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| << | < | > | >> |IndiceIl patriarca recensore 11 Nota all'edizione 53 BIBLIOTECA Catalogo ed enumerazione dei libri da noi letti (Epistola a Tarasio) 57 1. Teodoro 61 3. Nonnoso 62 8. Origene 66 26. Sinesio 67 36. Il « Libro del Cristiano » 68 37. « Sulla politica » 70 40. Filostorgio 71 44. Filostrato 73 47.48. Flavio Giuseppe 76 59. Sinodo della Quercia 80 60. Erodoto 86 61. Eschine 87 63. Procopio di Cesarea 90 64. Teofane 103 67. Sergio il Confessore 106 72. Ctesia 107 73. Eliodoro 149 76. Flavio Giuseppe 150 80. Olimpiodoro 153 86. Giovanni Crisostomo 176 87. Achille Tazio 176 88. Concilio di Nicea 177 89. Eusebio continuato 181 92. Arriano 182 94. Giamblico 195 96. Giorgio di Alessandria 211 105. Filone Ebreo 228 109.110.111. Clemente Alessandrino 299 114. Leucio Carino 233 115. « Contro i giudei » - Metrodoro 235 116. « Sulla festa di Pasqua » 236 117. « Difesa di Origene » 237 120. Ireneo di Lione 240 121. Ippolito 241 122. Epifanio 242 127. Eusebio 243 128. Luciano 245 129. Lucio di Patre 247 138. Eunomio 248 141.142.143.144. Basilio 251 152. Elio Dionisio 252 158. Frinico 253 159. Isocrate 258 161. Sopatro 261 163. Vindanio Anatolio 269 164. Galeno 270 166. Antonio Diogene 271 170. Anonimo « Sui prodromi del cristianesimo » 280 172.173.174. Giovanni Crisostomo 283 175. Panfila 287 176. Teopompo 288 177. Teodoro di Antiochia 294 178. Dioscuride 300 179. Agapio 303 180. Giovanni Lido 307 181. Damascio 309 183.184. Eudocia 314 186. Conone 320 189. Paradossografi 323 191. Basilio 325 199. Giovanni Mosco 328 202. Ippolito 329 203. Teodoreto 331 206.207. Procopio di Gaza 332 212. Enesidemo 333 214. Ierocle 339 216.217. Oribasio 345 223. Diodoro di Tarso 348 249. « Vita di Pitagora » 392 251. Ierocle - Dal terzo libro, decimo capitolo 402 252. « Vita di san Gregorio » 407 253. « Il martirio dei sette santi giovinetti » 410 258. « Vita di Atanasio » 412 260. Isocrate 434 262. Lisia 439 264. Eschine 444 265. Demostene 447 Conclusione 461 |
| << | < | > | >> |Pagina 11| << | < | > | >> |Pagina 13Le prime pubblicazioni che presentano le caratteristiche di quanto noi qualifichiamo immediatamente come una recensione risalgono all'anno 1665: esse sono il «Journal des Savants» in Francia e le «Philosophical Transactions of the Royal Society of London» in Inghilterra. Queste ultime - che davano soprattutto spazio a saggi scientifici - furono seguite nel 1682 da una rivista il cui fascinoso titolo era «Weekly Memorials for the Ingenious, or an account of books lately set forth in several languages» («Promemoria settimanale per gli uomini d'ingegno, o rassegna di libri pubblicati di recente nelle lingue più diverse»). Altri paesi non tardarono a raccogliere l'idea: nel 1668 Roma aveva il suo «Giornale dei letterati», che in una succinta prefazione si richiamava al modello creato in Francia, mentre gli «Acta eruditorum» di Lipsia presero il via nel 1682.| << | < | > | >> |Pagina 15A rigor di termini, George Saintsbury viene a sopravvalutare l'originalità di Fozio. Il moderno concetto di recensione implica - di norma - che essa abbia a che fare con un libro recente: è probabilmente questo l'elemento che distingue una lunga recensione da un saggio critico. In base a questo principio, un critico dell'antichità quale Dionigi di Alicarnasso, quando scrive saggi su Tucidide o sugli oratori attici, viene considerato un saggista e non un recensore; lo stesso dovrebbe valere per Fozio, ma, di fatto, egli è paragonabile piuttosto a un recensore, in quanto alcune sue schede non sono abbastanza lunghe per essere trattate come composizioni a sé stanti. Tuttavia, questa non è la sola caratteristica di rilievo della sua opera: è la propensione a fornirci un riassunto corredato da una valutazione critica - ora in modo succinto ora assai dettagliato - che fa di Fozio il più diretto antenato del moderno recensore.