Copertina
Autore Jonathan Franzen
Titolo Le correzioni
EdizioneEinaudi, Torino, 2002, Supercoralli , pag. 606, dim. 140x220x40 mm , Isbn 978-88-06-16037-1
OriginaleThe Corrections [2001]
TraduttoreSilvia Pareschi
LettoreAngela Razzini, 2002
Classe narrativa statunitense
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Pagina 3

St. Jude


Un fronte freddo autunnale arrivava rabbioso dalla prateria. Qualcosa di terribile stava per accadere, lo si sentiva nell'aria. Il sole era basso nel cielo, una stella minore, un astro morente. Raffiche su raffiche di entropia. Alberi irrequieti, temperature in diminuzione, l'intera religione settentrionale delle cose era giunta al termine. Neanche un bambino nei giardini. Ombre e luce sulle zoysie ingiallite. Querce rosse e querce di palude e querce bicolori riversavano una pioggia di ghiande sulle case senza ipoteca. Le controfinestre rabbrividivano nelle stanze da letto vuote. E poi il ronzio monotono e singhiozzante di un'asciugabiancheria, la contesa nasale di un soffiatore da giardino, il maturare di mele nostrane in un sacchetto di carta, l'odore della benzina con cui Alfred Lambert aveva ripulito il pennello dopo la verniciatura mattutina del divanetto di vimini.

Le tre del pomeriggio erano un'ora pericolosa nei sobborghi gerontocratici di St. Jude. Alfred si era svegliato nella grande poltrona blu in cui si era addormentato dopo pranzo. Aveva finito il suo pisolino e il prossimo notiziario locale iniziava soltanto alle cinque. Due ore vuote erano una fistola che generava infezioni. Si alzò a fatica, raggiunse il tavolo da ping-pong e si mise in ascolto di Enid, ma non la sentí.

In tutta la casa risuonava un campanello d'allarme che nessuno poteva udire eccetto Alfred e Enid. Era il campanello d'allarme dell'ansia. Era come uno di quei grandi dischi di ghisa muniti di battaglio elettrico che spedivano in strada gli scolari durante le esercitazioni antincendio. Suonava da cosí tante ore che ormai i Lambert non udivano piú il messaggio «campanello che squilla» ma, come quando un rumore prosegue ininterrotto finché non si riescono a distinguere i diversi suoni che lo compongono (o come quando si fissa una parola finché non si trasforma in una sequenza di lettere morte), udivano invece i rapidi rintocchi del battaglio sulla cassa di risonanza metallica, non una nota pura ma una sequenza granulosa di percussioni con uno strato superficiale di toni acuti e lamentosi; suonava da cosi tanti giorni che ormai rimaneva sullo sfondo, tranne certe volte, la mattina presto, quando uno dei due si svegliava in un bagno di sudore e si accorgeva che un campanello squillava nella sua testa da tempo immemorabile; suonava da cosí tanti mesi che il suono aveva ceduto il passo a una specie di metasuono, il cui volume non dipendeva dal battito ritmico delle onde di compressione ma dal molto, molto piú lento variare della loro consapevolezza del suono stesso. E questa consapevolezza era particolarmente acuta quando anche il clima era di umore ansioso. Allora Enid e Alfred - lei inginocchiata ad aprire cassetti in sala da pranzo, lui in contemplazione del disastroso tavolo da ping-pong nel seminterrato - si sentivano entrambi sul punto di esplodere dall'ansia.

L'ansia dei buoni sconto, in un cassetto pieno di candele dai raffinati colori autunnali. I buoni erano tenuti insieme da un elastico, e Enid si stava rendendo conto che le loro date di scadenza (spesso allegramente cerchiate in rosso dal produttore) erano passate da mesi, perfino anni: che quei cento e passa buoni, il cui valore totale superava i sessanta dollari (potenzialmente centoventi al supermarket di Chiltsville dove valevano il doppio), erano tutti scaduti. Tilex, sconto di sessanta centesimi. Excedrin PM, sconto di un dollaro. Le date non erano nemmeno vicine. Le date erano storiche. Il campanello d'allarme stava suonando da anni.

