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| << | < | > | >> |Indice9 1. Milano, città di frammenti 32 2. Culture di massa e culture popolari nella Milano durante e dopo il boom 32 1. Concetti e parole chiave 34 2. Il livellamento e il consumismo: la critica di Pasolini e i suoi detrattori 37 3. La classe operaia e le sue culture nella Milano quotidiana del boom 42 4. La televisione e l'assimilazione culturale 46 5. Il consumismo in generale 48 6. Conclusioni 51 3. Città in movimento: Milano e l'immigrazione di massa, 1950-2000 51 1. Introduzione. Movimento e immigrazione 51 2. Concetti e parole chiave 55 3. La prima ondata: migrazione e "miracolo" a Milano 58 4. Miti e stereotipi: la migrazione interna 58 5. Quattro quartieri: Baggio, Barona, Bovisa e Comasina 61 6. Verso l'integrazione? 63 7. Quale integrazione? Città, lavoro e cultura durante il boom milanese 74 8. Milano e gli immigrati stranieri: tre storie della città 86 9. Conclusioni. Necessari ma indesiderati: la lezione del passato per il futuro 87 4. Città divisa: Milano e il cinema, 1945-2000 87 1. Milano, una città non cinematografica 89 2. I forestieri: gli arrivi, l'integrazione, l'emarginazione 92 3. Città divisa 97 4. Milano e la nebbia 98 5. Immagini della città: l'anti-Milano. Ritratti di una città vuota 99 6. Città della crisi: Milano negli anni novanta 101 7. Conclusioni: dagli stereotipi alla non-città 103 5. La città e la televisione: la storia e l'impatto della TV a Milano, 1954-2000 103 1. Introduzione 106 2. La televisione agli esordi: effetti sulla vita familiare 108 3. TV e vita quotidiana: arredamento, rumore, bambini, scuola, volume, salotto e bar 113 4. Gli esordi: la televisione del giovedì sera: "Lascia o raddoppia?" 118 5. La televisione privata, Milano 2 e l'ascesa di Berlusconi 125 6. Conclusioni. La televisione come fenomeno urbano 128 6. Capitale del design, capitale della moda 128 1. Capitale del design 145 2. Capitale della moda 156 7. La periferia urbana milanese: mito e realtà,1950-2000 157 1. Dov'è la periferia? 161 2. Immagini della periferia: gli stereotipi e la realtà 162 3. Le rappresentazioni delle periferie 167 4. Rappresentazioni della periferia. Parole chiave e opposizioni: ordine/disordine, caos, luce/oscurità 169 5. Approcci diversi per immaginare la periferia 178 6. Possibili soluzioni ai problemi della periferia milanese 179 8. Milano negli ultimi vent'anni: capitale del secondo miracolo, capitale delle tangenti 180 1. Immagini di Milano 181 2. L'identificazione di Milano: forme dello spazio 186 3. Storia e immagini di Milano tra il 1976 e il 2000 196 4. Anno zero: cambiamento sociale, economico, culturale 200 5. Immagine in crisi 204 Conclusioni: quale città? di chi? 204 1. Città-vetrina? Le tante facce della Milano di oggi 205 2. Crisi ecologica e necessità di movimento 207 3. Milano e l'Italia 209 Note Appendici 235 Filmografia 236 La storia di Milano dal 1945: società, cultura e politica. Una cronologia personale 247 Bibliografia 283 Indice dei nomi |
| << | < | > | >> |Pagina 91. Milano, città di frammentiUna città che ha mangiato più volte se stessa. Primo Moroni La città si costruisce da quello che manca. Stephen Barber
Milano è una città utilitaria, demolita e rifatta secondo le necessità
del momento, non riuscendo perciò mai a diventare antica.
