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| << | < | > | >> |IndiceLo strano ingegner Gadda di Gianfranco Contini XIII Presentazione di Dante Isella XIX I SOGNI E LA FOLGORE La Madonna dei Filosofi 3 Il castello di Udine 109 L'Adalgisa (disegni milanesi) 283 La cognizione del dolore 565 Note ai testi 773 |
| << | < | > | >> |Pagina 3| << | < | > | >> |Pagina 37L'indescrivibile erbivendolo fece una pausa dal gridare e mi guardò con occhi assonnati: si era levato presto, come al solito. Potei considerarlo. Una sigaretta spenta gli pendeva ora dalle labbra, aveva la paglietta sul cocuzzolo, in quella posizione che diciamo «bovisa», che mi piace tanto: sulla fronte stretta un ciuffo di forti e folti capelli. Al collo un fazzoletto annodato, braccia di bronzo nudo, maglia rosa stinto: sotto si lineava il torace scultoreo. Seduto al suo banco, dinoccolato, mi guardava dal sotto in su come si guarda un essere inutile e privo di interesse: io non era capace di comperare zucchette. Naso marcato, adusta la faccia, salute inaffiata. Il cipiglio si rifece duro. Riprese inopinatamente ad urlare: che le sue zucchette non erano roba da tutti, che soltanto gli intenditori potevano giudicarle: che dei dilettanti non si curava. Aggiunse frasi di sprezzante commiserazione per gli increduli eventuali. Questi suoi giudizi, urlati in dialetto ligure a dittonghi più contratti di un futuro dorico, erano contenuti da un'orditura sintattica potente e geniale. Capii che molti oratori e celebranti ufficiali sono, al paragone, dei poveri stentatelli. | << | < | > | >> |Pagina 38Ho pensato molte volte di voi, poveri morti, sebbene dovessi accudire al lavoro di ufficio e mi sentissi, anche, poco bene. Siccome si richiede diligenza in ogni adempimento, così finii con seguitare gli atti del lavoro: e a voi non ho più dedicato quel così intenso dolore, che mi pareva la ragione e il senso della mia vita. Radunando ogni pensiero più puro, avrei voluto poter comporre una preghiera che, rivolta a Chi tutto determina, vi ottenesse una infinita consolazione. Ma, come voi vivete nella luce ed io mi dissolvo nell'ombra, così capisco bene che è certo impossibile che possa la mia miseria comunque sovvenire alla vostra fulgidità. E poi, forse la mia voce non suona, non può essere udita. Che devo fare? Quando cammino, mi pare che non dovrei. Quando parlo, mi pare che bestemmio; quando nel mezzogiorno ogni pianta si beve la calda luce, sento che colpe e vergogne sono con me. Perdonatemi! Io ho cercato di imitarvi e di seguitarvi: ma sono stato respinto. Certo è che commisi dei gravissimi errori, e così non fu conceduto che potessi inscrivermi nella vostra Legione. Così mi sono smarrito. Ma penso di voi, compagni morti. Vi sono monti lontani, terribili: ed ecco le nuvole sorgono, come sogni, o come pensieri, dai monti e dalle foreste. | << | < | > | >> |Pagina 39Una grossa formica, che vada sempre e sempre, ed entri nel suo magazzino e ne esca, con un pensiero sempre al lavoro e con un tremendo bruscolo stretto fra i due filuzzi delle branche nervose: il mio contadino indaffarato si moveva dal podere alla casa. Traeva una fascina e l'ammontonava e poi riusciva con una secchia e la vuotava e poi èccolo con un arnese di nuovo al campo e poi ritorna con una cavagna e la posa. Poi deve battere, poi deve intrecciare. Poi deve cogliere, poi deve adacquare; poi legare, poi spargere, poi ammucchiare. Poi rivoltare, poi attingere, poi impastonare: poi, con quel pastone, recare anche becchime; poi mungere, poi chiudere, poi trasportare. E porta e trasporta, la giornata gli si consuma. I suoni del giorno hanno fatto la loro apparizione e hanno ripetuto com'è la commedia. Neppur li ha sentiti. Le voci del giorno hanno