Autore Tiziano Fratus
Titolo Il libro delle foreste scolpite
SottotitoloIn viaggio tra gli alberi a duemila metri
EdizioneLaterza, Bari-Roma, 2018 [2015], Economica 861 , pag. 182, ill., cop.fle., dim. 13,4x20,8x1,7 cm , Isbn 978-88-581-3285-2
LettoreDavide Allodi, 2019
Classe natura , montagna , viaggi , botanica , narrativa italiana












 

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Indice


    Introduzione. Non c'è luce nitida e profonda
    quanto quella che vediamo a occhi chiusi               XIII

    1. Spingere un seme dentro un pugno di terra, p. XIII
    2. Le migliori biblioteche sono in quota, p. XVII
    3. Termini fondamentali, p. XX

1.  Pollino: ovvero dove abitano gli dei dell'Olimpo
    sotto forma di alberi contorti                            3

    1. Attraverso la Basilicata:
       dai calanchi di Aliano ai boschi di Rotonda, p. 3
    2. Studio preliminare sul pino loricato, p. 8
    3. Una parentesi storica: gli alberi selvatici
       secondo Plinio il Vecchio, p. 11
    4. Al Faggio delle Sette Sorelle, p. 13
    5. La Grande Porta del Pollino, p. 15
    6. Il Giardino degli Dei, p. 17
    7. Orione, il Patriarca e Hugo Klaus, p. 21
    8. I Dieci Comandamenti del Pollino, p. 25

2.  Le foreste della Valle d'Aosta:
    ovvero un boomerang di pinete e lariceti a Nord-Ovest    29

    1. Un arcipelago di rocce e foreste vetuste, p. 29
    2. Mont Avic: nella foresta del pino uncinato, p. 31
    3. Alla ricerca del cembro dell'Alpe Savoney, p. 42
    4. Il Millenario di Morgex e visioni del Padre, p. 44

3.  Sonata per pini cembri:
    ovvero a scandaglio nelle lande alpine
    dove la specie disegna i propri capolavori               55

    1. Le Fiamme dell'Alpe di Tramin in Val Sarentino, p. 55
    2. La Foresta di Lerosa:
       l'ultimo esercito sulle Dolomiti d'Ampezzo, p. 65
    3. Le incisioni rupestri della Valcamonica e
       i boschi dello Stelvio, p. 82

4.  Geografie inchiostrali: ovvero di letture
    e riferimenti cari al cercatore di foreste scolpite      93

    1. Una grammatica da camaleonti, p. 93
    2. Ancora della distanza col mondo, p. 96
    3. L'Uomo-Paesaggio, p. 100
    4. Autori appesi ad una mongolfiera, p. 104
    5. La natura che nasce nei libri, p. 106

5.  L'eternità sulle Montagne Bianche della California:
    ovvero dove le cortecce giocano a scacchi
    con la Dama Nera                                        113

    1. Lo Zen e l'arte di visitare la California dei
       Big Trees, p. 113
    2. Migrazioni interne, p. 115
    3. Storia della scoperta e dell'ammirazione dei
       pinosàuri per eccellenza, p. 119
    4. Schulman Grove: a passo d'airone fra i quattromila
       lungo la Scalinata degli alberi antichi, p. 123
    5. La polarità dell'esistenza a quattromila metri:
       arrivare in cima alla Montagna Bianca e scoprire
       che tutto vive dentro il corpo di cui siamo fatti,
       p. 131

6.  Foreste d'alberi-elefante in giro per il globo:
    ovvero luoghi dove cardare l'anima                      139

    EUROPA

    1. Italia. L'anfiteatro delle Alpi Marittime:
       dal Pastore di Pietraporzio alle Navette, p. 139
    2. Francia. I boschi di pino laricio nel cuore
       della Corsica, p. 141
    3. Francia. I ginepri elefantiaci di Saint-Crépin, p. 142
    4. Scozia. Le foreste residue della Caledonia, p. 143
    5. Bosnia Erzegovina. Fra gli abeti stratosferici
       della Riserva Forestale di Perucica, p. 144
    6. Svezia. Quasi diecimila anni per il clone
       L'Anziano Tjikko, p. 145