Guido Piovene
Negli ultimi cinquant'anni, Milano ha attraversato una serie di burrascose trasformazioni. Come "capitale del miracolo", la città ha guidato lo straordinario boom economico italiano e consolidato il proprio ruolo di epicentro finanziario e industriale del paese. Con l'arrivo di centinaia di migliaia di immigrati da tutta la penisola, la periferia ha incominciato a imporsi sul centro storico: intorno alla città sono sorti nuovi insediamenti che hanno esteso l'area urbana su un territorio che a est si spinge in direzione di Venezia e a ovest verso Torino. L'hinterland è cresciuto a perdita d'occhio. Culturalmente, Milano è stata la culla dell'industria televisiva e ha prodotto una cinematografia che è entrata nel vivo delle contraddizioni degli anni del boom e di cui Rocco e i suoi fratelli, di Luchino Visconti, è uno degli esiti più rappresentativi. Lo splendido romanzo La vita agra, di Luciano Bianciardi, ambientato nella Milano del miracolo, ha raccontato una città capace di piegare persino il più caparbio dei ribelli. Giovanni Testori ha scelto Milano come scenario dei suoi romanzi, raccolti sotto il titolo I segreti di Milano, che hanno come sfondo il sottoproletariato urbano e l'hinterland, dal Giambellino a Roserio, da Novate Milanese a via MacMahon, alla Bovisa. Eppure, improvviso come era esploso, il boom finisce. La produzione industriale comincia a spostarsi altrove, e l'ondata migratoria rallenta fino a diventare un rivolo. Sociologi e storici, concentrati sugli eventi tumultuosi del Sessantotto, ignorano il fenomeno. Per dieci anni, operai e studenti dominano la scena milanese e occupano le vie del centro, da cui la classe operaia era stata espulsa nel periodo postbellico. La bomba di piazza Fontana nel 1969, seguita dalla morte di Giuseppe Pinelli e dall'arresto di Pietro Valpreda, radicalizzano le posizioni dei movimenti giovanili e diventano il fulcro della protesta degli anni settanta. Oltre al 1° maggio e al 25 aprile, anche il 12 dicembre diventa per Milano una data da non dimenticare. Negli "anni di piombo" il conflitto si trasforma in violenza: da una parte e dall'altra, tutti hanno i loro morti da piangere e da vendicare. Con la fine della contestazione studentesca, Milano deve fronteggiare una fase ancora più critica: la deindustrializzazione. Una dopo l'altra, le fabbriche che avevano costruito la città e dato lavoro a migliaia di milanesi e immigrati - Breda, Falck, Alfa Romeo, Innocenti, OM, Pirelli - chiudono i battenti, e le caratteristiche tute blu - bianche alla Pirelli, rosse all'Alfa Romeo - spariscono. Proprio all'apice del suo potere di contrattazione, conquistato dopo anni di lotta, la classe operaia è travolta dalla globalizzazione. Le zone industriali diventano aree dismesse. Un silenzio spettrale cala su interi quartieri, fino a pochi anni prima brulicanti di vita, rumore, ciminiere fumanti, operai che sciamavano a ogni inizio e fine turno. Gli storici quartieri operai si svuotano. In dieci anni, Milano vive il doloroso e traumatico passaggio da città industriale a città postindustriale. A livello politico, questa seconda grande trasformazione viene pilotata dal partito che aveva governato la città, insieme ad altre forze politiche, fin dalla fine della Seconda guerra mondiale: il Partito socialista. Il periodo della deindustrializzazione è caratterizzato dall'adozione di nuovi valori da parte di una città rinnovata, città che adesso può offrire un'ampia gamma di società di servizi e investimenti finanziari, una fiorente industria della moda, reti televisive private e agenzie pubblicitarie. La voglia di spendere della "Milano da bere" (lo slogan pubblicitario diventa la metafora di un intero periodo di vita urbana) dalla metà alla fine degli anni ottanta cresce in concomitanza con l'insediarsi al governo di Bettino Craxi, socialista milanese e creatore di un immenso impero politico con il proprio fulcro nel capoluogo lombardo. La "Milano da bere" riflette e al tempo stesso abbraccia i nuovi valori della città postindustriale. Gli ottanta sono anche gli anni dell'istituzionalizzazione della corruzione politica ed economica. Nel febbraio 1992, con l'arresto di Mario Chiesa, un politico socialista di secondo piano, si apre l'inchiesta giudiziaria di maggiore portata e drammaticità della storia italiana: Milano diventa Tangentopoli, la città delle tangenti. Nuove forze politiche vengono a colmare la voragine lasciata dalla caduta di socialisti e democristiani