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| << | < | > | >> |Indice1 Introduzione 3 1. Un po' di storia - La fertilizzazione extra-corporea, p. 11 - Il primo giudizio del Magistero cattolico, p. 18 - Ricardo Asch e la GIFT, p. 19 - I primi anni, p. 20 22 2. Le fecondazioni assistite complesse - Gli esami preliminari, 24 - L'accesso alle cure, p. 27 - Il problema delle malattie infettive, p. 27 - Premessa, p. 28 - Fase diagnostica, p. 29 - L'Epatite B, p. 31 - L'Epatite C, p. 32 - Epatite D, p. 34 - Epatite E (HEV), p. 34 - Epatite G (HGV), p. 35 - Infezione con virus HIV – (Human Immunodeficiency Virus), p. 35 - Modalità di fecondazione in una donna HIV positiva, p.38 - Modalità di fecondazione se l'uomo è HIV positivo, p. 38 - Modalità di fecondazione se entrambi i partner sono HIV positivi, p.39 - Infezione da West Nile Virus (WNV), p. 39 - Procedure comportamentali nella pratica clinica, p. 40 - Laboratorio di semiologia, p. 44 - Laboratorio di embriologia, p. 45 - Liquido seminale, p. 45 - Modalità di trattamento del seme, p. 46 - Procedura di lavaggio del seme per coppie HIV-discordanti, p. 47 - Manipolazione degli oociti, p. 47 - Coltura di gameti e di embrioni, p. 48 - La decisione, p. 49 - Il consenso informato, p. 51 - Le probabilità di successo, p. 53 - La stimolazione ovarica, p. 60 - Come eliminare l'attività ipofisaria, p. 66 - Gli agonisti del GnRH, p. 67 - I protocolli, p. 69 - Gli antagonisti del GnRH, p. 72 - L'uso del clomifene, p. 79 - Gonadotropine «sole», p. 80 - Aggiungere o non aggiungere LH, p. 82 - Come somministrare le gonadotropine, p. 86 - L'induzione dell'ovulazione, p. 90 - La risposta ovarica alle stimolazioni, p. 92 - La PCOS, p. 93 - Le «low responders», p. 95 - La terapia delle «low responders», p. 101 - Stimolazioni «semplificate», «minime» o «amichevoli»; cicli semi-naturali e naturali, p. 104 - I rischi di iperstimolazione, p. 118 - I nostri protocolli, p. 121 - Conclusioni, p. 125 - Il prelievo e íl trattamento degli oociti, p. 127 - Classificazione degli oociti, p. 131 - Il prelievo di oociti immaturi, p. 134 - La preparazione del seme, p. 140 - Le azoospermie ostruttive, p. 143 - Le azoospermie non ostruttive, p. 146 - Tecniche di preparazione del seme, p. 148 149 3. La scelta del metodo: GIFT, FIVET o ICSI? - Gametes Intrafallopian Transfer (GIFT), p. 153 - Zygote Intrafallopian Transfer (ZIFT), p. 160 - La fertilizzazione in vitro e il trasferimento degli embrioni in utero (FIVET), p. 167 - Sistemi per la coltura in vitro di gameti ed embrioni, p. 169 - Cenni generali sui terreni di coltura, p. 170 - I terreni di coltura di più recente concezione, p. 174 - Fonti energetiche, p. 175 - Aminoacidi, p. 175 - Specificità dei diversi terreni per la preparazione dei gameti e la coltura embrionale, p. 177 - Terreni per la preparazione del seme, p. 177 - Terreni per il recupero e la coltura degli oociti, p. 179 - Terreni per l'inseminazione in vitro, p. 179 - Terreni per la coltura di morule fino allo stadio di 8 cellule e di blastocisti, p. 180 - Altri fattori determinanti l'efficacia dei sistemi di coltura, p. 181 - Controllo del pH, p. 182 - Tecnica di coltura, p. 183 - Composizione atmosferica, p. 184 - Medici e biologi, p. 185 - La produzione di blastocisti, p. 186 - Valutazioni morfologiche delle varie fasi di sviluppo dell'uovo fecondato, p. 191 - Il trasferimento in utero, p. 201 - Le iniezioni ecoguidate, p. 204 - Quando trasferire, p. 205 - Quanti embrioni trasferire, p. 211 - La sedazione del dolore, p. 223 - Il sostegno della fase luteale, p. 224 - L'hatching assistito, p. 231 - Le trasfusioni di ooplasma, p. 235 - Iniezione intracitoplasmatica dello sperma (ICSI), p. 238 - Le indicazioni, p. 240 - La tecnica, p. 241 - Risultati, p. 246 - Allargare le indicazioni?, p. 249 - Conclusioni, p. 253 - Microiniezione di spermatidi, p. 254 259 4. La crioconservazione (di gameti, di ootidi, e di pre-embrioni) - Il congelamento degli spermatozoi, p. 259 - Il congelamento degli oociti, p. 261 - Vitrificazione degli oociti, p. 268 - Il congelamento degli oociti immaturi, p. 271 - Vale la pena?, p. 271 - Polemiche, p. 273 - Uno studio multicentrico, p. 280 - Conservare la fertilità, p. 282 - Congelare il tessuto ovarico, p. 283 - Differenti strategie, p. 286 - Il congelamento dei pre-embrioni, p. 290 - Programmare il trasferimento, p. 295 - Congelare morule e blastocisti, p. 296 - Gravidanze cumulative, p. 297 - Rischi e polemiche, p. 298 - Il congelamento degli ootidi, p. 299 - Problemi etici e medico-legali, p. 301 304 5. Genetica e riproduzione - Le indagini genetiche, p. 309 - Le malattie genetiche, p. 311 - I test genetici, p. 316 - L'amniocentesi precoce, p. 320 - La celocentesi, p. 323 - La villocentesi, p. 324 - Embrioscopia e fetoscopia, p. 326 - La funicolocentesi, p. 327 - Polemiche e dissensi, p. 327 - Le indagini genetiche pre-impiantatorie (PGD), p. 329 - Ricerca delle anomalie cromosomiche, p. 331 - Ricerca delle mutazioni geniche, p. 339 - Gli errori, p. 340 - Nuove tecnologie, p. 341 - Il prelievo dei blastomeri, p. 342 - FISH e PRC, p. 343 - PGD delle blastocisti, p. 344 - Probabilità di impianto e di gravidanza, p. 348 - Analisi dei globuli polari, p. 349 - Tecniche sperimentali?, p. 354 358 6. Risultati - BESST (Birth Emphasizing a Successful Singleton at Term), p. 361 - Troppi acronimi, p. 363 - Qualche accenno ai successi e agli insuccessi, p. 367 - I registri nazionali, p. 368 - Il registro italiano, p. 388 - Continuare o smettere, p. 397 - Si può fare di più?, p. 399 - Terapie alternative, p. 405 - Igiene e stile di vita, p. 406 - Gli aborti, p. 407 - Le gravidanze, p. 414 - Il drop-out, p. 416 - Le complicazioni, p. 420 - Gli errori, p. 424 426 7. I bambini nati dalle tecniche di Procreazione Assistita - FIVET e ICSI, p. 435 - La discussione sui «bambini ICSI», p. 440 - C'è un maggior rischio di tumori?, p. 454 - Lo sviluppo psico-fisico dei «bambini PMA», p. 454 - Conclusioni, p. 456 461 8. Le donazioni - Il concetto di genitorialità, p. 462 - Le donazioni di seme, p. 463 - Il destino dei bambini, p. 466 - Il maschio sterile, p. 469 - Desideri e angosce, p. 472 - Il segreto, p. 474 - Salute e intelligenza dei bambini, p. 478 - I donatori, p. 480 - E l'eugenetica?, p. 482 - Tecniche di congelamento, p. 483 - Successi o insuccessi, p. 484 - Le ovodonazioni, p. 485 - L'età biologica e l'età sociale delle donne, p. 485 - Fase di transizione, menopausa e menopausa precoce, p. 486 - Donazioni a donne fertili, p. 489 - Indagini preliminari, p. 490 - Donatrici conosciute e donatrici anonime, p. 493 - Il segreto, p. 506 - I nati da ovodonazione, p. 507 - Casi particolari: donne anziane, donne sole, donne omosessuali, p. 507 - Critiche e consensi, p. 511 - Capacità cognitive e benessere psicologico dei bambini nati da donazioni, p. 512 - Tecnica della donazione di oociti, p. 513 - La donazione di embrioni, p. 515 - Le linee guida dell'ASRM, p. 516 - Le linee guida per la donazione di sperma, p. 517 - Le linee guida per la donazione di oociti, p. 521 - Linee guida per la donazione di embrioni e di embrioni crioconservati, p. 524 - La maternità surrogata, p. 526 - Indicazione, p. 527 - Il counselling, p. 528 - L'ectogenesi, p. 530 533 9. Legislazioni, linee guida, la bioetica - I problemi morali, p. 542 - Le prime reazioni, p. 543 - Lo «spreco» di embrioni, p. 544 - La dittatura dell'embrione, p. 545 - Le tesi cattoliche sullo Statuto dell'embrione, p. 547 - Le tesi del CNB sull'esistenza di una fase pre-zigotica, p. 567 - Valutazioni bioetiche, p. 567 - L'interpretazione degli eventi, p. 569 - Le conseguenze etiche e giuridiche, p. 571 - Valutazioni bioetiche alternative, p. 573 - Ancora ipotesi, i filosofi non demordono, p. 576 - Imbarazzo e confusione, p. 580 - Gli ebrei, p. 583 - I protestanti, p. 586 - I musulmani, p. 591 - Le cellule staminali embrionali, p. 593 - Il «principio famiglia», p. 608 - L'eugenetica, p. 612 - Bioetica internazionale, p. 614 625 10. Il futuro della terapia della sterilità 640 11. La legge 40/2004 - Articolo 1, p. 641 - Articolo 2, p. 647 - Articolo 3, p. 648 - Articolo 4, p. 649 - Articolo 5, p. 651 - Articolo 6, p. 652 - Articolo 7, p. 655 - Articolo 8, p. 655 - Articolo 9, p. 656 - Articolo 10, p. 657 - Articolo 11, p. 657 - Articolo 12, p. 658 - Articolo 13, p. 661 - Articolo 14, p. 666 - Articolo 15, p. 673 - Articolo 16, p. 673 - Articolo 17, p. 675 - Articolo 18, p. 676 677 12. Linee Guida - Introduzione, p. 677 - Commento, p. 701 – Le nuove linee guida, p. 717 725 13. I risultati delle PMA dopo la legge 40 740 14. Conclusioni 745 Bibliografia |