    AFRICA E MEDIO ORIENTE

    1. Libano. Le Foreste dei Cedri di Dio, p. 145
    2. Marocco. I cedri sull'Alto e Medio Atlante, p. 147
    3. Turchia e Georgia. Meraviglie botaniche fra Anatolia
       e Mar Caspio, p. 148

    ASIA

    1. Corea del Nord. Kumgangsan o Montagna dei Diamanti,
       p. 149
    2. Giappone. Le crittomerie millenarie dell'isola
       di Yakushima, p. 150
    3. Giappone. Parco Nazionale di Chichibu-Tama-Kai, p. 151
    4. India. Visita ai Sovrani dei Cedri di Dio, p. 152
    5. Nepal. La via dei rododendri sacri, p. 153
    6. Repubblica Popolare Cinese. La foresta di metasequoie
       della Valle Xiaohe, p. 153

    OCEANIA E AUSTRALIA

    1. Australia. Wollemi National Park, p. 154
    2. Nuova Zelanda. Fra i millenari della foresta
       di Waipoua, p. 155

    AMERICHE

    1. Argentina e Cile. Le foreste della Patagonia e
       della Terra del Fuoco, p. 157
    2. Canada. L'antica foresta della Columbia Britannica,
       p. 158
    3. Canada. I larici millenari di Manning Park, p. 159
    4. Cile. Ai piedi dei larici della Cordigliera
       delle Ande, p. 160
    5. Cile. Le araucarie del Parco Nazionale di Nahuelbuta,
       p. 161
    6. Stati Uniti d'America. I pini di Great Basin in
       Nevada, p. 162
    7. Stati Uniti d'America. Sequoie giganti delle
       Montagne Innevate, p. 163


Epilogo di un Uomo Radice                                   165

Bibliografia radicale                                       168

Indice delle illustrazioni                                  178


 

 

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Pagina XVII

2. Le migliori biblioteche sono in quota


Ringrazio Dio che il mondo sia a colori, ma la fotografia la preferisco in bianco e nero. Come dice Sebastiano Salgado, «non mi serve il verde per mostrare gli alberi, né l'azzurro per mostrare il mare o il cielo». Gli arboreti di città, i,boschi, le foreste offrono al nostro sguardo colori intensi, vivaci, che si fanno largo e reclamano, quasi pretendono attenzione. Al contrario, procedendo in montagna i colori si attenuano, il tono deciso lascia spazio al pastello, l'uniformità di colore tende a concentrarsi soltanto in alto, nel cielo; anche le conifere che arrivano a sopravvivere qui sopra, sul tetto del mondo abitabile, si fanno timide, le loro chiome si riducono, tendono a richiudersi su se stesse, a occupare meno spazio visibile. Ed è qui, fra queste sfumature, che si trovano le migliori biblioteche, oltre i duemila metri. Alcune sono in Italia, lungo l'arco alpino, penso al bosco dell'Alevè in Vai Varaita, ai superstiti dell'Alpe di Tramin in Alto Adige, in Valfurva nel Parco dello Stelvio e all'Alpe Savoney in Valle d'Aosta.

Altre radicano le cime e i pianori del roccioso Pollino, dove un esercito di loricati vetusti racconta storie antiche e sottili come ombre, e da dove gli occhi che tutto ascoltano e vorrebbero assaporare possono ammirare i due mari opposti, il Tirreno e lo Ionio. Altre sono lontane, lontanissime, oltreoceano, sulle solitarie White Mountains in California, dove respirano le più annose creature del pianeta. Oppure nelle Gorges della Restonica, nel cuore montuoso della Corsica, fra le immense radici nella colossale Foresta dei Cedri di Dio in Libano, e ancora sul Monte Olimpo in Grecia, dove le divinità hanno radici e non scagliano frecce, a Kumgangsan o Geumgangsan (la montagna dei diamanti) in Corea del Nord, dove s'esibiscono in danze sofisticate, fra pareti di granito, esemplari di Pinus densiflora. I librai di cui ascolto i consigli sono pinosàuri e altre conifere contorte, combattenti silenziosi che resistono laddove il resto della vita s'è fermata o non è mai arrivata. Loro sanno cos'è l'eternità, l'eternità nascosta nei millimetri compressi e resinosi che l'esistenza è in grado di sperimentare. La forma più evoluta d'eternità che noi possiamo immaginare e toccare.

