Copertina
Autore Carlo Flamigni
Titolo Il controllo della fertilità
SottotitoloStoria, problemi e metodi dall'antico Egitto a oggi
EdizioneUTET Libreria, Torino, 2006 , pag. 988, cop.ril.sov., dim. 16x23,7x8,3 cm , Isbn 978-88-02-07427-6
LettoreGiorgia Pezzali, 2007
Classe medicina , salute , storia sociale , religione
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Indice

 IX Prefazione

    PARTE PRIMA
    La storia

  5 Premessa
  7 Storia della contraccezione
 16 Le origini del controllo della fertilità
 21 Differenti culture, stessi comportamenti
 33 Il significato dei miti
 36 Costumi e tradizioni
 55 Le grandi civiltà
 87 Interviene la morale:
    la generazione dell'uomo e la famiglia
 94 Dalla teoria alla pratica
101 Medicina, filosofia, morale e soprattutto, erbe
115 Decotti, pozioni, veleni
134 I primi documenti cristiani
149 Le norme laiche dal Medioevo in poi
151 La medicina araba
160 Le università e la medicina colta
169 Il Medioevo e l'uso delle conoscenze
178 La Chiesa Cattolica e la contraccezione:
    una storia di conflitti
189 Il Rinascimento
204 Il XVIII secolo: continua il declino delle conoscenze
209 La nascita del movimento per il controllo delle nascite
227 La diffusione delle conoscenze sui mezzi contraccettivi
239 L'uso delle erbe dal Seicento ad oggi
251 Un secolo di conflitti
260 Le ostetriche, streghe benefiche
284 Venti piante da studiare

    PARTE SECONDA
    L'evoluzione delle conoscenze biologiche e le teorie
    sull'inizio della vita personale

303 La biologia, scienza degli agricoltori e dei filosofi
313 La Chiesa Cattolica e l'inizio della vita personale
336 Nuove ipotesi epígenetíche
350 Le scelte della Chiesa Cattolica
363 Cosa sappiamo oggi della riproduzione
385 Analisi della discussione attuale sull'inizio
    della vita personale
442 È ora di parlare di tecniche, ma non c'è solo
    la contraccezione
444 L'infanticidio
453 L'aborto

    PARTE TERZA
    Il controllo della natalità

499 La contraccezione
504 La Chiesa e la contraccezione
551 I metodi naturali
565 Il coito interrotto e le sue varianti
575 Sternuti e colpi di tosse
579 Il preservativo
587 Diaframmi, cappucci e spugne.
    Un po' di storia del diaframma
604 Gli spermicidi. Una storia non sempre simpatica
610 I contraccettivi intrauteríni
660 Le pozioni, i farmaci, gli ormoni
723 Come funziona la pillola
729 Appunti di fisiologia della riproduzione
735 Effetti generali della pillola
750 I «benefici» della pillola
765 Gli effetti collaterali «minori»
786 I guai e le complicazioni
828 Il bene e il male delle pillole:
    perché è così difficile conoscerlo?
848 Controindicazioni assolute o relative, vere o presunte
855 Molti ormoni, molte pillole, vari dosaggi,
    differenti schemi
861 L'interferenza di altre cure
863 Possibili guai, possibili rimedi
872 I quesiti più frequenti
877 La contraccezione con i soli progestinici
890 La contraccezione d'emergenza
902 Gli inibitori dell'impianto embrionale
908 L'anticoncezione ormonale maschile
925 I vaccini
927 La contraccezione definitiva
965 Conclusioni
983 Libri consultati

 

 

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Pagina IX

Prefazione


In tempi abbastanza recenti una persona alla quale non sono simpatico ha detto tutto il male possibile di me, citando larghi brani di uno dei miei libri (o forse di più di uno) per chiedersi alla fine come poteva un medico contraddirsi a tal punto da diventare un paladino del referendum sulla legge 40/2004 (ricordate il referendum sulla fecondazione assistita?) dopo aver ripetutamente sottolineato i problemi, i difetti e i rischi delle tecniche di riproduzione assistita nei suoi scritti precedenti. Questo signore ha mancato il colpo grosso di un millimetro: se fosse andato sul mio sito (www.carloflamigni.com) avrebbe trovato una lunga serie di articoli nei quali descrivo con ancora maggior puntualità gli inconvenienti, i problemi, le possibili complicazioni e i molti dispiaceri che possono capitare a chi cerca un figlio con queste tecniche. Se qualcuno fosse interessato a questi problemi, potrà trovarvi un lungo e aggiornato articolo sui possibili malanni che possono capitare ai nati da FIVET e da ICSI, e leggere persino parole di critica ad alcune tecniche che, a mio avviso, dovrebbero essere usate solo residualmente e che meritano ancora l'attenzione di uno studio sperimentale.

Quello che l'uomo che mi trova antipatico non ha capito è che questa è la medicina: tutto quello cui mette mano ha costi e benefici, che debbono essere spiegati con grande chiarezza ai cittadini (questa spiegazione ha un nome – lo dico solo per cercare di rendere il mio detrattore un po' più indulgente – e si chiama consenso informato), ai quali solo deve poi spettare la scelta se fare o non fare una certa cosa (assumere un farmaco o sottoporsi a un intervento chirurgico) per la semplice ragione che nessun altro può scegliere per loro e la delega, in materia di salute, non dovrebbe mai trovare spazio.

Spero che questo signore così poco gentile non legga mai questo libro, perché se lo facesse la sua disistima raggiungerebbe livelli di soglia, quelle risonanze affettive così forti che finiscono col far male a chi le prova, e io non voglio che ad uno dei miei pochissimi lettori accada qualcosa di male.

È vero infatti, e chi andrà avanti nella lettura dí questo libro lo scoprirà, che ho sempre criticato alcuni aspetti della contraccezione e del controllo delle nascite. E come avrei potuto fare altrimenti? La contraccezione ha una storia tuttaltro che trasparente una storia resa molto poco lusinghiera dall'interferenza continua della «scienza post-accademica», complicata da un grande numero di sperimentazioni «in corpore vili», avvilita da molte menzogne, da molte bugie, da molti ricatti. Il risultato di questa lunga (e oscura) storia è che oggi abbiamo a nostra disposizione un gran numero di mezzi anticoncezionali che il tempo, l'esperienza e molti errori hanno reso più maneggevoli e meno pericolosi, ma che richiedono pur sempre, da chi ne prescrive l'impiego, cultura, competenza e prudenza.