| << | < | > | >> |Pagina 18Il fatto essenziale concernente la Biblioteca è che essa è nata da una circostanza insolita ed è stata composta in gran fretta. Si sarebbe tentati di dire che - come tutte le più grandi scoperte - ha visto la luce per caso. Il contenuto non segue un ordine logico; Fozio, ovviamente, dice la verità allorché sostiene di avere scritto i suoi sunti nella successione del tutto casuale con cui gli tornavano alla mente i nomi degli autori e i titoli delle opere: non riuscì a evitare qualche confusione, e in sedici casi un libro già recensito viene vagliato una seconda volta. Manca inoltre qualunque criterio di uniformità: le recensioni - comunemente note con il nome di «codici», quasi ciascuna di esse costituisse un volume di una ricca biblioteca privata - variano in lunghezza, andando da un paio di righe fino a settanta pagine.| << | < | > | >> |Pagina 20Un lettore moderno è certamente curioso di sapere se Fozio abbia già tanto le debolezze quanto i pregi dei recensori di oggi. Noi possiamo essere sicuri che lesse i libri di cui parla: l'unica eccezione - da lui stesso riconosciuta - concerne l'oratore attico Licurgo (codice 268); Fozio afferma di non essere fino a quel momento riuscito a leggerne le orazioni, senza chiarire però se doveva ancora procurarsene una copia, o se non aveva semplicemente avuto il tempo necessario per la lettura. Tale ammissione gli fa onore, e in ogni caso l'insieme delle schede relative agli oratori attici è simile a una raccolta di brevi biografie più che a una serie di commenti sulle loro opere.| << | < | > | >> |Pagina 25Le 279 schede non riguardano tutti i testi classici ancora in circolazione al tempo di Fozio: la Biblioteca è selettiva. Nella sua postilla conclusiva Fozio dichiara di avere escluso quei testi «il cui uso e la cui pratica consentono di esercitare le varie arti e scienze». Sebbene l'espressione sia vaga, essa si riferisce probabilmente alla letteratura di tipo medico, scientifico e tecnico, e in effetti nella Biblioteca questi generi sono poco presenti. Molto più nota - di dominio comune, potremmo quasi dire - è l'omissione dei poeti, a parte due trascurabili eccezioni.| << | < | > | >> |Pagina 26Di conseguenza, è un errore credere che la Biblioteca rifletta con fedeltà assoluta gli interessi del nostro autore. E non sono solamente le omissioni a trarci in inganno; occorre anche evitare la tentazione di inferire che una scheda breve costituisca una prova sicura della scarsa considerazione di Fozio per il libro in questione: un caso emblematico è quell'unica paginetta dedicata a Erodoto. Il motivo di tale cautela suona chiaro nell'«Epistola a Tarasio»: in essa Fozio ribadisce che riserverà minore cura e attenzione ai libri largamente diffusi al suo tempo, e ai quali, comunque, suo fratello aveva avuto verosimilmente accesso. Tutto considerato, si può concludere che - a parte una curiosa eccezione (Imerio, codice 165, 108 b 28-30) - la Biblioteca è una raccolta di materiale relativo a testi poco noti a Tarasio, o a lui del tutto ignoti.| << | < | > | >> |Pagina 27Tenendo ben presenti queste considerazioni, possiamo ora esaminare il contenuto della Biblioteca. Volgiamo innanzitutto lo sguardo agli scritti teologici compendiati da questo lettore incontestabilmente ortodosso. I testi teologici prevalgono su quelli laici nella misura complessiva di 239 contro 147; l'impressione che si ricava da queste cifre, però, è fuorviante, in quanto molti autori classici sono trattati in modo assai esteso, sicché in totale solamente il 43 percento del testo foziano concerne opere teologiche.