cantato una passione. Non n'è più nulla. È solo, sudato. Solo il suono dell'ora è rituale nel suo celebrare. Viene dalla vecchia torre, come un vecchio ed eterno pensiero. Quando l'ombra sfiora le grigie torri, è perché la notte si china sui casolari. Allora non ci si vede più, nel mucchio del da fare: allora bisogna intermettere. | << | < | > | >> |Pagina 40Alle case cantoniere, bimbe: con un ciuffo e un nastro, due lucidi occhi, mutande dissimmetriche: sono più lunghe della sottanella, perché la mamma prevede un rapido sviluppo, pane e fagioli. Oggi, che sono così lunghe, domani già corte. Sul fiume il ponte, dal fiume il canale. Il verde canale sembra arrestarsi per un misterioso comando a una gran vasca ben fatta. Pulsando infaticate le bielle, (visibili in curva), il locomotore imbocca il viadotto, sorvola la solitaria centrale. Nell'ombra della valle profonda tutti la ignorano, gli acuti diplomatici, le dame. Nell'ombra di queste macchie vivono soltanto due occhi, torvi topazi: è la lupa, venuta dalla notte, per allattare cùccioli umani; ma i caparbi alternatori portano perennemente la loro soma invisibile, le Francis strascinano i rotors nel perenne freno del campo. Solitari giganti, con aperte braccia, valicano la giogaia squallida: reggono monili strani e orditi di fili. Vi sono lontane cartiere, cotonifici ed altri impianti manifatturieri. Ma questi non si vedono ed è inutile descriverli. | << | < | > | >> |Pagina 41Il cav. Lo Jodice, il brigadiere scelto Di Matteo e due agenti della squadra investigativa gli davano da cinque giorni una caccia implacabile. Da un bar all'altro, da un quartiere all'altro, da questo mondo ad un altro! Ma la rivoltella, che aveva rubata in America ad un compagno ubriaco, se l'era venduta: e la cena deglutita due dì prima era stata l'ultima. Si lasciò andare, esausto, su quella panca di pietra: vecchie stampe: stringhe, scatole di zolfanelli: e il negoziante non c'era. Lungo lo zoccolo del muro un odore di orina vecchia, dolcezza d'ogni cane. Lo strazio delle cose remote e perse lo prese: ricordò sua madre. Davanti, la piazza, il pronao, la chiesa. L'antica basilica affondava i suoi pilastri nella coltre alluvionale che il sabbiatore Ticino e i garzoni accudirono a dirimere da cave Pennine. Tra nubi terribili gli spalti del Monterosa. Affondava i pilastri nella coltre buona, sotto cui posano gli ossami delle generazioni passate sopra la terra: passate dalla polvere calda del mattino, dai tumulti di Desio e di Parabiago, al buio della terra. E la torre quadrata è senza bellezza e attende gelide nebbie. Già gli alberi han freddo, le campane propongono malinconiche meditazioni. La bellezza! I capitelli corinzi e compositi, i timpani, le panoplie, i bucrani, i chiari, i fulgidi marmi! Perché non si ammirano così pregevoli ornamenti in terra lombarda? L'arco di mattone è rude sul pilastro quadrato. Segno gentilizio è la croce, che accampava i ribelli contro la maestà dell'Impero, o la vipera, che si sgroviglia dal cuore degli umani. Vi sono città d'altre terre, dove le chiese in legno sono coperte da lastre di zinco ondulato, come i magazzini dei porti: e tra i docks tettati di zinco si snodano i neri, celeri treni. Nel pesante bagagliaio essi recano cataste di parallelepipedi, con borchie solide. Dal passaggio centrale della vettura da pranzo, curvandosi sui tavolini, il candido primo cameriere serve impeccabilmente i commensali irrigiditi, mentre agli aghi degli scambi tutto sussulta e traballa. Virtuoso equilibrista! Le aggrovigliate matasse degli spaghetti vengono deposte accuratamente sul piatto di ognuno: segue il secondo, col pomodoro. Poi i treni si arrestano sotto le volte basilicali cui sperimentati ingegneri hanno calcolato, applicando