Ricacciò i buoni in mezzo alle candele e chiuse il cassetto. Cercava una raccomandata che era arrivata qualche giorno prima. Alfred aveva udito il postino bussare alla porta e aveva gridato, - Enid! Enid! - cosí forte che non l'aveva sentita strillare a sua volta, - Al, vado io! - Alfred aveva continuato a chiamarla a gran voce, avvicinandosi sempre piú, e poiché il mittente era la Axon Corporation, 24 East Industrial Serpentine, Schwenksville, Pennsylvania, e poiché c'erano alcuni aspetti della situazione della Axon che Enid conosceva e che sperava Alfred ignorasse, si era affrettata a ficcare la lettera da qualche parte a pochi metri di distanza dalla porta d'ingresso. Alfred era emerso dal seminterrato strepitando come un mezzo cingolato, - C'è qualcuno alla porta! - e lei, sempre a un volume piuttosto alto, aveva replicato, - Il postino! Il postino! - e lui aveva scosso la testa davanti alla complessità della situazione.

Enid era sicura che le si sarebbero chiarite le idee se solo non avesse dovuto chiedersi, ogni cinque minuti, che cosa stava combinando Alfred. Ma, per quanto ci provasse, non riusciva a interessarlo alla vita. Quando lo incoraggiava a tornare in laboratorio, lui la guardava come se fosse impazzita. Quando gli chiedeva se non poteva fare qualche lavoretto in giardino, le rispondeva che gli facevano male le gambe. Quando gli ricordava che i mariti delle sue amiche avevano tutti un hobby (Dave Schumpert la decorazione su vetro, Kirby Root gli intricati chalet per il nido dei ciuffolotti purpurei, Chuck Meisner il perpetuo monitoraggio del suo portafoglio d'investimenti), Alfred reagiva come se lei volesse distrarlo da una grande impresa. E qual era quell'impresa? Riverniciare il mobilio della veranda? Stava riverniciando il divanetto di vimini dal Labor Day. Le sembrava di ricordare che l'ultima volta che aveva verniciato il mobilio aveva finito il divanetto in due ore. Ora Alfred scendeva nel laboratorio tutte le mattine, e dopo un mese Enid si azzardò a entrare e scoprí che l'unica cosa che aveva dipinto del divanetto erano le gambe.

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Pagina 84

- Allora lo chiamerai? - domandò Denise.

