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DÜSSELDORF, POMERIGGIO, TARDO AUTUNNO 1853: sono
sdraiato sul letto, indosso il mio abito di velluto color malva,
il mio bellissimo abito, e non voglio incontrare Hans Gude.
Non voglio sentire Hans Gude dire che non riesce a farsi piacere il quadro che
sto dipingendo. Voglio solo stare sdraiato a
letto. Oggi non ce la faccio a vedere Hans Gude. Perché,
pensa, se a Hans Gude non piace il quadro che sto dipingendo e lo ritiene di una
bruttezza imbarazzante, se crede che io
non sono proprio capace di dipingere, pensa se Hans Gude
passandosi una mano sulla barba mi guarda dritto con quegli
occhietti piccoli e mi dice che non so dipingere, che non c'è
niente da fare per me all'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, né in nessun
altra Accademia se è per questo, pensa se
Hans Gude mi viene a dire che non diventerò mai un pittore.
Non devo permettere ad Hans Gude di dirmi una cosa del
genere. Devo solo restare a letto, ché oggi viene Hans Gude al
nostro atelier, alla soffitta dove dipingiamo, ciascuno al suo
posto in fila per bene, passerà da un quadro all'altro esprimendo il suo parere
su ciascuno, anche il mio quadro vedrà e dirà
qualcosa in proposito. Non voglio incontrare Hans Gude. Perché io so dipingere.
Anche Gude sa dipingere. E pure Tidemann sa dipingere. Io so dipingere. Nessuno
sa dipingere come me, solo Gude. E poi Tidemann. E oggi Gude guarderà
il mio quadro ma io non sarò lì, me ne starò sul letto a guardare davanti a me,
verso la finestra, io voglio unicamente stare
a letto con il mio abito di velluto color malva, il mio bellissimo abito, voglio
solo ascoltare i suoni che provengono dalla
strada. Non voglio andare all'atelier. Soltanto voglio stare a
letto. Non voglio incontrare Hans Gude. Sono sdraiato a letto
con le gambe incrociate, sdraiato a letto completamente vestito, con addosso il
mio abito di velluto malva. Guardo dritto
davanti a me. Oggi non andrò all'atelier. E in una delle altre
stanze della casa c'è la mia cara Helene, forse è in camera sua,
forse in sala. Anche la mia cara Helene si trova in questa casa.
Ho portato le mie valigie in corridoio e la signora Winckelmann mi ha indicato
la stanza dove mi ha detto che avrei abitato. Poi mi ha chiesto se la stanza mi
sembrava bella e io ho
annuito, perché la camera era davvero molto bella, non avevo
mai avuto una stanza così bella prima. E poi, ho visto Helene.
Helene era là con il suo vestito bianco. Con i capelli biondi che
ondeggiavano anche se legati così stretti, Helene era là, con la
sua bocca piccolina sopra un piccolo mento, era là. Ed Helene
era là con i suoi occhi grandi. Helene, illuminandomi con i
suoi occhi. La mia cara Helene. Io sono sdraiato sul mio letto
e da qualche parte dentro casa c'è Helene che gironzola con i
suoi begli occhi luminosi. Sto sul letto in ascolto, magari riesco
a sentire il suo passo? O forse Helene non è a casa? E poi quel
tuo zio maledetto, Helene. Mi puoi sentire, Helene? Il maledetto signor
Winckelmann. Perché io me ne stavo tranquillo
sul letto, con il mio abito di velluto malva, quando hanno bussato alla porta,
io ero sul letto, con il mio vestito di velluto
malva e non ho fatto in tempo ad alzarmi prima che la porta
si aprisse e sullo stipite della porta c'era il signor Winckelmann, la sua barba
nera, gli occhi neri, il pancione schiacciato contro il
gilè.
E il signor Winckelmann mi guardava soltanto,
senza dire nemmeno una parola. Mi sono tirato fuori dalle
coperte, mi sono alzato dal letto e ho fatto due passi verso di
lui. Sono andato incontro al signor Winckelmann, gli ho porto
la mano ma lui non ha accettato la mia mano. Ero in piedi con
la mano tesa verso di lui, ma lui non ha accettato la mia mano.