i teoremi di Castigliano e di Maxwell. Negli atri vasti della stazione riversano la folla di tutti: le stupende signore, i solidi uomini dell'industria e del traffico: e viaggiatori in generale. Ricordò ancora sua madre. | << | < | > | >> |Pagina 43Quel suo occhio diceva: «Kant ha ragione». Diedri e prismi, luci ed ombre e colori vanivano: le cosiddette mosche avevano lasciato ogni paura. Eppure con che rabbia, con che prontezza le sapea prendere al volo! Poi starnutava. Adesso moriva: ossia capiva che la rabbia, i prismi, i rumori sospetti e la luce stessa e tutto non erano se non un catalogo vano. Egli aveva servito con fedeltà; quale causa? Che domande!... Con quale premio?... Che c'entra, che c'entra! C'era anche la favola del cane ben pasciuto, che s'imbatte nella nobile e sarcastica predica del cane magro. Ma era una stupidaggine. Egli aveva dato il coraggio, l'allegrezza, la devozione, la vita: ciò, non era sua colpa, gli metteva addosso un tremendo appetito. Dagli uomini, che comandano, quel suo fervido sentire era stato ripagato a tocchi di pane: abboccandoli a volo, si levava il male. Per conto suo, poi, s'era aiutato trafugando polpette. Nel cacciarsi ferocemente dentro la macchia, non aveva mai pensato che esistono scrittori di favole. Puk (era tanto stanco!) poté ancora riepilogare: una volontà buona lo aveva sempre animato! Adesso moriva: ossia tutto perdeva, per lui, il significato di quando era nato e cresciuto. Altri si sarebbero occupati delle diverse faccende, che erano in corso, interpretando le cose secondo schemi convenzionali. | << | < | > | >> |Pagina 565In quegli anni, tra il 1925 e il 1933, le leggi del Maradagàl, che è paese di non molte risorse, davano facoltà ai proprietari di campagna d'aderire o di non aderire alle associazioni provinciali di vigilanza per la notte – (Nistitúos provinciales de vigilancia para la noche); e ciò in considerazione del fatto che essi già sottostavano a balzelli ed erano obbligati a contributi molteplici, il cui globale ammontare, in alcuni casi, raggiungeva e financo superava il valsente del poco banzavóis che la proprietà rustica arriva a fruttare, Cerere e Pale assenziendo, ogni anno bisestile: cioè nell'anno su quattro in cui non si sia verificata siccità, non pioggia persistente alle semine ed ai raccolti, e non abbi avuto passo tutta la carovana delle malattie. Paventata, più che ogni altra, la ineluttabile «Peronospera banzavoisi» del Cattaneo: essa opera, nella misera pianta, a un disseccamento e sfarinamento delle radicine e del fusto, proprio nei mesi dello sviluppo: e lascia ai disperati e agli affamati, invece del granone, un tritume simile a quello che lascia dietro di sé il tarlo, o il succhiello, in un trave di rovere. In talune plaghe bisogna poi fare i conti anche con la grandine. A quest'altro flagello, in verità, non è particolarmente esposta la involuta pannocchia del banzavóis, ch'è una specie di granoturco dolciastro proprio a quel clima. Clima o cielo, in certe regioni, altrettanto grandinifero che il cielo incombente su alcune mezze pertiche della nostra indimenticabile Brianza: terra, se mai altra, meticolosamente perticata. Il Maradagàl, come è noto, uscì nel 1924 da un'aspra guerra col Parapagàl, stato limitrofo con popolazione della medesima origine etnica, immigratavi via via dall'Europa, a far tempo dai primi decenni del secolo decimosettimo. Anche ciò è noto. I pochi Indios superstiti alla Reconquista e pervenuti fino al secolo e ai clamori della radio, vivono a tribù e quasi a branchi nei lontani «Territorios», felicitati da una loro speciale tubercolosi e da una loro speciale sifilide, oltreché dalla lontananza della gendarmeria: tratti, alcuni, e a gran fatica, dalla