e dalla crisi della sinistra tradizionale, ora priva della sua base sociale storica e incapace di adattarsi alle nuove tendenze nel mondo del lavoro e della finanza. Più come reazione alla corruzione politica che per effettivo regionalismo, negli anni novanta l'elettorato milanese consegna per un breve periodo la città alla Lega Nord. A metà degli anni novanta, altre forze mutano il panorama politico milanese, in particolare il movimento Forza Italia, di Silvio Berlusconi. La città che l'uomo d'affari milanese aveva prima rimodellato nel paesaggio urbano - con la costruzione di Milano 2 e Milano 3 - e poi in quello culturale, con le sue reti televisive private e la pubblicità, diventa anche il centro del suo progetto politico. La sinistra cerca invano di riconquistare quella che è stata la capitale della Resistenza, del Sessantotto e del movimento sindacale, nonché la roccaforte dell'intellettualità di sinistra fino agli anni settanta. Questo volume è un tentativo di capire, spiegare e descrivere la storia dei processi che hanno trasformato Milano negli ultimi cinquant'anni. Non è e non vuol essere una storia tradizionale. Non segue un ordine cronologico. I capitoli non sono suddivisi in sezioni tematiche quali "Politica", "Cultura" o "Economia". Ogni capitolo tratta tutti questi temi e altri ancora. Non è neppure una storia di tutta la città: intere zone sono state volutamente tralasciate mentre ad altre viene dedicata un'attenzione molto accentuata. È piuttosto la microstoria di una città che, prendendo spunto da certi microelementi - quartieri, spazi, luoghi, eventi, film, programmi televisivi, strade, immigrati, oggetti di design e di consumo -, intende spiegare i macrocambiamenti che hanno permeato la maggior parte delle cronache e delle ricostruzioni storiche. Il libro, dunque, ci dirà qualcosa di più di Milano e dei suoi abitanti di quanto già sappiamo, e ci darà anche un'idea più ampia di che cosa sia, in generale, una città e delle trasformazioni dell'Italia nel suo complesso.
Infatti, tutti i movimenti decisivi, i momenti di espansione
economica, di recessione e di svolta della storia italiana del ventesimo secolo
hanno avuto inizio a Milano. Qui si radicano le prime organizzazioni sindacali;
qui nasce il fascismo; i riformisti socialisti ne fanno il loro gioiello. La
Resistenza viene diretta da Milano ed è qui che ha luogo il suo "atto
conclusivo" nel 1945, a piazzale Loreto. La città rappresenta il cuore del
miracolo economico che trasforma l'Italia. È la sede del programma televisivo
più popolare della storia del paese,
Lascia o raddoppia?
È a Milano che Silvio Berlusconi crea il primo impero televisivo privato. La
strategia della tensione inizia con la bomba in una banca milanese. È in questa
città che la deindustrializzazione degli anni ottanta colpisce per prima. Milano
è il centro della rivoluzione creativa e industriale del design degli anni
sessanta e diventa in seguito una delle capitali mondiali della moda. Gli
Armani, i Prada e i Versace succedono ai Falck, ai Breda e ai Pirelli al vertice
dell'élite economica della città. La storia d'Italia è strettamente collegata a
quella di Milano e la storia della città può essere letta anche come storia
dell'intera nazione.
Piatta, brutta, grigia, nebbiosa
Milano è una città piatta. Le sue uniche colline sono artificiali, come il
Monte Stella, la "montagnetta di San Siro" creata con le macerie di guerra, o i
terrapieni dei ponti ferroviari. In teoria, lo sguardo dovrebbe riuscire a
spingersi fino a molti chilometri di distanza, ma altre caratteristiche di
Milano vi si oppongono: la nebbia d'inverno, la foschia e l'afa d'estate. Lo
spettacolare arco delle Alpi a nord e a ovest di Milano dovrebbe essere il suo
orizzonte abituale, ma in realtà le montagne "appaiono" solo qualche volta
all'anno. Milano è intimamente legata, nell'immaginario collettivo, al suo
clima: la cappa soffocante nei mesi estivi e la nebbia d'inverno. Si dice che un
vero milanese nasca "con la nebbia nei polmoni". Spesso, Milano è letteralmente
invisibile, una città in bianco e nero dove pochi, occasionali colori riescono a
farsi notare: le diverse sfumature di rosa del Duomo, gli azzurri brillanti dei
cieli primaverili. La si ricorda soprattutto come una città grigia, come le sue
periferie. Milano viene universalmente considerata una città brutta: la sua
bellezza è nascosta, privata, si cela dietro ai portoni sbarrati, negli interni
dei cortili, nelle "poche piazze discrete".
