilmente, o in qualche sotterraneo. Difatti, i sei volumi non sono stati più trovati.» «E tu invece sapresti farlo?» «Non è che tutto sia sparito per sempre. Ogni tanto salta fuori qualche parte mancante e viene aggiunta a un'edizione ufficiale dei diari di Guevara. Ma sempre e soltanto quello che loro vogliono che ci sia, non il resto, lo capisci? Non il resto. Pubblicano quello che secondo loro non può più fare male a nessuno, probabilmente ritoccano qui e là qualche frase. Però, volendo, quello che manca si può avere.» «E questo che mi offri?» «Soltanto un'idea. Per farti capire che non è tutto oro quello che Marinón e Balaguer ti fanno sembrare preciado.» Così lui adesso deve decidere se il ragazzo è un avventuriero, un provocatore o un pazzo. È quasi tentato di chiederglielo. «Niente, è soltanto un'idea» ripete il ragazzo sospirando. È che forse ha paura di spaventarlo, insistendo troppo. «Dove vuoi che ti porti domani?» «In nessun posto» dice Riccardo. Me ne andrò un po' in giro da solo. A riflettere su quello che mi hai detto.» «Non mi denunci?» «Si, credo che lo farò. Nessuno di noi è un eroe, Virgilio. Mi dispiace per quel tuo padre italiano che non hai conosciuto. Ma in fondo, vedi, ti ha tradito anche lui.»
«Sei un mafioso bastardo.»
|