In inglese esiste un neologismo di recente conio: chrononaut, crononauta, ovvero colui o colei che viaggia nel tempo. In qualche modo anche i miei libri per «cercatori d'alberi secolari e monumentali» sono scritti da un crononauta e sono rivolti ad altri crononauti. Sono usciti giochi e romanzi di fantascienza in proposito, ma forse il libro più fedele a questa linea lo ha realizzato un'artista/viaggiatrice americana che si chiama Rachel Sussman: The Oldest Living Things in the World, Le più vecchie cose viventi nel mondo, noi diremmo «creature viventi» ma in inglese spesso si rivolgono agli alberi come a cose. Anche ai piedi del General Sherman Tree in California, il più grande albero per volume della Terra, un cartello lo indica come «living thing», «cosa vivente». La Sussman, che è fotografa e curiosa, ha girato il mondo per documentare gli esseri viventi che hanno almeno duemila anni d'età.

Osservare il mondo dalla stazione orbitante, il cielo che si gonfia di nubi, l'aurora boreale che elettrizza i cieli sopra il grande Nord, vedere il pianeta scorrere sotto e scomparire nel buio che tutto confonde e annienta. Questo ci spaventa, a noi piccoli uomini fatti di carne, di sangue, di cartilagini e saliva, di speranze e sogni, di ambizioni e dedizione. Che il nostro piccolo battito ci sfugga via senza poterlo afferrare. E magari senza lasciare una traccia. Una traccia che dovrebbe sopraelevarsi su quella che altri miliardi di uomini e di donne proprio come noi, ma al contempo ciascuno unico e irripetibile, tentano di incidere, di imprimere, di sentire. Ma chi è quel «noi», nell'ordine magistrale dell'universo che marchingegna intorno e dentro o attraverso? Che già procedeva miliardi di anni fa e ancora lo farà per un tempo che non siamo nemmeno in grado di visualizzare? È anche per abbozzare una risposta a tutto questo che mi sono messo in viaggio in cerca delle radici degli alberi-elefante, gli alberi che hanno memoria millenaria, che tentano d'ingannare i piani di Cronos.

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Pagina XXI

Certo: l'uomo che si trova ai piedi del Generale Sherman, oppure dell'olivastro di Luras, il più annoso albero del nostro Belpaese, o che abbia le mani ficcate nel buio del Castagno Miraglia, cuore arboreo del Metaleto e protagonista dei boschi intorno al santuario di Camaldoli, nel Casentino, percepirà stupore e ammirazione, poiché mai potrà sperare di raggiungere le età cosmiche di questi patriarchi. E nemmeno le loro dimensioni, per quanto deformati essi siano dagli elementi, dall'azione bruciante del gelo, dal fine strangolamento del fuoco, dal cammino inesorabile delle carie. Ma senza di noi, senza il nostro sguardo, anche questi giganti chi li potrebbe mai ammirare e santificare? Chi li fotograferebbe? Chi verrebbe fin qui in pellegrinaggio?

Spesso si scartolina il termine Paradiso o Eden quando si vuole trovare la scorciatoia emotiva e simbolica per suggerire il sublime spettacolo della natura, lo stupore degli occhi e dei sensi arrivando in un tratto del paesaggio, ai piedi d'un patriarca o in una vallata. Andrea Emo infila le sue radici in questa giuliva terminologia diffusa, nella mia scrittura come in quella di molti viaggiatori e naturalisti. Nel Quaderno 227 (1960) il filosofo di Battaglia Terme scrive: «Il Paradiso è la perfezione dell'impotenza». Il successo, l'affermazione, il dominio, la felicità eterna sono condizioni prive di dubbio, negano la possibilità della negazione. Inferno e Paradiso sono due monoteismi, due dittature dell'Inquisizione. Come tali noi umani siamo inadatti - per istinto, per natura, per cultura - ad abitarli. Per questa e per altre ragioni mi ingegno a imbastire neologismi e figure in grado di nominare i luoghi che s'incontrano in questo cammino portatile. Ogni tanto ho l'impressione di essere la mano d'un bambino che unisce i punti di un disegno pensato e impresso da una vasta mente primordiale.