I "danee" e piazza Affari Milano è ossessionata dal lavoro e dal denaro. Le capacità di integrazione della città, il suo carattere cosmopolita ("la piccola mela") e le sue qualità "americane" di dinamismo, profitto e fascino derivano da questa sua abilità nel produrre, investire e far circolare il denaro. Il mercato azionario italiano ha sede a Milano, in piazza Affari. Da sempre, è qui che le principali industrie e le banche più importanti hanno i loro uffici direttivi, la maggior parte intorno a piazza Cordusio. Dopo la rivoluzione industriale della prima metà del Novecento e il boom, Milano diventa il cuore della rivoluzione postindustriale, e le nuove industrie della moda, della pubblicità e dell'editoria diventano il traino dell'economia regionale. | << | < | > | >> |Pagina 20L'acqua
Milano è una città costruita sull'acqua, uno spazio urbano attraversato e
circondato da un intricato sistema di canali artificiali, coperti in gran parte
durante gli anni trenta dagli urbanisti, per far posto alla nuova rete viaria.
Il punto di confluenza delle due vie d'acqua principali - il Naviglio pavese e
il Naviglio grande -, la darsena di Porta Ticinese, rimane un porto attivo e
vitale fino agli anni settanta. Persone, generi alimentari e, soprattutto,
materiale edile venivano trasportati nel cuore della città e scaricati in questo
porto urbano, non diversamente da come, in passato, era stato trasportato il
marmo per la costruzione del Duomo fino al "laghetto", diventato oggi la
centralissima piazza Santo Stefano. I Navigli di Porta Ticinese diventano una
zona di ritrovi notturni e atelier; per il mondo popolare e per la piccola
criminalità di un tempo non c'è più posto. La città d'acqua tanto amata da
Stendhal vive solo nella memoria di pochi e in qualche labile traccia: qualche
canale prosciugato, certi bar dalla pianta stravagante, una serie di ponti e
ponticelli, i periodici allagamenti, i nomi di strade, gli odori. Le sue antiche
origini acquee, che erano state le radici della prima rivoluzione industriale
della Lombardia, cadono nell'oblio e cedono il passo alla soffocante afa estiva
sprigionata dalle centinaia di chilometri di asfalto che ricoprono questa città
che vanta il triste primato di centro urbano con minor spazio verde pro capite
d'Europa.
Case di ringhiera, ballatoi, grattacieli, parcheggi Le case di ringhiera sono tipiche abitazioni popolari di Milano e Torino: edifici da due a cinque piani suddivisi in piccoli appartamenti di uno o due locali, raggruppati intorno a un cortile comune, servizi e scale anch'essi in comune. Dietro questo modello abitativo ci sono motivi economici, perché consente di ospitare il massimo numero di famiglie nel minor spazio possibile. Le case di ringhiera incoraggiano le attività collettive ma precludono la privacy. Chi entra e chi esce è sotto gli occhi di tutti. Non c'è litigio che non sia di pubblico dominio. Ogni viaggio al gabinetto diventa un evento pubblico. I panni sporchi veri e figurati - si lavano collettivamente. (Aspetti, questi, mirabilmente descritti da Visconti in Rocco e i suoi fratelli, dove l'ascesa e la caduta della famiglia Parondi vengono condivise dall'intero caseggiato.) Questo "collettivismo" architettonico, tuttavia, può rivelarsi prezioso nei momenti difficili, e ringhiere e cortili sono per i bambini un luogo sicuro in cui giocare. Con il declino della classe operaia, le case di ringhiera vengono colonizzate da famiglie più abbienti, spesso senza figli. Lo spazio è poco e numerose sono le strategie per incrementarlo: soppalchi, unione di due o più appartamenti, trasformazione dei ballatoi in verande. Lo spazio un tempo pubblico si chiude agli estranei, agli intrusi, ai potenziali ladri. Sulle ringhiere compaiono gli usci, alle finestre le tende. Si guadagna in privacy e sicurezza. Il riscaldamento diventa autonomo, i bagni privati, eliminando così l'obbligo di attività comuni. Questo tradizionale modello abitativo viene adattato alle nuove costruzioni secondo schemi differenti. Nelle nuove periferie i balconi nelle case popolari sono individuali e la visuale sugli altri appartamenti del condominio è spesso preclusa. Altrove qualche architetto cerca di imitare il "vecchio" stile, ricreando le ringhiere in cemento, generalmente con esiti disastrosi: i lunghi ballatoi aperti diventano facile bersaglio della delinquenza o depositi di spazzatura. La scarsità e il conseguente alto valore degli alloggi rimane. I prezzi vengono calcolati al metro