La medicina, penso di averlo scritto molte volte, non e una scienza, ma una disciplina empirica che si basa sui consensi e i consensi, oltre ad essere sempre momentanei, cominciano a morire nello stesso attimo in cui cominciano a formarsi. È necessario che queste cose si conoscano ed è bene che i medici ne parlino, con chiarezza e con semplicità. È con le conoscenze che sono disponibili in quel preciso istante che il cittadino dovrà confrontarsi nel momento del bisogno; è valutando il rapporto costi-benefici che potrà essere dedotto da queste conoscenze che il cittadino potrà arrivare a compiere una scelta coerente e consapevole.

Ho passato molto tempo, nei quasi cinquant'anni della mia vita professionale, ad insegnare alle donne e agli uomini come evitare le gravidanze non desiderate e altrettanto tempo a indicare loro il modo di ottenere il risultato opposto. Ritengo che l'anticoncezione moderna sia, alla resa finale dei conti, un reale progresso civile e sono sicuro che è solo grazie a questo progresso che a molte donne sono stati risparmiati dolore, umiliazione, drammi personali. Questo non cambia la storia e non fa dei metodi anticoncezionali che sono a nostra disposizione del metodi perfetti. Le mie analisi critiche hanno scopi positivi perché si propongono di insegnare alla gente (e qualche volta anche ai medici) l'uso migliore possibile di ciò di cui disponiamo.

Le mie critiche hanno però anche un altro scopo. Io so, per aver parlato con molte persone e per aver lavorato per molti anni nel campo della divulgazione medica, che molti cittadini hanno paura della scienza e molti altri hanno avversione per quello che chiamano scientismo, la fiducia acritica nella scienza.

Ebbene, io sono fermamente convinto che questi timori sono immotivati. Personalmente considero la scienza come un investimento sociale, uno dei più importanti e onerosi tra gli investimenti sociali. La società investe nella ricerca scientifica perché ritiene di poter ricavare da questo suo investimento nuove conoscenze e nuovi progressi, capaci di migliorare la qualità della sua vita. Se è così – e credo proprio che sia così – la scienza deve alla società una serie di cose: comunitarismo, ad esempio, e trasparenza, disinteresse, scetticismo organizzato. La società ha il diritto di porre argini al progresso della tecnologia e di indirizzare – almeno in linea di principio – lo sviluppo delle conoscenze verso le mete che ritiene più utili e più opportune. Di questa scienza non dobbiamo aver paura.

Ma la scienza non è solo questo, ed esiste una ricerca scientifica che viene genericamente definita «post-accademica» che questi obblighi, nei confronti della società, non ritiene di doverli avere. Il rischio – ed esistono prove che non si tratta più solo di un rischio – è che si assista ad una tracimazione, che cioè la scienza post-accademica finisca con l'occupare spazi che non le competono. È un rischio grave, che potrebbe oltretutto minare – giustamente – la nostra fiducia nella scienza. Di questo, nel libro che avete in mano e che qualcuno di voi leggerà, ho parlato diffusamente.

Non posso terminare questa introduzione senza un breve cenno di saluto all'uomo di poco conto. Ha, in fondo, la mia comprensione: se è arrivato a questo punto nella lettura si chiederà a lungo cosa ho voluto dire, poi chiederà consiglio (avrà pure anche lui un padre spirituale) e scriverà un lungo articolo di critica. Su un giornale che non pubblicherebbe mai le mie precisazioni. Torno sempre, con la memoria, a una frase che mio padre ripeteva spesso: l'unica cosa che può dare una pur vaga idea dell'infinito è la dabbenaggine degli uomini.

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Pagina 5

Premessa


Pianificare la famiglia, cioè stabilire il numero di figli che è opportuno e saggio avere, tenendo conto della nostre condizioni economiche, della nostra salute, della nostra età, di quello che pensiamo della vita e della genitorialità, della nostra capacità di impegno, del nostro senso di responsabilità, dovrebbe essere un atto semplice e meritorio, al quale tutti dovrebbero dedicare attenzione. È opportuno aggiungere che la pianificazione della famiglia dovrebbe essere resa più semplice dalla società in cui viviamo, che ci dovrebbe informare e assistere nel modo più attento possibile, proprio perché evitare di far nascere figli non desiderati dovrebbe essere interesse comune, dunque dovrebbe avere rilevanza sociale.

Per agevolare i cittadini, di qualsiasi età e di qualsiasi classe sociale, a pianificare la propria famiglia, la società dovrebbe anzitutto fornire a tutti quegli strumenti culturali che sono necessari per «capire e scegliere», in altri termini per poter gestire la propria vita personale o la propria vita di coppia nel modo più sereno possibile, con una vita sessuale libera da rischi procreativi. Cultura, quindi, per prima cosa, e poi mezzi contraccettivi adeguati.


Come pianificare la famiglia

Quando parlo di una gestione serena della vita personale, mi riferisco a molte cose insieme: a non dover ricorrere ad una interruzione di gravidanza, ad esempio; a poter disporre di contraccettivi «non problematici», il che è a dire semplici da utilizzare, accettabili sul piano morale e religioso, sicuri, privi di effetti collaterali, non costosi, senza effetti duraturi sulla fertilità. Sto parlando di una contraccezione che, malgrado i grandi progressi compiuti recentemente, ancora non c'è.

L'evidente ritardo degli studi sulla contraccezione rispetto al rapido progresso della medicina in molti altri settori della ricerca ha molte cause e di queste cause avrò modo di parlare. Per ora mi limito a sottolineare una cosa: non esiste altro campo, nella medicina, nel quale si sia sentita una così forte pressione della morale e delle religioni come in quello che ha a che fare con il concepimento e con la nascita di un figlio. E questo è vero sia che si ragioni su metodi che intendono impedire la gravidanza, sia che si tratti di tecniche messe a punto per la cura della sterilità.


I problemi morali della fertilità

Così se guardiamo indietro e consideriamo la storia dell'umanità, se accompagniamo l'uomo nel suo viaggio dai primi momenti in cui la sua vita è stata illuminata dalla cultura fino ad oggi, lo scopriamo sempre alle prese con gli stessi complessi problemi e con le stesse intriganti domande: quando comincia la vita; quando si forma l'individuo umano. Domande complesse, alle quali cercava di rispondere, con fatica, la prima biologia (quella che non aveva ancora stabilito che la «nozione di vita» non era affar suo) e, con perplessità, la filosofia. Risposte incerte, spesso fantasiose, altrettanto spesso non adeguate: ma da esse dipendevano comportamenti concreti, scelte importanti nella vita quotidiana.

Non credo che il dibattito su questi temi, che ha impegnato filosofi e scienziati per oltre duemila anni, possa essere trascurato, soprattutto se si vuoi capire qualcosa della storia della pianificazione familiare e della contraccezione. È per questo che la prima parte di questo libro non tratterà in modo specifico del controllo delle nascite, ma cercherà di illustrare il cammino percorso dalla cultura biologica e filosofica relativa ai meccanismi della procreazione, da Aristotele in poi.