Guardavo per terra. Poi il signor Winckelmann ha detto che
era il fratello della signora Winckelmann, il signor Winckelmann. Ha guardato
verso di me con i suoi occhi neri. Poi ha
semplicemente girato i tacchi e se n'è andato chiudendo la
porta dietro di sé. Tuo zio, Helene. Sono sdraiato a letto, con
il mio abito di velluto malva e ascolto, posso sentirti? Ascoltare i tuoi
passi? Il tuo respiro? Posso sentire il tuo respiro? Sono
sul letto nella mia stanza, completamente vestito, con le gambe
incrociate e ascolto, posso forse sentire i tuoi passi? Sei in casa?
E sul comodino c'è la mia pipa. Dove sei, Helene? Prendo la
pipa dal comodino. Mi accendo la pipa. Sono sdraiato a letto,
con il mio abito, il mio abito di velluto malva, prendo una
boccata dalla mia pipa. E oggi Hans Gude vedrà il quadro che
sto dipingendo io, ma io non oso ascoltare quello ha da dirmi,
no, no, preferisco starmene sdraiato a letto ad ascoltare te
Helene. Non voglio uscire. Perché ora io sono un pittore. Sono
il pittore Lars Hertervig, che studia a Düsseldorf con il famoso Hans Gude come
insegnante. Vivo in una stanza in affitto
nella Jägerhofstrasse, dai Winckelmann. Non sono niente
male, io. Vengo da Stavanger, sì, sono un ragazzo di Stavanger!
Che ora vive a Düsseldorf, dove studia per diplomarsi pittore.
E ho dei vestiti così eleganti adesso, un abito di velluto malva
mi sono comprato, sono un pittore ora, io, proprio io, sì, il
ragazzo, il ragazzo di strada, il figlio del quacchero, il poverello,
l'artistucolo, io, adesso hanno mandato me a studiare in
Germania, all'Accademia di Belle, Arti di Düsseldorf, Hans
Gabriel Buchholdr Sundt in persona mi ha mandato in Germania, all'Accademia di
Belle Arti di Düsseldorf, affinché io,
Lars Hattarvåg, possa studiare per diventare pittore, paesaggista. Sono uno
studente di Belle Arti adesso, e nientemeno che
Hans Gude è il mio insegnante. E io sono davvero capace di
dipingere. Forse non so fare molto altro, ma dipingere, quello
sì che lo so fare. Sono capace di dipingere, mentre quasi nessuno degli altri
studenti ne è capace. Anche Gude sa dipingere. E oggi Hans Gude esaminerà il mio
quadro, dirà se gli piace oppure non gli piace, cosa c'è di buono, cosa non va,
a proposito del quadro insomma dirà qualcosa. E intorno a me nell'atelier ci
saranno gli altri pittori, quelli che non sono capaci di
dipingere, si guarderanno l'un l'altro bisbigliando e annuendo.
Ché anche loro sentiranno cosa ha da dire Gude. Prima Gude
mormorerà soltanto qualcosa davanti al quadro, che sì, ah, sì,
e poi dirà, guardandomi con quegli occhietti piccoli, che non
so dipingere, che me ne devo tornare da dove sono venuto, che
non sussiste nessuna ragione per cui io debba continuare gli
studi artistici, perché non sono per niente portato, sì, sarà questo che Hans
Gude mi dirà. Ma io non posso diventare un paesaggista in ogni caso. Hans Gude.
Oggi Hans Gude esaminerà il mio quadro. Io però non ho il coraggio di ascoltare
quello che dirà, perché se Hans Gude, che sa davvero dipingere,
dice che io non so dipingere, allora è proprio vero che non so
dipingere. E allora non mi resta altro da fare che riprendere la
via di casa e ritornare l'artistucolo che ero. Ma io ho così tanta
voglia di dipingere quadri bellissimi, nessuno è bravo come me
a dipingere. Perché io so dipingere. Mentre gli altri studenti,
loro non sono capaci. L'unica cosa che sanno fare è ammiccare e ridacchiare. Non
sanno dipingere. Io me ne sto sul mio
letto a fumare la pipa. E poi il suono di un pianoforte. Sento
suonare il pianoforte, una musica che proviene dalla sala della
grande casa dove affitto una stanza, io sono sdraiato sul letto
con il mio abito malva addosso, il mio bellissimo abito, la pipa
in bocca, c'è nientemeno che il pittore Lars Hertervig sdraiato
sul letto, che ascolta musica sdraiato sul letto. Sento una bella
musica dal suono brillante, un crescendo regolare. Sdraiato a
letto sento la mia cara Helene suonare ìl pianoforte. Perché
non può essere che lei al pianoforte. Una musica bellissima.