quadrato, e i costruttori inventano modi sempre più ingegnosi di guadagnare o creare spazio per le famiglie sempre meno numerose dei milanesi. Nonostante le promesse degli urbanisti degli anni cinquanta, Milano non guadagna mai una sua skyline newyorkese. L'unico grattacielo veramente moderno della città rimane la bella e slanciata torre Pirelli di Giò Ponti. Costruito appena prima del boom, completato nel 1958 e inaugurato nel 1960, il Pirellone, come tutti lo chiamano, è il simbolo architettonico e politico di quel periodo. Durante i quattro anni della sua costruzione, il cantiere diventa un "evento" urbano. Pirelli stesso usa il cantiere per enormi campagne pubblicitarie e cartelli posti ai lati del nascente grattacielo ne monitorano i progressi. La torre viene presentata come una "cattedrale moderna" e una piccola Madonna (invisibile dal basso) viene collocata sulla cima per indicare che è questo l'edificio più alto della città, più alto persino del Duomo con la sua famosa Madonnina, emblema di Milano. Il grattacielo Pirelli svetta in posizione strategica per suscitare l'ammirazione dei visitatori e lo stupore degli immigrati appena giunti alla Stazione centrale e si propone come fulcro di un nuovo e moderno centro direzionale che sfida e persino intende sostituire il centro storico attorno al Duomo. Filmati propagandistici del Partito comunista mostrano immigrati attoniti ai piedi del grattacielo (Il prezzo del miracolo, 1963) e la foto più famosa degli anni del boom inquadra un immigrato sardo piegato dal peso dell'enorme valigia di cartone davanti al torreggiante splendore del Pirellone. La notte di Antonioni apre con una sequenza che inquadra Milano riflessa nelle vetrate del grattacielo, con la cinepresa che scende lentamente lungo la facciata. | << | < | > | >> |Pagina 30MetodologieIn questo studio si utilizzano diverse metodologie, soprattutto una metodologia basata sulla microstoria: il particolare, il quotidiano, il comune sono spesso impiegati per avanzare una spiegazione del generale, dello straordinario, dell'eccezionale. La scala di ricerca viene spesso ridotta a certi insediamenti urbani o quartieri, a storie di vita individuali, famiglie, eventi, spezzoni di film, luoghi specifici. Come ho tentato di mostrare nelle pagine precedenti, Milano è una città multiforme, complessa, ricca di passato come, del resto, ogni grande metropoli. Le microstorie che propongo non intendono sostituire la prospettiva storica generale, ma sono parte di questa storia complessiva. Il passaggio da un percorso storico all'altro non è automatico: tante microstorie non fanno necessariamente una macrostoria. Ogni microstoria deve essere interpretata, incrociata e messa a confronto con le altre. Infine, questo lavoro si basa sulla consultazione di fonti diverse, sia quelle tradizionali (archivi, giornali, letteratura) sia altre meno convenzionali (film, interviste, fotografie, osservazione ed esperienza diretta, pianificazione urbana, inchieste). La componente descrittiva di questa ricerca nulla toglie alla sua storicità. Lo storico può trarre beneficio dal recitare anche la parte del reporter, e persino dell'investigatore: indizi, piccoli segni e tracce possono rivelarsi tanto importanti quanto le linee di tendenza generali o i progetti di ampio respiro, e i non-eventi sono spesso più significativi di quanto non siano quelli reali. L'assenza di protesta, per esempio, è a volte più eloquente di dieci anni di manifestazioni. Narrare e descrivere hanno sempre giocato un ruolo chiave nel dar ragione degli eventi storici, e queste tecniche, unite ad altre metodologie e fonti alternative, hanno recentemente acquisito più credibilità. Eppure, "nessuna descrizione è neutra" e "il racconto di fatti concreti è un mezzo per mostrare il reale funzionamento della società [...] che altrimenti finisce semplificato e deformato da calcoli quantitativi o da una generalizzazione eccessiva". Il microapproccio utilizzato trova ispirazione nel lavoro di molti storici e ricercatori, in Italia e all'estero. Questo libro non ha la pretesa di essere una storia onnicomprensiva di Milano. Si tratta di una rappresentazione personale di una città che l'autore conosce intimamente, ma per una piena comprensione delle vicissitudini della "capitale morale" d'Italia in quest'ultimo mezzo secolo, la consultazione di altri lavori storici è sicuramente d'obbligo. | << | < | > | >> |Pagina 2005. Immagine in crisi
Una città omertosa, paludosa, impenetrabile.