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Pagina 499

La contraccezione


Ho finora raccontato la storia del controllo delle nascite, dai primi accenni alla possibilità di separare la vita sessuale dalla vita riproduttiva che si trovano nei papiri dell'antico Egitto e negli scritti della ancora più antica Cina, a ieri.

Ora scriverò invece della contraccezione alla quale possono fare ricorso le donne e gli uomini di oggi, quella che passa impropriamente con il nome di «contraccezione moderna». In realtà, cosa ci sia di moderno nel coito interrotto o nell'introduzione in vagina di sostanze spermicide qualcuno me lo dovrà spiegare, prima o poi. Il «coito inter-femora» veniva utilizzato in tempi nei quali nessuno aveva ancora ben compreso il rapporto tra il seme maschile e il concepimento; l'elenco delle sostanze che una donna potrebbe introdurre in vagina per evitare una gravidanza occupa molte pagine degli scritti degli erboristi greci e romani. Parleremo dunque di contraccezione attuale, non di contraccezione moderna.

Di questa contraccezione «dei nostri giorni», comunque, non mi sento di poter dare un giudizio del tutto positivo. Chi leggerà questo libro, vi troverà molte delle ragioni che giustificano le mie perlessità. Proverò a riassumerle qui, anche correndo il rischio di qualche ripetizione.

Viviamo in un mondo nel quale una gran parte delle donne e degli uomini ha scelto – molto probabilmente in modo definitivo - di assegnare un preciso valore (umano, psicologico, sociale) alla libertà sessuale. Si è trattato di una scelta difficile, ostacolata da molti pregiudizi e da molti condizionamenti e alla quale molte persone sono ancora costrette a rinunciare. Gli ostacoli alla diffusione di questo principio - la libertà sessuale intesa come diritto primario e come forte valore soggettivo - è stata ed è ostacolata dalla condizione femminile, forse il maggior problema con il quale la società è ancora oggi costretta a confrontarsi. Non è neppure necessario uscire dall'Europa per scoprire che un gran numero di donne non ha diritto a scelte personali, perché c'è un uomo (il padre, un fratello, il marito) che sceglie per lei. In molte società uno dei massimi pregi della donna è ancora la sua verginità, e cercare di trovar marito a una donna che questa verginità ha perduto magari non per scelta sua - è come andare al mercato e vendere mele marce. Questa condizione non è mantenuta in vita da abitudini tribali, destinate a dissolversi al primo contatto con una società moderna: è stabilmente arroccata sui princìpi e sui dogmi delle religioni, e malgrado la pressione dei molti movimenti per la liberazione della donna è destinata a restare com'è per chissà quanto tempo.

Su questa condizione, la società moderna finge un'indignazione che in realtà non prova: in effetti, anche gli uomini più democratici e moderni sono condizionati dall'abitudine e dalla tradizione, e oltre qualche gesto di generica protesta e, magari, qualche articolo di critica colta e sagace scritto sui quotidiani «politicamente corretti », non vanno. Se non fosse così, ci dovrebbe esssere una quotidiana autocritica dedicata ai danni che ha dovuto subire la società per aver dovuto rinunciare, così spesso e in tanti luoghi, al contributo fondamentale delle donne, che non sono solo «l'altra metà del mondo», ma ne rappresentano la metà più bella e più saggia. Se non fosse così, dovremmo tutti decidere di disertare chiese e moschee per il solo fatto che escludono le donne dal sacerdozio. Questa esclusione, in fondo, perpetua l'antico disprezzo, il sospetto, la paura, che le donne hanno sempre suscitato negli uomini: la donna sterco del demonio, inaffidabile, peccatrice, infedele, perversa, capace di contagio.

Eppure, malgrado tutto, il principio della libertà sessuale si è fatto strada, le nuove generazioni lo considerano un diritto inalienabile. È vero, non è così per tutti, ci sono persone che a questo diritto rinunciano: ma rinunciare significa non far uso di qualcosa che comunque è nostro. Per quanto mi sembra di capire, questa rinuncia, che è relativamente frequente, si basa su un principio condivisibile: la libertà sessuale non è strutturante, né per gli uomini né per le donne, se non è arricchita dall'affettività. Come vedete non uso la parola amore, che avrebbe in questo contesto un significato ambiguo. L'affetto, invece, ci sta e ci sta bene. Senza l'affetto – e forse anche senza il rispetto reciproco e senza un dialogo intimo e profondo – l'atto sessuale può diventare molto simile a un esercizio di ginnastica. Del resto, Alieto Tibuzzi, da vecchio, diceva che dei suoi trascorsi amorosi giovanili ricordava solo «le grandi sudate».

Per poter usufruire liberamente di questo nuovo privilegio, i giovani hanno bisogno di sesso sicuro, libero dal rischio procreativo. E di sesso sicuro hanno bisogno anche i meno giovani, che hanno organizzato la loro vita e hanno bisogno di poter rispettare la pianificazione che hanno scelto per la loro famiglia. Una gravidanza indesiderata significa, per un giovane, dover cambiare il proprio progetto di vita, abbandonare qualche sogno, lasciar cadere qualche speranza, adattarsi ad una nuova realtà, certamente inattesa e non benvenuta. Per una coppia sposata, una nuova gestazione non pianificata significa dover fare di nuovo tutti i conti e cominciare a fare una lista delle rinunce, per sé e per i figli già nati. Oppure, l'aborto.

Nella seconda parte di questo libro ho scritto a lungo di aborto volontario, e credo che nessuno mi possa accusare di non averne sottolineato gli effetti più tragici e dolorosi. Ma le coppie che decidono di interrompere una gravidanza, questi effetti li conoscono altrettanto bene quanto li conosco io, il loro problema è quello di essere costrette a fare una scelta tra mali diversi. Se scelgono di abortire, significa, al di là di ogni dubbio, che l'altra scelta, la scelta alternativa, era ancora più tragica. Egoismo? E chi siamo noi per poterlo dire? Abbiamo forse costruito una società così saggia, generosa e moralmente ineccepibile da indirizzare inevitabilmente tutte le coppie verso la scelta del figlio? Non scherziamo.

È vero comunque che è questo, il rischio di una gravidanza non desiderata, a rendere indispensabile una contraccezione sicura. Mi vengono in mente due giocatori di tennis che sono intenti in una partita divertente, e che si sentono appagati e felici: ma attraverso la rete passa una corrente ad alta tensione, e basta toccarla che scatta la tragedia, e i due tennisti lo sanno. Forse, allora, sono meno appagati e meno felici di quanto supponevano. Non c'è scampo, quella corrente va disattivata.