| << | < | > | >> |Pagina 32La letteratura scientifica è scarsamente attestata, salvo la parziale eccezione della medicina. Il padre della medicina non trova ospitalità nella Biblioteca, e ci si potrebbe chiedere in quale misura i medici bizantini ritenevano utili gli scritti ippocratici per esercitare la loro professione. Di Galeno, Fozio aveva letto più opere di quante non si prenda la briga di recensire - si limita infatti al trattato Sulle scuole (codice 164). Si sofferma invece sull'erbario di Dioscuride (che era senza dubbio un prontuario largamente in uso) e su diversi scrittori scientifici della tarda antichità; le voluminose compilazioni curate da Oribasio e da Ezio di Amida avevano un carattere enciclopedico che le rendeva preziose per i medici.| << | < | > | >> |Pagina 33Fozio riserva un'attenzione molto maggiore agli storici. Questi ultimi non lo interessavano esclusivamente per i pregi stilistici, anche se questo aspetto - come vedremo - deve avere rivestito grande importanza ai suoi occhi: egli, come abbiamo detto, aveva una passione particolare per quegli storiografi che si erano occupati delle vicende dell'Oriente.| << | < | > | >> |Pagina 38E' legittimo chiedersi se un uomo del talento di Fozio facesse propria senza riserve la legge dell'imitazione dei classici. La maggior parte dei suoi commenti critici, così come la sua pratica di scrittore, presuppongono l'accettazione dei dettami dell'atticismo. Ma in due occasioni emerge che tale moda - a suo modo di vedere - veniva talora spinta all'eccesso. Egli loda infatti lo storico Diodoro Siculo per avere evitato espressioni eccessivamente arcaiche o iperattiche (codice 70).| << | < | > | >> |Pagina 39L'intento primario di Fozio - come abbiamo detto - era quello di soddisfare le richieste dei fratello; ma anche se avesse immaginato che la sua opera sarebbe stata letta da altri, non avrebbe per questo apportato la benché minima modifica ai suoi giudizi letterari. Tutti i membri dei circoli culturali di Bisanzio leggevano e ritenevano i classici quali modelli dello stile attico, modelli che potevano sfruttare quando si dedicavano essi stessi alla composizione. I giudizi di Fozio vanno letti in questa luce: il concetto di storia letteraria, l'idea che uno scrittore operi all'interno di una tradizione, in genere non lo interessa.| << | < | > | >> |Pagina 40Un aspetto senz'altro positivo dell'atteggiamento di Fozio nei confronti dei prosatori è il suo interesse per gli effetti che essi sapevano produrre sugli ascoltatori. La lettura ad alta voce era la regola nell'antichità, e tale uso - a quanto possiamo giudicare - sembra essere stato comune anche a Bisanzio. La critica moderna, di quando in quando, attribuisce grande importanza agli effetti sonori raggiunti da uno scrittore: Eliot, nel suo famoso attacco a Milton, giunse ad affermare a proposito di un passo di quest'ultimo che «per il piacere dell'orecchio è appena necessario badare al senso». Commenti del genere, tuttavia, oggi sono rari, laddove a Bisanzio erano di uso corrente nella critica letteraria.| << | < | > | >> |Pagina 41E' difficiile, per il lettore moderno che lo desideri, appurare quale sia il valore di Fozio come critico letterario. Un buon numero dei più famosi autori di cui possediamo le opere non è incluso nella Biblioteca per le ragiioni che abbiamo spiegato. Inoltre, poiché i codici non seguono uno schema fisso, non tutte le recensioni comprendono una valutazione dello stile dell'autore. Perciò, non è facile trovare un campione di scheda del tipo da noi prediletto, ossia l'analisi di un autore famoso e di grande valore, di cui ci restino gli scritti.| << | < | > | >> |Pagina 43Ma in questo particolare ambito il vero difetto della Biblioteca è un altro. Si narra che Voltaire abbia sentenziato che «un dictionnaire sans citations est un squelette» («un dizionario privo di citazioni è come uno scheletro»). Questa massima vale in egual misura per la critica letteraria. E' un vero peccato che Fozio non abbia seguito l'esempio di Dionigi di Alicarnasso, che nel suo saggio su Tucidide aveva esaminato una serie di passi nei minimi particolari. Per chiarite che cosa intendesse per difetti di stile, Dionigi era giunto a riscrivere secondo il suo gusto i passi incriminati.