Nando Dalla Chiesa
La "Milano da bere" rappresentava un tentativo di esaltare i lati positivi della trasformazione sociale ed economica, il paesaggio postindustriale, la possibilità di costruire una città basata sulla tecnologia, la flessibilità, lo stile, il consumo. Eppure, l'ultimo ventennio del ventesimo secolo è stato segnato da una serie di crisi che hanno dominato il dibattito pubblico. Tali crisi possono essere raggruppate attorno ad alcuni temi, in ordine cronologico: la droga (in particolare, l'eroina); la criminalità; l'immigrazione; l'inquinamento; il traffico; la corruzione; la spazzatura; il calo della popolazione; la "periferia". Con la fine della "Milano da bere" e la vicinanza pericolosa alla bancarotta da parte dello stato (prima degli scandali di Tangentopoli) alla fine degli anni ottanta, queste crisi esprimevano in qualche modo la ricerca di una nuova (o nuove) identità della città postindustriale. La crisi più evidente era di ordine culturale: i cinema si trasformarono in sale cinematografiche a luci rosse; nel 1970, infatti, i cinema erano 161; nel 1997 il numero era sceso a 68, 15 dei quali a luci rosse ("la Repubblica", 11 dicembre 1997). Intanto, l'osannato Nuovo Piccolo Teatro rimaneva allo stadio di cantiere. Prima degli interventi della magistratura, e in modo quasi impercettibile, l'immagine della città edonistica di quegli anni iniziò ad acquisire connotazioni negative, colpita da una serie di storie dell'orrore: il conto quotidiano delle morti per overdose nel 1989, gli alti livelli d'inquinamento raggiunti nel 1990, la scoperta di un quartiere (via Bianchi) impenetrabile in periferia ("A Milano c'è un quartiere senza stato", "una città fuorilegge", in "Corriere della Sera", 9 giugno 1991), gli omicidi di mafia del 1996, il primato nazionale raggiunto da Milano nel 1997 in fatto di criminalità, i sette omicidi in città durante la prima settimana del 1998, lo scarico dei rifiuti milanesi in Puglia e, infine, gli uomini politici in manette per aver rubato i soldi di una casa di riposo comunale per anziani. Tutte queste crisi portarono a una seria autocritica che apparve sulla stampa e tra gli intellettuali (milanesi, in particolare). Emerse un'immagine di Milano in drammatico contrasto con quella del consumo e del godimento sfrenato. Si trattava di una città svuotata, con porzioni di territorio controllate dalla mafia, un posto pericoloso, un deserto culturale, una città, per citare Arbasino, "non da bere". Si profilava anche una drammatica situazione d'inquinamento, nonostante la chiusura delle grandi fabbriche. La massiccia motorizzazione privata e il fallimento delle amministrazioni locali riguardo al decentramento dei servizi essenziali non avevano fatto altro che esasperare la situazione. In questo senso, Milano non assomiglia affatto alla tipica città-fantasma postindustriale (Detroit) con le strade deserte e i parcheggi vuoti. Anzi, Milano straripa di macchine, sempre e ovunque: sui marciapiedi, nei cortili, sulle strade. I city users e i pendolari compensano ampiamente il calo della popolazione. | << | < | > | >> |Pagina 204Conclusioni: quale città? di chi?
Andava a Rogoredo, el cercava i so' danee.
Enzo Jannacci
1. Città-vetrina? Le tante facce della Milano di oggi
Scintillante e dinamica, la capitale della moda nasconde oggi il volto
oscuro del sogno urbano. Dietro i miliardi che circolano attorno alle sfilate,
alle settimane della moda, alle agenzie pubblicitarie e alle emittenti private,
c'è il lavoro "sporco" degli immigrati, colonna portante di questa economia. Si
tratta di un esercito quasi invisibile di "non-persone", ignorate dal sistema
politico (se facciamo eccezione per qualche campagna propagandistica di breve
durata), emarginate dal tessuto urbano, prive di diritti politici ed economici.