| << | < | > | >> |Pagina 1IntroduzioneQuando le tecniche di procreazione assistita sono state applicate per la prima volta, la maggior parte dei cittadini di questo pianeta, inclusi gli specialisti di fisiopatologia della riproduzione, hanno pensato a una bizzarria scientifica, destinata a far molto rumore per un po' di tempo e a cadere poi nella generale indifferenza, troppo complessa e troppo costosa per potersi diffondere tra la gente comune, tenendo soprattutto conto del carico di rischi, di polemiche e di conflitti che con il suo solo apparire aveva generato. Come tutti sanno, da queste tecniche troppo complesse e troppo costose sono nati milioni di bambini, per rispondere alle richieste sempre crescenti delle coppie sterili, sono stati aperti centinaia di centri; di esse si parla continuamente in una moltitudine di congressi medici, di talk show televisivi, di tavole rotonde. Si occupano di loro uomini politici, bioeticisti, religiosi, psicologi, epidemiologi, sociologi, faccendieri. Sono discusse nei parlamenti, nei tribunali, nelle chiese. Le cose però, da qualche tempo a questa parte, stanno cambiando. La crescita esponenziale dei cicli di trattamento, per esempio, si è fermata; la vendita delle gonadotropine, i cui ricavi avevano consentito a un industriale italo-svizzero di vincere la Coppa America, non cresce più. Il numero di coppie che si allontana dai trattamenti dopo averne fatto una breve esperienza, tende ad aumentare. Qualcuno suppone che questa modifica di tendenza sia almeno in parte dovuta al diminuito afflusso della generazione dei «baby-boomers», altri indicano nell'aumento delle percentuali di successi una possibile ragione del calo della richiesta, per il minor bisogno di ripetere il trattamento. Personalmente credo che le ragioni siano altre, e le elenco: troppe iniezioni, costi salati, molte delusioni, mai due volte lo stesso medico, scarsa trasparenza, terreno paludoso, medici presuntuosi, taciturni e poco seri, che dicono male l'uno dell'altro e si alternano continuamente nella cura della stessa donna, la sensazione di essere solo un numero in una lista, la percezione dell'eccessivo peso del guadagno. Di alcuni di questi problemi i medici si sono accorti, e per essi stanno cercando rimedi: se le pazienti si lamentano per le troppe iniezioni, ecco le terapie friendly, amichevoli, meno ormoni, meno oociti, meno gravidanze, ma anche meno stress. Naturalmente molte pazienti hanno subito commentato l'arrivo delle stimolazioni friendly in modo non favorevole, in fondo era l'ammissione di aver precedentemente usato terapie unfriendly. Ma questo è stato, in ogni caso, il massimo che la medicina è riuscita a inventarsi. Il cinismo dei medici è uguagliato solo da quello dei loro governi. In Italia è stata approvata una legge di una stupidità senza limiti; in Belgio, le autorità governative impongono il trasferimento di un solo embrione per evitare i «costi eccessivi dovuti alle nascite di gemelli e al loro ricovero in strutture di assistenza specialistica», ma nessuno si preoccupa del fatto che le gravidanze multiple rappresentano un grosso problema di salute dei bambini, e le nostre coppie che vanno in Belgio tornano con due o tre creature nella pancia, tanto i costi dell'assistenza spettano allo Stato italiano. In realtà, le coppie, almeno le coppie di questo Paese, non chiedono granché. Tempo, certamente, più tempo, perché vogliono fare domande e vogliono capire. Cortesia. Chiarezza. Trasparenza. Vogliono essere trattate da persone, non vogliono essere un numero nella lista del giorno. Vogliono un medico che le segua, un medico al quale non dover ricordare di nuovo, ad ogni incontro, nome, cognome, elenco delle allergie. Non sto affermando, per carità, che non esistano molti medici che questi problemi li conoscono e che si comportano in modo adeguato. Ma molte cose mi irritano e mi dispiacciono, nei comportamenti dei miei colleghi: mi piacerebbe che si riunissero meno spesso nei congressi privi di reale rilievo scientifico e ai quali non partecipano mai le persone che vorrebbero fare le domande sgradevoli. Mi piacerebbe che ricordassero che le PMA hanno uno statuto scientifico modesto e che è solo per questo che in italia ci sono 300 centri nei quali vengono praticate. Mi piacerebbe un po' meno paternalismo e un po' più comprensione. Mi piacerebbe che alcuni medici (anche cattolici) non vendessero la propria onestà per comprarsi qualche indulgenza (o un po' di carriera) in più. | << | < | > | >> |Pagina 3Capitolo I
Un po' di storia
La storia dell'inseminazione è molto antica e il primo caso documentato risale al XVIII secolo: si tratta della soluzione ovvia di molti problemi di sterilità (il vaginismo, per esempio) per cui è probabile che sia necessario andare ancora più indietro nel tempo per scoprire quando è stata veramente fatta la prima inseminazione. È invece molto difficile collocare l'inizio delle donazioni di seme, soprattutto per ragioni connesse con la loro scarsa accettazione sociale; le donazioni di uova e di embrioni sono state rese possibili solo dall'introduzione delle tecniche di fertilizzazione in vitro. Il primo medico a raccomandare l'uso della inseminazione con il seme del marito è stato John Hunter nel 1780, ma i primi risultati sono stati pubblicati solo nel 1803 da un francese, del quale conosco solo il cognome, Thoure. Per cinquant'anni su questo problema calò uno strano silenzio e poi, ecco, di colpo, cominciarono a comparire annunci pubblicitari e furono resi noti risultati altrettanto straordinari quanto incredibili (75% di gravidanze per ciclo!): la mia perplessità è aumentata dal fatto che stiamo parlando di un'epoca in cui il momento dell'ovulazione veniva collocato molto vicino ai giorni del flusso mestruale, quindi in un momento sterile del ciclo. Cominciarono a quel punto ad arrivare le scomuniche, che bollarono le inseminazioni come innaturali, e le fecero entrare – almeno in Europa – nella clandestinità. Le pressioni e le critiche morali furono molto meno avvertite negli Stati Uniti, nei quali si continuarono a fare inseminazioni e che affermarono la loro libertà (forse più apparente che reale) dai condizionamenti religiosi annunciando la prima donazione di gameti maschili, alla fine del 1800. È probabile che ci sia stata richiesta di donazioni di gameti fin dal primo annuncio, ma fu presto chiaro che c'era un problema e non era un problema da poco: quando si vuol ricorrere a donazioni di questo genere, bisogna prevedere un modo di conservare gli spermatozoi, per evitare qualsiasi tipo di rapporto tra chi dona e chi riceve. Ma questo metodo ancora non c'era. La prima vaga idea di congelare spermatozoi per poterli utilizzare dopo un certo periodo di tempo era in verità venuta nel 1776 a Spallanzani, che aveva fatto esperimenti congelando gli spermatozoi con la neve e recuperandone poi la capacità funzionale riportandoli a temperatura ambiente. Cent'anni più tardi, Paolo Mantegazza ebbe l'idea di una banca di seme congelato – la protagonista era sempre la neve – da utilizzare in parte in campo veterinario e in parte in campo umano, per garantire la discendenza dei soldati che partivano per la guerra. Fu però solo nel 1938 che Jahnel congelò per la prima volta seme umano utilizzando una miscela di gas liquidi e ottenendo i primi successi: una parte consistente dei nemaspermi sopravviveva a periodi prolungati di congelamento. Nel 1949 la scoperta di un valido crioprotettore, il glicerolo, consentì a Palga di organizzare le prime banche di seme bovino e infine, nel 1953, Sherman annunciò i primi successi in campo umano. La tecnica non doveva essere né raffinata né facilmente riproducibile, tanto che nei dieci anni successivi la letteratura medica riportò soltanto 10 successi. Bisogna dunque arrivare al 1964 per registrare i primi risultati ottenuti congelando gli spermatozoi in azoto liquido, con una tecnica molto simile a quella che viene utilizzata oggi e che ha consentito di organizzare le banche del seme. I vantaggi