- Foresta scolpita s.f. (pl. foreste scolpite). - Popolazione di alberi vetusti e contorti, spesso presente in quota al limite vegetazionale, oltre i duemila metri.

- Pinosàuro s.m. (pl. pinosàuri). - Esemplare di albero del genere Pinus appartenente a diverse specie che si trova ad alta quota sui dirupi e le creste di montagna; ha assunto forme spettacolari e sofferte, tanto da ricordare le muscolature di certi grandi rettili o le superfici levigate degli scheletri.

- Albero-elefante s.m. (pl. alberi-elefante). - 1. Alberi di grande dimensione, conosciuti e venerati per la loro età plurisecolare o millenaria. - 2. Alberi dai tronchi e dalle forme complessi, paragonati aí pachidermi africani e asiatici per assonanze geometriche. - 3. Alberi vetusti che portano secoli e secoli nelle proprie cortecce e sono custodi del tempo, come gli elefanti, che sono fra gli animali maggiormente dotati di memoria.

- Stambeccata s.f. (pl. stambeccate). - Azione dello scalare o superare a piedi superfici e sentieri rocciosi, caratterizzati da una certa impervietà.


Buona lettura, buone avventure e buone radici.

Studio fiammingo, Valsangone, Gennaio Duemilaquindici

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Pagina 93

4
Geografie inchiostrali:
ovvero di letture e riferimenti cari
al cercatore di foreste scolpite



                                 Non c'è altro rumore in questo mondo puntinato:
                                           soltanto un poeta che muove la matita



1. Una grammatica da camaleonti


Scrivere è come entrare in una casa. Si bussa, si attende che qualcuno venga ad aprire e si entra. Si guarda in sala o nel lungo e tenebroso corridoio, si annusa l'aria per percepire spezie o sentori di qualsiasi altra natura. Si entra in una stanza, preferibilmente luminosa, si guardano i mobili, le pareti, i soffitti, le suppellettili. Si spalanca la finestra e si sbircia lontano. Fantasie e ricordi si rincorrono. Altra stanza e finalmente lo sguardo e la mano di chi ti incontra. I miei libri si costruiscono in questa maniera, le raccolte di poesia quanto la prosa. Allo stesso modo visito un bosco. Gli alberi portano addosso parole e strofe, parentesi da decodificare. Si tocca, si apre e si richiude. Si nomina e si documenta. La ricompensa è lauta: si chiama conoscenza, si chiama esperienza.

Per un camaleonte come me la letteratura è un teatro da governare con circospezione. Spesso gli esuli e i senza fissa dimora tendono ad assumere il colore del paesaggio circostante, si adattano, si camuffano, si plasmano. Josif Brodskij ha trovato buone parole per descrivere questo sentimento: «Non stupirti: la mia specialità sono le metamorfosi. / Appena guardo qualcuno, quello diventa me». Mi capitava da ragazzo con le persone e i cantanti o gli artisti che mi interessavano. Anche visi di persone sconosciute che incontravo nelle réclame delle riviste. Quando ventenne mi sono addentrato nella letteratura, i modelli di riferimento sono diventati facce di scrittori, spesso morti, idee. Nei miei primi anni ho abusato del trasformismo adattandomi e rubacchiando farina del sacco altrui, costruendo libri come architetture, smacchiando le pagine alla maniera di un Eliot, di un Ginsberg o di un Les Murray. Inizialmente mi bastava, poi anche questa continua mutazione ha prosciugato le energie e rivelato la propria inconsistenza. Anni fa, durante la celebrazione della Giornata mondiale della poesia, in quel di Pinerolo, un poeta cuneese che mi è sempre piaciuto, Claudio Salvagno, disse una parola che aprì un varco in quell'uomo che stavo diventando: autenticità. Non la capii sul momento, anzi, mi pareva un discorso retorico. Non posso avanzare pretese di corretta interpretazione sulle reali motivazioni che portavano Salvagno a reclamare per sé e per il poeta in generale l'autenticità, ma posso dire che quel termine nel corso degli anni ha acquistato spessore e dimensione, ha partorito figli, è germinato, rappresenta un valore per chi scrive. Il libro delle foreste scolpite è venato da questa ricerca di senso che procede ben oltre l'amore/passione/ossessione per gli alberi vetusti: è anzitutto un soffio che attraversa le mie chiome, che tenta di indirizzare la luce nel mio modo di respirare, nella navigante confusione d'essere un quarantenne che si è creato un continente tutto suo, fatto di quell'unica realtà che davvero nutre un uomo, quel bisticcio di materia e proiezioni. La poesia è «la somma libertà trovata nella somma necessità» annotava Andrea Emo - come il lettore avrà intuito, uno dei miei pastori di carta.

