Autore Maddalena Fingerle
Titolo Lingua madre
EdizioneItalosvevo, Trieste Roma, 2021, Incursioni 6 , pag. 192, intonso, cop.fle., dim. 12x18,6x1,5 cm , Isbn 978-88-99028-55-8
LettoreElisabetta Cavalli, 2022
Classe narrativa italiana












 

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Indice


Lingua madre             9

Bolzano                 11

Berlino                 75

Bolzano                141


 

 

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Pagina 11

BOLZANO



Paolo Prescher è ossessionato dalle parole - Giuliana Prescher piange - Biagio Prescher è muto - Luisa Prescher è falsa - Jan Einstatt e il bilinguismo - al liceo classico non si leggono i classici - il funerale


È da quando sono nato che mia madre piange. Piange perché la mia prima parola è parola. Piange perché dico parola e non mamma. Piange perché papà non parla nemmeno quando dico parola e non mamma. Mia madre piange, piange, piange. Piange perché le dico che ormai parola non significa più parola perché lei mi ha sporcato la parola. Piange perché le dico che odio le parole sporche perché sono sporche come la parola parola. Piange perché le dico che ho le parole in testa e sono sporche come la parola parola. Lei è stupida, non capisce e quindi piange.

Papà invece è un caso clinico. C'è chi la chiama afasia, chi mutismo. Psichiatri e psicologi litigano tra loro. Uno urla afasia, l'altro mutismo, e nessuno vince. È tutto un grande, grandissimo litigio; tra mia madre e mia nonna, tra l'edicolante del quartiere e il macellaio, tra la vicina e il giardiniere, e nessuno vince. Papà sta in mezzo e non vince nemmeno lui. Lo dice sempre mia madre: Tuo padre è afasico. A me la parola afasico fa paura perché mi fa soffocare e mi viene l'asma, che mi sono fatto venire perché se lui è afasico, io devo essere asmatico.

Papà non è sempre stato muto uguale, quando ero piccolo aveva il mutismo selettivo, parole che mi fanno soffocare meno, e io speravo di cavarmela con un'asma selettiva. Ma poi ha smesso completamente di parlare, così ora lui ha l'afasia vera e io l'asma vera. Un po' di Ventolin e tanto aerosol e io già sto meglio, invece per papà non è così facile. Gli passo il Ventolin sotto il tavolo, di nascosto da mia madre. Lui mi fa l'occhiolino e aspira, però non guarisce perché continua a non parlare. Così ci provo anche con l'aerosol, che tanto mi stufa da morire perché non finisce più, e lo apro mille volte e mia madre dice che deve finire il liquido e non bisogna assolutamente aprirlo sennò l'effetto svanisce, ma lo dice sempre anche della spremuta, che bisogna berla subito, sennò l'effetto svanisce, secondo me non è vero niente e mi giustifico: Stavo solo controllando, e poi quando non guarda lo faccio provare a papà che ci respira dentro, però non parla comunque e quando mia madre è distratta butto via il liquido nelle piante e penso: se hanno l'asma guariranno. Le piante di casa nostra però non hanno l'asma; hanno l'afasia, perché nemmeno loro parlano. Mia madre dice che bisogna parlarci, con le piante, e io ci provo, anche se non so cosa dire e recito qualche poesia a caso, ma mi sento scemo e quindi no, non lo farò mai più, che si tengano l'afasia. Però ci provo con papà: Sempre caro mi fu quest'erto corno / pensa il rinoceronte / senza nessuno intorno. Papà? Lui sorride, ma continua a non parlare. Le piante di casa nostra sono inutili perché non sanno sorridere.

Non me lo ricordo bene papà che parla, so solo che anche lui aveva le parole in testa, una volta. Non so perché lo so, ma lo so. Poi però deve averle perse o forse ha solo fatto finta, perché non ce la faceva più a parlare con mia madre. Sì, secondo me ha solo fatto finta e io gli faccio l'occhiolino, come a dire: il tuo segreto è al sicuro. Ti giuro che non lo dico a nessuno, papà.