del seme congelato sul seme fresco sono notevoli. Il primo tra tutti è quello di poter disporre rapidamente di campioni di seme appartenenti a differenti etnie, o caratterizzati da particolari specificità biologiche (per esempio, da un certo gruppo sanguigno), controllati ripetutamente non solo per quanto riguarda la trasmissione genetica di caratteri negativi o francamente patologici, ma anche per ciò che concerne la possibile trasmissione di malattie infettive. Si pensi al rischio determinato dal periodo di sieronegatività dei malati di AIDS, una «finestra» di alcuni mesi durante la quale il seme è infetto, ma gli esami sierologici sono negativi. Questo rischio può essere evitato se il seme viene lasciato nelle paillettes, congelato, per 6 mesi, e utilizzato solo se, dopo questa attesa, il donatore è ancora sieronegativo. La popolarità delle banche del seme ha cominciato a crescere quando ci si è resi conto che la crioconservazione degli spermatozoi consentiva di mantenere la fertilità – intesa semplicemente come capacità di avere un figlio proprio – agli uomini che, malati di tumore, si erano dovuti sottoporre a chemioterapie antiblastiche o a radioterapie. Molti di questi uomini sopravvivono alla malattia, ma a causa delle cure che hanno dovuto affrontare non hanno più spermatozoi, e la loro azoospermia è nella maggior parte dei casi definitiva. Aver «messo da parte» uno o due campioni di liquido seminale prima di cominciare le cure può consentire loro di avere un figlio con una semplice inseminazione. Stabilire in quale periodo siano cominciate anche le richieste di donazione di seme non è facile, molto probabilmente si tratta di un'epoca molto precedente l'istituzione delle prime banche del seme. Non c'è dubbio che per qualche lustro a queste richieste è stata data una risposta, ma è meglio non soffermarci troppo a giudicare il carattere di questa risposta. Quando ero giovane, venivano fatte richieste di donazioni di seme agli studenti e agli specializzandi, che quasi sempre accettavano senza pensarci su; esami non ne facevano e nessuno si preoccupava se le caratteristiche fisiche erano del tutto diverse da quelle del cosiddetto «padre anagrafico» o «padre sociale», o comunque ci venisse in mente di chiamarlo. Si diceva che qualche ginecologo privato avesse i suoi donatori, e si mormorava di medici che facevano tutto da soli, ma forse erano chiacchiere e pettegolezzi. Comunque le richieste erano pochissime, tanto che quelle che furono accontentate nella clinica dove lavoravo come specializzando me le ricordo tutte, e con alcune di quelle famiglie sono rimasto in contatto (di una ragazza nata così, e che oltretutto non aveva padre, penso di essere stato padre io, almeno per quanto concerne l'educazione). Si trattava comunque di pochi casi isolati, e il fatto che non ci fossero né leggi né regolamenti, testimonia indirettamente del basso numero delle richieste. Ma all'inizio degli anni Settanta il clima cambiò. Si cominciò a sentir parlare delle banche del seme che erano state organizzate in Svizzera, in Belgio e in Jugoslavia e che riuscivano a trovare i donatori giusti e adatti per le coppie italiane, probabilmente ricorrendo – almeno in Svizzera e in Belgio – ai nostri lavoratori e ai nostri studenti. Poi, nella seconda metà degli anni Settanta, cominciarono a nascere i primi centri in Italia, in una situazione di assoluta ambiguità, perché non si capiva quanto fossero legittimi e nessuno voleva scoprirlo a proprie spese, uscendo allo scoperto. Per buona sorte, uno dei primi a occuparsi del problema della donazione di gameti fu Ettore Cittadini, professore universitario a Palermo, scienziato conosciuto in tutto il mondo, al quale non si potevano certo imputare né disinvoltura morale, né interesse personale. Dopo Palermo, fu la volta di Bari e poi di altre città, ma sempre sottovoce, per non attrarre l'attenzione. C'erano state molte polemiche, in tutto il mondo, sulle donazioni di gameti, e i problemi più discussi erano stati quelli relativi alla scelta del donatore e della decisione, condivisa dalla stragrande maggioranza dei genitori, di non rivelare ai figli il modo in cui erano stati concepiti; parimenti le banche del seme avevano scelto di non rivelare il nome del donatore. Tornerò su questi problemi in una parte di questo libro che è espressamente dedicata alle donazioni di gameti. Mi limito per ora a ricordare un po' della storia di queste donazioni. Le discussioni tra i medici che si occupavano di sterilità e che avevano scelto di eseguire anche donazioni di seme furono all'inizio piuttosto ingenue. Ben presto ci si trovò di fronte a due schieramenti, in perfetta antitesi. Il primo sosteneva che il donatore dovesse essere un individuo qualsiasi al quale non andavano neppure fatte troppe domande: in fondo, si argomentava, una coppia che decide di sposarsi e pianifica la nascita di figli, non si presenta annunciando le proprie magagne e le malattie genetiche presenti nella famiglia, cose che spesso non conosce neppure. Così, come casuale è l'incontro di due persone destinate a formare una famiglia, casuale deve essere la scelta di un donatore, se si rendesse necessaria. Per l'altro schieramento, al contrario, non si poteva perdere un'occasione così importante, un'occasione probabilmente unica per queste coppie, quella di concepire il bambino migliore possibile, il più intelligente, il più bello, il più sano. Secondo questi sostenitori della più ingenua delle «eugenetiche», i donatori dovevano essere selezionati tra i superuomini, per ritrovare tutte le loro migliori qualità nei bambini che sarebbero nati dall'impiego del loro seme. Vinse, il buon senso è duro a morire, una posizione intermedia, che stabiliva che i donatori dovevano passare attraverso un filtro molto importante, ma che doveva riguardare soltanto le malattie ereditarie più gravi e le malattie infettive che avrebbero potuto contagiare la madre e far nascere bambini malati. | << | < | > | >> |Pagina 20I primi anniAlcune cose erano certamente positive. Nei primi anni della PMA, le difficoltà che si incontravano sulla via del possibile successo giustificavano il fatto che venissero fertilizzate un gran numero di uova e che venissero trasferiti numerosi pre-embrioni. Il miglioramento delle tecniche e dei risultati ha permesso oggi di diminuire il numero di pre-embrioni trasferiti fino a 2-3: esiste addirittura oggi il progetto di passare al trasferimento di un solo embrione, ammesso che si possano congelare i sovrannumerari per utilizzarli se il primo tentativo fallisse. Tutto ciò significa evidentemente una diminuzione dello spreco. Alcuni dei cambiamenti non possono essere giudicati positivamente. Sono stati aperti troppi centri, e molti, troppi di questi servizi svolgono un'attività molto modesta, cioè fanno un numero di cicli troppo basso e così ottengono risultati molto inferiori a quelli dei centri maggiori. E poi, la fecondazione assistita è diventata una scorciatoia verso la maternità e la paternità, prova di un atteggiamento mentale superficiale e acritico. D'altra parte la ricerca scientifica ha aperto con straordinaria continuità nuove strade. Nel 1983, Alan Trounson (Nature, 305, 707) annunciava la prima gravidanza ottenuta con pre-embrioni congelati. L'anno successivo, P. Lutjen otteneva il primo successo con la donazione di oociti (Nature, 307, 174) e pochi anni dopo M.V. Sauer proponeva le donazioni di uova a donne in età post-menopausale (N Engl J Med, 1990, 323, 1157). Nel 1986 Chen riusciva a ottenere una gravidanza utilizzando un oocita che era stato congelato per un lungo periodo di tempo (Lancet, i:184). Nel 1985 P.D. Temple-Smith annunciava la prima gravidanza ottenuta dopo aspirazione degli spermatozoi dall'epididimo (J in Vitro Fertil and Embryo Transfer, 2, 119). Nel 1988 un tale dal nome impronunciabile, Soon-Chye Ng, trasferiva uno spermatozoo sotto alla zona pellucida di un oocita e otteneva una gravidanza (Lancet, October 1, 1988, 790). Nel 1991 veniva proposto da J. Cohen il cosiddetto «Hatching assistito» (J in Vitro Fertil and Embryo Transfer, 8, 179), e più o meno nello stesso anno A.H. Handyside pubblicava dati relativi alla prima diagnosi genetica pre-impiantatoria (Nature, 1990, 344, 768). Pochi anni più tardi toccava a un italiano, G. Palermo, che