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| << | < | > | >> |IndiceUn percorso nell'estetica 1. Premessa 1 2. Il percorso dell'estetica 2 3. Struttura del volume 8 Parte prima: Le correnti dell'estetica 11 1. Dall'antichità al Rinascimento 1.1 L'arte 13 1.2 Il bello 14 1.3 Il rapporto arte-mimèsi 15 2. Il Rinascimento 2.1 Cesura e dimensione conflittuale 18 2.2 Un'opera da compiere 21 2.3 La leggiadria: fra simulazione e dissimulazione 23 3. Dal Barocco al Settecento 3.1 Tra Barocco e classicismo 28 3.2 La disputa tra antichi e moderni 30 3.3 Il ruolo della filosofia secentesca 31 3.4 Il problema della bellezza nel Settecento 33 3.5 Arte e genio 35 3.6 Le regole del gusto 36 3.7 Il battesimo dell'estetica 39 3.8 Vico e il problema dell'arte in Italia 41 3.9 La Critica del giudizio 42 4. Idealismo e Romanticismo 4.1 Istanze e orientamenti comuni 45 4.2 L'influenza di Fichte 46 4.3 L'elaborazione schellinghiana 48 4.4 L'ironia 50 4.5 L'estetica di Hegel 51 4.6 La poesia 53 4.7 Figure e modelli del Romanticismo 56 5. Positivismo, evoluzionismo, estetica psicologica 5.1 Verso un'estetica come scienza 60 5.2 Tra positivismo ed evoluzionismo 61 5.3 Estetica e psicologismo 64 6. Linguistica, semiotica, narrazione 6.1 Estetica e linguaggio 69 6.2 La tradizione strutturalista 71 6.3 Dialogo e società 73 6.4 Semiotica ed espressione 75 6.5 Critica e narrazione 78 6.6 La semiologia del testo 80 6.7 L'identità narrativa 82 7. L'estetica e le scienze umane 7.1 Varietà delle scienze umane 84 7.2 Espressione artistica e dialogo 86 7.3 La scienza estetica 88 7.4 Arte e psicologia 90 7.5 Arte e sociologia 91 8. Vitalismo e pragmatismo 8.1 Volontà di potenza ed energia creatrice 96 8.2 L'arte come forma e corrente vitale 99 8.3 Esperienza e arte: il pragmatismo di Dewey 101 9. L'estetica marxista 9.1 La riflessione sull'arte di Marx ed Engels 105 9.2 Tra realismo e rispecchiamento 107 9.3 Arte e società di massa 109 10. L'estetica del neoidealismo italiano 10.1 L'estetica crociana 114 10.2 Giovanni Gentile e Francesco De Sanctis 118 10.3 Le alternative al neoidealismo: una breve panoramica 120 11. Fenomenologia ed esistenzialismo 11.1 Husserl e le tradizioni fenomenologiche 123 11.2 Dalla fenomenologia alla filosofia dell'esistenza 129 11.3 Estetica e fenomenologia in Francia e in Italia 132 12. Ermeneutica e decostruzionismo 12.1 Heidegger e l'origine dell'opera d'arte 137 12.2 Gadamer e le tradizioni dell'ermeneutica 140 12.3 La decostruzione e i maestri del sospetto 144 Parte seconda: I nomi dell'estetica 149 1. Premessa: I nomi e le cose 151 2. Bello 2.1 Indefinibilità di un termine 154 2.2 Il bello tra soggetto e oggetto 157 2.3 Bellezza e arte 160 2.4 La bellezza e l'estetica 162 2.5 Kant e il giudizio sul bello 164 2.6 Il bello romantico 165 3. Arte-tecnica 3.1 L'evoluzione del termine arte 168 3.2 Arti liberali e arti meccaniche 170 3.3 Le "belle arti" 173 3.4 Tecnica artistica e avanguardie 175 4. Forma 4.1 La contingenza morfologica 182 4.2 Gli a priori della forma 184 4.3 Verso un'autonomia formale 189 5. Simbolo 5.1 Simbolo: epifania di un mistero 194 5.2 Il simbolo nella Critica del giudizio 195 5.3 Arte come simbolo 196 5.4 Simbolo e allegoria: Benjamin tra Creuzer e Goethe 198 5.5 Il mondo tradotto in linguaggio simbolico 201 5.6 Immaginazione e immaginario nei simbolisti francesi 202 6. Gusto 6.1 Definizioni del gusto 208 6.2 Archeologia del gusto 209 6.3 Giudicare la bellezza 212 6.4 La regola del gusto 214 6.5 La critica del giudizio di gusto 217 7. Genio 7.1 La varietà del genio 220 7.2 Il genio e la teoria dell'arte 221 7.3 Genio, espressione e interpretazione della natura 225 7.4 Genio e immaginazione 228 7.5 Il genio romantico 229 7.6 Il genio nel mondo contemporaneo 233 8. Immaginazione 8.1 Dall'antichità al Settecento 235 8.2 La riflessione di Kant 240 