caparbietà d'un qualche missionario piemontese, nell'orto della Fede di Cristo; donde purtuttavia si assentano ancora, poi, di tanto in tanto, per una di quelle loro così deplorevoli bevute di cava, che li lasciano un paio di giorni a terra, lungo un sentiero, come sassi. Ognuno dei due paesi sostiene di aver vinto la guerra e ne addossa all'altro la terribile responsabilità. Negli anni seguenti al 1924 vi erano perciò, tanto nel Maradagàl quanto nel Parapagàl, dei reduci di guerra, alcuni dei quali appartenevano e appartengono tutt'ora alla benemerente categoria dei mutilati: e zoppicavano, o avevano sul volto cicatrici, o un arto irrigidito, o erano privi di un piede, o di un occhio. Non è infrequente, nei più ciaccolosi caffè del Maradagàl o del Parapagàl, venir fissati da un occhio di vetro. Di taluni reduci si sapeva che erano stati feriti, per quanto non apparisse; le cicatrici, nascoste dai panni, venivano così defraudate della quota di ammirazione a cui avevano diritto. Vi erano poi anche dei sordi di guerra. La preposizione di (de, in maradagalese) esprimente causa od origine, seguita dal sostantivo «guerra» e preceduta da un aggettivo sostantivale come «invalido», «mutilato», «cieco», «sordo », «minorato », e simili, aveva anzi dato luogo a certa facezia, di discutibile gusto, è vero: e non proibita tuttavia dalla legge, perché innocente. Accade alla loquace vita, purtroppo, di esorbitare talora dalle sacre leggi della deferenza e della compostezza. Così a Terepàttola, sulle prime pendici della Cordillera, le ragazze terepattolesi apostrofàvano «scemo di guerra!» qualche zerbinotto un po' troppo ardito di mano, a cui però, dopo un dieci minuti di broncio, finivano col perdonare e col farci la pace, come i plenipotenziari del Maradagàl l'avevano fatta coi plenipotenziari del Parapagàl. «Scemo» si dice «mocoso» con un c solo, in maradagalese, e la locuzione pretta è perciò: «¡Mocoso de guerra!». Ora appunto, trattandosi di arruolare i vigili dei Nistitúos de vigilancia para la noche, si deliberò venisse data la prelazione ai reduci di guerra, senza escluder dal novero i gloriosi feriti, quandoché beninteso apparissero idonei all'ufficio: il che torna a dire fisicamente ancor validi: e tanto prestanti, anzi, da poter assolvere a un incarico del genere, il quale può richiedere interventi manu armata e presume comunque, nel vigile, un certo grado di robustezza e di conseguente autorevolezza, affinché il vigile possa efficacemente persuadere al fuorilegge ch'egli deve senz'altro seguirlo al più vicino posto di guardia. Seguirlo, o per dir meglio precederlo, visto che certi tipi è meglio metterseli davanti, che dietro. Vero è che nel Maradagàl ci sono anche dei vigili alti come du soldi di cacio: ma questa, oltre all'essere una bella espressione toscana, è più l'eccezione che la regola. E poi si sospetta che, per quanto piccoli, rivelino, al caso, una forza inopinata. I nani veri e propri, in ogni modo, e i gobbi sono rigorosamente esclusi dai servizi di vigilanza diurni o notturni e dal reclutamento in genere. Altra prerogativa del vigile notturno è quella del percepire con acuità i rumori sospetti, quali potrebbero essere, a cagion d'esempio, lo strofinìo dei calzari di pezza di un par di ladri sul pavimento musivo al pianterreno d'una villa, o il tinnire d'una forchetta d'argento caduta nel sacco, nottetempo, internamente alla villa stessa, ben s'intende. Teoricamente il vigile notturno, il vigile tipo, dovrebbe essere provveduto d'orecchi sceltissimi e avere tutti i cinque sensi in perfetto stato: comportare in sé il fiuto del segugio e la rètina del gatto, che arriva a scorgere i topi in corsa, dicono, nel buio delle cantine. Una guardia sorda, o semisorda, è poco