Ogni santo giorno mi presento alla scrivania, faccio colazione e nutro la mandria felina che mi ospita. Non sempre in quest'ordine. Salgo in mansarda dove è allestito lo studio fiammingo in cui lavoro, accendo il computer e ritrovo invecchiata d'un giorno la mia privatissima coltivazione di polvere. Libri accatastati, alcuni ingialliti, altri pieni di orecchie e segnalibri, ve ne sono che ruotano nel tempo, altri restano e si ritrovano per anni e anni. Sospesi. Non li leggo mai per intero, ma galleggiano come boe sopra e sotto altre carte, cartoline, cataloghi, lettere, stampe, quaderni pieni d'appunti presi durante le campagne di alberografie, pigne, ghiande, foglie, conchiglie e bustine di semi. Uno di questi libri è The Remarkable Baobab dello storico e viaggiatore irlandese Thomas Pakenham, un prezioso e illustratissimo volume quadrato di formato ridotto alla scoperta dei più stupefacenti baobab(bi) del pianeta. Un altro è Lettere dalla Beozia di Les Murray. Wildwood di Roger Deakin. Un Jean Giono a scelta. Qualche nordico. Un altro libro che ritorna in cima alle varie pile è Scientia crucis di Edith Stein, la filosofa ebrea convertita al cattolicesimo negli anni del nazifascismo. Sono almeno otto anni che lo apro e tento di penetrare quel muro di parole. Ma anche The Men of Mammoth Forest di Floyd Otter, forestale della contea di Tulare, California. Li ri-apro, leggo alcune pagine, in certi giorni alcune righe, e li ri-chiudo. Fra quelle pagine sedimentano polveri di diverse annate: a pagina 3 polveri del settembre 2012, a pagina 51 polveri del marzo 2014, a pagina 124 polveri del dicembre 2009. Sono i miei angeli custodi di carta, mi vegliano, mi proteggono, ossigenano la linfa che scorre nelle vene.

La mia scrittura è innegabilmente autobiografica. Non intercetto alcuna differenza fra le prose poetiche che per anni ho raccolto e presentato in libri che hanno letto poche decine di lettori, e questa forma di scrittura naturalistica che colleziono sotto il nome di Homo Radix; fra le mie poesie "creaturali" e i libri e i taccuini per cercatori d'alberi non vedo alcun cambiamento sostanziale. Si tratta dell'evoluzione del pensiero d'un uomo che intinge la punta d'una penna nel calamaio e si impegna a tracciare su foglio i versi d'un «diario da Uomo Radice», un collage di «memoires d'un Homme Racine», come suonerebbe in francese.

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Pagina 103

Quanti milioni di volte ho imbastito un ordine nuovo! Quante soglie, quanti inizi, quanti cicli ho iniziato e abortito. Quante volte ho ricominciato a vivere secondo un nuovo principio, un ordine che potesse avvicinarmi all'essenza delle cose e allontanarmi dall'incombente confusione che ritorna a presentarsi dentro l'esistere. Come è caratteristico dell' Homus malinconicus tendo a rileggere le cose che capitano in termini drammatici e, ahimé, assoluti. Più mi inoltro nel tempo della vita e più certe domande si presentano con insistenza. Un ventaglio di quesiti che gli umani hanno percepito fin dalla notte dei tempi e che si proiettano in questo barlume di mente. Il tempo esiste? Di cosa siamo fatti? Perché la vita dovrebbe possedere un senso? Chi siamo noi? L'umanità è una specie di transizione? Il pianeta su cui viviamo ha una forma di coscienza? Cosa possiamo contare noi nello svolgersi del meccanismo cosmico che ininterrottamente si manifesta? Domande che giganteggiano qui dentro, che talvolta tentano di trasferirsi su carta, la mia patria psicologica. Ho tentato d'abbozzare incespicanti risposte nei libri che stanno andando a comporre un'unica opera dal titolo Homo radix. Jorge Luis Borges, lo scrittore argentino, l'aveva capito bene: «Un uomo si propone il compito di disegnare il mondo. Trascorrendo gli anni, popola uno spazio con immagini di province, di regni, di montagne, di baie, di navi, d'isole, di pesci, di dimore, di strumenti, di astri, di cavalli e di persone. Poco prima di morire, scopre che quel paziente labirinto di linee traccia l'immagine del suo volto». Dovrei provare a vedere se il mio profilo assomiglia in qualche modo a un albero. O ad una radice rovesciata, come l'albero del mondo descritto nelle Upanishad, i testi sacri indiani, con la radice nel cielo dove trae forza.