8.3 Immaginazione e fantasia nel Romanticismo 241 8.4 L'"eco del tumulo corporeo": immaginazione e immaginario in Alain, Sartre, Bachelard e Dufrenne 244 9. Mimèsi 9.1 Mímesis: apparenza o verità 248 9.2 L'imitatio nell'Umanesimo e nel Rinascimento 252 9.3 L'imitazione della "bella natura" 254 9.4 Genio, talento e maniera 257 9.5 Realismo e naturalismo 259 10. Categorie estetiche 10.1 La crisi dell'autonomia del "bello" 261 10.2 Dalle "modificazioni del bello" alle "categorie estetiche" 262 10.3 Le forme estetiche fondamentali di Max Dessoir 264 10.4 Categorie e valori estetici 267 11. Brutto 11.1 Un valore estetico "positivo" 271 11.2 Perché l'imitazione di ciò che ripugna procura piacere? 272 11.3 Il brutto quale autonoma categoria estetica 276 11.4 Dramma e melodramma 281 11.5 L'estetica del brutto 284 11.6 Il brutto come redenzione 287 12. Sublime 12.1 Il sublime retorico 289 12.2 Il diletto sublime 292 12.3 Il sentimento sublime 294 12.4 Sublime e tragico 297 12.5 Il sublime come metafora 299 13. Tragico 13.1 La categoria estetica del tragico 301 13.2 Tragico e sublime 302 13.3 Lo scontro perpetuo degli elementi 305 13.4 Il tragico quale "matura e compiuta realizzazione della bellezza" 306 13.5 L'abnegazione della volontà alla vita 308 13.6 Il valore della colpa 310 13.7 La giustificazione estetica del tragico 311 14. Poetica 14.1 L'influenza della Poetica di Aristotele 315 14.2 La differenza tra lo storico e il poeta 318 14.3 Il risveglio della tradizione platonica 319 14.4 Marinisti e moralisti 322 14.5 Le poetiche del Barocco 324 14.6 Dalle poetiche all'estetica 325 14.7 Una rivalutazione della nozione di poetica 327 14.8 Un ulteriore significato 328 15. Retorica 15.1 Una strana fortuna 330 15.2 La retorica come "quasi" dialettica: a partire da Aristotele 331 15.3 La retorica come cultura enciclopedica: a partire da Cicerone 335 16. Antico-moderno 16.1 La Querelle des Anciens et des Modernes 341 16.2 La disputa tra classici e romantici 348 16.3 Moderni e postmoderni: un'ultima disputa 351 17. Conclusione: una definizione per l'estetica 17.1 L'estetica e il problema della qualità 355 17.2 L'estetica e la scienza 359 17.3 Estetica e verità 365 17.4 L'estetica e la sua storia 367 Bibliografia ragionata 371 a cura di Fosca Mariani Zini Premessa 373 Dagli antichi al Rinascimento 374 Rinascimento 376 Dal Barocco al Settecento 381 Idealismo, romanticismo e neoidealismo italiano 389 L'estetica tra scienza, vita e società 394 Linguistica e semiotica 399 Fenomenologia ed esistenzialismo 401 Ermeneutica e decostruzionismo 405 Bello 407 Forma 413 Simbolo 416 Immaginazione, genio, gusto 420 Mimèsi 424 Brutto 428 Sublime 432 Tragico 436 Poetica 439 Retorica 448 Antico-moderno 453 Indice dei nomi 457 |
| << | < | > | >> |Pagina 1Un percorso nell'estetica1. Premessa Il primo imbarazzo quando si deve introdurre lo studio di una disciplina filosofica, o in generale scientifica, nasce nel confrontarsi con la sua distinzione in ambiti teorici e storici. Così, ogni volta che si cerca di ridurre ai minimi termini, e alla chiarezza espositiva, discorsi complessi, il confronto con la tradizione, comunque necessario, rischia di soffocare il piano introduttivo o di trasferirlo su quello delle dispute tra metodi, punti di vista, ideologie. Sarebbe sufficiente, per esempio, soffermarsi sui tre termini che si sono ora scritti: termini molto compromettenti per l'estetica quali teoria, storia e scienza, poiché, da Baumgarten a Kant, da Dessoir a Croce, ne hanno attraversato il percorso costitutivo. Si potrebbero subito accendere dispute e sospetti, dibattendo se sia davvero possibile separare gli ambiti all'interno di una disciplina o se essa sia o meno una "scienza". Cadere in circoli viziosi, o in una cattiva infinità, sarebbe qui probabilmente molto facile. Non per questo, tuttavia, si deve