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| << | < | > | >> |Indice7 Prefazione all'edizione italiana 9 Introduzione 11 Eppure i movimenti marginali di oggi rappresentano forse la soluzione del futuro... 12 L'unica soluzione rimane quella dei piccoli gruppi 15 I. Delle utopie in generale 29 LO SCHEMA NON PATERNALISTA 33 II. Le utopie sociali 53 III. Il "Gruppo critico" 71 IV. L'ambiente 97 V. L'organizzazione degli altri 113 VI. La "società senza competizione" 133 VII. L'importanza dell'importanza 153 VIII. La città 169 IX. La città globale 181 Conclusione: piccole utopie realizzabili 183 UN'UTOPIA POLITICA REALIZZABILE Annessi 202 Semipostfazione 203 1. DELLO "SCIOPERO CIVILE" 208 2. LA CITTÀ COME MEZZO DI UN DUPLICE SVILUPPO 219 3. "CAPITALISMO SOCIALE" 223 4. UNA PROPOSTA PER LE ELEZIONI LEGISLATIVE |
| << | < | > | >> |Pagina 202. Abbozzo della teoriaIl semplicissimo esempio del signor X ci consente di capire come si possa costruire una teoria delle utopie. Partendo da alcune constatazioni fondamentali si giunge alla seguente teoria assiomatica: a, le utopie nascono da un'insoddisfazione collettiva; b. possono nascere solo a condizione che esista un rimedio noto (una tecnica o un diverso comportamento), suscettibile di por fine a tale insoddisfazione; c. un'utopia può diventare realizzabile solo se ottiene un consenso collettivo. Se ora torniamo all'esempio del signor X, sembra evidente che, nel caso specifico, progetto e utopia realizzabile sono all'incirca sinonimi; eppure esiste una differenza non trascurabile: il progetto non implica necessariamente il consenso, che si considera già accordato, mentre l'utopia realizzabile richiede un consenso che non è stato accordato anticipatamente. Giungiamo cosi a formulare una constatazione molto importante: l'operazione chiave dell'utopia realizzabile consiste nell'ottenere il consenso, l'operazione chiave del progetto sta nel sapere usare una tecnica; in altre parole l'utopia realizzabile viene prima del progetto (una volta accettata l'idea dell'utopia realizzabile, la realtà del progetto le subentra grazie alla tecnica, in mancanza della quale, è bene aggiungerlo e sottolinearlo, l'idea di utopia realizzabile non sarebbe neppure nata). Questa teoria ci permette di spiegare perché periodicamente appaiano delle utopie realizzabili (e delle utopie propriamente dette). Affinché appaia un'utopia (realizzabile o meno) è necessario che una tecnica o un comportamento nuovo siano ormai noti e assimilati. L'apporto di chi propone un'utopia consiste perciò, generalmente, nel cercare l'applicazione di una tecnica già nota per porre rimedio a una situazione che provoca l'insoddisfazione collettiva. Quest'osservazione spiega il fatto che, nell'intero corso della storia, a formulare utopie più che gli inventori di tecniche nuove o di nuovi comportamenti siano stati i realisti (per quanto strano possa sembrare), che cercavano di applicare delle tecniche o dei comportamenti già noti. La comparsa di un'utopia è stata cioè sempre caratterizzata da una non contemporaneità delle conoscenze: quando, di fronte a una situazione insoddisfacente, si pensa di applicare una nuova tecnica, essa è già nota da almeno una generazione. Per essere ancora più esatti si potrebbe persino dire che, molto spesso, una situazione comincia ad apparire insoddisfacente proprio quando la nuova tecnica è stata già scoperta e riconosciuta. Così, alcuni secoli fa, certe malattie venivano accettate come un semplice dato di fatto e l'idea che fosse possibile guarirle è apparsa soltanto con la scoperta di una cura praticabile. | << | < | > | >> |Pagina 58Il "gruppo critico"La possibile applicazione pratica della conoscenza di queste due soglie (valenza e capacità di canale) per le società/ambienti, è la seguente: esse determinano delle grandezze numeriche che limitano