Copertina
Autore Massimiliano Finazzer Flory
Titolo Conformismi Anticonformismi
SottotitoloEinaudi, Guareschi, Gadda, Longanesi, Sturzo, Prezzolini. Ri-lettura di un secolo attraverso i contrasti, le voci, i libri
EdizioneMarsilio, Venezia, 2003, Gli specchi del presente , pag. 136, cop.fle., dim. 122x211x13 mm , Isbn 978-88-317-8288-3
LettoreRiccardo Terzi, 2004
Classe storia letteraria , storia sociale
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Indice

  7 Prefazione di Paola Iannace
 13 Introduzione di Massimiliano Finazzer Flory

    CONFORMISMI ANTICONFORMISMI

 21 LUIGI EINAUDI Prediche inutili
    di Paolo Del Debbio

 37 GIOVANNI GUARESCHI Italia provvisoria
    di Gianfranco Morra

 55 CARLO EMILIO GADDA Gadda al microfono
    di Paolo Bosisio

 71 LEO LONGANESI Parliamo dell'elefante
    di Marcello Veneziani

 87 LUIGI STURZO La libertà: i suoi amici e i suoi nemici
    di Marco Vitale

115 GIUSEPPE PREZZOLINI Manifesto dei conservatori
    di Sergio Romano e Mauro Mazza

 

 

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Pagina 13

INTRODUZIONE
Il tempo siamo noi.

Non è una metafora. Semmai è metà della verità.

L'altra metà è fuori «tempo».

Con noi un secolo è finito, un altro è iniziato.

Ma il terzo millennio appare più che un superamento solo un trapassamento nel Novecento.

Il tempo come falsa evidenza dell'apparire diversi.

Un secolo, quest'ultimo, di cui siamo inevitabilmente ancora figli.

Legittimi o meno, continuiamo a pensare e a parlare spesso inconsapevolmente sulla base di identità e appartenenze sfinite.

Peggio: assumiamo il concetto di identità come un capitale a priori anche se privo di valori.

Non di rado, ci definiamo solo sulla base di ciò che siamo stati.

Ma si può sapere cosa dobbiamo sapere?

Non è facile saperlo ma è difficile non chiederselo.

In particolare nella comunicazione pubblica e politica i prefissi più usati, anzi abusati, sono l' «ex» e il «post».

Sembra quasi che non sia più possibile dire e pensare qualcosa di «diverso».

Ma non può essere così facile. Dire che tutto è stato già detto equivale a non dire tutto.

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Pagina 21

LUIGI EINAUDI
Prediche inutili



[...]

Il buon governo ci offre l'occasione per soffermarci su di un aspetto importante e ancora attuale delle sue riflessioni: le somiglianze e le differenze tra due filosofie politiche inconciliabili, il liberalismo e il socialismo.

Il suo ragionamento muove da un criterio spiazzante: la differenza risiede nei punti di partenza e non nei punti di arrivo in ordine non soltanto al concetto di giustizia distributiva.

Luigi Einaudi ha descritto la giusta causa nei termini di mera enunciazione verbale che procaccia consenso. Si è chiesto provocatoriamente chi possa schierarsi contro il giusto. Sono affermazioni, queste, che ci costringono a pensare.

Non è sufficiente cambiare lo stato sociale, incalza Einaudi, occorre abbandonare lo stato nazionale per allargarsi a una cooperazione europea. E, prosegue con alcune affermazioni coraggiose: «il principio che noi conosciamo la verità solo se e finché abbiamo la possibilità di negarla». Non esiste verità assoluta, anche le verità possono competere fra loro. Einaudi suggerisce: che cosa se non il ruolo dello stato con il monopolio dell'economia hanno potuto accomunare i regimi di Mussolini, Hitler e Stalin?

Osservazioni che non hanno trovato riscontro fino agli anni ottanta, storiografie che si sono manifestate solamente dopo la caduta del muro di Berlino. Dichiarazioni che Einaudi, che ricoprì la carica di Capo dello Stato, rilascia già all'epoca.