Nelle cucine dei ristoranti, nelle aziende che impiegano lavoratori in nero, nei
bar e nei cantieri di Milano, è questa la forza lavoro che regge lo
straordinario apparato postindustriale milanese. Sono anche quelle migliaia di
collaboratori domestici e addetti alle pulizie che, gestendo i lavori più umili
nelle case private e negli ospizi, permettono ai milanesi la libertà di
ostentare quell'immagine di laboriosità ed efficienza che li caratterizza. Sotto
la maschera splendente del quadrilatero d'oro o la magnificenza di piazza Duomo
e della Galleria, c'è la realtà ben diversa delle periferie sterminate e
monotone che tappezzano la pianura lombarda. Milano è una "città vetrina",
certo, ma il suo è un fulgore solo superficiale, come spesso di facciata era il
benessere della Milano del primo miracolo economico, che aveva calamitato
centinaia di migliaia d'immigrati. Quelli di allora erano scenari assai meno
affascinanti, ma la materia prima era simile: muratori e operai pugliesi,
siciliani, veneti, contadini e montanari lombardi. Milano è sempre stata una
città di popolazioni in movimento e di immigrazione: le storie di tali movimenti
sono al centro di ogni comprensione dello sviluppo della metropoli moderna e dei
suoi legami con la campagna, la nazione, l'Europa e il resto
del mondo. Il particolare modello di sviluppo industriale della regione ha
permesso la coesistenza di questi movimenti con le piccole industrie disseminate
nelle campagne, le zone industriali, l'immigrazione stagionale e lo storico
fenomeno dei pendolari.
2. Crisi ecologica e necessità di movimento
La metropoli contemporanea divora spazio e tempo. Eterni nomadi in casa
loro, gli abitanti della metropoli non si devono spostare solo per il lavoro, ma
anche per il consumo e il tempo libero, vero fantasma quest'ultimo, essendo
risucchiato in larga parte dalla sinopia della gomma. Ne nascono nuove geografie
fisiche e mentali labirintiche, disorientate e disorientanti.
Giancarlo Consonni
Non più città delle tangenti né città del boom, l'identità di Milano alla fine degli anni novanta, come in passato, è difficile da cogliere. La città si trova davanti a scelte chiave riguardo a problematiche rimaste irrisolte dai tempi del dopoguerra. Ma politici e opinionisti sono ancora intrappolati nella visione miope della città "che fu", con i suoi confini antichi, i navigli, e i suoi cittadini residenti all'interno di un'area urbana circoscritta. Si tratta di una prospettiva che esclude a priori la realtà dell'imponente cambiamento degli ultimi vent'anni (con il mutamento in direzione della fascia periurbana o città diffusa) e che, di conseguenza, ha impedito l'adozione di politiche flessibili in grado di risolvere la miriade di problemi della città e degli immensi sobborghi. I molteplici tipi di persone che usano, lavorano o passano per l'estesa area urbana costituita dalla città e dai dintorni hanno esigenze diverse e spesso in conflitto con quelle della popolazione stabile. Nel contempo, la scintillante immagine che Milano offre di sé a livello internazionale in quanto città sofisticata e cosmopolita convive con il provincialismo soffocante delle élite politiche dominanti. Le riserve nei confronti di Milano sorgono anche dal tipo di città che si intende sviluppare per il futuro. Se alcuni propendono per una città meno provinciale e di tono maggiormente europeo, altri rimpiangono la più umana e apprezzabile città degli anni cinquanta, con le sue fabbriche e il suo spirito solidale. Le questioni essenziali del decentramento, il traffico, i trasporti e l'inquinamento, lo spazio verde e quello industriale, l'istruzione, la sicurezza e la criminalità, rimangono senza risposta, anzi, la situazione tende a deteriorarsi ulteriormente. Tutti questi problemi sono legati alle differenti analisi circa la reale natura della città e per chi debba essere pensata; si tratta di problemi di non facile soluzione, anche perché non sono associabili a una popolazione specifica. La maggior parte degli abitanti esige una soluzione al caos del traffico, eppure quella stessa maggioranza possiede un'automobile (o due), che usa con frequenza, spesso individualmente. Quasi tutti auspicano un decentramento dell'area fieristica, ma nessuna lobby o gruppo d'interesse è stato in grado di fermare il disastroso spostamento in centro della nuova Fiera a metà degli anni novanta (dove dovrà restare finché non sarà terminata la costruzione del nuovo polo a Pero-Rho). Sono molti i milanesi e i visitatori che si lamentano della mancanza di verde in città, ma poco viene fatto contro il continuo aggiramento dei regolamenti edilizi o il