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| << | < | > | >> |IndiceIntroduzione 7 1. Quanto pesa il mal di schiena: le dimensioni del problema 13 2. Chi rischia di più? 20 Fattori di rischio individuali Fattori di rischio legati all'attività lavorativa 3. Le nostre fondamenta: uno sguardo alla struttura che ci regge 26 La colonna vertebrale (o rachide) I legamenti I muscoli 4. Alle radici del mal di schiena 33 L'ernia del disco Non solo ernia del disco 5. Quando la colonna è instabile 42 La spondilolistesi Caso clinico 1: Lucia, 10 anni L'instabilità iatrogena L'instabilità da artrosi 6. Che fare quando il dolore esplode? 50 Prima fase: capire Seconda fase: reagire Terza fase: ripensare Quarta fase: operare Caso clinico 2: Piero, 31 anni, calciatore 7. Mal di schiena: a chi mi devo rivolgere 59 La terapia del dolore Caso clinico 3: Francesco, antiquario 8. A caccia del problema: gli esami 71 La radiografia (Rx) La tomografia assiale computerizzata (TAC) La risonanza magnetica nucleare (RMN) L'elettromiografia (EMG) La scintigrafia 9. L'attacco delle medicine 80 Antinfiammatori non steroidei (FANS) Corticosteroidi Analgesici ad azione centrale Antinfiammatori anti-COX2 Complessi vitaminici (B1, B6, B12) Miorilassanti Caso clinico 4: Adriana 10. Operarsi: quando, come e perché 89 Gli interventi Le tecniche mini-invasive percutanee Discectomia e microdiscectomia Scheda 1: Corsetti, busti e fasce lombari La stenosi del canale e il suo trattamento chirurgico Il futuro La terapia genica La supplementazione del disco intervertebrale La protesi discale Scheda 2: La vertebroplastica Caso clinico 5: Roberto, collaudatore Caso clinico 6: Maria, 82 anni 11. L'esercizio terapeutico: istruzioni per l'uso 113 Quale esercizio e per quanto tempo? 12. La riabilitazione: una panoramica 123 Il metodo Cyriax Il metodo Feldenkrais Il metodo McKenzie Il metodo Mézières Il metodo Souchard Il trattamento ortesico di Jacques Cheneau Il metodo Stagnara Scheda 3: La chiropratica Scheda 4: L'osteopatia 13. Gli esercizi contro il dolore 138 La retrazione dell'addome La retroversione Movimenti alternati degli arti inferiori Stretching Gli esercizi di potenziamento addominale Quando il mal di schiena scaturisce dalla bocca Scheda 5: Protocollo in uso presso l'Unità Operativa di Recupero e Rieducazione Funzionale dell'Istituto Clinico Humanitas 14. Calore, elettricità, laser & Co. 156 Calore Laser Elettroterapia Magnetoterapia Trazione Caso clinico 7: Dino, 40 anni, agricoltore 15. E se il dolore ricompare dopo l'intervento del chirurgo? 165 Scheda 6: Scale di valutazione del mal di schiena Le complicanze precoci Le complicanze tardive 16. Dottore, che sport posso praticare? 175 Gli effetti dell'allenamento Mal di schiena e sport 17. Ergonomia: l'arte della postura 205 I gesti comuni nell'attività quotidiana Le attività lavorative Prevenzione nella vita quotidiana Attività nell'ambiente lavorativo 18. Gli aiuti alternativi 225 La massoterapia Il metodo Pilates Lo shiatsu Il tai chi chuan Lo yoga Il qigong L'agopuntura Conclusioni: la storia ci insegna. Come sempre 232 Appendice. Psicologia del mal di schiena cronico e trattamento psichiatrico coadiuvante 237 Depressione Ansia Disturbi somatoformi, ipocondria, disturbo di conversione, disturbo algico Disturbi fittizi Simulazione Stati dissociativi Sindrome da dolore cronico Disturbi di personalità Psicosi Trattamento psichiatrico coadiuvante Glossario 245 Letture consigliate 259 Ringraziamenti 263 Indice analitico 265 |