Chip appese la cornetta senza risponderle, staccò la suoneria e schiacciò la faccia contro il telaio della porta. Aveva risolto il problema dei regali di Natale ai famigliari nell'ultimo giorno utile per spedirli, quando, in tutta fretta, aveva preso dagli scaffali vecchi libri in offerta e remainders e li aveva avvolti nella carta stagnola e legati con un nastro rosso, rifiutandosi di immaginare come suo nipote Caleb di nove anni, tanto per fare un esempio, avrebbe reagito all'edizione Oxford commentata di Ivanhoe, che si poteva definire un regalo soltanto perché era ancora avvolta nella pellicola di plastica. Gli angoli delle copertine avevano subito lacerato la stagnola, e quella che aveva aggiunto per nascondere i buchi non aveva aderito bene agli strati sottostanti, creando l'effetto di una buccia fragile, come pelle di cipolla o pasta sfoglia, che aveva cercato di attenuare appiccicando su ogni regalo gli adesivi natalizi della Lega per il Diritto all'Aborto ricevuti insieme al kit annuale di socio. Quel lavoro gli era sembrato cosi rozzo e infantile, cosi mentalmente squilibrato, a dire il vero, che aveva buttato i pacchetti in un vecchio scatolone da fruttivendolo, semplicemente per toglierseli dalla vista. Poi aveva spedito lo scatolone via FedEx a Philadelphia, a casa di Gary. Si sentiva come se avesse fatto un'enorme cagata: per quanto fosse una cosa sporca e sgradevole, adesso almeno si era liberato, e quella situazione non si sarebbe ripresentata tanto presto. Ma tre giorni piú tardi, rientrando a casa a notte fonda dopo una veglia natalizia di dodici ore al Dunkin Donuts di Norwalk, Connecticut, Chip si trovò di fronte al problema di aprire i regali dei suoi famigliari: due scatole da St. Jude, una busta imbottita da Denise, e un pacco da Gary. Decise che li avrebbe aperti a letto, e che li avrebbe portati in camera spingendoli a calci su per le scale. Quella decisione si rivelò una sfida, perché gli oggetti oblunghi tendevano a non rotolare verso l'alto, bensí a urtare contro gli scalini e ruzzolare giú di nuovo. Inoltre, poiché il contenuto della busta imbottita era troppo leggero per offrire resistenza inerziale, era difficile assestargli una pedata efficace. Ma Chip aveva trascorso un Natale così deludente e demoralizzante - aveva lasciato un messaggio nella casella vocale di Melissa al college, chiedendole di chiamarlo al telefono pubblico del Dunkin Donuts, oppure, meglio ancora, di raggiungerlo dalla casa dei genitori nella vicina Westport, e soltanto a mezzanotte si era sentito sufficientemente esausto da accettare il fatto che probabilmente Melíssa non l'avrebbe chiamato e sicuramente non l'avrebbe raggiunto - che ora non era psicologicamente in grado né di infrangere le regole del gioco che lui stesso aveva inventato, né di abbandonare la partita prima di aver conseguito l'obiettivo. E poiché era evidente che le regole ammettevano solo colpi secchi (vietato soprattutto infilare il piede sotto la busta imbottita e mandarla avanti spingendola o sollevandola), Chip fu costretto a prendere a calci il regalo di Denise sempre piú ferocemente, finché la busta non si ruppe spargendo tutt'intorno l'imbottitura di carta di giornale tagliuzzata e lui non riuscí a colpire l'involucro con la punta dello stivale e a lanciare il dono con un arco lungo e perfetto, che terminò appena uno scalino sotto il primo piano. Da li, tuttavia, la busta rifiutò di spostarsi per superare il bordo dell'ultimo gradino. Chip la calpestò, la prese a calci e la frantumò sotto i tacchi. Dentro c'era un ammasso di carta rossa e seta verde. Infrangendo la sua stessa regola, lo trascinò in cima alla scala, lo prese a calci per tutto il corridoio e lo lasciò accanto al letto mentre scendeva a prendere gli altri pacchi. Praticamente distrusse anche quelli, prima di scoprire il sistema di farli rotorale giù da uno dei gradini bassi per poi, quando erano a mezz'aria, calciarli al volo fino in cima alle scale. Il pacco di Gary esplose in una nuvola bianca di palline di polistirolo espanso, liberando una bottiglia avvolta nella plastica a bolle che rotolò giú dalle scale. Era una bottiglia di porto californiano d'annata. Chip la trasportò in camera da letto e si mise all'opera al ritmo di un'abbondante sorsata di porto per ogni regalo che riusciva a scartare.

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Pagina 96

Ogni giorno che Chip trascorreva ad abbellire il cadavere di un monologo drammaticamente morto era un giorno in cui l'affitto, il cibo e i divertimenti venivano pagati, in larga parte, con i soldi della sorella minore. Tuttavia, finché durò il denaro, il dolore non si acutizzò. I giorni si susseguivano con regolarità. Chip si alzava raramente prima di mezzogiorno. Gustava il cibo e il vino, si vestiva abbastanza bene da convincersi di non essere un ammasso tremante e gelatinoso, e riusciva, quattro sere su cinque, a nascondere i presentimenti e le ansie peggiori e a divertirsi con Julia. Dato che il debito con Denise era grande in confronto al salario di un correttore di bozze, ma piccolo per gli standard hollywoodiani, lavorava sempre meno per Bragg Knuter & Speigh. Il suo unico motivo d'insoddisfazione era la salute. In certe giornate estive, quando lavorare significava rileggere per l'ennesima volta l'Atto I, rendersi conto della sua irrimediabile bruttezza e correre fuori a prendere una boccata d'aria, gli capitava di scendere giú per Broadway, sedersi su una panchina in Battery Park City lasciando che la brezza dell'Hudson gli entrasse nel colletto, ascoltare l'incessante fut-fut degli elicotteri e le grida lontane dei bambini miliardari di Tribeca, e venire travolto dal senso di colpa. Essere cosí vigoroso e pieno di salute, eppure una tale nullità: non saper approfittare di una bella dormita e di un raffreddore evitato con successo per mettersi al lavoro, e non essere nemmeno capace di entrare in pieno nello spirito vacanziero e tracannare margaritas flirtando con le sconosciute. Sarebbe stato meglio, pensava, ammalarsi gravemente e morire adesso che era un fallito, e risparmiare salute e vitalità per un futuro in cui forse, anche se gli sembrava impossibile, avrebbe avuto successo. Di tutte le cose che stava sprecando - i soldi di Denise, la disponibilità di Julia, le capacità e la cultura di cui era dotato, le opportunità concesse dal piú lungo boom economico della storia americana - il suo assoluto benessere fisico, sulla riva del fiume illuminata dal sole, era quella che gli faceva piú male.

