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| << | < | > | >> |Indice7 Introduzione 9 1. Modificazioni 19 2. Le forme di problematizzazione 30 3. Morale e pratica di sé 39 I. La problematizzazione morale dei piaceri 44 l. Aphrodisia 58 2. Chresis 68 3. Enkrateia 83 4. Libertà e verità 99 II. Dietetica 103 l. Del regime in genere 113 2. La dieta dei piaceri 121 3. Rischi e pericoli 129 4. L'atto, il dispendio, la morte 145 III. Economica 147 l. La saggezza del matrimonio 156 2. La famiglia di Iscomaco 170 3. Tre politiche della temperanza 189 IV. Erotica 191 l. Un rapporto problematico 207 2. L'onore di un ragazzo 217 3. L'oggetto del piacere 229 V. Il vero amore 247 Conclusione 255 Indice delle opere citate |
| << | < | > | >> |Pagina 16C'è una certa ironia in questi sforzi per cambiare il proprio modo di vedere, per modificare l'orizzonte di ciò che si conosce e tentare di scostarsene un po'. Hanno effettivamente portato a pensare in modo diverso? Forse, hanno consentito tutt'al più di pensare diversamente ciò che già si pensava e di vedere ciò che si è fatto da un'angolazione diversa e in una luce più netta. Si credeva di allontanarsi e ci si ritrova perfettamente a piombo. Il viaggio ringiovanisce le cose e invecchia il rapporto con se stessi. Adesso, mi sembra di vedere meglio in che modo, un po' alla cieca e frammentariamente, avevo abbordato l'impresa di una storia della verità: analizzare non i comportamenti né le idee, non le società né le loro "ideologie", bensì le problematizzazioni attraverso le quali l'essere si dà come essere che può e deve essere pensato, e le pratiche a partire dalle quali queste problematizzazioni si formano. La dimensione archeologica dell'analisi permette di analizzare le forme stesse della problematizzazione; la sua dimensione genealogica, la loro formazione a partire dalle pratiche e dalle loro modificazioni. Problematizzazione della follia e della malattia a partire da pratiche sociali e mediche che definiscono un certo profilo di "normalizzazione"; problematizzazione della vita, del linguaggio e del lavoro in pratiche discorsivi che obbedíscono a determinate regole "epistemiche"; problematizzazione del crimine e del comportamento criminale a partire da determinate pratiche punitive che obbediscono a un modello «disciplinare". E adesso, vorrei indicare come, nell'Antichità, l'attività e i piaceri sessuali siano stati problematizzati attraverso delle pratiche di sé che mettono in gioco i criteri di una "estetica dell'esistenza".Queste sono le ragioni in base alle quali ho ricentrato tutta la mia ricerca sulla genealogia dell'uomo di desiderio, dall'Antichità classica ai primi secoli del cristianesimo. Ho seguito una divisione cronologica molto semplice: un primo volume, L'Usage des plaisirs, è dedicato al modo in cui l'attività sessuale è stata problematizzata da medici e filosofi nella cultura greca classica del IV secolo avanti Cristo; Le Souci de soi è consacrato a questa problematizzazione nei testi greci e latini dei primi due secoli della nosta era; Les Aveux de la chair, infine, tratta della formulazione della dottrina e della pastorale della carne. Quanto ai documenti che utilizzerò, si tratterà per lo più di testi "prescrittivi"; voglio dire, con questo, testi che, quale che sia la loro forma (discorso, dialogo, trattato, raccolta di precetti, lettere ecc.), abbiano come fine principale la proposizione di regole di condotta. Comunque, non vi farò ricorso che per trovarvi dei chiarimenti ai testi teorici sulla dottrina del piacere o delle passioni. Il campo che prenderò in esame è costituito da testi che presumono di dispensare regole, pareri, consigli per comportarsi come si deve: testi "pratici", che sono essi stessi oggetto di "pratica" nella misura in cui erano fatti per esser letti, imparati, meditati, utilizzati, messi alla prova, e in cui miravano a costituire, in definitiva, l'armatura del comportamento quotidiano. La funzione di questi testi era quella di essere degli operatori che permettevano agli individui d'interrogarsi