pensare che le domande sul senso storico, teorico e scientifico dell'estetica siano inutili o insensate. Al contrario, solo rispondendo a tali interrogativi si potrà essere consapevoli di un percorso, di una genesi, di una tradizione, evitando il pericolo di sentieri interrotti o l'elogio di tracce che porterebbero l'estetica ovunque, salvo là dove l'hanno condotta i suoi specifici orizzonti filosofici. A tali domande non è però possibile rispondere ora: l'estetica è di per sé, come si vedrà, un territorio dagli incerti confini e volerli fissare in via preliminare all'interno di una troppo rigida griglia può costituire un pericolo metodologico, se non altro può nascondere il fatto che l'ampiezza del campo sia per l'estetica un elemento genetico e non il risultato di una confusione programmatica, dominata da un disordine costitutivo. Per evitare di rendere rigido un percorso variegato e complesso saranno dunque qui, per così dire, le "cose stesse" a parlare: sia le tradizionali vie storiografiche sia le principali parole chiave dell'estetica ne sapranno indicare il senso filosofico e l'incidenza storica nei panorami filosofici. Solo in seguito sarà possibile cercare una "definizione" per l'estetica: ma una definizione che comunque non potrà mai dire quel che essa è, con ontologica certezza. L'estetica non è un mondo chiuso bensì un percorso non finalistico, che non tende cioè a una verità sovratemporale ma si distende in un dialogo che va alla ricerca di verità locali, che tra loro si confrontano, sempre in connessione con variati atteggiamenti teorici. Perché, come ovvio, non esiste verità senza qualcuno che l'abbia proferita, senza un oggetto cui si riferisca. Certo è, comunque, che la quasi totalità delle introduzioni alle storie dell'estetica, o a suoi strumenti "introduttivi", hanno preliminarmente cercato di dire ciò che l'estetica è, annodando legami con il passato o arrischiando parentele con dottrine vicine. Questo modello viene qui "messo tra parentesi" e, per poter iniziare a parlare di estetica, ci si limita, all'avvio del discorso, a presentarla come una regione in cui si intersecano delle linee, delle strade, dei percorsi, in cui ci si debba orientare. Seguire queste linee non significa certo possedere un sapere assoluto sul territorio ma semplicemente acquisire alcuni criteri per poterne offrire una descrizione essenziale. Il primo intento di questo lavoro è dunque quello di descrivere i campi dell'estetica, limitando al minimo le affermazioni critiche e interpretative. Descrivere non ha una funzione normativa ma vuole solo essere uno strumento perché il lettore possa, trovandosi su un percorso, costruirne altri, diversamente esercitando il proprio sguardo. | << | < | > | >> |Pagina 4Ci si può certo interrogare, a questo punto, come fa Croce, se l'estetica sia da considerarsi scienza antica o moderna, giungendo alla conclusione che si tratti di scienza moderna poiché «non sorge se non quando viene determinata in modo proprio la natura della fantasia, della rappresentazione, dell'espressione». E della sua nascita dunque, a parere di Croce, sarebbe vero profeta non Baumgarten, che pur dando il nome "estetica" costruisce qualcosa «vuoto di contenuto veramente nuovo», bensì l'italiano Giambattista Vico, il quale «mettendo da parte il concetto di verisimile e intendendo in modo nuovo la fantasia, penetrò la vera natura della poesia e dell'arte, e scoperse, per così dire, la scienza estetica».Non si vuole tuttavia, almeno in questa fase del lavoro, entrare in queste dispute sulla "verità" dell'estetica e dei suoi "padri", rimangono comunque tradizionalmente incerti, limitandosi a constatare che la definizione di Baumgarten ha l'enorme duplice virtù di individuare dei temi e di porre un orizzonte metastorico per l'estetica, riallacciandola a un'intera tradizione di