lavorava a Bruxelles, tentare con successo una tecnica destinata a sconvolgere le procedure di procreazione assistita, la ICSI, basata sulla microiniezione di uno spermatozoo nell'ooplasma di un oocita: con questa tecnica sono stati recuperati alla fertilità uomini che sembravano del tutto privi di una possibilità (Fertility and Sterility, 1995, 63, 1231; Fertility and Sterility, 1996, 65, 899). Nel 1996 Tesarik annunciava il primo successo ottenuto utilizzando spermatidi invece di spermatozoi maturi (Human Reproduction, 11, 772). È un anno importante: nel luglio nasceva Dolly, la prima pecora donata. E la sperimentazione prosegue: cellule staminali prelevate dalle blastocisti; l'aploidizzazione, sistemi artificiali di impianto. E si continua a discutere: è ammissibile la preselezione del sesso? E la maternità surrogata? E ha senso far nascere figli per curare altri figli già nati? Fino a che età si possono fare donazioni? E le donne sole? E le lesbiche? E cosa pensare dell'ingegneria genetica? E cosa significa, in realtà, eugenetica? Riprenderò alcuni di questi argomenti in un breve capitolo dedicato alla bioetica. Qui, credo di dover concludere la parte storica e di dover passare alla descrizione delle tecniche. | << | < | > | >> |Pagina 22Capitolo II
Le fecondazioni assistite complesse
Come è noto nel 2004 il Parlamento Italiano ha approvato una legge, che viene indicata come legge 40/2004, che regolamenta le tecniche di procreazione assistita. Questa legge ha imposto molti divieti e molte limitazioni: ci sono cose che non si possono fare e cose che si possono fare, ma con limiti e impedimenti che ne ostacolano l'esecuzione. Nei confronti del resto d'Europa, l'Italia – almeno per quanto riguarda la cura della sterilità si trova handicappata. Non sto facendo riferimento, in questo momento, al fatto che l'aver promulgato questa legge è sbagliato e che i divieti non dovevano essere posti, questo è un altro problema del quale avrò modo di parlarvi. Sto solo dicendo che le nostre tecniche non sono più paragonabili con quelle del resto d'Europa, sono diverse e molto probabilmente, oltre ai maggiori limiti, almeno in alcune circostanze hanno minori probabilità di successo. Poiché questo libro è scritto per le coppie italiane, avrei potuto dimenticare l'Europa e limitarmi a discutere quello che si può fare in Italia. Ho pensato che questa scelta avrebbe molto limitato il discorso e ho preferito una soluzione diversa: descriverò le tecniche, esattamente come le descriverei a un lettore inglese o belga. Quando avrò finito di descriverle, cercherò di spiegare cosa è cambiato con la legge 40. La fertilizzazione in vitro seguita da trasferimento dell'embrione (o degli embrioni), denominata con l'acronimo FIVET dai più, ma anche con altri acronimi, è stata proposta per uno scopo preciso, quello di risolvere i problemi di sterilità delle donne alle quali erano state tolte le tube. Nel tempo le indicazioni sono state allargate e oggi riguardano la sterilità idiopatica, la sterilità maschile, la sterilità immunologica, l'endometriosi e persino la sterilità anovulatoria dopo ripetuti insuccessi dei trattamenti ormonali. La FIVET viene anche utilizzata in coppie non sterili, quelle per esempio che sono portatrici di malattie genetiche che non vogliono trasmettere ai figli e chiedono che venga eseguita, sui loro embrioni, una diagnosi genetica pre-impiantatoria. L'introduzione della tecnica di microiniezione di uno spermatozoo in un oocita (ICSI, o Intracytoplasmic Sperm Injecton) ha successivamente consentito di curare uomini un tempo considerati irrimediabilmente sterili e ha così allargato ulteriormente i confini delle fecondazioni assistite. C'è qualcosa nel modo in cui queste tecniche sono state presentate all'opinione pubblica che mi piace poco: per un certo senso, infatti, una sorta di pubblicità «scientista» le ha fatte passare per una panacea universale, la cosa cui accedere sempre e comunque, hai cinquant'anni, che t'importa, c'è il tale che fa fare figli alle sessantenni. Dall'altro hanno avuto uno straordinario impatto negativo, sono diventate la scienza del diavolo, che uccide i bambini, che accontenta i desideri più egoisti e più immorali, barbarie senza limiti, non prevalebunt! Mi sono chiesto spesso i motivi di questa doppia interpretazione – doppia errata interpretazione – discutendo con i bioeticisti cattolici che, quando io parlavo di uova fertilizzate, le chiamavano «bambini», «creature», «figli», e io mi dicevo, perbacco, è una cellula con due nuclei, non stanno esagerando un po'? Me lo sono chiesto molte volte, cercando di dare una risposta a coppie che giovani non si potevano proprio definire, sessant'anni lui e quasi altrettanti lei, che mi guardavano male perché non dimostravo l'entusiasmo che si aspettavano, e avevano tutte le loro buone ragioni, certo, ma neppure un filo di buonsenso per sostenerle. Fatto sì è che la FIVET è esplosa, tre milioni di bambini già nati, mezzo milione di nuovi cicli ogni anno, una percentuale sempre più alta di bambini che nasce così nel mondo occidentale. Eppure, secondo alcune indicazioni, non abbiamo ancora prove certe che la FIVET sia più efficace delle cure tradizionali. Come succede spesso nella storia della medicina, molti ricercatori hanno cercato di apportare piccole modifiche alla tecnica madre per cercare di entrare anche loro nella leggenda. Perché solo Bob Edwards, perché io no? È successo con gli IUD, bisognava modificarne un po' la forma e poi dargli il proprio nome, il device di Rossi, l'IUD di Bianchi. Io (sono di famiglia contadina) ho segretamente sperato di riuscirci con una nuova pesca, un incrocio tra la vellutata di Hollywood e la Dixie Jam. Non ci sono riuscito. Qualcuno in realtà qualche successo è riuscito a ottenerlo. Per esempio, alle tecniche che conoscete si era aggiunto il trasferimento intra-tubarico di zigoti (ZIFT) e quello di embrioni (TET). Ma certamente ci sono state altre proposte che non ricordo più. In realtà la FIVET non può rappresentare il trattamento di scelta per le coppie sterili, costa e delude troppo e troppo spesso. Negli ultimi anni è cresciuto il dibattito sui rapporti rischi e benefici di queste tecniche e certamente è stata respinta l'idea che sia giusto cercare un figlio ad ogni costo. Questo vuol dire meno fertilizzazioni in vitro? Non so, non sono in grado di rispondere a questa domanda. Per me vuol dire meno entusiasmi sciocchi e meno medici che cercano di influenzare la scelta dei loro pazienti. Perché se è vero che non è giusto cercare un figlio ad ogni costo, è però giusto che una coppia decida di fare tutto il possibile per avere un figlio e, con le idee chiare e le informazioni giuste, stabilisca i limiti del proprio sacrificio. Questo è civile e onesto. E i medici? I medici hanno il loro bel da fare per migliorare le tecniche, personalizzare i trattamenti, diminuire le delusioni. I medici hanno il loro bel da fare perché debbono dare, ai loro pazienti, una disponibilità che per la professione sanitaria di oggi ritengo di poter definire inconsueta. È una delle «piccole virtù», se ricordate cos'è, appunto, l'etica delle piccole virtù. Dunque, il primo problema da affrontare quando si tentano strade per curare una sterilità di coppia, è quello di far luce. Capire, far capire, comunicare, discutere.
Capire significa arrivare a una diagnosi corretta, attraverso un protocollo
di esami che prospetti possibilità di errore accettabili, senza essere
troppo invasivo o sgradevole. Perfezionare una diagnosi vuol dire poter
affrontare con chiarezza il dilemma: quale soluzione offrire. Se il rapporto
medico-paziente è corretto, sarà il secondo a decidere, ottenute tutte
le informazioni utili e necessarie. In molti casi, valutati i costi e i
benefici, fatti i debiti confronti, interpretati i numeri, le percentuali, i
possibili risultati, sceglierà una tecnica di procreazione medicalmente
assistita. A questo punto al medico, che gli avrà già spiegato vantaggi e
svantaggi e gli avrà esibito tabelle di risultati e grafici di complicazioni,
non resterà che aprirgli le porte del laboratorio, del laboratorio della
felicità o della delusione. E il primo passo per entrare nel laboratorio sono
gli esami, quelli necessari per poter stabilire se la tecnica si può fare oppure
no.