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Pagina 106

5. La natura che nasce nei libri


Il lettore avrà già constatato che qui convivono i confini e i punti cardinali d'una geographia naturalis e d'una geographia inchiostralis. Non sono certo della correttezza sintattica di queste declinazioni latine, ma trovo divertente la sonorità della tentata definizione. La mia vita è composta di ossessioni, si sono andate a compiere l'una dopo l'altra: quando ero bambino ero ossessionato dal mondo silenzioso degli insetti, oggi vivo sospeso fra boschi, grandi castagni cavi e conifere. Nel tempo, all'ossessione quotidiana fatta di esperienze e di luoghi, s'è aggiunto un doppio che parte e torna al Regno della Carta: le immagini, i disegni, le fotografie, le notizie, le testimonianze, le parole che altri uomini hanno seminato nei loro continenti cartacei. Pattinando nelle foreste e nei parchi emergono continuamente le storie di uomini che quelle meraviglie le hanno scoperte, le hanno abbattute, le hanno tutelate; un universo fisico ma anche bibliografico. Ho raccolto una foresta di libri. Mentre attraversavo le foreste sopravvissute all'epoca dell'oro rosso, la «logging era» o epoca dei tagli, degli abbattimenti, ho potuto leggere e cantare la storia dei luoghi così come gli aborigeni facevano nelle loro terre descrivendo ogni cosa, ogni sasso e ogni animale che incontravano, lungo le vie del Sogno. I "Walkabouts", come li ricorda Chatwin. La mia generazione ha avuto accesso a quel modo di concepire e di vivere il mondo, a quel rapporto speciale col paesaggio grazie alle Vie dei canti (Songlines), e non a caso una delle compagnie che in Italia organizza viaggi a piedi redige ogni anno un programma che riporta lo stesso titolo, Le vie dei canti, riscoprendo il piacere di conoscere, di immergersi e di rí-conquistare la grande provincia, quello spazio che la distratta, superficiale e troppo rapida politica nazionale ha deciso di abbandonare a sé stessa. Noi, al contrario, quel paese lo abitiamo e lo viviamo, ci crediamo, e di certo lo preferiamo a quello delle città. Gli aborigeni dicevano che «le parole volano nel territorio, come canti di uccelli»: sono, mio malgrado, un aborigeno bianco.

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5
L'eternità sulle Montagne Bianche
della California: ovvero dove le cortecce
giocano a scacchi con la Dama Nera



                                                  Il fascino delle vecchie porte
                                             sta nel fatto che si possono aprire
                                                quanto restare chiuse per sempre