gli elementi (uomini e oggetti) che possono appartenere a una società senza ostacolarne il buon funzionamento, oltre che i collegamenti (influenze) che mettono quegli elementi in comunicazione. Sarà per esempio impossibile realizzare una società egualitaria di cui facciano parte n' umani e m' oggetti e in cui esistano w' collegamenti, se le rispettive soglie non ammettono più di n umani, m oggetti e w collegamenti, così come sarà impossibile concepire una società gerarchica che contenga n" uomini e m" oggetti uniti da w" collegamenti. Più semplicemente: una società o un ambiente dalla struttura determinata (nel senso precedentemente dato al termine) non potrà contenere più di un numero stabilito di elementi (uomini, oggetti, collegamenti). Chiameremo gruppo critico il più grande insieme di elementi (uomini, oggetti e collegamenti) con cui il buon funzionamento di un'organizzazione dotata di una struttura definita può ancora essere garantito. Il concetto di gruppo critico è forse il più importante risultato di questo studio, perché il confronto tra un'organizzazione e il suo gruppo critico indica immediatamente se un progetto di organizzazione o un'utopia sociale sono realizzabili o meno. Il fallimento della maggior parte delle utopie, o dei progetti, è imputabile non tanto alla inattuabilità delle loro idee quanto alla trasgressione della legge del gruppo critico. Molto spesso poi è stato proprio il successo iniziale di un tentativo a trasformarsi in strumento del suo declino; infatti il successo ha attirato nuovi aderenti e il gruppo che aveva dato origine al tentativo è cresciuto fino a farsi distruggere dalla propria espansione! | << | < | > | >> |Pagina 83[...] Ho cercato di caratterizzare questa situazione accostandola a quella che ho chiamato sindrome della Torre di Babele. La Torre di Babele può essere vista come un'organizzazione tecnica con scopi smisurati. Inizialmente va tutto bene, la costruzione della Torre ha inizio. Mano a mano che la Torre cresce, cresce anche l'organizzazione dei costruttori, tanto che un bel giorno i messaggi inviati dai muratori cominciano ad arrivare con molto ritardo, con gravi errori di trasmissione, ecc., a chi supervisiona la preparazione dei materiali di costruzione: l'organizzazione ha superato il gruppo critico che le corrisponde.Quest'immagine ci interessa anche sotto un altro aspetto: la Torre doveva essere costruita per rovesciare un certo ordine preesistente, del mondo o della natura. Dio, in quanto rappresentante di quell'ordine, non contrattacca i costruttori della Torre: aspetta con pazienza che si manifestino gli effetti della legge-limite del gruppo critico. La cosa accade inevitabilmente. Oggigiorno esistono vari esempi di questa sindrome della Torre di Babele: tutte le organizzazioni internazionali, tutte le speranze di giungere a una comunicazione mondiale. Ma sono ugualmente esempi di tentativi falliti. Perché? | << | < | > | >> |Pagina 1465. La grande utopia immobilistaIl tentativo di perpetuare una situazione soddisfacente per una società sembra costituire una delle nostre maggiori utopie: quella dell'immobilismo. L'utopia realizzabile immobilista somiglia molto alle altre. Essa risponde alle tre condizioni definite dai nostri assiomi: nasce dalla paura di un'insoddisfazione imminente (perdita della soddisfazione presente), si serve di una tecnica esistente e dipende dal consenso collettivo. Se dovessi osservare le utopie nel corso del tempo probabilmente scoprirei che, realizzate o immaginate che fossero, esse sono state per la maggior parte del tipo immobilista. Uno tra gli esempi più attuali di immobilismo è particolarmente in vista in questo momento, a causa della grande campagna per la conservazione dell'ambiente. Cercherò, a titolo d'esempio, di analizzare quest'utopia. Faremo per questo le seguenti osservazioni: a. Uno dei peggiori disequilibri ecologici che si siano mai manifestati è stato causato dall'agricoltura. Le devastazioni che ha provocato (disboscamento, scomparsa di specie animali, erosione, ecc.) hanno sconvolto l'ambiente più di qualunque altro intervento umano successivo. b. La rivoluzione agricola (uno sconvolgimento per l'ecologia) ha radicalmente trasformato la stessa specie umana, che è diventata sedentaria, urbana, gregaria. Probabilmente questa rivoluzione ha provocato la scomparsa dell'uomo preagricolo, mentre l'uomo agricolo e riuscito a sopravvivere. Noi stessi discendiamo dall'uomo agricolo e, avendo dimenticato l'uomo preagricolo che non è riuscito a preservare il suo mondo, non abbiamo in fondo motivo di lamentarci della situazione. c. L'attuale sconvolgimento ecologico (inquinamento urbano e industriale) non impedisce la sopravvivenza di una parte della nostra specie, che è poi quella che riesce ad adattarsi alle nuove condizioni; questa parte della specie può probabilmente diventare il punto di partenza di una specie nuova. (Ovviamente ciò non significa che la scomparsa di quella parte della specie che si vede condannata dalle nuove condizioni di vita debba essere rapida o brutale.) Da queste osservazioni risulta che l'attuale tendenza conservatrice trae origine dalla paura del cambiamento (benché le conseguenze delle possibili trasformazioni non sembrino poi cosi spaventose): essa altro non è che un'utopia immobilista della nostra generazione. L'esempio mostra chiaramente che un'utopia immobilista può durare a lungo e che può essere inoltre considerata come l'ultima fase di un'utopia già realizzata (nel nostro caso il conservatorismo ambientale è l'ultima fase della rivoluzione agricola). Senza rendercene conto ci imbattiamo ogni giorno in molteplici utopie immobiliste realizzate. Esagerando un po' si potrebbe dire che camminare su due piedi, parlare servendoci di fonemi, saper contare, ecc., sono altrettante utopie realizzate, attualmente nella loro fase di immobilismo. I nostri antenati anfibi avrebbero certo pensato che abbiamo realizzato e poi immobilizzato la loro utopia di vivere sul terreno, una delle tante ad essere state realizzate. | << | < | > | >> |Pagina 1893. Servizio civile al posto delle tasseQuesta organizzazione, questa moltitudine di società scarsamente comunicanti tra loro, all'interno di un'infrastruttura che si riduce sostanzialmente a un amministrazione viaria, rende caduco, proprio in conseguenza di un'organizzazione ridotta al minimo, uno dei principali strumenti politici di accentramento: le tasse. Abbiamo già accennato alle tasse parlando dell'economia dei serbatoi (p. 129). Si tratta di un contributo, con funzione poco chiara, versato a vantaggio di un'organizzazione di stampo mafioso la cui principale attività consiste nel far fruttare la globalità di tali contributi. Possono essere interpretate in questo modo le attività di tutti quegli Stati che investono la maggior parte dei contributi nel meccanismo che serve ad ottenerli: burocrazia fiscale, burocrazia amministrativa, forze di polizia e forze armate. I servizi che quegli stessi stati garantiscono, in cambio, ai cittadini, sono minimi: basta paragonare gli stanziamenti per l'amministrazione e la polizia a quelli per la pubblica istruzione e la sanità... Il semplice fatto che questi contributi siano amministrati centralmente spiega la disproporzione, nell'uso del denaro pubblico, tra spese attive e spese passive. Soffermiamoci, invece, sui contributi in natura, in tempo di servizio pubblico, in prodotti del lavoro. Sono contributi davvero civili, non soldi anonimi (che possono essere distribuiti ovunque): non possono essere accumulati né amministrati centralmente. Il tempo di un medico, che paghi il suo contributo alla comunità con il lavoro, non può essere accumulato