| << | < | > | >> |Pagina 45La Biblioteca non venne pubblicata fino al 1601. Il fatto che un'opera di tale importanza non abbia suscitato maggiore interesse tra gli studiosi del Rinascimento resta uno degli enigmi della storia letteraria. Il primo indizio del suo arrivo in Italia è costituito da una lettera di Ambrogio Traversari, datata al 1435, nella quale egli ringrazia un amico per avergli fatto dono di un testo tramandato senza titolo nel manoscritto, ma chiaramente identificabile con la Biblioteca.| << | < | > | >> |Pagina 55| << | < | > | >> |Pagina 57Fozio saluta nel Signore l'amato fratello Tarasio. Tarasio, fratello mio dilettissimo, poiché tu mi hai chiesto - dopo che io sono stato designato a partecipare ad un'ambasceria presso gli assiri per volere del collegio degli ambasciatori e per decisione dell'imperatore - di farti un resoconto scritto delle opere che ho letto quando eri assente, per avere uno strumento che valga a consolarti per questa separazione che tanto ti affligge e, nello stesso tempo, per poter conoscere - seppure in modo superficiale e sommario - il contenuto dei libri che non hai avuto modo di leggere insieme a me (sono in tutto trecento, meno - solamente - la quindicesima parte di tale cifra più uno: tanti infatti - io credo - mi è accaduto di leggerne mentre tu eri lontano), ho messo per iscritto - una volta avuto a disposizione uno scrivano - tutto ciò che la mia memoria conservava al riguardo, assolvendo un dovere, per così dire, sacro nei confronti della tua appassionata richiesta: considerato il tuo desiderio bruciante e le tue ardenti preghiere, avrò forse impiegato troppo tempo, ma sono stato comunque più rapido di quanto chiunque altro avrebbe potuto aspettarsi. | << | < | > | >> |Pagina 70Ho letto un trattato Sulla politica in forma di dialogo, che introduce come interlocutori il patrizio Mena e il «referendario» Tommaso. L'opera si articola in sei libri, nei quali viene presentata una forma di governo diversa rispetto a quelle teorizzate dagli antichi: essa viene chiamata «dicearchica»; lo Stato delineato da Platone viene giustamente criticato. Quanto al modello proposto dai due interlocutori, esso - a loro dire - deve contemperare i tre tipi di costituzione: monarchica, aristocratica e democratica; ciascuna di esse contribuisce con quanto ha di peculiare, portando così alla realizzazione di quella forma di governo che è veramente la migliore. | << | < | > | >> |Pagina 86Ho letto le Storie di Erodoto: constano di nove libri, in conformità con il numero delle Muse, dalle quali ognuno di essi prende nome. Erodoto potrebbe valere da modello per il dialetto ionico, come Tucidide per quello attico. Egli fa largo uso di racconti favolosi e di digressioni, pervasi dal dolce fluire dei suoi pensieri; tuttavia, se rapportati alla comprensione dei fatti storici e al carattere peculiare del genere storiografico, questi mezzi narrativi ingenerano talora oscurità, perché la verità non tollera che la sua esattezza sia offuscata da elementi fiabeschi, né può abbandonarsi più del dovuto alle divagazioni. Il racconto inizia dal regno di Ciro, primo monarca dei persiani - quale fu la sua origine, come fu allevato ed educato e come divenne re - e giunge fino al regno di Serse, alla spedizione contro Atene e alla ritirata dei persiani dalla Grecia. Serse fu il quarto re a partire da Ciro, mentre il secondo fu Cambise e il terzo Dario: il mago Smerdis infatti - vissuto tra Cambise e Dario - non è annoverato fra i re, perché fu un tiranno che usurpò con l'intrigo e con l'inganno un trono che non gli spettava. Successore di Dario fu suo figlio Serse, al tempo del quale termina la narrazione, interrotta nel bel mezzo del suo regno. Erodoto toccò la