1. Lo Zen e l'arte di visitare la California dei Big Trees


Nel luglio 2013 sono tornato in California con l'incarico di redigere un reportage a puntate per «La Stampa», un regalo alle mie visioni da parte di Mario Calabresi. Ho lavorato tre mesi per organizzare il viaggio nei minimi dettagli. C'è chi parte senza battere ciglio, infilando tre vestiti e un paio di chiavi inglesi in una sacca, e c'è chi ha bisogno di pianificare: in sostanza, parte se sa di potersela cavare. Non mi sento custode d'una filosofia avventurosa, appartengo alla seconda modalità. Avrei voluto fare il viaggio in motocicletta, uno di quei ferravecchi scassati che devi aggiustare ogni tre per due, che macinano litri d'olio quanti chilometri, che i proprietari ti regalano perché stanchi di vederli a ingrassare polvere in una stalla, sotto una coperta di lana bucata. Attraversare le distanze del Nord America come hanno fatto tanti viaggiatori e scrittori, da Kerouac (di cui incontrerò lo spirito) a Pirsig , l'autore dell'intramontabile Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta , dato alle stampe nel 1974, nei mesi del mio concepimento. Mancavano due elementi fondamentali per poter realizzare il piano: la patente per motociclette e le strade adatte in montagna. Alla prima avrei potuto provvedere in tempo, per le seconde l'iniziativa non sarebbe bastata. Quando si parla di California lo zen è oramai imprescindibile. Qui vive uno dei suoi "maestri occidentali", il poeta del selvatico Gary Snyder , qui hanno vissuto e respirato e si sono caricati come batterie biologiche poeti e narratori della Beat Generation. Al pari di tanti motociclisti, Pirsig sostiene la superiorità estetica e percettiva del viaggiare su due ruote, a discapito dell'automobilista, che vede come «un osservatore passivo», a cui «il paesaggio scorre accanto noiosissimo dentro una cornice». È vero che in motocicletta senti il rombo del motore che vibra lungo la spina dorsale e sfocia nelle dita che stringono le manopole e accelerano, che sei a contatto con l'aria, immerso completamente nel paesaggio. Come negarlo. Ma d'altro canto sono lo sguardo e la cura, l'attenzione che si presta, che elevano e inseriscono nel paesaggio. O allontanano. Ci si può annoiare anche in Harley, se l'attenzione è rapita da altro. Di certo, quando attraversi il mondo per visitare alberi vetusti l'auto è un mezzo; una volta arrivato all'ingresso del sentiero d'un parco, d'un bosco, ci si infila gli scarponi ai piedi e si parte. L'unica cornice sono il cielo e la terra.

Citando classici della cultura a stelle e strisce mi viene in mente un altro caso analogo, la pesca alla mosca descritta magnificamente da Norman Maclean nel celeberrimo In mezzo scorre il fiume (1976), portato al cinema da Robert Redford. Maclean mette in bocca ai suoi personaggi teorie stravaganti e l'idea che la pesca a mosca sia la vera pesca, quella che praticano Gesù Cristo e i suoi apostoli in Galilea, mentre l'altra è faccenda da gente che esce di casa coi barattoli di caffè pieni di vermi. Non è un caso che Maclean e Pirsig siano stati due scrittori anomali: il primo vissuto nel Montana ed esordiente nel mondo letterario a settantaquattro anni, il secondo di Minneapolis, esordiente a quarantasei. Due provinciali d'esperienza, due che si erano prima dedicati alla vita e poi si sono rivolti all'arte.

Finalmente posso andare a visitare tutte - ma proprio tutte - le sequoie millenarie di cui da anni leggo in libri raccattati in varie parti del web, in librerie polverose e in qualunque altro luogo deputato e opportuno. Volumi fuori commercio, ora qui accanto al computer, in fila indiana. Cartoline sbiancate o ingiallite e dépliant. Ho cucito un viaggio lungo un mese che mi porta da Los Angeles a Big Sur, su fino al confine con l'Oregon, per ammirare le sequoie costali nei parchi che le custodiscono e svoltare nel cuore dello Stato, fino ai quattro luoghi sacri di chi ama tali meraviglie: Calaveras, Yosemite/Mariposa, Canyon/General Grant Tree e Giant Forest.

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Principi di storia locale. Due sono le date fondamentali: 1948 e 1958. Nel '48 in Europa le nazioni lentamente si risollevano dall'orrore della guerra, in Italia si svolgono le elezioni politiche che consegneranno il paese a quarant'anni di Democrazia cristiana; i due giganti d'Asia scuotono le spalle e si rendono indipendenti, sono l'India di Gandhi e la Cina comunista di Mao. Nel mentre Alvin E. Noren, forestale all'Inyo National Forest, scopre un albero che si rivela assai importante, un pino di grandi dimensioni. La notizia giunge alle orecchie di Schulman, docente all'Università dell'Arizona, dove è attivo un dipartimento specializzato nello studio degli anelli degli alberi; nel 1953 decide di organizzare una campagna di rilevamento, rinnovata nel '56 e nel '57. Gli esiti superano le migliori aspettative: vengono portati in laboratorio alcuni campioni e si scopre che i pini ingialliti e contorti presentano più generazioni sulla medesima pianta, convivono alberi morti e alberi vivi, ma soprattutto si scopre che superano i quattromila anni! Nel 1958, l'anno della morte del professore, il «National Geographic Magazine» pubblica un servizio sulla scoperta di Methuselah, l'esemplare che contiene 4676 cerchi (= anni), assicurando i Bristlecone Pines alla notorietà quali alberi più annosi del pianeta. L'albero viene successivamente analizzato e la datazione odierna tocca i 4500 anni. Lo studioso Tom Harlan certifica nel 2007 l'età di un altro pino già studiato a suo tempo da Schulman, arrivando a contare 4806 anni: l'albero iniziava a vivere duemilaottocento anni prima della nascita di Gesù Cristo.