Gli strumenti per evitare il rischio di una gravidanza non desiderata ci sono, anche se — come scoprirete sono peggiori di quanto potrebbero essere se la ricerca scientifica si fosse occupata di loro con maggior impegno, maggior serietà, maggior onestà. Debbo ammettere che, al di là delle critiche, non è stato facile neppure ottenere quello che abbiamo. L'anticoncezionale ideale dovrebbe avere una serie di prerogative molto difficili da concentrare in un'unica proposta: semplice, facile da apprendere, privo di effetti collaterali, assolutamente sicuro, ineccepibile dal punto di vista morale e religioso, senza conseguenze sulla fertilità, senza effetti sulla sessualità. Molto semplicemente, questo anticoncezionale non c'è. E poiché non c'è e dobbiamo arrangiarci con quanto ci è stato messo a disposizione, è indispensabile che impegnamo la scienza a cercarlo e la società a utilizzare il disponibile al meglio.

Cosa possiamo aspettarci in questo campo dalla ricerca scientifica non lo so, ma ho la sensazione che sia bene non aspettarci troppo. Per quanto ci è dato capire, i migliori mezzi anticoncezionali potrebbero ancora derivare dalla ricerca ormonale, ma perché ciò avvenga sarebbe necessario un notevole investimento economico, che non mi sembra molto probabile. Per sperimentare un nuovo progestinico sono necessari anni e anni di lavoro e molti soldi, e la mia impressione è che le case farmaceutiche preferiscano consolidare quanto hanno a disposizione e non abbiano veri motivi per cercare del nuovo. Mi sembra esemplare, a questo proposito, quanto sta accadendo per la contraccezione ormonale maschile: la ricerca clinica è abbastanza vicina al successo, ma questo successo non interessa a nessuno perché non si ritiene che gli uomini siano in realtà disponibili per questi contraccettivi. Comunque, la storia della contraccezione ormonale è talmente tortuosa e così poco trasparente che c'è da chiedersi se ci sia una reale convenienza a darle ulteriore spazio, sempre ammettendo che esista una convenienza economica che faccia considerare attraente questo possibile spazio.

Per utilizzare al meglio la contraccezione della quale disponiamo, esiste una sola possibilità, che è quella di dare rilievo all'educazione sessuale. In teoria, rendere i giovani più consapevoli dei rischi ai quali la libertà sessuale può esporli, insegnare loro qualcosa di più sui molti temi correlati con la vita di coppia – temi che non riguardano solo la biologia, ma anche la psicologia e la morale – dovrebbe essere uno dei compiti primari di tutti gli educatori. Sappiamo bene che non è così. Non mi sembra che molto sia cambiato da quando, a metà degli anni Settanta e in coincidenza con l'apertura dei primi consultori a Bologna, andavamo nelle scuole a incontrare talora gli studenti, più spesso i loro insegnanti, per parlare di vita sessuale, di contraccezione, di aborto. Non trovammo solo ostacoli, incontrammo un'ostilità preconcetta, spesso venata di un'antipatia inspiegabile e che si esprimeva in gesti abbastanza incomprensibili. Ricordo minacce di ritorsioni, ricordo un preside che fece disinfettare l'aula nella quale avevo parlato e un procuratore della repubblica che mi faceva la posta. Temo che sia cambiato proprio poco.

Su questi argomenti potrei (forse dovrei) scrivere a lungo, ma non sono sicuro che ne valga la pena. Mi limito perciò a sottolineare la scarsa congruenza del Magistero cattolico, che sembra più ostile alla contraccezione di quanto non lo sia all'aborto e che così facendo si assume la responsabilità di sottrarre a molte coppie il mezzo più utile di prevenzione delle gravidanze non desiderate. La contraccezione «naturale» è basata sulla rinuncia e sull'astinenza, e trova assai poca comprensione in molti fedeli, che finiscono in una sorta di terra di nessuno, nella quale non si può usare la pillola e si disdegna il metodo di Billings, con i risultati che potete immaginare. Dell'esistenza di uno scisma sommerso, almeno su questi temi, eravamo tutti consapevoli da un pezzo, anche perché era evidente a tutti l'irrazionalità che informava le scelte dei cattolici: una vita sessuale finalizzata solo alla riproduzione si può anche immaginare, ma se lo si fa si debbono accettare anche le conseguenze estreme di questo principio, niente sesso in menopausa, niente sesso fuori dalla fase ovulatoria, e così via.

Questi argomenti verranno ripresi più volte in questo libro e mi limito per ora ad accennarli. E per dimostrare un minimo di coerenza comincerò proprio dal tema che mi sembra più importante, soprattutto nel nostro paese che, per ragioni storiche, viene influenzato più di ogni altro paese occidentale dalle scelte di una religione: il rapporto tra il cattolicesimo e la contraccezione.

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Pagina 872

I quesiti più frequenti


Sui tempi di assunzione della pillola (tre mesi? tre anni? ad libitum?) si sono sbizzarrite le teste più incompetenti che sia possibile trovare tra i ginecologi, così il nostro Paese è divenuto noto per aver elaborato una personale tecnica di somministrazione (tre mesi sì, uno no) caratterizzata da un elevato numero di gravidanze indesiderate — quando si sospende la pillola, l'ovulazione si ripresenta in modo irregolare — molti effetti collaterali (i primi cicli e i cicli di riassunzione sono sempre i peggiori) e nessun vantaggio reale.

In linea di principio, la pillola anticoncezionale dovrebbe essere assunta per periodi lunghi, anche per diversi anni di seguito. Ragioni per sospenderla sono: la comparsa di qualche tipo di disturbo (come un dolore a una gamba, che potrebbe essere il segnale di una flebite); qualcosa che non va negli esami di laboratorio (eseguiti, come ho detto, dopo tre mesi di assunzione e poi una volta all'anno); la decisione di cercare una gravidanza; la condizione psicologica di chi proprio non ne può più di prendere una compressa, quella compressa, in pratica tutti i giorni.

Ci sono invece condizioni che debbono indurre a considerare l'opportunità di smettere, ma che non sono vincolanti. È comparsa, per esempio, una brutta cellulite, che tende ad aumentare in modo preoccupante; c'è stato un aumento di peso che proprio non si riesce a smaltire, malgrado che la dieta sia sempre la stessa. In questi casi è anche bene fare un esame di coscienza. La cellulite è una cosa molto brutta esteticamente, alla quale si attribuiscono diverse paternità: sicura di non mangiare male? di fare abbastanza sport? ha provato con i massaggi? non è che la mamma ce l'abbia uguale senza aver mai preso la pillola per tutta la vita? E circa questo inspiegabile aumento di peso, sappiamo pur tutti che il metabolismo si modifica e la nostra capacità di bruciare zuccheri e grassi diminuisce in un certo numero di circostanze (in gravidanza, per esempio, nei periodi di stress e, perché no, durante l'assunzione di ormoni). Non converrà, dunque, cambiare alimentazione?