maturità proprio in quegli anni, come riferisce tra gli altri Diodoro Siculo. Si narra che, nel corso di una pubblica lettura delle Storie fatta dallo stesso Erodoto, Tucidide - allora giovanissimo e presente alla recita col padre - sia scoppiato a piangere e che Erodoto abbia allora esclamato: «Tuo figlio, o Oloro, è dotato di un temperamento pronto a infervorarsi per il sapere». | << | < | > | >> |Pagina 270Ho letto il trattato Sulle scuole di Galeno, che prende in esame le scuole che si sono costituite nel campo della medicina. Egli afferma che - in medicina, appunto - si sono universalmente affermate tre scuole: quella detta «logica» (da lui chiamata anche «dogmatica» e «analogistica»), in secondo luogo quella detta «empirica» (altresì denominata scuola «dell'osservazione» e «della memoria») e, terza, quella «metodica». Esse differiscono fra loro principalmente per il metodo di indagine: il medico dogmatico, infatti, fonda la propria attività professionale sull'uso del ragionamento, cercando di trovare così le giuste terapie; il medico empirico, invece, non si basa sul ragionamento, bensì sull'esperienza e sull'osservazione; il metodico poi - pur dichiarando di affidarsi sia al ragionamento sia all'esperienza - non si serve rigorosamente né dell'uno né dell'altra, sicché il suo metodo sarà ovviamente diverso dagli altri due. Il presente lavoro è diviso in tre sezioni. Nella prima Galeno descrive i fondamenti delle scuole empirica e dogmatica, e ci insegna in che cosa consista e quale sia l'essenza di entrambe; nella seconda sezione ci presenta queste due scuole in contrasto fra loro, ciascuna a rivendicare la propria supremazia; nella terza sezione, poi, introduce la scuola detta metodica a rivaleggiare con le due precedenti, e queste con quella: ciascuna delle tre esibisce le proprie ragioni, cercando di prevalere sulle altre due. E qui si conclude la terza sezione. E' evidente che quest'opera deve essere letta prima di ogni altro trattato di medicina, se è vero che è indispensabile prima accertare quale sia la migliore scuola fra tutte, e poi seguire quella prescelta; propriamente, peraltro, questo non sarebbe neppure un libro di medicina, perché si colloca come un'introduzione alla materia e appartiene piuttosto al campo della filosofia. E' altresì evidente che - per quanto riguarda il lessico e la sintassi - questo scritto risulta semplice e intelligibile: Galeno, infatti, si dà pensiero di riuscire tale in ogni sua opera; egli, tuttavia, in molti suoi scritti - gravando il testo con osservazioni inopportune, divagazioni e lungaggini - sconvolge e rende oscuro il senso del discorso, spezzando - per così dire - il tessuto narrativo ed ingenerando la noia nel lettore con la sua verbosità. Il libro di cui parliamo è, per parte sua, scevro da tali difetti. | << | < | > | >> |PaginaHo letto una Vita di Pitagora. Vi si dice che Platone (che era stato discepolo di Archita il Vecchio) fu il nono successore di Pitagora, e Aristotele il decimo. Fra i seguaci di Pitagora, alcuni erano dediti all'attività speculativa e venivano chiamati «sebastici»; altri si occupavano dell'agire umano ed erano detti «politici»; altri ancora coltivavano lo studio della geometria e dell'astronomia ed erano chiamati «matematici». Quanti erano stati personalmente compagni di Pitagora erano detti «pitagorici», i loro discepoli «pitagorei», gli adepti che vivevano invece al di fuori delle comunità «pitagoristi». Si astenevano dal mangiare le carni degli animali: se ne cibavano esclusivamente in occasione dei sacrifici. Si tramanda che Pitagora sia vissuto centoquattro anni; Mnesarco, uno dei suoi figli, mori - si narra - in giovane età, e a Pitagora succedette il secondo figlio, Telauge. Le sue figlie si chiamavano Esara e Muia; quanto a Teano, si dice che non fosse solo una sua allieva, bensì anch'essa sua figlia. I discepoli di Pitagora