moltiplicarsi delle autostrade che attraversano la regione. L'intera cultura della città è basata sulla motorizzazione e sul primato del guadagno economico immediato, a scapito della pianificazione a lungo termine e di ampio respiro. Cambiare questa cultura richiede una rivoluzione del concetto di città, di utenza e di amministrazione. Non basta sostenere che la città appartiene a questo o a quel gruppo: tutti sono coinvolti nei problemi della metropoli. La crisi non è soltanto strutturale ma antropologica, e una rivoluzione in quella direzione non sembra imminente. Milano non ha prodotto un'organizzazione o un movimento verde militante in grado di difendere con efficacia i diritti dei suoi cittadini. La città vive "una quotidiana catastrofe ecologico-ambientale". Tentativi di fermare questo disastro (31.000 incidenti nel 2002, 53 dei quali mortali, 17.000 con feriti, 127 persone arrestate, 5000 reati segnalati all'autorità giudiziaria) con la sola repressione arrivano all'assurdo: tra ottobre 2001 e settembre 2002 le multe hanno superato i due milioni, altre 350.000 sono state comminate attraverso il sistema delle telecamere installate in città. L'illegalità ha raggiunto livelli di massa: tutti ormai hanno infranto la legge in qualche modo. Le regole, almeno per quanto riguarda la strada, sono diventate completamente inutili, eccetto che per gli introiti che procurano alle casse comunali ("la Repubblica", 7 ottobre 2002). L'individualismo rampante della metropoli moderna ha schiacciato ogni forma di cultura civica collettiva in grado di organizzare la società in modo razionale. Un nuovo tipo di "familismo settentrionale" nasce a Milano durante il boom, senza alcun rapporto significativo, a livello locale o nazionale, con le forme positive del senso comunitario o civico. Questa è la cultura che trionfa negli anni ottanta, e il risultato è la Tangentopoli della "Milano da bere".
I meccanismi e l'economia della Milano odierna cospirano contro un possibile
cambiamento radicale della situazione. La nuova ed estrema organizzazione
economica postindustriale richiede agilità di spostamento, sistemi dinamici di
servizi, aggiornamento e innovazione tecnologica costanti. La città non si ferma
mai, né può farlo se vuole sopravvivere. Nel contempo, il suo stesso dinamismo
la paralizza. Nonostante gli ingorghi siano all'ordine del giorno, si rinuncia
raramente all'uso della macchina, anche se, per colmo d'ironia, si arriverebbe
più velocemente a destinazione a piedi. Il caos raggiunge l'apice in presenza di
scioperi, pioggia, lavori di manutenzione stradale: il sistema del traffico
arriva allora al collasso totale. Circolano enormi quantità di denaro, ma
scorrono via, oltre e fuori della città, senza trasformarsi in investimenti,
programmi, progetti rivolti al futuro. I tempi brevi, inevitabilmente, vincono
su quelli lunghi. Se mai Milano ha avuto una cultura civica, l'ha sicuramente
perduta.
3. Milano e l'Italia Quello giocato dal capoluogo lombardo nella storia d'Italia è, come abbiamo visto, un ruolo di primo piano. Produce il fascismo e il socialismo riformista urbano. Ospita la fine del regime e la nascita della democrazia. È la sua economia a spingere l'Italia sulla scena mondiale negli anni sessanta e di nuovo negli anni ottanta e novanta, con alcuni settori chiave. È a Milano che vengono sperimentate per la prima volta le idee postsocialiste da parte della sinistra e un'amministrazione leghista. Milano vede la nascita e la prima conquista del potere in Europa da parte di un movimento postpolitico, Forza Italia, fatto su misura per la città vetrina, come lo era stata in precedenza la corrente craxiana. Con l'utilizzo delle tecniche pubblicitarie e di marketing più avanzate e sofisticate, l'organizzazione politica del movimento berlusconiano riesce a seminare il suo messaggio populista postmoderno nel terreno fertile della Milano individualista e consumista degli anni novanta.
La situazione
odierna non è un risultato scontato, e qualche spiraglio per un futuro diverso è
possibile, anche se l'era della politica collettiva di massa a Milano sembra
finita per sempre. I movimenti politici non nascono al di fuori della società in
cui operano, e quella milanese non è stata in grado di produrre dall'interno
un'opposizione alla cultura dominante. Troppi erano integrati nel sistema e nei
suoi esiti logici e antropologici per rendere possibile una resistenza. Il
cambiamento poteva arrivare solo grazie a un fattore contingente, forse quello
dell'immigrazione giunta negli anni ottanta e della sua cultura alternativa.
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