Qui, nientemeno che io, ed Helene al pianoforte. È per me che
sta suonando la mia amata Helene. Ma certo, perché si sa che
Helene Winckelmann e Lars Hertervig da Hattarvågen sono
fidanzati. È quello che si sono detti, sì, si sono detti che sono
fidanzati, siamo fidanzati si sono detti. E lei, Helene Winckelmann gli ha
mostrato i suoi capelli. Helene Winckelmann
dagli occhi azzurro chiaro e i capelli biondi, lunghi capelli
biondi che le ricadono ondeggianti sulle spalle quando li lascia
sciolti invece di raccoglierli, come fa di solito, però lui! Lui,
Lars da Hattarvågen! Lui ha potuto vedere i suoi capelli sciolti! Ha visto i
suoi occhi brillare. Ha visto i suoi capelli ondeggiare liberi lungo le spalle.
Infatti Helene Winckelmann si è sciolta i capelli per lui, gli ha mostrato i
suoi capelli liberi.
Helene Winckelmann, nella stanza di lui, si è sciolta i capelli.
Helene Winckelmann era in piedi di spalle, là accanto alla
finestra e a un certo punto ha sollevato le mani fino alla testa
e si è sciolta i capelli. E così i capelli le sono ricaduti a cascata
lungo la schiena. E lui, Lars da Hattarvågen, lui, Lars dalla baia
con gli isolotti vicini vicini l'uno all'altro, gli isolotti che assomigliano a
dei cappelli, per questo infatti si chiama Hattarvågen, la baia dei cappelli, e
per questo lui si chiama Hattarvågen oppure Hertervig, lui insomma, Lars che
viene dalla baia dove ci sono degli isolotti che sembrano cappelli,
un'insenatura su di una piccola isola lassù nell'estremo nord, in terra di
Norvegia, lui, originario di un'isoletta di nome Borgøya, lui
proprio, Lars Hertervig, seduto su una sedia nella stanza che
ha preso in affitto per il periodo di studi all'Accademia di Belle
Arti di Düsseldorf, ha potuto vedere Helene Winckelmann
accanto alla finestra con i capelli che le ricadevano liberi giù
giù lungo la schiena. E poi Helene si è voltata verso di lui. Ed
Helene era là che lo guardava con i capelli che le ricadevano
dalla riga in mezzo sul visino tondo con gli occhi azzurri luminosi, con la
bocca piccola e stretta, il mento piccolino. Con gli
occhi che brillavano. I capelli che le scendevano lungo le spalle. Capelli
biondi, ondeggianti. Poi un sorriso sulle sue labbra.