sostenevano che la Monade è diversa dall'Uno: la Monade infatti - così ritenevano - appartiene al campo dell'intelligibile, mentre l'Uno appartiene a quello dei numeri, nello stesso modo in cui rientra tra i numerali il Due. Affermavano poi che la Diade è indefinita, per il fatto che la Monade attiene all'eguaglianza e alla misura, la Diade invece all'eccesso e al difetto; ora, la medietà e la misura non possono aumentare e diminuire, mentre lo possono l'eccesso e il difetto, perché tendono all'indeterminato: è per questo motivo che classificavano la Diade come indefinita. E poiché - partendo dalla Monade e dalla Diade - facevano risalire ogni cosa ai numeri, identificavano la realtà tutta con i numeri; Dieci è il numero perfetto, perché è il risultato della somma dei primi quattro numeri presi nell'ordine: per questo chiamavano Tetractys il tutto costituito da questo numero. Asserivano poi che l'uomo raggiunge il culmine della perfezione in tre modi: in primo luogo tramite il contatto con gli dèi (chi entra in relazione con loro, infatti, resta necessariamente lontano - finché dura tale esperienza - da tutto ciò che è male, e rende se stesso quanto più gli è possibile simile alla divinità); in secondo luogo, facendo il bene (il che, di fatto, è proprio di Dio e di chi lo vuole imitare), e in terzo luogo con la morte: se infatti l'anima - finché si trova entro l'essere a cui dà vita - migliora in qualche misura se stessa soprattutto nei momenti in cui è scissa dal corpo, e manifesta doti profetiche nei sogni fatti durante il sonno e nei deliri prodotti dalle malattie, essa, allora, farà ben maggiori progressi quando sarà definitivamente separata da esso. I pitagorei facevano della Monade il principio di tutte le cose, perché - affermavano - il punto è il principio della linea, la linea è il principio della superficie, e la superficie è il principio del corpo a tre dimensioni, ossia del solido: ma la Monade precede concettualmente il punto, sicché essa risulta essere il principio dei corpi solidi; tutti i solidi, perciò, traggono origine dalla Monade. I pitagorei si astenevano dal mangiare le carni degli animali, sia perché credevano stoltamente alla metempsicosi, sia perché cibi del genere - essendo oltremodo nutrienti e difficili da digerire - ottundono la mente. Per lo stesso motivo evitavano le fave: gonfiano infatti il ventre e sono ipernutritive; e adducevano una quantità di altre ragioni per cui erano indotti a non cibarsi di fave. Pitagora - dice l'autore - predisse numerosi eventi, che si vericarono tutti. | << | < | > | >> |Pagina 461Concludendo, i libri - oggetto dei nostri studi letterari - che siamo riusciti a rammentare (esclusi quelli il cui uso e la cui pratica consentono di esercitare le varie arti e scienze) da quando è nato in qualche modo in noi lo stimolo a esprimere un giudizio in materia di letteratura e fino alla pubblicazione della presente sintesi di tutte le nostre letture, tali libri, dunque, raggiungono (io credo) il numero complessivo che segue: per arrivare a un totale di trecento manca la trecentesima e la quindicesirna parte di tale numero. Venendo a te - il più caro fra coloro che sono nati dal ventre della mia stessa madre - se la fine che tocca a tutti gli uomini mi dovesse cogliere mentre svolgo questa ambasceria, ti troverai a possedere l'opera che mi chiedevi senza che le tue speranze siano andate deluse: un attestato del mio affetto che ti consolerà, e un ricordo, di me che assolverà pienamente il compito di soddisfare i tuoi desideri di conoscenza in campo letterario. Se invece la volontà divina - nella sua benevolenza - ci farà tornare sani e salvi da laggiù e ci restituirà la gioia di stare insieme come in passato, quest'opera potrebbe forse essere la prima di una serie di pubblicazioni non meno estese e del medesimo tipo, che ti potranno essere utili. | << | < | |