Cosa succede dopo la sospensione

La pillola, come ho più volte detto, esercita il suo potere anticoncezionale prevalentemente attraverso un'inibizione dell'asse ipotalamo-ipofisario. Questa inibizione può persistere anche dopo la sospensione della cura, soprattutto in ragazze giovani e predisposte e per brevissimi periodi. L'amenorrea postpillola, un tempo considerata una complicazione abbastanza frequente dell'uso prolungato di anticoncezionali ormonali, in effetti non esiste o quasi, e i disturbi del ciclo si limitano a blocchi mestruali di un paio di mesi e a qualche irregolarità; se la mestruazione non compare per periodi più lunghi, è bene tornare a verificare quello che è successo nei mesi di assunzione della pillola, perché è molto probabile che lì ci siano le cause vere dell'anovulatorietà cronica (una diminuzione di peso, per esempio, o uno stress).

Le donne che decidono di sospendere la pillola per cercare un figlio, possono concepire con qualche ritardo, soprattutto se hanno più di 30 anni e se non hanno mai avuto figli. Comunque, entro due anni, il 90% delle donne che ha fatto uso di anticoncezionali ormonali, inizia una gravidanza, e questa percentuale è del tutto simile a quella relativa alle donne che hanno fatto uso di diaframma o di preservativi. Le ragioni di questo lieve ritardo non sono note; quello che è certo è che la pillola anticoncezionale non determina sterilità.

Per qualche tempo si è temuto che l'uso prolungato di estroprogestinici potesse determinare modificazioni degli oociti, tanto da provocare un aumento del numero di aborti di malconformazioni fetali e addirittura di gravidanze multiple; per questa ragione si consigliava alle donne che avevano preso la pillola di attendere per un certo periodo di tempo (tre mesi? sei mesi? un anno?) prima di cercare una gravidanza. Certamente la percentuale di aborti e di morti fetali, nelle gravidanze insorte immediatamente dopo la sospensione della pillola, non è aumentata (anzi, è un po' inferiore alla norma). Ugualmente non c'è alcun aumento nella frequenza di malconformazioni fetali e di anomalie cromosomiche, e l'unica cosa vagamente verosimile, in questa specie di leggenda che ogni tanto qualcuno ancora mi racconta, riguarda un modesto aumento della nascita di gemelli, correlato soprattutto con la durata dell'assunzione della pillola. I bambini nati da queste gravidanze sono stati oggetto di particolari attenzioni e seguiti a lungo dopo la nascita: nessun dato, nessuna caratteristica, nessuna qualità, sono risultati diversi dalla norma.

In definitiva, l'unica ragione per raccomandare a una ragazza che ha appena sospeso la pillola di aspettare un paio di mesi prima di cercare un figlio, è dovuta alla difficoltà di datare l'ovulazione (e, quindi, l'inizio della gravidanza) in questo primo periodo, cosa che può comunque essere semplicemente risolta con la registrazione della temperatura basale.


Pillola e allattamento

Assumere una pillola anticoncezionale durante l'allattamento peggiora la qualità e la quantità del latte; inoltre gli steroidi della pillola – e soprattutto i progestinici – passano nel latte e quindi vengono assunti dal bambino (che poi gli facciano male è tutto da dimostrare, poiché non esistono prove di effetti collaterali sfavorevoli anche nei casi in cui l'assunzione è stata protratta a lungo). Se l'alimentazione materna è normale, i bambini crescono regolarmente anche se la madre prende la pillola sin dall'inizio; l'allattamento viene comunque quasi sempre sospeso dopo 5-6 mesi per la diminuzione del volume di latte prodotto. C'è, a questo proposito, la tendenza a consigliare anticoncezionali diversi dalla pillola (per esempio la minipillola, che non sembra avere effetti sull'allattamento), tenendo conto del fatto che l'allattamento al seno, di per sé, esercita un'azione antiovulatoria.


Il problema dell'età

Esistono varie ragioni – malattie, o tendenza ad ammalarsi di particolari malattie – per cui una donna non dovrebbe assumere estroprogestinici come anticoncezionali e di queste controindicazioni ho già avuto modo di parlare. Un problema del quale non ho ancora scritto e che mi sembra particolarmente importante è quello dell'età: è giusto dare estroprogestinici a un'adolescente? E a che età bisogna sospendere l'assunzione della pillola?

Una giovane donna che mestrua ancora irregolarmente (come accade a gran parte delle ragazze nei primi anni di vita ginecologica) potrebbe avere in effetti qualche rischio di sviluppare un'amenorrea secondaria, ma si tratta di una probabilità molto bassa ed è comunque possibile che l'amenorrea si risolva da sola in tempi accettabili (6-12 mesi). In linea di principio, una volta registrata la capacità della ragazza di ovulare, è meglio preoccuparsi del suo rischio concezionale e darle una pillola. I timori di una chiusura delle epifisi e di un possibile arresto della crescita staturale, sono infondati: gli estrogeni hanno già cominciato a favorire questi processi prima del menarca, e gli estroprogestinici non interferiscono.

Il problema della sospensione dell'uso dei contraccettivi ormonali, una volta raggiunta una determinata età, sembra aver perso molto significato oggi, con l'introduzione dei bassi dosaggi. Un tempo si consigliava a tutte le donne di sospendere la pillola intorno ai 40 anni (o addirittura prima, soprattutto nel casi che fossero obese o che fumassero più di 5 sigarette al giorno). Le limitazioni sono mantenute, oggi, soprattutto per le fumatrici, ma non ci sono praticamente più controindicazioni assolute determinate dall'età. Bisogna usare il buon senso e tener conto del fatto che, soprattutto dopo i 45 anni, le probabilità d'imbattersi in qualche tipo di controindicazione relativa sono elevate.