Casa nostra è piena di oggetti con le etichette dei nomi attaccate sopra. È la sua personalissima pestilenza del linguaggio, dice la nonna guardando le etichette di papà. Legge ancora molto?, mi chiede la nonna e io sono felice perché non gli tocca le etichette. No, le dico, però scrive molto, papà, dico in testa. Sì, scrive tantissime parole e se sa scriverle vuol dire che ha solo fatto finta di perderle, sennò non le saprebbe scrivere, penso. Vorrei chiederlo a qualcuno ma non posso chiederlo a mia sorella perché lei se ne frega, e non posso chiederlo nemmeno a mia madre perché lei è così presa da sé stessa che non capisce mai niente.

Sulla macchina da scrivere papà ha scritto macchina da scrivere, sulla libreria ha scritto libreria, sulla penna ha scritto penna, sulla finestra ha scritto finestra, sulla porta ha scritto porta e sul tagliacarte ha scritto tagliacarte. Casa nostra è diversa da quella degli altri perché le cose qui sono collegate ai nomi e quando mi dico in testa la parola tavolo vedo il grande tavolo nero del soggiorno che quando lo tocchi con le dita ci rimangono sopra le impronte. Quando la gente dice tavolo io sento l'odore: legno, polvere e colla. E quando mia madre pulisce il tavolo, sa di alcol rosa. Non è un buon odore, però, perché mi sporca la parola tavolo. Per me tutti i tavoli sono neri e sanno anche di inchiostro. Pure le chimere sono nere, non lo so perché, però sono nerissime. Forse per la china o forse per Calimero.

A casa nostra anche la sedia ha l'etichetta. A me fa prurito, è scomodissima e non mi ci siedo mai. Puzza e mi sporca la parola sedia che per me adesso è questa qui: è color ocra, che è un bruttissimo colore, è un colore da autistico-daltonici. Forse lo penso perché un mio cugino che era autistico ma non daltonico metteva sempre pantaloni color ocra e mia madre diceva che bisogna proprio essere daltonici, ma non autistici, per scegliere dei pantaloni di quel colore lì e per me quei pantaloni sono sedia, e sedia è ocra e puzza di paglia. Non lo sento più, il mio cugino autistico-daltonico, perché mia madre litiga sempre con tutti e piange e stressa la gente e poi è ovvio che nessuno vuole più venire a casa nostra. Mi dispiace non sentirlo più, il mio cugino autistico-daltonico, e mi chiedo che fine abbia fatto.

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Pagina 40

Mia madre si corregge subito, scandalizzata: Non si dice tedesco, oddio mio, scusa. Si scusa con Jan che però non c'è e non può sentirla. Si dice altoatesino di madrelingua tedesca, anzi no: sudtirolese di madrelingua tedesca e si scusa di nuovo, come una cretina. Io dico tedesco e lo faccio apposta e lei si arrabbia e allora dico anche negro e lei si arrabbia ancora di più, non le spiego che è un latinismo, perché poi mi direbbe di smetterla di sapere le cose prima che me le insegnino a scuola, e poi si metterebbe a piangere e io non voglio che mia madre pianga perché poi sennò Luisa si arrabbia e Luisa è cattiva quando è arrabbiata e anche quando non lo è, quindi stringo i denti mentre mia madre mi tira uno schiaffo fortissimo e mi viene da piangere ma resisto e non piango e penso: stronza, è un cazzo di latinismo, stronza, è un cazzo di latinismo. E mi ripeto in testa: tedesco negro tedesco negro tedesco negro stronza. Non è vero che le parolacce sono sporche, dipende. Le parole sono tendenzialmente pulite se dicono quello che devono dire senza fare la doppia faccia, come negro e tedesco. Negro e tedesco sono più pulite di persona di colore e sudtirolese di madrelingua tedesca. A Bolzano i tedeschi che parlano dialetto tedesco usano le parolacce in italiano, anche le bestemmie le dicono in italiano. Tiacane, dicono, mentre parlano in dialetto tedesco, tiacane. Io chiedo a Jan perché e lui mi dice che in italiano, le parolacce sono più belle. Anche le bestemmie?, chiedo a Jan. Anche le bestemmie, mi dice Jan. Le bestemmie non ci sono in tedesco, mi dice Jan. Per quello c'è l'italiano, gli dico io.