Gli esami preliminari Gli esami necessari per avere accesso a una PMA sono quelli elencati dal DM 10/09/1998, nell'uomo e nella coppia, che trovate qui elencati. a) Antigene Australia (entrambi i partner) b) HCV (entrambi i partner) c) VDRL (entrambi i partner) d) HIV (entrambi i partner) e) Ricerca degli anticorpi anti virus rosolia (solo partner femminile) f) Ricerca degli anticorpi anti toxoplasma (solo partner femminile) g) Test di Coombs (solo partner femminile) h) Elettroforesi emoglobina (entrambi i partner) i) Pap test (solo partner femminile) j) Gruppo sanguigno (entrambi i partner) Inoltre, sono richiesti i seguenti esami per l'anestesia (solo partner femminile) per le coppie che effettuano un trattamento di secondo livello: 1. Elettrocardiogramma 2. PT 3. PTT 4. Emocromo con piastrine 5. Glicemia 6. Creatininemia In realtà questi esami sono a discrezione dell'anestesista, che può anche optare per un protocollo più semplice o più complesso. | << | < | > | >> |Pagina 466Il destino dei bambiniMa qual è la sorte, oggi, dei bambini che nascono a seguito di una donazione di gameti? La letteratura medica che riguarda questo argomento è confusa, disomogenea, spesso superficiale e altrettanto spesso inficiata da preconcetti di vario tipo. C'è una mancanza di omogeneità di ordine generale: le pubblicazioni dei ginecologi, degli urologi e dei sessuologi hanno un tono ottimista, positivo; quelle scritte da psicologi, psichiatri e psicoanalisti sono di tono completamente diverso, pessimiste e preoccupate. A chi dare retta? Non vi è dubbio che il livello medio delle pubblicazioni di ginecologi e urologi, diciamo «della letteratura ottimista» è piuttosto superficiale. I medici si sono limitati a verificare se le famiglie erano ancora unite; hanno chiesto a tutti se erano felici, se l'esperienza li aveva soddisfatti e se l'avrebbero ripetuta volentieri. Hanno fatto confronti tra queste famiglie e quelle con bambini «propri»: quanti divorzi, quante separazioni, quanti ricorsi ai cosiddetti «segnali di malessere» (alcool, sedativi). Hanno ritenuto di poter concludere, appunto, con una dichiarazione di ottimismo. Psichiatri e psicanalisti, nella maggior parte dei casi, hanno studiato soggetti giunti alla loro osservazione per bisogno di cure. Raramente hanno considerato la coppia come entità di riferimento. Hanno usato metodi d'indagine per necessità non sistematici e non estesi. Non hanno mai eseguito un confronto con il resto della popolazione, considerata comunque un «riferimento normale», senza dunque tener conto della straordinaria frequenza di problemi psicologici, di comportamenti devianti, di fratture endofamiliari, di abbandoni, che la supposta «normalità» evidenzia a chi riesca a guardare, per un attimo, dietro la facciata. Una particolare critica, rivolta soprattutto alle inseminazioni eterologhe, viene poi dagli andrologí. Essi osservano che le tecniche di procreazione assistita - comprese le più semplici, come l'inseminazione con seme di donatore – impongono percorsi diagnostici che riguardano soprattutto la donna e il suo medico, il ginecologo. In questo modo, la posizione del marito sarebbe spesso destinata a un ruolo di secondo piano: ne potrebbe conseguire che, nel caso di donazioni di seme, la figura e la personalità del padre legale rischierebbe di essere trascurata. Dopo un colloquio preliminare, utilizzato per ottenere il suo consenso, il povero marito potrebbe trovarsi in condizioni di totale abbandono da parte dell'equipe medica. Siamo sicuri, dicono a questo punto gli andrologi, che il consenso così ottenuto sia un consenso reale? Potrebbe essere, per esempio, ipotizzabile un percorso mentale di questo tipo: «Ho scoperto di essere sterile, e ho scoperto di non poter dare, a mia moglie, la cosa che apparentemente le interessa di più di ogni altra al mondo, un figlio. Ma mia moglie ha diritto di avere quella cosa; poiché io non posso dargliela, come sarebbe mio dovere, debbo per forza accettare qualsiasi proposta alternativa che consenta a mia moglie di essere giustamente felice. E allora: sì all'ipotesi odiosa che faccia un figlio con il seme di un altro uomo». Gli errori contenuti in questo ragionamento (lo stesso concetto di diritto e di dovere, per esempio) sono fin troppo evidenti. Ma esistono persone che ragionano così? Forse sì. E se, dopo un ragionamento simile, accettano, quale sarà il loro rapporto con il bambino che nascerà? Come si modificherà questo rapporto nel tempo? Ebbene, l'opportunità di muoversi con prudenza in un terreno che si può presumere minato, almeno qua e là, emerge anche dai comportamenti e dalle scelte di alcuni ginecologi. Ricordo per esempio Raoul Palmer, il più famoso degli studiosi moderni di sterilità, che imponeva una specie di pausa di riflessione, chiedendo alle donne di registrare la temperatura basale per un certo numero di cicli, cosa priva di rilievo pratico, ma utile per dare alla coppia il tempo di riflettere. E ricordo altri medici, che usavano scuse diverse, ma sempre con lo stesso scopo, quello di rinviare l'intervento di almeno un po'. Dunque, prudenza. Ma fino a che punto? Fino al punto, per esempio, di sottoporre la coppia allo stesso tipo d'indagini e di analisi necessario per poter avere un bambino in adozione? Fino al punto da considerare l'inseminazione eterologa residuale all'adozione? O di proibirla comunque e sempre? O più semplicemente di ragionare con le coppie, spiegare loro i problemi e, infine, affidare le scelte al loro buon senso? Ho qui sul tavolo la fotocopia di quasi tutta la letteratura che esiste su questo argomento. L'ho divisa: a destra la letteratura ottimista, una pila di 70 cm circa; a sinistra quella pessimista, un mucchietto di meno di 10 cm. È ingenuo e superficiale, lo so. Ma proprio non conta niente? | << | < | > | >> |Pagina 478Salute e intelligenza dei bambiniLe ricerche pubblicate sulle malattie e sull'intelligenza dei bambini nati da donazione di gameti, non sembrano brillare per profondità d'indagine e accuratezza metodologica e si contraddistinguono spesso per il piccolo numero di casi presi in esame e per essere limitate a fasce d'età molto basse. Così, per esempio, i giapponesi, dopo 20 anni di attività delle loro banche dello sperma, hanno pubblicato nel 1979 una ricerca su poco più di 50 bambini, tra l'altro tutti molto piccoli. Questa ricerca (Mochimaru, 1979) sembra dimostrare che sia il quoziente d'intelligenza sia il quoziente di sviluppo di questi bambini è buono e che addirittura il loro sviluppo fisico e mentale è superiore a quello dei bambini nati naturalmente. Risultati analoghi sono stati ottenuti da un gruppo polacco (Torbus, 1980). In Olanda, Kremer (1983) ha ottenuto 134 risposte a un questionario molto dettagliato inviato a coppie che avevano avuto almeno un figlio con l'inseminazione eterologa (è da notare che nessuno di questi bambini aveva più di 6 anni): il 98% dei genitori si dichiarava più che soddisfatto e il 34% si proponeva di ripetere l'esperienza. Meno ottimista sembra la ricerca fatta da alcuni autori francesi che hanno preso in esame 77 bambini (tutti di età inferiore ai 3 anni) mettendo in evidenza una discreta incidenza di problemi psicosomatici (coliche addominali, vomito, pianto notturno, malattie della pelle). Secondo gli autori, è possibile che esista, in questi casi, un «superinvestimento affettivo» dei genitori, fenomeno del resto molto frequente nelle coppie che hanno figli solo dopo averli a lungo desiderati. I comportamenti dei genitori di figli-IAD è molto simile a quello dei genitori trattati con successo per sterilità: non lasciano mai solo il bambino, non lo svegliano mai, lo prendono in braccio ogni volta che piange, evitano di correggerlo e di punirlo. È invece caratteristico dei genitori-IAD il fatto di far dormire il bambino nella propria stanza e di allattarlo al seno molto a lungo. Secondo la Delaisi de Parceval, è ovvio che l'ansietà e la superprotezione dei genitori tenda a scatenare turbamenti psicologici nei bambini. Secondo la stessa autrice è l'ipermedicalizzazione di tutto il sistema che aumenta l'angoscia dei genitori e favorisce comportamenti e fantasmi di superprotezione. Un'indagine su una popolazione infantile più ampia (364 bambini, alcuni dei quali in età scolare) è stata eseguita, sempre in Francia, dal CECOS. Anche da questa ricerca risulta una maggiore frequenza di problemi psicosomatici nei bambini più piccoli. La sensazione di una maggiore precocità di questi bambini viene discussa e messa in dubbio da questi autori, secondo i quali le varie prove portate (soprattutto dai genitori, in minor misura dai medici curanti) sarebbero più dipendenti da una maggiore (più continua e più preoccupata) attenzione parentale che da reali differenze rispetto alla normalità. Nei bambini più grandi, la scolarità sembra normale e scompare la tendenza alle malattie psicosomatiche. Secondo il CECOS, i bambini-IAD sembrano avere qualche maggiore difficoltà alla nascita rispetto agli altri bambini: le nascite premature e le ospedalizzazioni nelle prime settimane di vita sono 8 volte più frequenti; il sospetto di una malconformazione viene posto 6 volte più spesso e la conferma dell'esistenza di una malconformazione (minore o maggiore) viene fatta nel doppio dei casi. Ciò può dipendere da una più attenta ricerca medica, dovuta al fatto che le madri-IAD (come le madri ex-sterili) hanno un grande timore di effetti malconformativi determinati dalla conservazione dello sperma o dall'uso dei farmaci. I bambini IAD vengono portati molto frequentemente dal medico e fatti vedere da specialisti; nello stesso modo essi assumono più frequentemente (e con maggior continuità degli altri bambini) farmaci di vario tipo. Nei primi mesi di vita soffrono spesso di malattie psicosomatiche (con la stessa frequenza dei bambini nati da coppie sterili). La stessa cosa può dirsi per alcuni disturbi psicologici minori (in particolare per le difficoltà del sonno). Sembra che nel tempo l'atteggiamento dei genitori divenga più saggio e più utile sul piano educativo: lo sviluppo psicomotorio è così generalmente buono o molto buono.
Mi sembra che negli ultimi dieci anni l'atteggiamento dei medici, degli
psicologi e dei sociologi sia cambiato, ci siano meno preoccupazioni, meno
pessimismo, più buon senso e più tolleranza. Questo nuovo approccio mi
sembra ben interpretato dalle conclusioni di un recente studio di S. Golombok
(Human Reproduction,
2006, 21, 1918) che così recitano: la mancanza di legami genetici o genitoriali
non altera le relazioni tra genitori e figli e non toglie il benessere
psicologico al padre e alla madre.