Einaudi, nelle sue definizioni liberali qui preconizza Popper. Il liberale è colui che domanda libertà, non chi è iscritto al partito liberale. Purtroppo non è stato ascoltato. Attualizzando il suo discorso si potrebbe discutere del caso FIAT e delle sue convinzioni nel passaggio da un monopolio pubblico a un monopolio privato. Per poi trarre delle conseguenze destabilizzanti: se gli imprenditori alimentano un regime di protezione - attraverso dazi e sussidi - non solo non curano gli interessi degli imprenditori, ma nemmeno maturano gli interessi dei lavoratori?

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Pagina 55

CARLO EMILIO GADDA
Gadda al microfono



[...]

La cognizione del dolore del 1963, uno dei grandi romanzi italiani del Novecento, riscuote successo in Francia prima che in Italia. Vittorini, a proposito di Gadda, qualche anno prima, commentando la scrittura gaddiana, aveva distinto due tipi di cultura: quella «venosa» e quella «arteriosa». Quella venosa vuole soltanto ricevere, quella arteriosa dà. Gadda è la seconda, è flusso vitale per la nostra immaginazione.

Attualizzando questo discorso, nello scambio delle culture tra teatro, musica, televisione, editoria, potrebbero formarsi ancora dei «Gadda»? Oppure andrebbe riformulata la domanda: i «Gadda» avrebbero ancora voglia di nascere? Per quale pubblico? Su queste tematiche Gadda si spinge ai limiti estremi giungendo a teorie: il pubblico come «ente» non esiste. In realtà il pubblico è composto da un insieme di unità, ogni ascoltatore è singolo, ogni ascoltatore è solo. Ma, questa considerazione apre uno spazio per ulteriore interpretazione: la necessità di comunicare non dinnanzi a un soggetto collettivo, ma a ricezioni eterogenee.

Gadda riceve delle critiche a causa della sua scrittura barocca. Risponde con acutezza: «Barocco il Gadda? Barocco il mondo che Gadda riflette, percepisce e rappresenta». Quando Gadda ci parla non soltanto di scrittura, ma di lettura, adopera un'immagine: dice che lui leggeva il Cesare «a garganella». Il leggere «a garganella» ci induce a pensare a un liquido, un liquore, per curare da dentro l'anima ipotrofica. Senza liquidarla in speciosa psicologia o psicoanalisi, va comunque ricordato che la vita di Gadda è segnata anche dalla tristezza esistenziale. La scrittura rappresenta forse una via di fuga. Attorno a questa via di fuga, però, l'autore non si esime di emettere alcuni segnali importanti per condurci, per dare un senso all'umana transizione di cui la politica, le sue istituzioni, non sarebbero che pallidi surrogati rispetto invece a quanto la letteratura può mettere in gioco attraverso la parola, specie quando è «magica». E, ho l'impressione che oggi siamo retrocessi e non progrediti nell'abilità di utilizzare la lingua italiana per descrivere ciò che nei dettagli si nasconde: l'eccezionale.

Infine, un particolare che potrebbe sembrare curioso: Gadda di formazione era un ingegnere. Questo per alludere che Gadda ha introdotto nell'ambito della letteratura quegli strumenti che noi abbiamo conosciuto molto dopo in campo semiotico. Costruisce, edifica, decodifica, erige segni attraverso le parole. Gadda fa delle parole dei materiali per costruire relazioni. Delle relazioni forti. Non ha mai negato di essere ingegnere. Ma ha voluto proiettare quell'esperienza «sulla carta» per convertire la sua capacità di creazione in letteratura. Questo connubio produce risultati efficaci. Non saprei se Gadda sia davvero troppo avanti o se siamo noi a essere troppo indietro. Va da sé, però, che inventa un modo di fare cultura che diverte. Non è poco.