Evitare la mestruazione

Infine, ci sono molte ragazze che chiedono di posporre il periodo della mestruazione (perché proprio in quel periodo si vogliono sposare, o vanno in vacanza). In questi casi è sufficiente omettere la settimana d'intervallo e cominciare una nuova serie di pillole. Non è necessario prendere tutte le 21 pillole della nuova scatola anche perché, con gli attuali bassi dosaggi, è probabile che compaia uno spotting (piccola perdita ematica a stillicidio) o una vera e propria piccola emorragia (comunque non superiore a una mestruazione) da pillola. Si può quindi interrompere l'assunzione in qualsiasi momento (in genere dopo 10-15 giorni) e poi ricominciare con lo schema consueto (una settimana d'intervallo, tre di assunzione e così via). Un buon consiglio pratico è quello di cominciare a prendere la pillola (parlo del primo ciclo, quello di esordio) la prima domenica dopo la mestruazione: sarà più facile ricordare i tempi e non ci saranno mestruazioni durante i weekend. Se non si vogliono correre rischi, è meglio che questo primo ciclo, almeno per una decina di giorni, non venga considerato sicuro dal punto di vista anticoncezionale.

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La chiusura dei deferenti

La contraccezione chirurgica viene eseguita, nell'uomo, allo scopo di limitare il numero di figli e di proteggere la salute della sua compagna, salute che potrebbe essere compromessa dalle gravidanze indesiderate e persino dall'utilizzazione delle tecniche anticoncezionali più sicure. Manca, naturalmente, l'indicazione terapeutica, visto che l'uomo non ha bisogno di essere protetto nei confronti dei rischi di una gravidanza.

I metodi anticoncezionali che un uomo può utilizzare, non sono certo numerosi. Ho già spiegato come l'anticoncezione ormonale sia ancora sperimentale, così ché a un maschio resta solo l'uso del preservativo, del coito interrotto e della vasectomia. E non è, a quanto si sa, che questi metodi piacciano granché agli uomini che ne debbono fare uso, anche perché esiste un diffuso atteggiamento mentale che tende ad attribuire tutto il carico del controllo delle nascite alle donne.

Il numero di uomini che si sono fatti e si fanno sterilizzare è molto alto, soprattutto in alcuni paesi; è però possibile che un grande numero di queste scelte siano state influenzate dalle direttive e dalla propaganda dei governi e che talora siano stati addirittura esercitati strumenti più o meno evidentemente coercitivi e sicuramente lesivi delle libertà personale. Di qui, la grande frequenza di reazioni psicologiche negative e l'ancora più elevato numero di pentiti, alla ricerca – con maggiore o minore fortuna – della fertilità perduta.


Una rinuncia difficile

Sembra comunque che per l'uomo, forse piu ancora che per la sua compagna, la rinuncia definitiva alla riproduzione appaia la più conflittuale e forse la meno accettabile tra tutte le opzioni contraccettive. La gestione della propria potenzialità riproduttiva sembra dunque investire tessuti della natura umana a noi ancora ignoti e imprevedibilmente ribelli e dolenti: indurre una sterilità permanente può dunque evocare risonanze psicologiche altamente dolorose e sgradevoli, anche nelle persone che hanno scelto di essere sterilizzate in perfetta buona fede.

Molte ricerche sono state dedicate a prendere in esame le condizioni socio-economiche, culturali, familiari e psicologiche delle persone che vengono sottoposte a interventii di sterilizzazione, per cercare poi di interpretare gli effetti che questo evento ha determinato nelle loro vite. Lo scopo di queste ricerche è prevalentemente quello di costruire protocolli di indagini preliminari e stabilire regole di esclusione dalla sterilizzazione, nel tentativo di ridurre le conseguenze negative di ordine psicologico e sessuale e, soprattutto, di diminuire il numero dei pentiti.

Per quanto ci è dato sapere, lo stato socio-economico – valutato in termini di educazione, occupazione e reddito – influenza poco la decisione degli uomini di farsi sterilizzare. È però vero che il ricorso alla sterilizzazione è più frequente nelle persone economicamente più disagiate quando non sono facilmente fruibili altri mezzi contraccettivi: in India, ad esempio, la maggior parte degli uomini sterilizzati non ha usato (e non conosce) altri metodi contraccettivi prima dell'intervento. C'è però qualche dato che sembra in contraddizione con quanto ho appena scritto sul rapporto tra condizioni socio-economiche e richiesta di intervento. In alcuni paesi, infatti, la sterilizzazione è adottata, dapprima, dagli uomini in migliori condizioni economiche, che vengono successivamente emulati dalle classi più indigenti. Negli Stati Uniti sono gli uomini delle classi più ricche e le donne delle classi più povere a ricorrere alla sterilizzazione, ma ciò è naturalmente possibile se l'accesso agli interventi è libero per entrambi. Inoltre – e questo è un ulteriore condizionamento sociale – la richiesta di sterilizzazione maschile aumenta quando le mogli sono impegnate in attività extra-moenia.


Fertilità e virilità

Non esistono studi convincenti sull'esistenza di un rapporto tra la sterilizzazione e le variabili culturali, anche se alcuni ricercatori ritengono che la cultura possa essere un ostacolo alla sterilizzazione volontaria. Personalmente trovo questa ipotesi difficile da accettare. Per quanto mi è sembrato di capire, una delle maggiori resistenze che l'uomo oppone a questa scelta riguarda la sua tendenza a identificare la propria fertilità con la propria virilità, un atteggiamento mentale che non solo è comune a molti uomini, ma che rappresenta un ostacolo persino nei confronti della sterilità temporanea, così come potrebbe derivare dall'uso di un contraccettivo ormonale. Ebbene, questo modo di pensare è molto condizionato dalla cultura, e molte persone tendono a ripudiarlo proprio perché sono culturalmente capaci di riconoscerlo come errore. Ne è prova indiretta il fatto che in epoche non lontane i giovani maschi occidentali ostentavano un segnale dell'avvenuta sterilizzazione (un doppio nodo della cravatta) proprio come messaggio sessuale da inviare alle donne (cioè: puoi scegliermi tranquillamente, non ti metterò nei guai). D'altra parte, almeno per quanto so, la campagna di propaganda che ha portato alla sterilizzazione di un numero molto alto di uomini nei paesi non industrializzati non è stata certamente rivolta ai laureati.

Neppure la religione sembra avere grande importanza in questo contesto, e la sterilizzazione viene praticata da induisti, musulmani, protestanti, cattolici e seguaci dì Confucio. È dunque probabile che coloro che citano le proprie convinzioni religiose come motivi per non sottoporsi alla sterilizzazione (cosa che accade frequentemente in India e negli Stati Uniti) abbiano in realtà ragioni molto diverse e probabilmente più importanti. D'altra parte, l'influenza delle religioni non può essere sottovalutata, poiché esse possono esercitare pressioni sui governi, rendendo difficile (o impossibile) l'accesso legale all'intervento. Nei paesi in cui dominano il cattolicesimo e l'islamismo, ad esempio, la sterilizzazione non è sempre eseguita, soprattutto perche la comunità medica può non essere disponibile. Poiché viene così a mancare il supporto attivo (anche culturale), il risultato prevalente è quello di una totale ignoranza nei confronti del metodo.