Jan è tedesco. Marco è negro. Sì, negro e bilingue e adottato e a Bolzano non è facile se sei negro e bilingue e adottato. Perché a Bolzano quasi nessuno è bilingue. E quasi nessuno è negro. E quasi nessuno è adottato. È una città sicura, Bolzano. È un'isola felice, Bolzano. A Bolzano si sta bene. Gli italiani qui parlano italiano e i tedeschi parlano dialetto sudtirolese. A me il dialetto sudtirolese fa schifo perché non ci capisco niente quando parlano i tedeschi di Bolzano. A me fa schifo anche come parlano gli italiani, qui a Bolzano, perché non si capisce niente uguale. In classe Jan non è il solo che viene preso in giro, ora ridono anche di me perché per pulire le parole ho scoperto la dizione e dico bène fòto mòto, ma sono comunque sporche.

Anche la città mi fa schifo, forse perché è divisa o forse perché è chiusa da montagne opprimenti che mi tolgono l'aria o forse perché è deprimente e triste o forse perché la gente qui non mi piace o forse perché dicono tutti béne, fóto, móto e se dici bène, fòto, mòto ti prendono pure in giro, invece che vergognarsi.

Una cosa bella di Bolzano però c'è, è l'acqua del Talvera-Talfer. Peccato però che si chiami Talvera-Talfer e che ci siano i ponti e che uno sia giallo che è un colore falso e immorale come le tinte finte e innaturali di mia madre e di mia sorella e poi il ponte è tutto storto che sembra di essere ubriachi quando ci cammini sopra, peccato che la gente pisci sulle passeggiate e che ci siano i vecchi decrepiti che si ostinano a correre e i bambini scemi che saltano sui tappeti elastici e le madri isteriche che strillano ai bambini scemi che saltano sui tappeti elastici e i padri sottomessi che guardano le madri isteriche che strillano ai bambini scemi che saltano sui tappeti elastici e che guardano i vecchi decrepiti che si ostinano a correre. È un peccato che ci sia tutta questa gente perché sarebbe bello sentire il rumore dell'acqua che scorre.

A Bolzano tutto ha due nomi, a volte anche tre: uno in tedesco, uno in italiano e a volte, quando si deve, se proprio si deve, anche in ladino. Questo è un problema perché le parole hanno un potere metamorfico sulle cose. Non puoi pensare che una strada a Firenze sia la stessa cosa di una strada a Bolzano che non è solo una strada, ma anche una Straße. Dal ponte si vede una montagna che si chiama Catinaccio, è un brutto nome ed è pure una brutta montagna, scura. Però succede una cosa stranissima, quando tramonta il sole. Il Catinaccio inizia a cambiare e diventa femmina, tutta rosa, e allora cambia anche il nome e diventa Rosengarten, che è un nome molto molto molto rosa e caldo. È la maledizione di re Laurino e del suo giardino di rose, ma dopo il tramonto torna a essere maschio, si chiama Catinaccio ed è di nuovo scuro e freddo e brutto.

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Pagina 51

Alla fine dell'esame di terza media mi dicono che nella vita posso fare tutto quello che voglio, mi dicono che ho grandi potenzialità. Ma a me non interessa niente delle grandi potenzialità perché io voglio solo che le parole siano pulite. Così scelgo il liceo classico perché lì si studiano il greco e il latino e si leggono i classici. Il greco inizio a studiarlo da solo, d'estate, di nascosto da mia madre, con un libro stupidissimo che parla di un contadino stupidissimo che fa cose stupidissime. Giogo è una parola che mi stringe la gola e fa un po' male ma di quel male che fa anche un po' bene. Il contadino greco mi fa compagnia mentre fuori fa caldo, e in fondo mi diverto. Il latino lo leggo e faccio finta di capirlo e forse un po' mi inganno perché poi davvero mi sembra di capirlo, ma in realtà no, non lo capisco.