concepibile: e anche nel Maradagàl difatti, e anche nel dopoguerra, la si concepiva a stento. Ma il tessuto della collettività, un po' dappertutto forse, nel mondo, e nel Maradagàl più che altrove, conosce una felice attitudine a smemorarsi, almeno di quando in quando, del fine imperativo cui sottostà il diuturno lavoro delle cellule. Si smagliano allora, nella compattezza del tessuto, i caritatevoli strappi della eccezione. La finalità etica e la carnale benevolenza verso la creatura umana danno contrastanti richiami. Se ha ragione quest'altra, una nuova serie di fatti ha inizio, scaturita come germoglio, e poi ramo, dal palo teleologico. Circa l'assunzione dei sordi di guerra nei Nistitúos de vigilancia regnava pertanto incertezza: e alcuni ricorsi onde gli interessati ed esclusi avevan creduto opportuno di adire la legge, in figura di danneggiati, finirono per incontrare, dalla legge stessa, responsi ancipiti. A Terepàttola sì, e a Pastrufazio no. Anche le due Corti, presso cui era stato interposto appello in alcun caso meglio suscettivo di discrimine, ebbero occasione a difforme pronuncia, nelle elaborate sentenze all'uopo emesse dai loro più lucubrativi magistrati: i quali ritennero di dover emanare, da un caso all'altro, pareri divergenti: ossia dispareri. Donde rinvii e ricorsi al Supremo Collegio e rimandi a nuova disàmina, da durare in eterno: una bazza! per il tabaccaio sul cantone. Si erano verificati, poi, dei casi stranissimi: imputabili forse al meccanismo del favore elettorale, che divien procura d'inetti e d'immeritevoli, ma aventi-voto: e figura tra le meno confessabili e più pervicaci caratteristiche del costume democratico e repubblicano, in tutto pressoché il Sud-America. - Nella provincia di Zigo-Zago, a mo' d'esempio, fu assunto nel 1926 un vigile ciclista che doveva sorvegliare una zona due chilometri lunga: pochissimo frequentata, questo è vero, dai ladri, che non vi avevano nulla a poter rubare, se non delle stoppie. Il poveraccio aveva una gamba rigida: ed era anche riuscito a farla passare per gamba rigida di guerra, mentre si trattava in realtà di un'anchilosi al ginocchio, di probabile per quanto remota origine sifilitica. Egli adottò una bicicletta con un solo pedale, a destra, per la gamba sana: e dall'altro lato, da babordo, lasciava pencolare la sinistra diritta, come un barcarizzo della murata. Nel mito e nel folklore locale, dopo un po' di tempo, la gamba rigida e non pedalante si tramutò addirittura in una gamba di alluminio. Quando accaddero furti di polli, tutti dissero: «Oeh! Per un furto di polli!»: e quando accadde qualche fatto più grave, tutti dissero: «Povero cristo, anche lui! ha da guardare mezzo circondario! e con quella gamba di alluminio!». Altri dissero: «Ha moglie e figli!». Altri, facendo spallucce: «Vivere e lasciar vivere!». Son buona gente, nel Maradagàl. E poi lo scandaletto rurale di Lukones, nell'arrondimiento del Serruchón, questo in provincia di Novokomi. Lukones: un villaggio con oficina de correos (ufficio postale), telefono, levatrice, tabacchi, medico condotto, albergo del Leon d'oro, lavatoio pubblico e beninteso parrocchia: lo traversa, con alcune svolte, la camionabile provinciale che dalla stazione e dalle pioppaie del Prado mena volutamente ad Iglesia. Il Prado è congiunto per ferrocarril tanto a Novokomi che a Pastrufazio: la via ferrata prosegue ancora fino a Cabeza, (sempre a binario unico), dove un berretto rosso in capo d'un uomo di quarant'anni attende l'ansimare del treno. Pastrufazio, la più dinamica città del paese, spàppola i suoi sobborghi ovest e sud, un po' piaccicosi e piuttosto lerci, a un centinaio di chilometri oltre le catene moreniche che inserrano il Prado: nel verde piano. Il