Negli Stati Uniti, afro-americani e ispano-americani si sottopongono malvolentieri alla sterilizzazione, ma le ragioni di questa contrarietà non sono state del tutto comprese. Gli interventi sono poi molto più diffusi nelle città che nelle campagne, ma questo potrebbe essere il risultato di una diversa disponibilità dei servizi.

Non sono riuscito a trovare, nella letteratura medica, dati omogenei relativi alle conseguenze della sterilizzazione chirurgica nell'uomo. Esiste, come tendenza, una diminuzione della frequenza dei rapporti sessuali e del desiderio sessuale, soprattutto in alcuni paesi asiatici, Ci sono uomini che, dopo l'intervento, dichiarano di sentirsi più deboli e si assentano frequentemente dal lavoro, ma ce ne sono altri che, al contrario, affermano di avvertire un aumento delle proprie energie. Ci sono, soprattutto, moltissimi pentiti.


La tecnica chirurgica

La vasectomia è un vero e proprio intervento chirurgico e va eseguita secondo tutte le regole della chirurgia. Si può praticare anche in anestesia locale e può essere eseguita ambulatorialmente (nell'ospedale di Londra dove ho lavorato i pazienti venivano dimessi dopo poche ore), ma non c'è niente di sbagliato a proporre l'anestesia generale ai soggetti più emotivi (o se esistono patologie associate) e alcuni andrologi preferiscono ospedalizzare per 24 ore. Sono necessarie due piccole incisioni (1-2 cm) praticate simmetricamente sullo scroto longitudinalmente per raggiungere il deferente, avvolto nella sua guaina, afferrarlo con una pinza, portarlo all'esterno e isolarlo, rispettandone la vascolarizzazione. Si fanno passare due fettucce al di sotto del deferente, per tenerlo in trazione e quindi si procede alla vasectomia, cercando di evitare inutili traumatismi. Quí gli andrologi si sono veramente sbizzarriti, anche se la tecnica più diffusa consiste semplicemente nel sezionare e asportare un segmento di deferente di circa 1 cm, legando poi i capi sezionati con catgut cromico (o con fili non riassorbibili, come la seta, il nylon, o il lino). Questo metodo consente però una ricanalizzazione spontanea in più dell'1% dei casi, per cui sono state proposte varie alternative:

– ripiegare entrambi i monconi su se stessi prima di allacciarli;

– interporre, tra i due monconi, la guaina perideferenziale, in modo da non lasciarli sullo stesso piano;

– folgorare con corrente bipolare la mucosa endoluminale di entrambe le estremità per un tratto di circa 1 cm;

– applicare, sulla parete esterna dei deferenti, due clips di tantalio.

Vi risparmio le numerose modifiche proposte a queste tecniche, anche perché non mi sembrano particolarmente innovative.

Appena scomparsa la sensazione di dolore, i pazienti possono riprendere la normale attività sessuale, rispettando adeguate norme anticoncezionali per le prime 15-20 eiaculazioni o, in alternativa, per un periodo di almeno tre mesi. La migliore garanzia di aver conseguito una sterilità permanente è fornita dalla presenza di una azoospermia in almeno due spermiogrammi successivi.

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Conclusioni


Ho impiegato più di tre anni a completare questo libro, e la fatica maggiore non è certamente stata quella di scriverlo, ma piuttosto quella di leggere l'enorme quantità di testi che sono stati scritti sull'argomento e selezionare, buttare via, eliminare, cancellare (purtroppo) ignorare una gran parte delle cose che leggevo: non perché le trovassi inutili o ridondanti, ma perché nessuno mi avrebbe mai pubblicato un libro di 5.000 pagine.

Due cose mi sono capitate, però, durante questi anni di consultazioni e di letture: ho scoperto che la mia convinzione di conoscere bene l'argomento era in gran parte sbagliata; ho dovuto constatare, ancora una volta, ma in modo conclusivo, che la storia dell'umanità è stata scritta col sangue e con la sofferenza delle donne (soprattutto) e degli uomini e che la buona volontà di quei pochi che hanno cercato di alleviare le sofferenze di cui erano testimoni è valsa a ben poco.

Mi chiedo ora quale altro angolo di visione del mondo sveli una società altrettanto miserabile quanto quella delle donne e degli uomini del passato, considerati mentre tentavano di costruirsi una famiglia, utilizzando tutta la dignità di cui disponevano, sempre sperando di trovare un minimo di felicità, cercando di scambiarsi affetto e di volere ognuno il bene dell'altro. In una società nella quale dominavano violenza e miseria, lo stupro e la prostituzione erano patire quotidiano il primo, normale strumento di sopravvivenza la seconda. Tutto ciò in epoche in cui non c'era posto a tavola per un nuovo figlio, pena la denutrizione per quelli che a quel misero desco si accalcavano già.

Sembra di raccontare storie di epoche lontane, ma non è così. Il destino del «bambino deposto» nell'Africa contemporanea è di entrare in competizione con gli adulti per la sopravvivenza alimentare, oltretutto con la certezza di essere sconfitto. E so che le madri di quei bambini sono consapevoli della misera fine alla quale li condannano quando sono costrette, appunto, «a deporli».

Schopenhauer, nella sua Metafisica dell'amore sessuale, definisce il desiderio sessuale come l'espediente del quale il «genio della specie», cioè la volontà di sopravvivere, si servirebbe per favorire l'opera oscena e problematica della propagazione della vita. Al contrario, Max Scheler, nel libro sulla Desen und Formen der Sympathie ha cercato di valorizzare l'atto sessuale come forma di espressione della personalità umana e Sartre ha considerato la sessualità come una struttura fondamentale dell'esistenza umana in quanto esistenza nel mondo. Egli dice che «benché il corpo abbia un compito importante, bisogna riportarsi all'essere nel mondo e all'essere per altri; io desidero un essere umano, non un insetto o un mollusco e lo desidero in quanto esso è, ed io sono, in situazione nel mondo, e in quanto è un altro per me e io sono un altro per lui» (L'étre et le néant, 1943).

Io credo che in modo certamente diverso – meno complesso, meno colto, meno filosofico – un grande numero di persone pensi, della sessualità, la stessa cosa di Max Scheler e, forse, persino di Sartre. Per molti di noi l'atto sessuale è uno dei momenti più belli della vita quotidiana, quello in cui si comunicano cose che altrimenti non si riuscirebbe ad esprimere, in cui ci si vuol bene e ci si rispetta, si tenta la conoscenza reciproca attraverso l'esplorazione del piacere. E si cercano, qualche volta, responsabilmente, i figli. Qualche volta. Responsabilmente.