né trasferito altrove. I prodotti di un artigiano non possono essere accumulati al di là di quanto è necessario alla comunità. I rischi di abuso o di uso improprio dei fondi pubblici verrebbero così fortemente limitati. | << | < | > | >> |Pagina 205Mostrare fermezza è importantissimo per lo Stato anonimo (il governo), perché significa che sa resistere alle pressioni (soprattutto quando sono gli altri a subirle) per conservare una propria credibilità come organizzazione di pressione. La cosa è tanto più facile in quanto, nella situazione attuale, lo Stato reale, il cittadino, non ha alcun modo di far pressione sullo Stato anonimo (governo).Immaginiamo ora che un bel giorno il cittadino reale dello Stato reale si stanchi di sopportare questa lotta tra mafie. Immaginiamo che un bel giorno anche il cittadino reale si metta a scioperare: anche lui smette di lavorare. Comincierà allora un'escalation che potrà portare al crollo della società. Come prevenire uno sciopero civile selvaggio? Basterebbe legalizzarlo. Mi spiego. Osserviamo innanzitutto la situazione: i governi perdono ovunque la loro credibilità come organizzazioni di pressione. Ristabilire la fiducia negli Stati secondo le condizioni di un tempo è diventato impossibile. La comunicazione tra chi dirige e chi è diretto è definitivamente interrotta: chi è diretto non segue più le istruzioni di chi dirige. Dal canto loro, per quale miracolo i dirigenti potrebbero venire a conoscenza dei desideri dei cittadini reali (e non di quelli inventati dalle statistiche)? L'unica soluzione, in questa società in cui chi dirige non può più dirigere, sembra essere quella di ridare l'iniziativa allo Stato reale, ai cittadini, fornendo loro i mezzi costituzionali per far agire l'autoregolazione sociale. A mio parere, per raggiungere questo scopo, bisognerebbe proporre tre emendamenti alla Costituzione: 1. Per le consultazioni popolari (referendum), ammettere l'iniziativa dal basso per ogni proposta sostenuta (ad esempio) da almeno due milioni di firme (soglia che corrisponde circa all'8% del corpo elettorale); 2. Concedere il diritto di secessione ad ogni comunità, geograficamente definibile, che oltrepassi per numero un limite inferiore dato (ad esempio due milioni di cittadini); tali comunità otterrebbero l'indipendenza politica all'interno di uno Stato federalista; 3. Ammettere un controllo popolare annuo dell'attività del governo: censura o voto di fiducia al governo e al presidente della Repubblica. Queste tre proposte garantirebbero prima di tutto una sola e identica cosa: l'iniziativa dal basso. Esse permetterebbero di ovviare al carattere asimmetrico delle nostre istituzioni (in cui tutte le iniziative vengono dall'alto e quelle venute dal basso sono considerate sovversive). Esse darebbero spazio alla difesa personale dei cittadini. Riprendendo l'esempio dello sciopero delle poste: il primo emendamento proposto permetterebbe l'arbitraggio della vertenza tra lavoratori e Stato da parte dei cittadini reali, coscienti che lo sciopero ha un costo reale (certamente maggiore di quello delle spese per indire un referendum). Il secondo emendamento (che riguarda la secessione) permetterebbe di trovare soluzioni regionali ai vari problemi. Anche oggi, ad esempio, quando in Francia c'è sciopero, in Lussemburgo la posta continua a funzionare, senza che gli impiegati debbano per questo sentirsi dei crumiri. La regionalizzazione di scioperi e negoziati scongiurerebbe la paralisi totale dei servizi pubblici. La terza proposta contribuirebbe a rendere più responsabili gli alti funzionari, i quali, messi di fronte all'insicurezza della loro carica, si preoccuperebbero un po' di più degli affari pubblici.
È solo un abbozzo alquanto sommario di ciò che chiamo legalizzazione dello
sciopero civile.
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