E i suoi occhi si aprivano verso di lui. E dai suoi occhi proveniva la luce più
forte che avesse mai visto in vita sua. La luce
dei suoi occhi. Non aveva proprio mai visto una luce così. Poi
lui, Lars da Hattarvågen, si è alzato. E Lars da Hattarvågen se
ne stava là con il suo abito malva, di velluto, lui, Lars da Hattarvågen, con le
braccia a penzoloni lungo il corpo a guardare
i capelli, gli occhi e le labbra che aveva di fronte a sé, niente
altro faceva, e poi ha sentito come se la luce dagli occhi di lei
si posasse intorno a lui, come una sensazione di calore, anzi no,
non come calore! Non come un tepore, ma come una luce! Si,
la luce dei suoi occhi si posava intorno a lui come una luce! E
dentro quella luce lui diveniva un'altra persona da quella che
era, non era più Lars da Hattarvågen, era un altro, tutta la sua
inquietudine, tutte le sue paure, tutto ciò che gli mancava e
che sempre sentiva dentro di sé come un'ansia, tutti i suoi desideri erano come
riempiti di luce dagli occhi di Helene Winckelmann e lui si sentiva tranquillo,
colmo mentre stava là in
piedi con le braccia che gli penzolavano lungo i fianchi e poi,
senza volerlo, senza averci pensato sopra, così, senz'altro, semplicemente è
andato verso Helene Winckelmann ed è come
scomparso completamente dentro la sua luce, quella luce che
la circondava, sentendosi calmo come mai prima d'allora, così
inconcepibilmente calmo si sentiva e le ha messo un braccio
intorno alle spalle per stringersi a lei. Lui, Lars da Hattarvågen
sta abbracciando Helene Winckelmann ed è così tranquillo,
colmo di qualcosa che non sa cosa sia. Lars Hertervig è con
Helene Winckelmann. E non è più se stesso, è con lei. Si trova
dentro qualcosa che non sa cosa sia. È con lei. La cinge con le
braccia e lei ora lo abbraccia. Lui preme il suo viso nei suoi
capelli, sulle sue spalle. Si trova dentro qualcosa che non ha
mai conosciuto prima, qualcosa che non sa cosa sia e lui, il
paesaggista Lars Hertervig, non ha idea di cosa sia ma all'improvviso se ne
rende conto, ed è in quel momento che capisce,
è proprio in quel momento che sa di trovarsi dentro qualcosa
verso cui il suo quadro tende, qualcosa che è nel suo quadro,
quando sta dipingendo al meglio, è lì che si trova lui ora, lo sa,
perché ci è già stato prima nelle vicinanze di questo qualcosa
all'interno del quale ora si trova, mai non ci era mai entrato
prima, come adesso, lì dove il pittore Lars Hertervig respira
attraverso i capelli di Helene Winckelmann. E non fa altro che
restare nella sua luce, in qualcosa che lo colma. E ora, sdraiato
sul letto non riesce a ricordare quanto tempo è rimasto abbracciato a lei, alla
sua cara, carissima Helene, ma certo deve essere stato parecchio, magari quasi
un'ora era stato ad abbracciarla così mentre adesso se ne stava sdraiato sul
letto con il suo abito malva ad ascoltare una bellissima musica. Ed è la mia
amata Helene che sta suonando. E io, Lars da Hattarvågen ho
visto Helene sciogliersi i suoi bei capelli, l'ho vista in piedi
davanti alla finestra della mia stanza e ho visto i suoi capelli
biondi caderle ondeggianti lungo le spalle. E ho visto la luce
dei suoi occhi. E sono stato dentro la sua luce. Sono entrato
dentro la sua luce. Mi sono alzato dalla sedia, sono andato
verso di lei e davanti alla sua luce mi sono tranquillizzato, a
lungo sono rimasto nella sua luce, me ne stavo lì cingendola
con le mie braccia, con la faccia contro le sue spalle, respirando attraverso i
suoi capelli finché Helene ha detto in un sussurro che doveva proprio andare
adesso perché sua mamma
sarebbe tornata presto, per tutto questo tempo sono rimasto a
respirare nei suoi capelli e adesso sono sdraiato sul letto, con il
mio abito di velluto malva ad ascoltare una musica che proviene dalla sala ed è
la mia cara Helene che sta suonando il pianoforte. E io ho visto i tuoi capelli,
Helene, mia cara. Ti ho
vista scioglierti i capelli davanti alla finestra. E mi sono alzato
dalla sedia per venirti incontro e abbracciarti. Ho respirato nei
tuoi capelli. E ti ho sussurrato nell'orecchio, ma allora adesso
siamo fidanzati? E tu mi hai sussurrato nell'orecchio che sì, sì,
siamo fidanzati ora. Lì eravamo, poi abbiamo sentita una
porta aprirsi e chiudersi. Ci siamo staccati. Eravamo lì nella
luce che si stava ritirando, scomparendo. I tuoi capelli cambiavano. E poi
abbiamo sentito dei passi nel corridoio. E tu hai
detto che adesso stava proprio tornando a casa tua mamma,
ora dovevi proprio andartene, dovevi fare in fretta, ma prima
ti dovevi sistemare i capelli, mi hai detto sorridendomi. Che se
non ti avesse trovata in sala sarebbe venuta a bussare a questa
stanza. Mi hai detto che dovevi andare via immediatamente. E
ti ho vista andare verso la porta, entrare in corridoio e richiudere la porta, e
ti ho sentita camminare lungo il corridoio e ti
ho sentita urlare ciao mamma, qui, sono qui, sei a casa? - hai
urlato. E io sono andato a sdraiarmi sul letto. Sdraiato sul letto
guardavo la finestra, dove fino a un attimo prima c'eri tu. Ti
stavo immaginando, lì, davanti alla finestra. Te e i tuoi capelli.