Serruchón, da cui prende nome l'arrondimiento come dal più cospicuo de' suoi rilievi, è una lunga erta montana tutta triangoli e punte, quasi la groppa-minaccia del dinosauro: di levatura pressoché orizzontale salvo il giù e su feroce di quelle cuspidi e relative bocchette, portelli del vento. Parete altissima e grigia incombe improvvisa sull'idillio, con cupi strapiombi: e canaloni, fra le torri, dove si rintanano fredde ombre nell'alba, e vi persistono, coi loro geli, per tutto il primo giro del mattino. Dietro nere cime il sole improvvisamente risfolgora: i suoi raggi si frangono sulla scheggiatura del crinale e se ne diffondono al di qua verso il Prado, scesi a dorare le brume della terra, di cui emergono colline, tra i velati laghi. Qualcosa di simile, per il nome e più per l'aspetto, al manzoniano Resegone. Ivi alcuna più ardita torre, (con mattutine campane), lacera il velo dorato delle nebbie; il vapore, un bioccolìo bianco, dilunga in un filo; si smarrisce; sibila per lontani rimandi tra le colline, e rigiri: porta la stipata, nera folla degli uomini poveri, che ne traboccano verso gli opifici e le fabbriche o, sul poco fiume, il maglio. Lo scandalo non fu gran cosa: fu anzi piuttosto miseria che scandalo, e venne a galla, che si andava già per la Madonna di settembre, ad opera di uno sconosciuto commerciante di stoffe e del dottore di Lukones, il quale erborò poi dati più esatti da un colonnello medico in villeggiatura. Un bel giorno, tutt'a un tratto, si venne a sapere universalmente che certo Pedro Mahagones, e cioè appunto il vigile ciclista di quella zona, che tutti lo conoscevano per Manganones o Pedro, non era affatto Manganones, né (per dir meglio) Mahagones, e tanto meno Pedro: ma quello era il nome e cognome di un prozio materno e il suo vero nome, invece, era Gaetano Palumbo. In quei due anni di vigilanza egli aveva lungamente commemorato, e un po' con tutti, la bontà dello zio nonché padrino, di cui portava in giro pel mondo, ad onorarlo sempre di più, il nome e cognome; e cicchettava ogniqualvolta, commosso, e magari con il luccichio d'una qualche mezza lacrima dentro il virile sorriso, alla di lui salute, che non altro era, questa, né altro poteva essere, se non la salute dell'anima, cioè la vera, definitiva ed eterna salute, la sola che realmente conti; visto che le spoglie mortali del caro zio erano già sottoterra da otto anni. Ma lo zio lo aveva allevato, lui Pietruccio fattosi poi Pedro: e curato, amato, custodito, allattato, (col biberon), protetto, educato, consigliato, bastonato: oh! per il suo bene, e davvero lo meritava, certe volte!.... e financo fatto fare la pipì, e la cacà, e poi lavato il cocò, da bimbo questo, s'intende, come una balia. Proprio come fosse un figlio. Sicché lacrime e bitter alla memoria, ma più che tutto sigarette gratis, in tutte le tabaccherie della zona. Il nuovo nome destò una certa sorpresa, sia nei villici che nei villeggianti, taluni dei quali ultimi ebbero occasione di trovare «che c'era un qualche cosa nella sua faccia....». Era, sopra la corpulente imponenza della persona, e sul collo chiuso dell'uniforme, una faccia larga e paterna dai corti baffi, a spazzola e rossi, dal naso breve, diritto: gli occhi affossati, piccoli, lucidi, assai mobili e con faville acutissime d'una luce di lama nello sguardo, cui la visiera attenuava ma non poteva spegnere interamente. Quando levava il berretto, come a lasciar vaporare la cabeza, allora la fronte appariva alta, ma più stretta degli zigomi, e sfuggiva con alcune modulazioni di tinta nella cupola del cranio calvo, bianco, e, a onor del vero, assai pulito, cioè senza lentiggini di crassume e di polvere impastati assieme. Allora, senza visiera, gli occhi rimanevano soli al