I soldi finirono un venerdi di luglio. Dovendo affrontare un fine settimana con Julia, che poteva costargli quindici dollari solo al bar del cinema, fece incetta di marxisti dalla sua libreria e li portò allo Strand in due borse pesantissime. I libri avevano le sopraccoperte originali e gli erano costati in tutto $3900. Un commesso li valutò con noncuranza ed espresse il suo verdetto: - Sessantacinque.

Chip fece una risatina forzata, imponendosi di non discutere; ma l'edizione britannica di Razionalità nell'azione e nazionalizzazione sociale di Jürgen Habermas, che aveva trovato troppo difficile da leggere, figuriamoci da annotare, era nuova di zecca e gli era costata £95.00. Non poté fare a meno di indicarla come esempio.

- Provi da un'altra parte, se vuole, - disse il commesso esitando con la mano alzata sopra il registratore di cassa.

- No, no, ha ragione, - disse Chip. - Sessantacinque va benissimo.

Era pietosamente ovvio che aveva creduto di ricavare centinaia di dollari da quei libri. Distolse lo sguardo dai loro dorsi pieni di rimprovero, ricordandosi di quando, in libreria, l'avevano attratto con la promessa di una critica radicale della società tardo-capitalista, e di come era stato felice di portarseli a càsa. Ma Jürgen Habermas non aveva il corpo snello e flessibile di Julia, Theodor Adorno non emanava il suo profumo inebriante di sottomissione lussuriosa, Fred Jameson non possedeva la sua lingua agile. All'inizio di ottobre, quando mandò la sceneggiatura completa a Eden Procuro, Chip aveva ormai venduto le femministe, i formalisti, gli strutturalisti, i poststrutturalisti, i freudiani e gli omosessuali. Per mettere, insieme i soldi del pranzo per i genitori e Denise, gli erano rimasti soltanto gli amati storici della cultura e tutto Shakespeare nell'edizione Arden rilegata; e poiché Shakespeare àveva in sé una sorta d'incanto - i volumi uniformi nelle copertine azzurro pallido erano come un arcipelago di rifugi sicuri - riempí borsate di Foucault, Greenblatt, hooks e Poovey e li vendette tutti per centoquindici dollari.