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Pagina 87

LUIGI STURZO
La libertà: i suoi amici e i suoi nemici



Luigi Sturzo afferma:

Visionari e sognatori [...] giocano sempre un utile ruolo, poiché ciò che essi dicono e soffrono aiuta a creare un pathos, un atteggiamento recettivo nella coscienza collettiva, che tende ad innalzarla al disopra del fango della compiacenza e dell'accidia, a trasferirla dalla «lettera» che uccide allo «spirito» che vivifica.

Potrebbe essere quasi un'autobiografia di Luigi Sturzo. Invece è uno degli oltre cento passaggi mentali in cui La libertà: i suoi amici e i suoi nemici si raccolgono in forma, per illustrare e rappresentare il tempo e il pensiero di Luigi Sturzo tra il 1924 e il 1959. In realtà Sturzo si spinge oltre, perfino rispetto a se stesso perché, essendo un antesignano non solo nel campo della politica, ma anche e soprattutto della cultura, anticipa e implica nelle sue riflessioni questioni non soltanto della nostra storia, ma, forse, anche di un tempo che verrà.

Analizziamo questo pensiero complesso di un uomo semplice, cercando di comprenderne gli esiti filosofici, sociologici ed economici.

Iniziamo dalla libertà.

Sturzo definisce la libertà come un valore dello spirito, che ci educa all'autoresponsabilità e all'autodisciplina. Inoltre la identifica come veste morale per le autorità. Parlare di autorità non è un compito semplice neppure per Sturzo che dal 1905 al 1920 ricopre la carica di pro-sindaco di Caltagirone. Questa esperienza politica gli permette di trarre spunti e intuizioni profonde per teorizzare la libertà dal punto di vista del governo del territorio.

Ecco lo Sturzo nostro contemporaneo: nel 1992 (molti anni dopo la sua scomparsa avvenuta nel 1959), viene firmato il trattato di Maastricht sull'Unione Europea, sulla base anche del principio della sussidiarietà.

Un principio che, ai primi del Novecento, il sacerdote siciliano intuisce con forza scrivendo che l'uomo è prima della società, la società è prima dello stato. Già allora gli è chiaro come questo concetto debba essere il punto di partenza per costruire le istituzioni.

Interrogandoci, in particolare, sull'economia sottolineiamo come la dimensione etica sia stata sempre per Sturzo l'orizzonte nel quale inscrivere «il capitale» di base.

In questo senso in La libertà: i suoi amici e i suoi nemici compaiono i termini «capitale» e «capitalismo».

Sturzo non è un cattolico integralista, né progressista.

Forse perché non si è mai posto il problema di subordinare il capitalismo al capitale e il capitale al capitalismo.

La sua visione è limpida e trasparente di fronte all'economia. E, ha sempre ribadito che l'economia o è morale o non è economia.

Anche sul versante pratico la sua versione è con i fatti chiara: nei bilanci i consuntivi prima, poi parliamo dei preventivi.

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Pagina 115

GIUSEPPE PREZZOLINI
Manifesto dei conservatori



Osservando alcune immagini fotografiche che ritraggono Prezzolini ne cogliamo una posa abituale.

Il suo sguardo è obliquo, rivolto verso un orizzonte indefinito, la sua bocca semiaperta sembra quasi lanciare un grido silenzioso ma che non si proietta all'esterno. Appare e risuona internamente.

Allude e rappresenta il segno di un ideale monologo interiore. Prezzolini costituisce una conclusione quanto mai appropriata per questa rassegna, ispirata ai valori, a «i valori dei fatti», così come li definisce Prezzolini.

Il rispetto del passato, l'attendersi molto dal tempo futuro, il conservare trasformando ma con riflessione e con determinazione.

Si tratta di linee culturali e tratti filosofico-politici che egli elabora nel 1972 nel corso della stesura del libro Manifesto dei conservatori le cui idee si proiettano fino a qui come ombre che spero inseguano i suoi denigratori.

Prezzolini è un gigante, un titano: nasce nel 1882 e scompare nel 1982. In questi cento anni di vita (già una sfida biologica), raccoglie molte sfide, mettendo in campo senza riserve il suo pensiero, lucido e consapevole.

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