comando, ferivano l'interlocutore con una espressione di richiesta e di attesa, si aveva la sensazione di dover assolutamente pagare qualche cosa, una specie di multa virtuale, per legge: perché così voleva la legge: ricevendone in adeguato concambio uno scontrino rosa, o cilestro, come ricevuta, spiccato da un libercoletto a matrici ch'egli sapeva estrarre da una tasca laterale della giubba con una naturalezza straordinaria. Tutti, o almeno quasi tutti, d'altronde, nella zona di Lukones, s'erano messi d'impegno e di buona volontà, visto che pagare avevan pagato, a farsi un'idea di quelle pericolose ronde nel buio: e avevano finito per mandar giù anche l'importanza e la delicatezza dell'incarico che gravava sulle sue spalle, per quanto è lunga e buia la notte, e tutti oramai ci credevano, all'importanza: dacché non sempre la buona fama d'un uomo, nel Sud-America, o la notorietà di un funzionario, dipende dalla inutilità delle sue mansioni. Il Mahagones-Palumbo - anche questa notizia si diffuse rapidamente, e fu il nocciolo dello scandalo, - aveva ottenuto a suo tempo, 1925, la pensione di sesto grado, categoria quinta, cioè quasi la massima categoria, perché trovatosi a esser lasciato sordo d'entrambi gli orecchi, da scoppio di granata «penetrante e dilacerante». Nell'azione di quota 131. I due aggettivi li escogitò lui lì per lì, nel rimpastocchiare la faccenda ad uso dei Lukonesi, quando finalmente si sentì chiamato in causa dagli ammicchi e dalle allusioni dei villici. E li proferiva con un tono così autorevole e fermo, aiutato anche dall'uniforme, che gelò i sorrisi, ogni volta, affiorati qua e là sulle labbra degli ascoltatori. Parve davvero a tutti che ci fossero, in guerra, le granate comuni, ordinarie, (di cui giusto eran morti i loro fratelli, o figli), non penetranti e tanto meno dilaceranti; ma che la granata del Palumbo fosse stata invece una granata speciale, di alta classe: e proveniente da un cannone qualificato, molto più temibile dei soliti, buoni magari anche, questo sì, nei giorni feriali, per ammazzar villani alla meglio. Dal momento che si era costretti a designarla in tal modo. Quei due aggettivi, poi, vennero presi molto sul serio e direi apprezzati in misura tutta particolare dalle ragazze e donne del paese: e dalle signore in villa, le quali ci fantasticarono su per delle settimane, non avendo di meglio da fare, in quel torno, nonostante le innegabili e multiverse risorse dei loro cervelli. L'azione di quota 131, l'azione di quota 131. Tutto l'arrondimiento del Serruchón non conobbe altra quota, per un bel pezzo, che quota 131. Al raccontare del Palumbo venne dato credito. Quanto poi vi fosse d'eventualmente incompatibile fra sordità e vigilanza, fu problema annullato dalla religione dei ricordi. Il valore ha per sé il culto vero, delle anime vere. Tutti ripetevano «l'azione di quota 131, l'azione di quota 131», come si trattasse d'un fatto universalmente noto, Waterloo, Aboukir, Porta Tosa. E ciò a prescindere dall'idea che la quota 131, perduta e ripresa un paio di volte la settimana durante tutto un semestre, aveva conosciuto, per sé sola, oltre novantadue azioni, una più micidiale dell'altra. Pedro fumava molto, forse più per belluria e vanità che per bisogno o vizio. Il fumare lo aiutava molto davanti alle donne, a cui il fumo piace, anche perché lo ritengono, e magari con ragione, un gradevole presagio dell'arrosto. L'azione - di cui i Lukonesi volevano sorridere, ma di cui finirono invece per dovergli far recitare suo malgrado, al Palumbo, un minutissimo, interminabile ragguaglio, vincendo la sua estrema riluttanza a parlar di sé - venne fuori che era stata un attacco, preceduto da adeguato fuoco delle artiglierie maradagalesi, e seguito da