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Pagina 124

Nello sfarzo dei matrimoni, Enid sperimentava fermamente quel parossistico amore per i propri luoghi - il Midwest in generale e i sobborghi di St. Jude in particolare - che per lei costituiva il solo vero patriottismo e l'unica possibile spiritualità. Avendo vissuto sotto presidenti corrotti come Nixon, stupidi come Reagan e disgustosi come Clinton, aveva perso interesse per lo sciovinismo americano, e nessuno dei miracoli per cui aveva pregato Dio si era mai realizzato; ma in un sabato di nozze nella stagione dei lillà, seduta su una panca della chiesa presbiteriana di Paradise Valley, poteva guardarsi intorno e vedere duecento brave persone e neppure una cattiva. Tutti i suoi amici erano persone perbene e avevano amici perbene, e dato che di solito le persone perbene allevavano figli perbene, il mondo di Enid assomigliava a un prato in cui l'erba cresceva cosí folta da soffocare il male: un miracolo di perbenismo. Se, per esempio, era una delle figlie di Esther e Kirby Root a percorrere la navata presbiteriana al braccio di Kirby, Enid si ricordava di quando la piccola Root faceva il giro di Halloween con il costume da ballerina, vendeva i biscotti delle Girl Scout e accudiva Denise, e di come le figlie dei Root, anche dopo che si erano trasferite in buoni college del Midwest, avessero sempre considerato importante, quando erano a casa per le vacanze, venire a bussare alla porta sul retro e aggiornarla sui fatti di casa Root, spesso fermandosi per un'ora o anche piú (e non, Enid lo sapeva, perché gliel'avesse detto Esther, ma solo perché erano brave ragazze di St. Jude che si interessavano spontaneamente agli altri), e Enid aveva il cuore gonfio alla vista di un'altra dolce e caritatevole figlia dei Root che riceveva, come ricompensa, i voti di un giovanotto con un taglio di capelli ordinato come quelli che si vedevano nelle pubblicità di abbigliamento maschile, un ragazzo davvero in gamba che aveva un atteggiamento positivo ed era cortese con le persone anziane e non credeva nel sesso prematrimoniale, che faceva un lavoro utile per la società come l'ingegnere elettrotecnico o il biologo ambientale e voleva costruire una famiglia amorevole, solida e tradizionale come quella in cui era cresciuto. A meno che Enid non si lasciasse troppo ingannare dalle apparenze, i giovani di quel calibro continuavano, persino alla fine del ventesimo secolo, a rappresentare la norma nei sobborghi di St. Jude. Tutti i ragazzi che aveva conosciuto come Cub Scout e utenti del suo bagno a pianterreno e spalatori della sua neve, i numerosi figli dei Driblett, i vari Person, i gemelli Schumpert, tutti quei giovani perbene e avvenenti (che Denise, da ragazzina, aveva rifiutato con la sua espressione «divertita», provocando la rabbia silenziosa di Enid), avevano o avrebbero presto percorso le navate protestanti locali per scambiare i voti con brave ragazze normali e stabilirsi poi, se non proprio a St. Jude, perlomeno nella stessa zona di fuso orario.

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Pagina 286

Quando il bambino fu a letto, ebbe ricevuto un bacio e si fu ben addormentato, un lasso di tempo non quantificabile fluí tra le gambe della sedia su cui Alfred sedeva, cosciente soltanto della sofferenza che gli albergava fra le tempie. La stanchezza era cosi dolorosa da tenerlo sveglio.

O forse si addormentò, perché d'improvviso si ritrovò in piedi e moderatamente riposato. Uscí dalla stanza di Chipper e andò a controllare Gary.

Appena oltre la porta, che odorava di colla Elmer, c'era una prigione fatta di bastoncini di ghiacciolo. Quella prigione non aveva nulla a che vedere con l'elaborato istituto correzionale che Alfred si era immaginato. Era un rozzo quadrato senza tetto, rozzamente bisecato. La pianta dell'edificio, in effetti, era esattamente il quadrato binomiale che lui stesso aveva evocato prima di cena.

E quella, quella cosa nel locale piú grande della prigione, quel pastrocchio di colla molliccia e bastoncini di ghiacciolo rotti era... una carriola per bambole? Uno sgabello in miniatura ?

Una sedia elettrica.

Con la mente offuscata dalla stanchezza, Alfred si inginocchiò a esaminarla. Si accorse di essere sensibile all'intensità dell'emozione che quella sedia gli comunicava - alla commozione per l'impulso di Gary a costruire un oggetto che ottenesse l'approvazione del padre - e, in maniera piú disturbante, all'impossibilità di adattare quel rozzo manufatto alla precisa immagine mentale di una sedia elettrica che aveva formulato al tavolo da pranzo. Come la donna illogica di un sogno che era Enid e allo stesso tempo non lo era, cosí la sedia che aveva immaginato era elettrica e allo stesso tempo fatta di bastoncini. Ora gli venne in mente, con intensità maggiore del solito, che forse tutte le cose «reali» del mondo erano rozzamente proteiformi, sotto sotto, come quella sedia elettrica. Forse il pavimento di legno duro apparentemente reale su cui era inginocchiato stava subendo nella sua mente lo stesso processo che aveva subíto la sedia invisibile qualche ora prima. Forse un pavimento diventava davvero un pavimento soltanto nella ricostruzione operata dal suo cervello. Ovviamente la natura del pavimento era in un certo senso indiscutibile; senza dubbio il legno esisteva e aveva proprietà misurabili. Ma c'era un altro pavimento, quello riflesso nella sua testa, e Alfred temette che la «realtà» assediata per cui si era battuto non fosse la realtà di un vero pavimento in una vera camera da letto, ma quella di un pavimento idealizzato nella sua testa, e che pertanto non fosse piú rispettabile di una delle sciocche fantasie di Enid.