Purtroppo Jan non sceglie il liceo classico. Ormai non si caca più addosso, ma ora è pieno di tic. Io all'inizio mi spaventavo perché pensavo che stesse male, poi ho capito che erano tic. Scuote tutta la testa in uno spasmo, fa davvero impressione, come le cose viscide. Alla fine dell'esame di terza media a Jan non glielo dicono che può fare tutto quello che vuole nella vita, non gli dicono neanche che ha grandi potenzialità: però gli dicono che può fare una scuola professionale, non devono fare tutti il liceo, e poi il lavoro manuale è una cosa bellissima. Jan è contento perché lui vuole fare una cosa bellissima, nella vita. È sempre grato, Jan. Di tutto. All'inizio ci vediamo spesso, poi meno spesso e alla fine non ci vediamo più.

Ora che sono un liceale tutti i miei parenti sono molto orgogliosi della mia scelta. Io invece sono molto deluso perché mi hanno imbrogliato: non è mica vero che si leggono i classici, al liceo classico. Non si legge mai niente fino in fondo, al liceo classico, e non si legge mai niente per davvero, al liceo classico. Che cosa ci sarà da essere molto orgogliosi io proprio non lo capisco. Però sono felice di essere un liceale perché ora posso andare in giro per la città e capire o provare a capire o almeno a far finta di capire le frasi in latino sui monumenti fascisti. Mi accorgo che in piazza Adriano gli accenti sono tutti sbagliati e mancano gli spiriti. Qui si parla sempre tanto dei monumenti perché sono appunto fascisti e ai tedeschi danno fastidio. A me danno fastidio gli spiriti sbagliati in greco, ma di quelli non si parla mai. Ma non danno fastidio solo ai tedeschi, i monumenti fascisti, danno fastidio anche agli italiani, ad alcuni se non altro, un po', a volte, forse. A me per esempio dà fastidio quando mettono la scritta luminosa di Hannah Arendt per contestualizzare e mi sporcano tutte le parole della frase, mi sento male. A Bolzano funziona così: a Bolzano si contestualizza, si contestualizza sempre tutto e si contestualizza in continuazione e si sporca tutto: si spendono tantissimi soldi, a Bolzano, per contestualizzare e per sporcare le parole. Per esempio ci fu un referendum per cambiare il nome di una piazza, perché vittoria è più offensivo di pace, ma non ce l'hanno fatta a cambiarlo e alla fine è rimasta piazza della Vittoria. Piazza della Vittoria è nella parte italiana della città, lì c'è un monumento monumentale che è stato contestualizzato: infatti ora c'è un museo. Hic patriae fines siste signa hinc ceteros excoluimus lingua legibus artibus. Così c'è scritto sul monumento alla Vittoria. Io che faccio il liceo classico dovrei capire al volo, ma non capisco ancora bene e forse non voglio capire e chiedo alla professoressa di latino che cosa voglia dire esattamente e lei, che è una piena di botulino e non ha più mimica facciale, mi dice che significa che da qui noi italiani educammo gli altri con la lingua, le leggi e le arti. Lo dice come se ci credesse, in quello che sta dicendo, e il tono che ha mi spaventa.

Da qui inizia la parte italiana, con viale Venezia, corso Italia e via Roma, che a me piace tanto perché per un istante mi sembra di essere davvero in Italia e poi mi accorgo che non c'è niente di bello nell'essere in Italia e torno in me. Il mio problema è che l'architettura razionalista non mi dispiace affatto, con quelle linee pulite, essenziali, tutto lineare e al tempo stesso tondo, sì, a Bolzano è pieno di cose dritte e di cose tonde, edifici squadrati, facciate delle case tonde, balconi tondi. Ma a Bolzano non lo puoi mica dire che ti piace l'architettura razionalista perché sennò passi per fascista, per quello che dice: Siamo in Italia, eh! Il tipico bolzanino italiano la formula siamo in Italia, eh! ce l'ha nel cuore, nella testa, sulla lingua. Non vuole imparare il tedesco perché: Siamo in Italia, eh! Non vuole i nomi in tedesco perché: Siamo in Italia, eh! Non vuole che il cameriere si rivolga a lui parlando dialetto perché: Siamo in Italia, eh!