un «bombardamento» (così disse, molto miseramente) delle parapagalesi, a cui tenne dietro un controattacco. Ci fu poi un «controbombardamento» e un secondo controattacco, questo maradagalese, e finalmente un temporale, che ebbe vere e proprie caratteristiche di nubifragio, salutato come salvatore da entrambe le parti. Nel racconto, che adunava ascoltatori attentissimi in tutte le tabaccherie della zona, e che arrivò a stereotiparsi in un referto senza troppe contraddizioni e anche abbastanza pulito, se pur adacquato a quel modo, furono introdotte locuzioni veramente soldatesche, e direi maschie, prive affatto d'ogni retorica, come «carnaio», «lasciarci la pelle», «stavano per fregarci», e altrettali: esse diedero ai Lukonesi e ai Serruchonesi, già mezzo convinti dall'afa del novilunio in ritardo, un'idea di quel che sia serietà, semplicità, e del valore vero: il quale, quand'è autentico, e non tirato in ballo con gli argani, è anche circonfuso di modestia e schiva le frasi. Pedro non era un signore in villa, come quelli a cui sorvegliava la villa, nottetempo: e nemmeno, Dio liberi!, uno scrittore: uno scrittore arzigogolato e barocco, come Jean Paul, o Carlo Gozzi, o Carlo Dossi, o un qualche altro Carlo anche peggio di questi due, già così grami loro soli; buono magari di adoperar la guerra, e i dolori della guerra, per cincischiarne e sottilizzarne fuori i suoi ribòboli sterili, in punta di penna. No, Pedro era un semplice, un puro di cuore: e c'era quindi da credere alla sua parola nuda, efficace, al «fargli la trippa», buttato là sul banco di zinco della tabaccheria tra lo sciacquìo dei bicchieri, come un controbicchierino o un contropacchetto; alla «sua» guerra, c'era da credere in pieno. Aveva una cintura di cuoio con fondina e pistola, si capiva subito che conosceva l'uso delle armi. In realtà, nella guerra Maradagàl-Parapagàl, di quote 131 - o 151 o 171 - ce n'erano state a bizzeffe, date le contrastanti delibere degli opposti strateghi, che ci strofinarono sopra, alle quote, come fossero zolfanelli, i battaglioni massacrati: e un reduce qualsiasi per poco fantasioso che fosse, e magari anche un disertore indio, aveva largamente da scegliere. Le prime dicerie circa la vera identità e la pensione e quindi anche l'eroismo di Pedro ridivenuto Gaetano, e la sua ex-sordità ossia udito recuperato, si sparsero in quel di Lukones, come detto, per merito di un «commerciante» dalla lingua piuttosto sciolta, che viaggiò in terza classe fino al Prado e arrivò su, poi, a piedi, con dietro una specie di cugino o d'aiuto, e con un suo cubico e greve sacco in ispalla; pieno (da quanto si rivelò poco dopo) di pezze d'occasione; d'una stoffa assai morbida al piglio, ed estremamente pelosa. Le meravigliose notizie si diffusero allora nell'albero della collettività per il naturale processo dell'assorbimento, reso possibile da una attiva endòsmosi: l'avidità fresca e mordente degli incorrotti, il lavorio vitale delle cellule che non abbino miglior epos da elaborare.
E vi aiutarono, di buona e felice lena, un po' tutti, e tutte.
Tra i primi la lavandaia Peppa, dalla cesta ricolma di lenzuoli
strizzati: una donna-uomo più dura e salda che non sia stato
mai un facchino, con quel carico sbilanciato al braccio, e però
l'asse della persona impendente dall'altra parte; tenace e povera, e gialla nel
viso lungo la sassonia penosa delle stradacce
in salita verso turrite ville con parafulmine e talora, nel vento,
bandiera; ferma, di tanto in tanto, - la cesta per terra -, a posare e a tirare
il fiato, ma non tanto, tirarlo, che le venisse inibito il buon uso della
lingua, se mai di quello stesso alt andava
partecipe alcuna comare discendente.
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