Nell'agosto del 1964, come racconta Eric Rutkow all'inizio del suo bellissimo libro American Canopy, uno studioso trentenne, Donald Currey, sale accompagnato da diversi forestali lungo i pendii del Wheeler Peak, nello Stato del Nevada; a poco più di tredicimila piedi incontrano un grande esemplare di pino e lo misurano: la chioma spenta alta diciassette piedi, un ramo vivo di undici, base larga 252 pollici. Viene classificato come WPN-114. Decide di abbatterlo e di portarlo in laboratorio per studiarlo. Sciaguratamente i forestali che lo accompagnano acconsentono e il danno è fatto: si scopre che si tratta dell'albero vivente più annoso del pianeta: 4844 anelli. Poiché il taglio è stato effettuato diverse spanne al di sopra del punto di massima larghezza si ipotizza un'età prossima ai cinquemila anni. L'albero viene denominato Prometeo (Prometheus), come il titano che ha sottratto il fuoco a Zeus e l'ha consegnato agli uomini. Successivi studi hanno portato la conta a 4862 anelli. In taluni documenti viene segnalato come The Currey Tree. Currey è diventato professore emerito di geografia e la sua anima s'è spenta nel 2004. Nutro il sospetto che si sia traghettato dietro per tutta la vita il senso di colpa. Matusalemme, qui sulle White Mountains, è stato datato 4845, mentre tre anni fa Harlan ne ha certificato uno di 5062 anni, superando quindi il record di Prometeo.

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Foreste d'alberi-elefante in giro per il globo:
ovvero luoghi dove cardare l'anima



                                                          Sono figlio del fiume,
                                                        sono sposo della foresta
                                                      e sono padre degli alberi,

                                                          le nuvole sono sorelle
                                                  e i venti scrivono sulla pelle
                                              tutti i verbi delle lingue romanze



La cardatura è il processo del districare i fili di lana prima della filatura; serve a togliere nodi, imperfezioni, impurità. Anticamente si effettuava raspando i fiori secchi e pungenti di cardo sulla lana, in seguito sono stati inventati i cardacci, tavole dotate di chiodi, quindi le macchine. Attraversare un bosco o una foresta può risultare molto utile alla cardatura della propria anima, alla pulizia del pensiero: ci aiuta ad alleggerire, a sgrassare, non soltanto il corpo e le giunture, ma anche il respiro, il pensiero, tutto ciò che vive e vortica dentro di noi. Ecco a seguire ventiquattro voci che illustrano luoghi in giro per il mondo, boschi e foreste, dove incontrare meravigliose foreste scolpite.




EUROPA



1. Italia. L'anfiteatro delle Alpi Marittime: dal Pastore di Pietraporzio alle Navette

La Liguria è un boomerang. La costa è diventata una dinoccolata serra d'acclimatazione per piante esotiche.

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Epilogo di un Uomo Radice



Quando incontro le "bocche di legno" - i grandi alberi - manifesto un'immensa e, a giorni, non contenibile gioia. Questi signori del tempo insondabile, questi testimoni sussurranti del mistero che ci circonda e ci abbraccia, sono fatti d'una materia che non esiste fuori da quel mantello sottile e invisibile che salva noi dai raggi ultravioletti e attraverso il quale possiamo ammirare la morte che lavora in tutto il suo scintillante splendore: le stelle, le galassie, la rotazione delle pulsar, gli ammassi solari, la via lattea, i contorni dei buchi neri.

Ma cosa indago alla fine negli alberi deformi e vetusti che ricerco con crescente assiduità e dipendenza?


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