I donatori Due posizioni sì sono scontrate, all'inizio della storia delle banche del seme, per quanto riguardava la selezione dei donatori. Secondo la prima, il medico non doveva esercitare alcuna funzione di controllo e tutto doveva essere lasciato al caso come nella fecondazione naturale: tutti i candidati dovevano quindi essere accettati e anche la scelta del seme per la donazione doveva essere casuale. Il secondo punto di vista richiedeva invece di selezionare severamente i candidati donatori, per accettare solo quelli considerati «perfetti», in grado cioè di generare i figli migliori possibili. Se la prima posizione ignorava completamente gli interessi del bambino e della coppia e non poteva essere accettata, la seconda ignorava completamente la ricchezza del nostro patrimonio genetico, la possibilità di stabilire un confine preciso tra normale e anormale e, soprattutto, la presenza di geni recessivi non evidenziabili, molti dei quali potenzialmente pericolosi. Com'era inevitabile e giusto, non è stata scelta nè la casualità assoluta nè la selezione «eugenetica». La medicina si è mantenuta prudentemente equidistante tra queste due posizioni, scegliendo la strada di fare il possibile per evitare gli handicap caratterizzati insieme da gravità e frequenza e che possono essere previsti con mezzi semplici e poco costosi. In pratica, le banche del seme hanno cercato, nella lista delle malattie genetiche, quelle che apparivano come le più frequenti e le più gravi, elaborando via via nuovi elenchi sulla base dell'esperienza e della casistica. Poiché l'età del padre interferisce con la frequenza di mutazioni dominanti, è stato posto un limite d'età per i donatori, limite che varia – nei vari centri – tra i 45 e i 55 anni. Tutti i candidati sono poi sottoposti ad accertamenti genetici: la mappa cromosomica permette dì riconoscere i soggetti portatori di anomalie maggiori equilibrate (traslocazioni, inversioni, delezioni) e di scartarli. La raccolta di un'anamnesi personale e familiare particolareggiata consente poi un'ulteriore selezione, che tiene conto di una lista comprendente cause specifiche di esclusione e a fattori cumulativi dì rischio. Le cause di esclusione sono quelle che riguardano tutte le malattie che avrebbero molte probabilità dì comparire nel bambino, con carattere dominante o recessivo; i fattori cumulativi di rischio sono quelli che, per manifestarsi nel figlio, debbono essere presenti anche nella madre. Alla fine di queste indagini, circa il 5% dei candidati viene rifiutato, mentre vengono accettati sub-conditione quelli con fattori cumulativi di rischio (sono quasi il 25%) il cui seme può essere donato solo alle donne che non presentano un rischio analogo. Un primo spermiogramma viene eseguito contemporaneamente al primo colloquio e un secondo dopo circa un mese. Il seme viene sottoposto a tutte le indagini che oggi il laboratorio consente e i criteri di normalità che vengono applicati sono più severi di quelli che vengono generalmente accettati in medicina, poiché si deve considerare il fatto che quel seme dovrà essere congelato, e perderà pertanto una parte della sua fertilità. Vengono poi eseguiti esami riguardanti una possibile patologia ereditaria (mappa cromosomica, ricerca di segni di anemia mediterranea, di favismo e di emofilia) e relativi all'esistenza di una serie di malattie infettive (AIDS, epatite, sifilide, infezioni da gonococco, clamidia, herpes, trichomonas, candida, gardnerella, infezioni virali) trasmissibili sessualmente.
L'ultimo atto di questa selezione consiste in un colloquio nel quale si
spiegano al candidato le regole fondamentali su cui si basa la donazione del
seme e lo s'interroga sulle motivazioni che lo hanno spinto a candidarsi.
Le regole che sono state accettate dalla maggior parte delle banche del seme sono: che il dono è gratuito, come la donazione di organi e di sangue; che è anonimo, nel senso che la coppia non saprà mai da chi proviene il seme e il donatore non avrà mai informazioni su come il suo seme sia stato utilizzato; che il rapporto tra la banca e il donatore cesserà automaticamente dopo un certo numero di donazioni o dopo la nascita di un certo numero di bambini (in genere 5 o 6) in famiglie diverse. | << | < | > | >> |Pagina 576Ancora ipotesi; i filosofi non demordonoRiferire tutte le cose che sono state elaborate sullo Statuto ontologico dell'embrione va ampiamente al di là delle mie capacità e delle mie forze. Mi limito perciò a riassumere alcuni degli interventi che hanno avuto maggiore rilievo, almeno negli ultimi tempi, e che hanno coinvolto filosofi e intellettuali italiani. Secondo Emanuele Severino, la filosofia alla quale la Chiesa cattolica si ispira, afferma che un uomo può nascere solo se prima di lui esiste qualcosa che ha la capacità (o la «potenza») di diventare uomo, qualcosa – sottolinea Severino – di unitario. Questo principio vale anche per le altre forme di generazione, così che una statua può essere prodotta solo se prima di esserlo esiste un blocco di marmo capace di diventare statua. Un blocco, ribadisce Severino, unitario. Nello stesso modo un uomo può entrare nel regno dei cieli (processo che definisce la generazione di un beato) solo se prima esisteva qualcosa di unitario, che è aggiunto all'uomo durante la sua vita terrena. In assenza di queste due capacità – quella del blocco di marmo di diventare statua e quella dell'uomo di andare in cielo – non esisterebbero né statue né beati. Coerentemente, se prima della nascita di un essere umano non esistesse qualcosa di unitario, avente la capacità di diventare un uomo (cioè se non esistesse un uomo in potenza) la nascita di uomini sarebbe impossibile. Per la Chiesa, l'embrione è uomo (persona) fin dal momento della fecondazione e il principio spirituale – l'anima razionale – che differenzia l'uomo dagli altri esseri viventi è creato da Dio. In altri termini, Dio crea questo principio fin dal momento della fecondazione. Se è così, se un uomo si può creare solo se prima esiste «qualcosa di unitario che ha la capacità di diventare essere umano» e se ancora l'embrione è un essere umano in atto fin dal concepimento, dov'è finito il «qualcosa di unitario che è uomo in potenza» e senza íl quale nessun uomo potrebbe nascere? Prima dell'unione, i gameti sono separati e né l'uno né l'altro sono capaci di diventare uomo, come i frammenti del blocco non hanno la capacità di diventare statua. Nello stesso modo, l'insieme dei gameti separati non ha la capacità di diventare uomo. Ecco dunque, secondo Severino, la conclusione assurda alla quale conduce il principio secondo il quale esiste un uomo in atto fin dal momento del concepimento: viene a essere negata l'esistenza della capacità – da parte di qualcosa di unitario – di diventare uomo, e da questa negazione consegue che non potrebbe nascere alcun uomo. Dunque quel che provoca questa assurdità è semplicemente impossibile, cioè è impossibile che l'embrione sia uomo fin dall'inizio. Secondo Sgreccia, i due gameti hanno la capacità di generare un individuo (l'uomo-embrione, che poi si svilupperà fino a diventare adulto) proprio in virtù di una potenzialità che si attua nel momento dell'unione. Ma, replica Severino, questa capacità si costituisce quando l'embrione ha già cominciato a esistere, è tutt'altra cosa rispetto alla capacità di diventare embrione, la capacità che cessa di esistere quando comincia a esistere l'embrione. Dunque, conclude il filosofo, per uscire dall'assurdo è necessario negare che l'embrione sia un essere umano in atto sin dall'inizio e, immaginare invece che Dio infonda l'anima razionale dopo che l'embrione ha cominciato a esistere. In altri termini è necessario assegnare alle prime fasi di sviluppo embrionale la capacità di diventare uomo. La Chiesa deve affermare che l'embrione non è persona, almeno all'inizio della sua esistenza. Resta aperto il problema di accettare l'estensione di questo inizio, un problema così complesso da far ritenere opportuno, a Severino, il ritorno alle teorie di San Tommaso, per il quale «il feto è animale prima di essere uomo». Emanuele Severino si attarda anche in una critica alle posizioni «personali» di Sgreccia che, a suo avviso, parla da «scienziato» e afferma che l'embrione ha, fin dal momento della fecondazione, un'identità biologica, genetica e organica. In altri termini, sembra quasi che Sgreccia sostenga che per risolvere il problema dell'inizio della vita umana personale basti la scienza. Ho mosso anch'io, in varie occasioni, la stessa critica a Sgreccia, partendo dall'evidenza che per la Chiesa la spiegazione adeguata prevede l'intervento diretto di Dio, che crea ciò che vi è di umano nell'uomo. In molti documenti – per esempio nel Donum Vitae – la Chiesa esclude in modo perentorio che il problema dell'inizio della vita umana personale possa essere risolto dalla scienza e dalla biologia. Del resto – ma questa è un'opinione del tutto personale – è possibile immaginare che i bioeticisti cattolici, che debbono arrivare alle loro conclusioni evitando di utilizzare le verità rivelate, si trovino a malpartito dovendo discutere dello statuto ontologico dell'embrione usando argomentazioni unicamente filosofiche. Così, pur sapendo che la scienza non ha niente a che fare con la definizione di persona ci prova, anche se, come scrive Eugenio Lecaldano, la nozione di persona non è parte del linguaggio di una qualsiasi scienza naturale. La posizione di Tommaso d'Aquino è stata criticata molto spesso in questi ultimi tempi. Ne ha scritto Giovanni Sartori e ne ha diffusamente parlato Umberto Eco. La teoria di Tommaso (una teoria che la Chiesa non ha mai apertamente confutato, laddove ha condannato le tesi opposte di Tertulliano) è, in pratica, questa: Dio introduce nel feto animale l'anima razionale solo dopo che sono state gradualmente acquistate prima l'anima vegetativa e poi l'anima sensitiva. È l'anima razionale, in ogni caso, quella che fa dell'uomo una persona «rationalis naturae, individua substantia». Nel supplemento alla Summa Theologiae si legge persino che dopo il giudizio universale gli embrioni non parteciperanno alla resurrezione della carne perché, non avendo ancora ricevuto l'anima razionale, non sono esseri umani. In un suo recente scritto, Umberto Eco insinua che l'attuale battaglia neofondamentalista sulla difesa della vita, per cui l'embrione è già essere umano perché in futuro potrebbe diventarlo, sembra portare i credenti più rigorosi sulla stessa frontiera dei vecchi materialisti-evoluzionisti di un tempo: non c'è più frattura nel corso dell'evoluzione dai vegetali, agli animali, agli uomini, la vita ha tutta lo stesso valore. Secondo Eco queste posizioni neofondamentaliste, che derivano da analoghe posizioni protestanti, porterebbero a un appiattimento del cristianesimo su posizioni insieme materialistiche e panteistiche, se non su forme di panpsichismo orientale, quelle che obbligano a respirare attraverso una garza per evitare di uccidere microrganismi. Anche Evandro Agazzi, al quale si attribuisce la paternità del documento sullo statuto ontologico dell'embrione approvato alcuni anni or sono dal Comitato Nazionale per la Bioetica, in una serie di articoli comparsi su «Il Sole 24 ore», ha riconosciuto che l'ipotesi di una fase pre-embrionale: «[...] almeno fino al 6° giorno dopo la fecondazione è fondata, in considerazione del fatto che mentre l'entità genetica è fissata, quella individuale non lo è ancora: e si è in presenza di materiale biologico di tipo umano, ma non ancora di individui umani in senso pieno». La conclusione è che le diverse questioni etiche che riguardano il rispetto per l'embrione (implicitamente considerato come un individuo umano a pieno titolo) non riguardano tale fase iniziale.