Sappiamo tutti cosa può diventare, a causa di un banale errore, di una disattenzione, di un attimo di irresponsabilità, questo incontro che avrebbe potuto essere bellissimo. Ne conosciamo le conseguenze; sappiamo a quali scelte può portare. La storia che ho cercato di raccontare, una storia che non può certamente essere considerata al termine, parla di un lungo e difficile viaggio che ha condotto l'uomo dalla orribile scelta di sacrificare i propri figli, alla messa a punto di metodi anticoncezionali sicuri. Per me è una storia di progresso e civiltà; per altri, come abbiamo visto, è l'immagine stessa della degradazione e dell'immoralità.

Ho speso molte pagine per spiegare le ragioni che hanno indotto molte donne e molti uomini cattolici a non tenere alcun conto di quel principio di «dignità della procreazione» che viene loro indicato come l'unico riferimento morale possibile. Non tornerò su questo argomento, se non per dire che è completamente fallito, per quanto mi è stato possibile capire, il tentativo di educare gli uomini a una «paternità responsabile» intesa nel ristretto e angusto significato di un necessario esercizio della continenza, secondo i controversi insegnamenti della Humanae Vitae: «È esclusa ogni azione che, o in previsione dell'atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione». Mi sembra che questo testo ribadisca, e si tratta certamente di una affermazione molto contestata, che la paternità responsabile deve essere «esercizio di vera prudenza umana e cristiana» o deve essere la risultante di un'educazione morale cristiana dell'uomo, rifiutando ogni seria valutazione del problema della contraccezione e del controllo delle nascite, o delle sue vaste implicazioni sociali e giuridiche. Ciò vuol dire, oltretutto, frapporre un ulteriore ostacolo proprio sulla via di quella rimozione delle cause dell'interruzione della gravidanza che si affermava di voler realizzare, per riproporre, appena velata, l'antica e contraddittoria assimilazione tra contraccezione e aborto che aveva prevalso nei momenti di maggior chiusura dogmatica della Chiesa Cattolica romana.

La società non è mai andata e certamente non va in quella direzione, e accusarla per questo di immoralità è altrettanto futile quanto sbagliato. Ho trovato un riferimento ad un libro pubblicato da F. Vittorino Ioannes (Diritti del sesso e del matrimonio, Roma, 1968) che riguarda i documenti (mai pubblicati ufficialmente) della Commissione Pontificia sulla natalità in cui è scritto: «Nel complesso della vita coniugale ci deve essere una vera volontà di avere figli. Il matrimonio (non l'atto singolo) ha il compito di trasmettere la vita, il che si attua convenientemente con una paternità calcolata con coscienza e responsabilità. Una cosa, questa, che si impone sempre di più nelle condizioni di sviluppo della società industriale. Non deve avvenire nulla che tolga all'atto coniugale il carattere e il valore di un autentico rapporto personale d'amore o che lo pregiudichi sostanzialmente. In che modo possa effettuarsi questa responsabile trasmissione della vita senza compromettere l'unità coniugale, se mediante osservanza della continenza periodica o in altro modo, ciò verrebbe lasciato alla coscienza e all'accordo dei coniugi».

In realtà, per la maggior parte delle persone esiste un diritto alla tutela della propria salute sessuale – che è parte di rilievo della salute di ciascuno di noi – e del proprio diritto a procreare in modo libero e responsabile.

Questo è quanto i cittadini chiedono allo stato promuovere e proteggere la salute fisica, psicologica e sociale del singolo, della coppia, delle famiglie e della collettività nel suo complesso, rispettando il diritto che ciascuno di noi ha di poter decidere il numero dei figli, il momento della loro nascita, il modo di procrearli. Si tratta dunque di fornire alla collettività gli strumenti culturali necessari per poter gestire i problemi della salute e della vita sessuale; di consentire alle coppie di delineare e di realizzare un disegno di fecondità in cui cimentare la propria coscienza morale e sociale, alla luce delle scelte che è diritto di tutti fare per migliorare la qualità della propria vita; di socializzare, nei giovani, le motivazioni biologiche che stanno alla base della vita sessuale, dei rapporti di coppia e della necessità di far uso dei metodi contraccettivi, creando in essi la coscienza che ogni esercizio della sessualità, oltre ad esprimere innegabili e profondi valori soggettivi, è anche assunzione di precise responsabilità.

Non vi è dubbio che il tempo che trascorre tra la maturazione biologica e affettiva dei giovani e quello della idoneità sociale alla procreazione è sempre più ampio e che la scelta di avere un figlio è sempre di più un tema privato che fa ricadere sulla coppia, e soprattutto sulla donna, tutte le conseguenze sociali che ne derivano. Diventa quindi indispensabile che la procreazione cosciente appaia, nel quadro del progresso della società, come una conquista dell'intelligenza e una promozione della condizione della donna e rappresenti il punto focale della prevenzione dell'aborto.

Su questi temi, per secoli, è stata coltivata l'ignoranza, stimolata la paura, repressa e punita ogni iniziativa, agevolata ogni forma di superstizione. Per secoli il potere religioso ha avuto come principale bersaglio la donna, alla quale è stata sottratta ogni autonomia, ogni libertà di scelta: per questo sono state bruciate vive le streghe e le ostetriche, per questo sono stati imposti modelli culturali che condannavano ogni forma di sessualità, persino quella più naturale e fisiologica.

Perché guardare al passato, mi si potrebbe chiedere, perché non limitarsi a considerare il presente, la modernità? Certo, oggi le streghe non si mandano più sul rogo, le scomuniche hanno perduto significato, l'inferno è diventato «anticostituzionale». Ma chiunque abbia la pazienza di leggersi un po' di letteratura specializzata scoprirà ben presto che è rimasta l'abitudine di demonizzare il nemico, di calunniarlo, di mentire e di spaventare in nome di una ideologia che non ha più seguaci. Ed è lecito chiedersi, quando si leggono i riferimenti ad eserciti di bambini non nati la cui rincorsa alla vita è stata interrotta da una pillola o da uno strumento chirurgico, quanti di loro sono stati sacrificati proprio in omaggio ad una assurda campagna contro il controllo delle nascite, oltretutto basata sull'imposizione di un'unica metodologia altrettanto fallace quando sgradita.

Una metodologia definita naturale e basata sull'astinenza: ma a chi può venire in mente che per una coppia di giovani innamorati, l'astinenza sia un fatto naturale e non, invece, il rifugio di chi ha, della natura, una visione del tutto distorta?

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