pensiero. Baumgarten infatti sa, da buon leibniziano, che il territorio della "nuova scienza" è, nella sua antichità, un territorio di confusione e incertezza. Ma sa anche, e lo dichiara, che compito di un orizzonte scientifico è proprio quello di cercare di portare un ordine analitico nel confuso, in quel campo di piccole percezioni che, come aveva affermato Leibniz nei Nuovi saggi sull'intelletto umano, si offrono a una conoscenza che, pur non essendo distinta, è assolutamente chiara. Per cui Baumgarten afferma che l'estetica non deve temere la confusione, osservando al contrario che essa «a) è però condizione irrinunciabile per poter scoprire la verità, dato che la natura non fa salti passando dall'oscurità alla distinzione. Il mezzodì viene dalla notte, passando per l'aurora; b) e proprio per questo bisogna prendersi cura della confusione, affinché non ne scaturiscano errori, come appunto (e quanti!) sopravvengono a chi li trascura; c) non lodiamo la confusione, ma intendiamo perfezionare la conoscenza in quanto le sia, come necessariamente le è, misto un po' di confusione»: Baumgarten dunque stabilisce che quello dell'estetica, essendo l'estetica la scienza della conoscenza sensitiva, che è «il complesso delle rappresentazioni sussistenti al di sotto della distinzione», è un terreno confuso. Ma non per questo rinuncia a elencare le rappresentazioni che tale confusione costituiscono e hanno costituito nella storia della conoscenza. Tali rappresentazioni confuse, che si rivolgono alla "logica della sensazione", sono studiate dall'estetica, che vuole portarle alla loro specifica perfezione, cioè a quel grado di sapere che era programmaticamente sfuggito agli antichi. Questa "perfezione della conoscenza sensitiva" è la bellezza, che così diviene il principale oggetto dell'estetica, riallacciando le meditazioni antiche a quelle moderne. La bellezza, in tutte le sue specificazioni sensitive, è allora connessa all'arte, alla percezione del bello, all'immaginazione in quanto analogo della ragione. All'interno dell' Estetica di Baumgarten si rivelerà, oltre ai legami costitutivi con la poetica e con la retorica, relazioni con altre scienze, con la filologia e con l'ermeneutica, oltre che con specifici apparati categoriali "estetici". Si può allora giungere a una prima conclusione: attribuendo un nome a un secolare insieme di ricerche confuse, e dalla confusione caratterizzate, Baumgarten permette di costruire l'estetica non solo come generico nome in grado di raccogliere, leibnizianamente, una "unità nella varietà", in un asettico quadro armonico, non solo dunque consente di riconoscere in un nome le ricerche, antiche e moderne, sul bello, sull'arte, sull'immaginazione, sul sublime, sulla poetica o sulla retorica, ma anche, e soprattutto, istituzionalizza al di la dell'etimologia, quasi a sigillo della sua essenziale "confusione", il carattere polisemantico del termine estetica: polisemanticità in cui siamo ancora oggi immersi. L'estetica è allora, volendo schematizzare, al di là delle questioni su quando sia nata e su chi sia il padre, la scienza della sensibilità, lo studio del bello nelle sue varie forme, la teoria dell'arte, il punto di raccordo dei caratteri sensuali di poetica e retorica, la disciplina in cui si confrontano quei poteri dell'uomo che, come l'immaginazione, costruiscono rappresentazioni extralogiche. Anche se in Baumgarten troviamo raramente il termine "gusto" (e mai quello di "genio"), è evidente che le ricerche su questi problemi, che caratterizzavano il Settecento inglese e francese, trovano nelle precedenti definizioni un possibile inserimento. | << | < | > | >> |Pagina 83. Struttura del volumeL'estetica possiede dunque molti "temi", ai quali si giunge attraverso percorsi differenti: ma tutti hanno la medesima "dignità" una volta che si accetti il