A me, se devo essere sincero, piacciono anche le statue di Wildt del monumento alla Vittoria, perché sono pulite e levigate e hanno gli occhi vuoti come papà. Ci rimango malissimo quando leggo che per ottenere quell'effetto le lucidava con stracci imbevuti di pipì. Ci rimango male perché è la mia idea di pulito, quel marmo lì, e ora sa di pipì. Il pulito sa di pipì e io quasi impazzisco. A Bolzano non posso nemmeno dire che mi piace Wildt, perché sennò passo per fascista.

Comunque non è che mi dia fastidio la scritta di Hannah Arendt in piazza Tribunale, non di per sé almeno, per carità, mi dà fastidio perché me l'hanno sporcata appiccicandola a Mussolini.

Mussolini adesso è contestualizzato, è depotenziato. Tanto qui non la capisce nessuno, questa frase, e io non ci provo neanche a spiegarla, non mi va di sentire le lamentele e le prediche di mia madre che non mi fa leggere Kant. Per fortuna c'è una preside sveglia che la spiega al posto mio. Nessuno ha il diritto di obbedire. Era una frase bellissima: nessuno ha il diritto di obbedire.

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Pagina 58

I miei professori, oltre a non leggerci o farci leggere mai niente, sono in gran parte cretini e ignoranti e quando vengono professori e scrittori da fuori, loro non ci vanno mai a sentirli, a meno che non siano loro a organizzare. Non ci va mai nessuno a sentire la gente da fuori, dall'Italia vera, ma neanche dalla Germania o da qualsiasi altra parte del mondo che non sia l'Alto-Adige-Südtirol. Perché ai bolzanini interessano solo le radici e il territorio e le beghe sui monumenti e sui nomi delle strade e hanno paura della Mischkultur e hanno paura di perdere radici, identità, cultura e se per caso ci vanno, a sentire quelli che vengono da fuori, non perdono tempo e si mettono a raccontare le storie delle radici e del territorio e le beghe sui monumenti e i nomi delle strade e dicono che siamo tutti bilingui, trilingui, quadrilingui, anche se non è vero niente. Dovremmo esserlo, ma sappiamo tre paroline che sputiamo all'esame del bilinguismo che attesta che siamo bilingui perché sappiamo tre parole striminzite.

I ladini, per dire, non esistono, sono una leggenda, io non ne ho mai sentito nemmeno uno in vita mia, di ladino, ma fa figo dirlo, perché il plurilinguismo qui è normale, perché in Alto-Adige-Südtirol il plurilinguismo è già una realtà e abbiamo compiuto passi in avanti in questa direzione e ne siamo molto orgogliosi. Tutti bilingui a partire dai cinque anni, qui in Alto-Adige-Südtirol, bilingui come Jan, bilingui come io. Si gioca in tedesco e in inglese fin dall'asilo con i Dinocroc, tanto poi comunque vai a fare il soggiorno studio in Germania perché c'è il quarto anno all'estero e così puoi parlare il tedesco che qui tanto non puoi mica parlarlo. Io il quarto anno all'estero non lo faccio perché bisogna compilare mille moduli e non ne ho voglia. E poi non mi va di prendere un treno o un aereo o fare qualsiasi cosa che mi faccia perdere tempo.

Compio diciott'anni e sono tutti su di giri e ci rimangono malissimo quando dico che non voglio festeggiare. Ma il vero problema del mio diciottesimo compleanno è che mia madre si arrabbia da morire quando decido di non fare la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico. Non voglio passare per quello ideologico, ma perché mai dovrei dichiararmi? Se siamo tutti bilingui, trilingui, quadrilingui perché mai bisogna scegliere? Per la proporzionale, dice mia madre con l'occhialetto che le scende sulla punta del naso, e mi verrebbe voglia di tirarle un pugno, a lei e alla sua proporzionale del cazzo. Mia sorella dice che lei si è dichiarata tedesca e io non lo sapevo e mi arrabbio e le dico: Sei una falsa di merda, sei italiana. Mia madre mi dice di moderare i toni e che tantissimi italiani qui si dichiarano tedeschi apposta per avere più possibilità di ottenere un lavoro. Italiani bolzanini che non parlano una fottuta parola di tedesco.