Agazzi interviene anche sulla critica che molti bioeticisti cattolici
hanno fatto ai termini di pre-embrione e pro-embrione liquidati come
un espediente per difendere alcune posizioni permissive. Cita Jacques
Maritain, il famoso filosofo cattolico, che riportava un passaggio di un
classico manuale di embriologia (A. Giroud e A. Lelière:
Eléments d'embryologie,
1965) in cui si parla di embrione solo «una volta che esso sia
ben delineato (verso il 18° giorno) dopo le prime differenziazioni che
l'hanno abbozzato». Posso aggiungere che proposte di definire una fase
pre-embrionale ce ne sono moltissime anche nella letteratura americana,
a partire dagli inizi del Novecento. Agazzi conclude che si può continuare a
condividere il principio morale del rispetto per l'embrione riconoscendo allo
stesso tempo che non si può applicare questa nozione ai primi tempi dello
sviluppo dell'uovo fecondato. Nella fase iniziale di questo sviluppo, anche se
non siamo di fronte a semplice materiale di laboratorio, si possono considerare
con criteri meno restrittivi di quelli previsti dalla legge 40 le pratiche di
fecondazione assistita, la possibilità di
crio-conservare questi pre-embrioni, di sottoporli a esami genetici pre-impianto
e di utilizzarli per la ricerca scientifica. Affermare la tesi ontologica che
l'embrione attraversa una fase iniziale del suo sviluppo in cui
non è ancora essere umano a pieno titolo non implica la tesi morale che
lo si possa trattare, in questa fase, come semplice materiale di laboratorio.
Appare tuttavia lecito, in certe condizioni, utilizzare i pre-embrioni
per molti scopi, e anche sopprimerli, se esistono ragioni adeguate per
farlo. Del resto, conclude Agazzi, lo stesso principio dell'intangibilità
assoluta della vita umana deve convivere — e può venire in conflitto — con
alcuni altri principi etici fondamentali delle società moderne occidentali, in
particolare quello dell'autonomia e quello della beneficenza, interpretato
secondo l'etica utilitaristica.
Imbarazzo e confusione Provo a trarre qualche conclusione da queste — certamente incomplete — considerazioni sullo statuto ontologico dell'embrione. Il problema, purtroppo, è complesso, e basta ben poco per alzare una polvere fittissima che non consente più a nessuno di vederci chiaro. Lo dimostra il fatto che ne hanno parlato — e ne hanno addirittura fatto un proprio cavallo di battaglia — giornalisti ignorantissimi, che hanno imparato a memoria frasi come «mi dica se l'embrione è cosa o persona» o «mi dica allora se l'embrione si può comprare», e su queste stupidaggini hanno costruito fascino e consensi (naturalmente in televisione). La mia sensazione è che il Magistero Cattolico si sia trovato spiazzato e confuso di fronte a una biologia sempre più attenta ai particolari e per niente disposta ad assumere ruoli che non le competono. Lo dimostra il fatto che all'interno del Comitato Nazionale per la Bioetica ci sono stati bruschi cambiamenti di posizione, e illustri genetisti hanno prima sostenuto un'ipotesi, poi l'hanno rapidamente abbandonata per diventare paladini dell'opposta teoria, senza una parola di giustificazione. È vero che viviamo un'epoca di voltagabbana, ma in questo caso l'intervento dell' autoritas directiva externa è stato un po' troppo esplicito. In realtà, cosa c'entra la biologia in tutto questo non riesco proprio a capirlo. Chi voglia leggere quanto di meglio è stato scritto in merito al rapporto tra la biologia e la storia della nozione di vita si rivolga al bel libro di André Pichot (Histoire de la notion de vie, ed. Gallimard, 1993). Pichot, citando soprattutto Claude Bernard, conclude che la biologia moderna ignora la nozione di vita, perché una scienza sperimentale non deve dare una definizione della vita. Secondo Pichot — e secondo Claude Bernard - si tratterebbe di una definizione data «a priori» e «il metodo che consiste nel definire prima e poi dedurre tutto dalla definizione data può convenire alla filosofia, ma è contrario allo spirito stesso delle scienze sperimentali». Ne segue che «basta intendersi sul significato della parola vita per poterla utilizzare ed è illusorio e chimerico (e ancora una volta contrario allo spirito della scienza) cercare di darne una definizione assoluta». La biologia moderna ignora dunque la nozione di vita e si accontenta di analizzare gli «oggetti» che il senso comune le indicano come «viventi», e la sua analisi dimostra che essi possiedono un certo numero di caratteristiche fisico-chimiche identiche. La definizione di vita, se mai viene evocata, è riportata all'infinito, come scopo e fine ultimo della biologia. In questo modo, usando un metodo esclusivamente analitico e sperimentale, si è rafforzata l'efficacia e la scientificità del lavoro del biologo: ciò ha comportato una tale «fisicalizzazione» da dare l'impressione che, per rendere scientifica la biologia, sia stato necessario negare ogni scientificità al suo oggetto. Tutte le discipline biologiche mettono in evidenza la perfetta identità della natura della materia e delle leggi che la regolano, sia per quanto riguarda gli esseri viventi che per quanto concerne gli oggetti inanimati: negli esseri viventi ci sono alcune molecole e alcune reazioni biochimiche che le riguardano che oggi non si trovano negli oggetti inanimati, c'è una tale unità di composizione che si può ammettere che le differenze che si riscontrano tra specie diverse, tra individui della stessa specie e nello stesso individuo in differenti momenti della vita non sono sufficienti per alterare l'unità del «fenomeno vivente». Si delinea così un quadro di «essere vivente in generale» costituito da tutto ciò che di chimico-fisico c'è in comune tra gli esseri viventi e tra essi soltanto. Limitare la specificità del vivente a queste caratteristiche è come negarla, perché la si riferisce a una differenza qualitativamente analoga a quella che esiste tra due oggetti inanimati. Esisterebbe dunque solo un certo numero di oggetti che differiscono tra loro solo per le caratteristiche fisico-chimiche: ci si chiede perché dovrebbero essere divisi in due, piuttosto che in tre o in quattro classi, considerato il fatto che i criteri della ripartizione non sono né chiari né espliciti e si fondano soprattutto sul senso comune, che dice che certi oggetti con certe caratteristiche fisico-chimiche comuni debbono essere definiti come viventi. Ma non si tratta di una scelta della biologia ma piuttosto di un tentativo di giustificare dal punto di vista fisico-chimico la scelta fatta dal senso comune. Così, la biologia considera la vita come una particolare qualità che compare a partire da un certo grado di complessità dell'organizzazione fisico-chimica e alla quale il senso comune attribuisce un nome specifico. La biologia ritiene che non esista un «fantasma» dentro alla macchina, e che comunque la specificità dell'essere vivente non risieda in quel fantasma. Ma non sa né come né quando la vita emerge dalla materia, né sa se l'emergere della vita ha un ruolo, un significato, una necessità. La biologia capisce che la definizione di essere vivente ha carattere temporale, ma non ha motivi per distinguere tra due esseri viventi temporanei e non ha alcun ruolo nella precisazione di definizioni meramente filosofiche come quella di persona, o di vita personale, o di vita individuale. Penso che esista un equivoco di fondo dunque, relativamente al ruolo della biologia, che non dimostra e non ha interesse a dimostrare alcunché in questo campo. Penso che alcuni filosofi abbiano scambiato per conferme quelle che non sono altro che precisazioni, risposte a domande specifiche. Un filosofo ritiene che la vita personale abbia inizio nel momento in cui prende origine un processo unico e irreversibile, e il biologo gli dice che quel momento può essere identificato nell'attivazione dell'oocita. Ma un secondo filosofo è convinto che si possa parlare di vita individuale solo dal momento della formazione di un genoma unico, e il biologo punta il dito sull'anfimissi. Come vedete, nessuna verità, solo risposte a quesiti diretti: la verità che i filosofi vorrebbero ascoltare, oggi i biologi non la conoscono (e come dice Pichot, se la conoscessero la riprodurrebbero). Ritengo che i bioeticisti cattolici siano consapevoli di quanto sia fragile e priva di fondamenta la loro tesi sull'embrione: se così non fosse, non avrebbero tirato in ballo il principio di precauzione, la scialuppa di salvataggio di tutte le filosofie che si basano molto sulla metafisica e poco (o nulla) sulla ragione. Ma, come ha più volte scritto Maurizio Mori, questo argomento non vale per chi condivide la tesi di Maritain che l'embrione non è certamente persona e che crederlo sarebbe un'assurdità filosofica. Dissolto il dubbio, il principio di precauzione non ha motivi per essere applicato. Ho a lungo meditato se aggiungere a questo capitolo gli argomenti che mi sembrano importanti per definire l'inizio della vita personale, poi ho deciso di non farlo. Era importante, per me, confutare le dogmatiche teorie della Chiesa Cattolica e dimostrare quanto confuse e disordinate esse siano. Era importante soprattutto per dimostrare che a un Paese tendenzialmente laico sono stati imposti, per legge, principi religiosi che a