Quando hanno bussato alla porta. Non ho fatto nemmeno in
tempo a uscire fuori dal letto, che tuo zio già era sulla porta. Il
signor Winckelmann. La sua barba nera, gli occhi neri. Mi
sono alzato. Ha pronunciato il suo nome il signor Winckelmann. Io gli ho porto
la mano, ma lui non l'ha accettata, si è
girato e se ne è andato chiudendo la porta dietro di sé. Io sono
sdraiato a letto vestito con il mio abito di velluto malva ad
ascoltare una bellissima musica. Ti sento suonare il pianoforte
in sala. Io sono il giovane pittore norvegese Lars Hertervig,
uno dei più grandi talenti dell'arte pittorica norvegese contemporanea, questo
sono io! Infatti sono davvero un gran
talento. Io sono davvero capace di dipingere. E non oso ascoltare cosa ha da
dire Gude a proposito del quadro che sto dipingendo. Perché è vero, no, che so
dipingere? Io devo saper
dipingere, no? C'è forse qualcuno più bravo di me a dipingere? Magari sono
perfino più bravo di Gude a dipingere, ed è
per questo che mi dirà che non sono capace? Gude mi dirà che
non sono buono a dipingere, quindi devo tornare a Stavanger,
non c'è niente da fare per me all'Accademia di Belle Arti, mi
dirà, né in questa né in nessun altra Accademia, mi dirà, perciò, mi dirà,
sarebbe meglio se mi mettessi a dipingere pareti
piuttosto che quadri. Oggi Gude esaminerà il mio quadro,
esprimerà la sua opinione in proposito, ma io non voglio sapere cosa ne pensa.
Perché di sicuro dirà che non gli piace il mio
quadro. Io lo so. Non voglio sapere cosa ne pensa del mio quadro. Sono sdraiato
a letto e non voglio sentire cosa ne pensa
Gude del mio quadro, perché adesso sto così bene mentre ti
ascolto, mia cara, carissima Helene, tu suoni così bene. La
musica più bella. Dal salotto arriva fino alla mia stanza la
musica più bella. Tiro una boccata dalla mia pipa. E sento che
smetti di suonare, l'ultima nota svanisce come il fumo nell'aria o nella luce.
Sento anche una porta che si apre e dei passi
in corridoio. Sei forse tu che vieni da ne? Forse vieni da me, a
mostrarmi i tuoi capelli? Forse vuoi scioglierti i capelli davanti alla finestra
e farti vedere bella in modo così impensabile per
me, con i capelli sciolti? O è tuo zio che torna? Che torna per
cacciarmi fuori? Sarà di nuovo lì sulla porta con la sua barba
nera, i suoi occhi neri, starà di nuovo lì a guardarmi dall'alto
in basso? Busserà alla porta per poi guardarmi e basta, senza
dire una parola, e poi dire che è il signor Winckelmann, solo
questo, niente di più? E poi dirà che devo andare via, non
posso continuare ad abitare qui, me ne devo andare? Sento
ancora dei passi nel corridoio e sono passi calmi, leggeri. E
capisco che sono i tuoi passi che sento avvicinarsi in corridoio.
Adesso i tuoi passi arrivano in corridoio. Mi metto a sedere sul
bordo del letto. E guardo la porta. Sento i passi fermarsi
davanti alla porta. E poi sento bussare alla porta. Ti sento bussare alla porta,
perché non puoi non essere tu. Non può mica essere qualcun altro a bussare alla
porta. E io devo dire avanti, devo dire entra pure.
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