contesto disciplinare che la storia teorica del termine ha permesso di delineare. Così, per esempio, è "estetica" sia la centralità che la fenomenologia attribuisce sul piano conoscitivo alla percezione e all'esperienza sensibile del corpo sia la ricerca crociana sull'espressività spirituale dell'arte. Non è necessario costruire norme che costringano orizzonti così dissimili a dialogare: ma ammettere che provengono comunque da un medesimo territorio significa, se non altro, riconoscere che proprio la dialogicità è un suo importante orizzonte costitutivo. Allo stesso modo, non ci si vuole ora soffermare su "quando" è nata l'estetica o su quando è "rinata" come scienza o quando, e se, si è "sciolta" in altre discipline, tornando là dove era nata, alla retorica, alla poetica o all'ermeneutica. Questi discorsi hanno sempre in sé il pericolo del nominalismo: e, comunque, come in ogni buon nominalismo, potrebbero svolgersi con parole molto diverse tra loro. L'estetica non è un essere umano, che nasce e muore: tuttavia, come un essere umano, può esistere anche prima del battesimo o non essere affatto battezzato. Il percorso che si è seguito mira in primo luogo alla semplicità e si basa su un solo presupposto, che si sia consapevoli dell'orizzonte multitematico e multisemantico dell'estetica, senza per questo disperdere in mille tracce il suo terreno storico. Su questo presupposto si è diviso il lavoro in due parti. La prima, Le correnti dell'estetica, ripercorre le tappe principali della disciplina, in particolare a partire dal momento in cui ha acquisito consapevolezza della sua unitarietà. Avvicinandosi all'epoca contemporanea, si è esteso il discorso alle questioni estetiche aperte dalle principali correnti filosofiche dei nostri giorni, che hanno riservato ai suoi problemi un ruolo di grande rilevanza, spesso di vera definizione dei propri ambiti teorici. È invece nella seconda parte, dedicata a I nomi dell'estetica, che si è lasciato spazio anche alle questioni che si erano aperte nell'antichità, seguendo poi il divenire concettuale di ogni problema sino al pensiero contemporaneo. È evidente che le due parti non sono alternative bensì si integrano, disegnando un percorso che vuole salvaguardare sia la complessità sia l'unitarietà concettuale dell'estetica. Il lavoro è infine concluso, proprio per introdurre altri possibili percorsi, e per riaffermare la loro necessità, da una bibliografia ragionata che raccoglie sia i testi utilizzati sia quegli strumenti che possono fornire al lettore ulteriori indicazioni e spazi per nuovi approfondimenti critici. La chiarezza e la linearità espositiva che si sono perseguite non hanno lo scopo di raggiungere quella "perfezione" inseguita dal leibniziano Baumgarten, bensì mirano a guardare con maggiore chiarezza la confusione, convinti delle sue potenzialità produttive. Né si è voluto ricondurre all'unità quella duplicità che Valery vedeva nell'artista, che ricompone le leggi e i mezzi del mondo dell'azione in vista di un effetto che riproduca l'universo della risonanza sensibile. Sono stati certo condotti, come osserva Valéry, innumerevoli tentativi «per ridurre le due tendenze a una delle due: l'estetica non ha altro oggetto. Ma il problema resta». E il permanere del problema è la principale garanzia della vitalità e del senso stesso dell'estetica. | << | < | > | >> |Pagina 1511. Premessa: i nomi e le cosePaul Valéry, nel Discorso sull'estetica, che pronunciò nel 1936 di fronte a una platea di filosofi, li rimproverò, accusando in particolare l'estetica metafisica di avere troppo a lungo inseguito l'idea astratta del bello, perdendosi tra le ombre di terminologie specialistiche o in giochi verbali e così dimenticandosi, in questa "caccia magica" tra ombre e fantasmi, le "cose belle", la specifica e variegata realtà delle opere d'arte, del