sulla loro particolare condotta, di vigilare su di essa, di formarla e di plasmare se stessi come soggetti etici; rientrano, insomma, nel campo di una funzione "eto-poetica", tanto per usare una parola che si trova in Plutarco. Ma, dato che questa analisi dell'uomo di desiderio si trova al punto d'incontro di una archeologia delle problematizzazioni e di una genealogia delle pratiche di sé, vorrei soffermarmi, prima di cominciare, su queste due nozioni: giustificare le forme di "problematizzazione" che ho prese in esame, indicare ciò che si può intendere per "pratiche di sé" e spiegare quali paradossi e difficoltà mi abbiano indotto a sostituire a una storia dei sistemi di morale, che sarebbe ovviamente fatta a partire dai divieti, una storia delle problematízzazioni etiche fatta a partire dalle pratiche di sé. | << | < | > | >> |Pagina 192. Le forme di problematizzazioneSupponiamo per un momento che si accettino delle categorie tanto generiche quanto quelle di "paganesimo", "cristianesimo", "morale" e "morale sessuale"; e supponiamo che si chieda su quali punti la "morale sessuale del cristianesimo" si sia opposta più nettamente alla "morale sessuale dell'antico paganesimo": proibizione dell'incesto, predominio maschile, assoggettamento della donna? Non sono certo queste le risposte che verrebbero date: l'entità e la persistenza di questi fenomeni nei loro vari aspetti è cosa nota. Più verosimilmente, si proporrebbero altri punti di differenziazione. Il valore dell'atto sessuale stesso: il cristianesimo l'avrebbe associato al male, al peccato, alla caduta, alla morte, mentre l'antichità gli avrebbe attribuito significati positivi. La determinazione del legittimo partner: il cristianesimo, a differenza di quanto avveniva nelle società greche o romane, avrebbe ammesso l'atto sessuale solo all'interno del matrimonio monogamico e, anche qui, gli avrebbe imposto il principio di una finalità esclusivamente procreatrice. La squalificazione dei rapporti fra individui dello stesso sesso: il cristianesimo li avrebbe rigorosamente banditi mentre i Greci li avrebbero esaltati - e Roma, accettati - per lo meno fra uomini. A questi tre principali punti di contrapposizione, si potrebbe aggiungere l'alto valore morale e spirituale che il cristianesimo, a differenza della morale pagana, avrebbe attribuito all'astinenza rigorosa, alla castità permanente e alla verginità. Insomma, nei confronti di tutti questi punti da tanto tempo considerati così importanti - natura dell'atto sessuale, fedeltà monogamica, rapporti omosessuali, castità -, pare che gli Antichi si siano mostrati piuttosto indifferenti, e che niente di tutto questo ebbe eccessivamente richiamato la loro attenzione né costituito ai loro occhi dei problemi molto acuti.
Ma non è esattamente così, e si potrebbe dimostrarlo
facilmente. Si potrebbe ad esempio dimostrarlo facendo
valere le derivazioni dirette e le strettissime continuità
che si possono cogliere fra le prime dottrine cristiane e la
filosofia morale dell'Antichità: il primo grande testo
cristiano sulla pratica sessuale nella vita matrimoniale -
il capitolo X del secondo libro del Pedagogo di Clemente
Alessandrino - si basa su un certo numero di riferimenti
relativi alla Sacra Scrittura, ma anche su un insieme di
princìpi e di precetti direttamente attinti dalla filosofia
pagana. Vi si coglie già una certa associazione fra
l'attività sessuale e il male, la regola di una monogamia
procreatrice, la condanna dei rapporti omosessuali,
l'esaltazione della continenza. Non è tutto: su scala
storica ben più lunga, si potrebbe notare la permanenza di
temi, di inquietudini e di esigenze che hanno indubbiamente
contrassegnato l'etica cristiana e la morale delle società
europee moderne, ma che erano già chiaramente presenti nel
cuore stesso del pensiero greco o greco-romano. Eccone
diverse testimonianze: l'espressione di una paura, un
modello di comportamento, l'immagine di un atteggiamento
squalificato, un esempio di astinenza.
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