Penso al povero Jan con tutti i suoi tic davanti alla dichiarazione, nel panico. Italiano, tedesco, ladino o altro? Lui metterebbe le crocette su italiano e tedesco e, ingenuo com'è, si troverebbe la dichiarazione annullata senza nemmeno capirne il motivo. Perché è obbligatorio scegliere, in quest'isola felice del cazzo, se si è italiani, tedeschi, ladini o altro. Io sono altro? O sono italiano? E se volessi essere tedesco? Ma anche ladino, in fondo.

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Pagina 112

Apriamo la biblioteca un po' in anticipo, ci togliamo le giacche e Mira mi chiede se può lasciare a me lo zaino, senza doverlo chiudere nell'armadietto, e io sono felice di essere il guardiano del suo zaino e certo che può lasciarlo qui da me, le dico, dietro al bancone. Capisco che devo sbrigarmi. Ormai se non la bacio anche lei penserà che sono gay o che non mi piace. Non posso lasciar passare altro tempo, devo farlo ora, prima che se ne vada a studiare, prima che arrivino tutti, prima che sia troppo tardi. Con i libri e il portatile in mano, Mira mi saluta, sta per andarsene e allora è proprio questo il mio momento. Il momento giusto. Sono agitatissimo, mi avvicino e la afferro per le braccia e le stampo un bacio sulle labbra, poi mi imbarazzo e vado a sedermi, lei mi sorride e io sono felice perché allora non ho sbagliato. Ho baciato Mira. Io, Paolo Prescher, ho baciato Mira di Pienaglossa. Non ci posso credere. Sa di pulito, di menta, e ora anch'io so di pulito e di menta.

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Pagina 146

Mira mi porta alla Chiesa dei Domenicani e io non mi ero mai accorto che la Cappella di San Giovanni fosse così bella. Non riesco a smettere di guardare l'affresco, il bianco sincero di due vesti con grosse righe nere, sovrapposte come in un disegno di un bambino, hanno il colore delle chimere e gli archi dei violini sembrano fili d'erba e il vuoto nero non è vuoto, è solo nero. Guardo Mira e poi le vesti e penso che sarebbe difficilissimo trovare il colore pulito e perfetto dei suoi capelli, in pittura. Se penso che in questa chiesa si è svolto il funerale di papà mi fa impressione perché è così diversa ora, così bella e anche solo per queste righe varrebbe la pena visitare la città. Mi guardo intorno e penso che quando sei piccolo vedi tutto più grande e poi quando da grande rivedi le stesse cose, non sono più così grandi, si sono come rimpicciolite. La stessa cosa succede con la città, che mi sembrava tanto brutta, allora, e invece adesso non è brutta per nulla, non è così sporca, anzi, non lo è affatto. Anche le parole di mia madre, ora, non sono più come erano allora. Anche loro si sono rimpicciolite, come mia madre. Forse è stato un problema solo mio, forse sono stato io il problema, mi sento in colpa e non voglio pensarci, così guardo Mira che mi sorride, come a dire: no, non è colpa tua, non è colpa di nessuno.

La fila per visitare la mummia è troppo lunga e non ci va di aspettare, così prendo Mira per mano e la porto a vedere il posto più bello che mi viene in mente. Entriamo ed è stranissimo essere qui con lei, di nuovo in una biblioteca. Chiedo alla bibliotecaria se possiamo andare sulla terrazza a guardare il paesaggio e lei con una voce dolcissima mi dice di sì. La città è così nuova per me, è proprio una bella città, devo dire. Mira e io ci baciamo e quando siamo di nuovo per strada il sole sta già tramontando. Tenendoci per mano corriamo verso il ponte, voglio farle vedere il Catinaccio che si trasforma in Rosengarten. Il Catinaccio, che finalmente mi pare bellissimo anche in italiano, è blu e verde, ma s'incendia di rosa, diventa il Rosengarten e si riempie di rose. Si chiama enrosadira, dico a Mira, è una parola rosa e calda e bellissima che mi fa venire sete. Mira si emoziona, dice che è davvero la montagna più bella che abbia mai visto e anche per me è così.

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