piacere estetico, dei percorsi produttivi che sono la genesi della bellezza stessa. I nomi, sembra voler dire Valéry, troppo spesso allontanano dalle cose, e voler ricostruire una storia dei nomi è semplicemente un gioco tra le parole e con le parole, un gioco non molto utile, che non restituisce affatto il senso, il mistero, la verità delle cose.Nel momento in cui si cercano dei "nomi" intorno ai quali disegnare, o ridisegnare, il divenire storico e teorico dell'estetica è certo utile tenere nella dovuta considerazione i pericoli che Valéry ha indicato. Non è infatti sufficiente liberarsi dalla perfezione di una sincronia storica per restituire la varietà, concettuale e culturale, che le opere e i concetti hanno diacronicamente offerto all'estetica. D'altra parte, pur coscienti di questo pericolo, consapevoli dei limiti delle definizioni, cercare alcune parole-chiave per l'estetica può avere un significato capace di fornire un concreto senso disciplinare e "cosale" all'estetica stessa. Dopo Foucault sappiamo che in alcuni ambiti del sapere (forse in quelli che si chiamano "scienze dell'uomo" e che si riferiscono a oggetti culturali complessi) esistono momenti di brusco distacco, che li rendono irriducibili a un qualsivoglia ordine pacificato e "continuista". Così, esaminare il divenire delle dimensioni concettuali dell'estetica attraverso le sue "parole", e le stratificazioni storiche in altre parole da esse generate, rigettando il continuismo finalistico di una storia ordinata e consequenziale, non significa affatto sostenere che la storia sia assurda, incoerente o insensata. Piuttosto, come ancora Foucault insegnava, essa può venire analizzata anche senza asservirsi ai metodi precodificati delle dialettiche, delle semiotiche e delle ermeneutiche, modellando invece i propri percorsi ricostruttivi sugli intrinseci incontri e scontri che nella disciplina stessa si sono verificati, originando nomi che sono conseguenza, e non causa, della realtà delle cose. In questa direzione, per costruire un realismo che non abbia un ingenuo culto dei "fatti", parlare di "nomi" significa immediatamente confrontarsi con le "cose", al di là delle astrattezze dei metodi e dei loro connaturati pregiudizi, senza peraltro mai dimenticare, come scriveva Baudrillard, che gli oggetti hanno comunque una loro sintassi e una loro retorica. Entrare in esse non significa giocare da sofisti con le parole bensì comprendere che anche i segni hanno una loro socialità, un profondo significato intersoggettivo. Valéry stesso, in definitiva, che pure, come si è visto, sospettava dell'estetica e dei filosofi, sostiene anche che «l'estetica è una grande e irresistibile tentazione», ammettendo che «quasi tutti gli esseri che sentono vivamente le arti fanno un po' più che sentirle: non possono sfuggire al bisogno di approfondire la loro gioia». E in vista di questo approfondimento, che non vuole ricercare alcuna sintesi, che si è pensato di seguire l'estetica non soltanto nella sua storia ma anche nella connessione, insieme storica e teorica, di "parole" e "cose", evidenziando, al tempo stesso, sia la discontinuità dei piani sia le loro possibili "aperture". Non si è voluto mirare all'esaustività o inseguire finalità enciclopediche bensì ci si è limitati a individuare e introdurre alcuni "nodi", in cui il legame tra il termine e la sua specificità concettuale e "cosale" possedesse elementi di particolare rilevanza, capaci di evidenziare la dialogicità del territorio dell'estetica. Il criterio seguito per identificare queste parole è, nella sua programmatica (e si spera non ingenua) "empiricità", immediatamente evidente. Si sono così in primo luogo analizzati i nuclei intorno ai quali l'estetica ha acquisito, nelle varie epoche, la sua "riconoscibilità", individuando nella "bellezza", nell'"arte", nella "forma" e