Il sospetto che tutto fosse relativo. Che «il reale» e «l'autentico» non fossero semplicemente condannati, ma prima di tutto immaginari. Che il suo sentimento di giustizia, di essere l'unico paladino del reale, non fosse nient'altro che un sentimento. Sospetti che erano rimasti in agguato in tutte quelle stanze di motel. Profondi terrori nascosti sotto i letti fragili.

E se il mondo non voleva accordarsi con la sua versione della realtà, allora doveva essere per forza un mondo egoista, sgradevole e ripugnante, una colonia penale, e lui era condannato a una tremenda solitudine.

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Pagina 300

- Flblaaatth! - sbeffeggiò lo stronzo. Era riapparso sulla parete sopra il letto di Alfred e penzolava precariamente, come se ce l'avessero scagliato, accanto a un'acquaforte incorniciata del lungomare di Oslo.

- Che Dio ti maledica! - disse Alfred. - Il tuo posto è in prigione!

Lo stronzo emise una risata sibilante mentre scivolava con lentezza lungo la parete, con i vischiosi pseudopodi che minacciavano di gocciolare sulle lenzuola sottostanti. - Secondo me, - disse, - i costipati cronici come te vorrebbero mettere in prigione qualunque cosa. Per esempio i bambini, cosí fastidiosi, caro mio, tirano giú i ninnoli dagli scaffali, fanno cadere il cibo sul tappeto, strillano a teatro, non centrano il vasino. Sbattiamoli in galera! E i polinesiani, accidenti, portano la sabbia in casa, lasciano odore di pesce sui mobili, e che dire di tutte quelle pollastre adolescenti con le tette di fuori? In prigione! E perché non dare da dieci a vent'anni, già che ci siamo, a tutti i piccoli teenager arrapati, per insolenza e mancanza di rispetto? E i negri (punto dolente, Fred?), mi pare di sentire urla fragorose e grammatica interessante, sento odore di liquori al malto e di sudore abbondante e capelli sporchi, e tutto quel ballare e ululare e quei cantanti che tubano come parti del corpo cosparse di saliva e gelatine speciali: a cosa serve una prigione se non a buttarci dentro un negro? E i caraibici con i loro spinelli, i marmocchi pancioni, i barbecue quotidiani, gli hanta virus portati dai topi e le bevande dolciastre con il sangue di maiale sul fondo del bicchiere? Chiudi la porta della cella e mangiati la chiave. E i cinesi, eh, con quelle disgustose verdure dai nomi strani che somigliano a cazzi artificiali che qualcuno si è dimenticato di lavare dopo l'uso, un dollalo, un dollalo, e quelle carpe viscide e quegli uccellini spellati vivi, e poi, tipo, la zuppa di cane e i ravioli fichetta e le neonate femmine, manicaretti nazionali, nientemeno, e il pork-bung, nome con cui ci si riferisce all' ano di un maiale, probabilmente un pezzo di carne dura e setolosa, ano di maiale, e i cinesi che pagano per mangiarlo? Che ne diresti di buttare una bella bomba atomica e farli fuori tutti quanti, un miliardo e duecento milioni di cinesi in un colpo solo? Cosí quella parte del mondo sarebbe ripulita una volta per tutte. E non dimentichiamoci delle donne in genere, con quella scia di Kleenex e Tampax che si lasciano dietro dovunque vadano. E le checche con i lubrificanti professionali, e i mediterranei tutti basette e aglio, e i francesi con i loro reggicalze e i loro formaggi puzzolenti, e gli operai grattapalle con i motori truccati e i rutti alla birra, e gli ebrei con il putz circonciso e i pesci gefilte che sembrano stronzi in salamoia, e i wasp con le barche superveloci e i cavalli da polo con la goccia al culo e quei sigari infernali che ti fumano sotto il naso? Ehi, è strano, Fred, gli unici che non stanno nella tua prigione sono i maschi nordeuropei di classe medio-alta. E tu insisti nel dire che io voglio fare le cose a modo mio?

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