molti di noi sembrano sbagliati, che sono certamente confutabili e che sono messi in discussione all'interno dello stesso corpo che li ha prodotti. Mi limito dunque a dire una sola cosa: il fatto che l'embrione non sia persona (e che si aperciò ingiusto ascrivergli diritti che non gli spettano) non implica che l'embrione non meriti una qualche forma di tutela, ma solo che essa non può dipendere dall'essere persona. I doveri di tutela dell'embrione dipendono dunque da altre ragioni e la quantità di tutela che gli è dovuta può essere in teoria anche superiore a quella dovuta alla persona. Siamo comunque al termine di un paradigma che faceva considerare come fondamentali i doveri nei confronti della trasmissione della vita e che prevedeva la subordinazione delle esigenze dell'individuo a quelle della famiglia e, appunto, alla trasmissione della vita. Secondo questo paradigma i doveri di rispetto dell'ordine familiare erano sufficienti a giustificare la tutela assoluta del processo riproduttivo e del concepito. Questi obblighi sono stati riproposti facendoli dipendere dal diritto alla vita piuttosto che dai doveri relativi alla sua trasmissione, secondo il principio della «dignità della procreazione». Non deve essere stata una rinuncia indolore e mi sembra che l'aver sganciato il paradigma dell'embrione da quello procreativo tradizionale basato sull'ordine familiare sia in fondo responsabile di questa grande confusione teorica, che ha originato una strategia certamente vincente nei tempi brevi, ma altrettanto certamente destinata a perdere in quelli più lunghi (nei quali equilibrismi e isterie perdono valore). | << | < | > | >> |Pagina 625Capitolo X
Il futuro della terapia della sterilità
Immaginare quali saranno in avvenire le condizioni di salute dell'uomo – e qui «salute» bisogna necessariamente intenderla nel senso più ampio possibile, considerando tutte le sensazioni soggettive e le valutazioni obiettive di benessere fisico, psicologico, sessuale, sociale – vuol dire, a mio avviso, seguire due ipotetici percorsi, non sempre in chiara connessione tra loro: il primo è quello che riguarda i mutamenti (mi piacerebbe scrivere i «progressi») dell'igiene di vita, della diffusione delle conoscenze specifiche, della prevenzione intesa come atteggiamento filosofico e politico nei confronti dei possibili danni che la salute può subire; il secondo ha a che fare con il «progresso» delle acquisizioni scientifiche e delle loro applicazioni tecniche. Eviterò di parlare del primo percorso, per la semplice ragione che, almeno da questo punto di vista, non ho fiducia nel futuro. La prevenzione, intesa nel senso che ho appena annunciato, non ripaga in tempi brevi, quelli che interessano agli amministratori che dovrebbero sostenerla e promuoverla; della diffusione della cultura relativa ai problemi della salute, neanche parlarne, sembra proprio che il problema non stia proprio a cuore a nessuno. Così parlerò solo dei «progressi» della scienza e della tecnica nel settore specifico della cura della sterilità; le virgolette alla parola «progresso» sono doverose, perché per molte persone – non per la maggioranza delle persone, ma certamente per molte persone – non si può parlare di progresso quando si propongono interventi sulla vita dell'uomo che violano alcuni fondamentali principi della morale o della religione. Di queste contrarietà e di questi rifiuti non tratterò in questo capitolo, per la semplice ragione che, se lo facessi, dovrei fermarmi ogni due righe per commentare e discutere. Parlare dell'avvenire è sempre una scommessa con il mistero. Oggi, per esempio, viviamo in una oscietà molto diversificata. In occidente si è fatta strada la tendenza a fare pochi figli e a farli, molto spesso, in età che un tempo era considerata avanzata. È diventata diffusa l'abitudine di utilizzare mezzi anticoncezionali sicuri e di ricorrere all'interruzione di gravidanza quando questi falliscono. Fuori dall'occidente molti paesi vietano l'aborto, ma chiudono un occhio nei confronti del controllo mestruale e dell'aborto clandestino. Altrove, l'interruzione della gravidanza viene utilizzata come mezzo per selezionare il sesso e la predilezione per i figli maschi comincia a delineare i primi scompensi nell'equilibrio sociale. Continuerà questa tendenza? Difficile dirlo e io non ho certamente virtù di veggente. Così, non immaginerò un avvenire diverso dal presente, e mi limiterò a raccontare quali sono gli attuali indirizzi della ricerca scientifica, pur sapendo che alcuni di questi verranno, per differenti ragioni, interrotti. Uno dei problemi che si pongono oggi i ricercatori, nel momento in cui ragionano del futuro della medicina della riproduzione, riguarda la scelta tra il perfezionamento delle tecniche più complesse e il rilancio di quelle più semplici. Ci sono, a questo proposito, molti problemi da considerare. Problemi economici, per esempio: le tecniche complesse costano molto di più e ben pochi paesi possono offrirle gratuitamente ai propri cittadini. Le tecniche complesse comportano anche la partecipazione di biologi e di medici esperti, non sempre e non ovunque disponibili. D'altra parte non si può ignorare la pressione dell'opinione pubblica e, in particolare, della popolazione di coppie sterili, generalmente poco disponibili ad accettare di sottoporsi a tecniche più semplici e meno costose, ma con indici di successo particolarmente bassi. Si deve poi considerare il fatto che le tecniche semplici, per la loro stessa natura, si prestano molto poco a miglioramenti rilevanti e che per questo la ricerca scientifica tende a ignorarle. Accade invece, inevitabilmente, che le acquisizioni della ricerca biologica siano utili allo stesso modo a tutte le tecniche, semplici o complesse che siano. È perciò auspicabile che nei prossimi anni siano proprio le conoscenze biologiche a migliorare, cosa garantita solo in parte, perché in tutto il mondo sta diventando sempre più difficile trovare fondi per la ricerca di base. Tutti coloro che si avvicinano per la prima volta alle cure della sterilità restano sfavorevolmente colpiti dalla bassa percentuale di successi, ed è logico che la ricerca scientifica cerchi di migliorarla. È vero che in questi ultimi 30 anni le cose sono molto cambiate, ma la percentuale di embrioni che vanno perduti è ancora troppo elevata e, nel contempo, sono ancora troppo alte le percentuali di gravidanze multiple, che rappresentano una fonte inaccettabile di complicazioni per la madre e per i bambini. Ne deriva la necessità di un miglioramento non facile da conseguire perché comporta al contempo un aumento delle gravidanze e una diminuzione del numero degli embrioni trasferiti. Per ottenere questo risultato, i percorsi scientifici possibili sono numerosi. Il primo è certamente quello di mettere a punto schemi di terapia ormonale controllata che consentano di ottenere il numero ideale di follicoli maturi. In questo campo i progressi esistono, anche se sono forse più lenti di quanto si era sperato nel momento in cui si è iniziato ad utilizzare gli analoghi del GnRH. Molti vantaggi potranno derivare in avvenire anche dal miglioramento delle colture embrionali, un settore nel quale si impegnano molti ottimi biologi. Progressi ce ne sono effettivamente stati, tanto che è oggi possibile coltivare embrioni fino allo stadio di blastocisti, predisponendo differenti terreni da utilizzare in sequenza, ma alcune osservazioni, soprattutto sperimentali, sulla comparsa di casi di LOS (large ofspring syndrome) e di anomalie dell'imprinting genomico hanno un po' raffreddato gli entusiasmi. Nel momento in cui scrivo molte di queste preoccupazioni sono rientrate, ma il trasferimento di blastocisti non ha ancora trovato la diffusione che probabilmente merita. Un altro possibile progresso potrebbe derivare dall'identificazione dei fattori che vengono prodotti dalle mucose dell'apparato femminile nel corso delle prime fasi della fertilizzazione e che rendono utili, in qualche circostanza, le coculture. Una delle aree di ricerca più importanti è certamente quella che riguarda i meccanismi che regolano il numero di follicoli che raggiungono la condizione di sensibilità nei confronti delle gonadotropine. Al momento ci mancano tutte le conosenze necessarie per controllare sia questo processo di maturazione follicolare, sia i vari meccanismi che regolano la degenerazione, l'apoptosi o l'atresia degli oociti o dei follicoli: è solo da qualche tempo che cominciamo a comprendere i rapporti tra la biologia follicolare e la neoangiogenesi e i fattori di crescita. La ricerca scientifica deve inoltre chiarire molti dei misteri che ancora circondano il meccanismo della meiosi, il controllo della decondensazione della testa degli spermatozoi esercitato da un fattore oocitario e quello dell'attivazione dell'oocita esercitato da un fattore nemaspermico.
Un grande rilievo avranno certamente anche gli studi sui meccanismi
che regolano l'impianto degli embrioni nell'endometrio. Si tratta di una
serie di eventi biologici che controllano la neoangiogenesi e i processi di
adesione e di invasione embrionaria oltre che di un sistema di
immuno-modulazione che evita l'espulsione del feto.
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