nel "simbolo" i punti di riferimento delle sue ricerche. All'aspetto oggettivo andava però strettamente legato lo studio delle facoltà, delle funzioni e dei poteri soggettivi che presiedono alla ricezione e alla produzione delle forme della bellezza e dell'arte: in questo caso il "gusto", il "genio", l'"immaginazione" e la "mimèsi" hanno costituito i denominatori dei percorsi di ricerca, che posseggono tra loro quei fili analogici che sono una delle principali caratteristiche generali della terminologia estetica. Se il bello, e le facoltà soggettive che lo producono o lo riconoscono, posseggono un'indubbia centralità tra i "nomi" dell'estetica, non ne sono dunque l'intero ed esclusivo patrimonio. L'estetica possiede infatti una molteplicità di elementi che, sul modello analogico della complessità logica, la tradizione ha chiamato "categorie estetiche". Al loro interno un ruolo storicamente centrale, punto di riferimento per una reale connessione tra parole e cose, che coinvolge direttamente il mondo delle arti, viene assunto dalle dimensioni del "brutto", del "sublime" e del "tragico". Ma l'estetica non è complessa e variegata soltanto sul piano della definizione categoriale dei suoi oggetti. La sua stessa genesi presenta un costante confronto, che è spesso scontro, con quei "saperi" eredi della classicità da cui le istanze teoriche dell'estetica sono nate: "poetica" e "retorica" sono dunque quei campi senza i quali è impossibile afferrare la specificità filosofica dell'estetica stessa. Se, infine, si è chiusa questa sezione con la voce Antico-moderno è per una ragione insieme storica e metodologica. Storica perché è nella Querelle tra antichi e moderni che l'estetica trova i suoi primi riferimenti e forse anche una sorta di autocoscienza sull'importanza culturale e sociale che i dibattiti sull'arte e sulla bellezza possono rivestire. Metodologica perché la Querelle può quasi incarnare il simbolo dell'essenza dialogica propria all'estetica che, nel suo divenire storico, non si è mai esaurita in costruzione sistematiche, in definizioni esatte, in fatti circoscritti. L'estetica è un campo in cui l'incontro e lo scontro tra posizioni di pensiero ha saputo originare un insieme in cui la varietà non è dispersione, in cui la prima e l'ultima parola vanno, sempre di nuovo, nuovamente pronunciate. | << | < | > | >> |Pagina 27111. Brutto11.1 Un valore estetico "positivo"
La riflessione sul brutto e sulla sua liceità nell'arte si sviluppa
pienamente quando, a partire dal Settecento, l'autonomia del concetto di
bello e la sua definizione vengono messe in discussione e al brutto è
riconosciuto un "significato estetico". Rivendicata la positività di determinati
valori che fanno capo al brutto, esso acquisisce lentamente
una propria autonomia, fino a essere inserito a pieno titolo in un sistema
pluricategoriale (vedi il capitolo sulle
Categorie estetiche).
Nell'
Estetica e scienza dell'arte
di Dessoir, il bello non è più unico e indiscusso valore estetico, ma figura
accanto al brutto, al quale viene riconosciuta una pregnanza significativa,
irraggiungibile dal bello convenzionale. In effetti, dopo íl Romanticismo, non
solo l'arte non può definirsi arte bella, ma
il brutto
non può più venire
equiparato all'inestetico o a l'extra-estetico. Come ricorda Dessoir, «nella
violenta rottura delle norme di ogni gradevolezza e di ogni superficiale
appagamento formale si svela "un regno che non è di questo mondo". Il
brutto si fa qui l'espressivo, come positivo valore estetico; contro un
bello che nell'armonia delle sue forme e dei suoi colori, nell'equilibrio
dell'apparenza si fa superficiale conciliazione e non permette di guardare in
faccia alle cose». Il brutto diventa, per usare un'espressione di Feldman, «una
vera struttura del mondo».
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