| << | < | > | >> |Pagina 7È un problema che "muove" una quantità impressionante di eventi e persone... Penso al mare magnum di esami e verdetti diagnostici, all'altrettanto vasta schiera di trattamenti e programmi di riabilitazione... Penso al numero spropositato di giornate lavorative perse, ai prepensionamenti, agli aspetti assicurativi, ai contenziosi legali... Tutta colpa del mal di schiena (con o senza sciatica). Sì, rappresenta la patologia più diffusa nei Paesi industrializzati. Quella, secondo le statistiche nordamericane, in testa alla classifica delle cause che portano a ricorrere al medico prima dei 45 anni (e al secondo posto negli anni di vita successivi). Malattia oggi diffusissima, ma antica. Domenico Cotugno già nel 1765 descriveva la patologia lombosciatalgica sottolineandone l'estrema variabilità, e affermando come raramente il medico fosse capace di controllarla in maniera adeguata. Gowers, centoventi anni più tardi, per primo suggerì che la lesione dei dischi intervertebrali e dei tessuti adiacenti può offrire terreno ideale per apprezzare le capacità terapeutiche del chirurgo, ma solamente nel 1934, Mixter e Barr, nel reparto di Neurochirurgia del Massachusetts General Hospital di Boston appena inaugurato, riuscirono a rimuovere con successo un disco lombare erniato. La prima ernia del disco toracica è stata descritta in Scozia, quasi cent'anni fa, da Middleton e Teacher; la prima cervicale, invece, documentata in Inghilterra da Key nel 1733, ha conosciuto la soluzione chirurgica con successo grazie a Horsley, un secolo fa circa. La chirurgia discale cervicale è divenuta pratica abituale dei neurochirurghi e degli ortopedici dopo la seconda guerra mondiale, per merito di Cloward e Robinson, che, negli anni Sessanta, hanno affrontato il problema con particolare attenzione. Una collezione di successi, dunque. Ma dopo il "disco", altri bersagli hanno galvanizzato l'interesse degli specialisti: per esempio, il restringimento del canale lombare, chiamato in causa (o concausa) nella compressione delle strutture nervose sottostanti, e il low back pain, sindrome che affligge un gran numero di soggetti, soprattutto dopo i 60 anni, anche in assenza di ernie del disco lombari o lombo-sacrali. Conoscenze che hanno subito una radicale trasformazione in virtù delle innovazioni tecnologiche in neuroradiologia, come la risonanza magnetica nucleare e la tomografia assiale computerizzata: grazie a queste, l'iter diagnostico a caccia delle radici del mal di schiena è stato enormemente facilitato. E che dire delle moderne manovre chirurgiche? Come la discectomia microchirurgica, l'ozonoterapia intradiscale, la fusione spinale, per citarne alcune. Procedure affacciatesi sulla scena operatoria negli ultimi decenni: anche se non concordemente accettate, possono fornire allo specialista buoni strumenti nel trattare le lombosciatalgie qualora falliscano i trattamenti conservativi. Ma... troppo spesso i mass media presentano tali procedure come veri e propri rimedi "miracolosi", che risolvono - rapidamente e in maniera pressoché indolore – una patologia tanto benigna quanto invalidante. Il risultato di questa distorta "politica informativa"? Il paziente finisce per saltare bellamente le tappe fondamentali del percorso diagnostico e terapeutico, nella convinzione che la chirurgia sia la panacea finale. E invece la soluzione chirurgica è l'ultima spiaggia. Insomma, il bisturi è sì utile, ma costituisce l'estrema soluzione del problema. Scopo primario della chirurgia, nel trattare la lombosciatalgia, dovrebbe essere quello di controllare il dolore e gli eventuali deficit legati alla sofferenza dei nervi, rispettando alcune regole chiave. In buona sostanza, l'operazione diventa la strada giusta da percorrere se • il trattamento conservativo ha fallito nel risolvere in modo soddisfacente la lombosciatalgia; • si ripetono con insistenza gravi episodi di lombosciatalgia invalidante, che impediscono al paziente di condurre una normale attività lavorativa e sociale; • c'è una compressione dei tronchi nervosi che compromette e indebolisce il movimento. Ora, tutti concordiamo su questi tre punti cruciali. Ma siamo altresì convinti d'un fatto: che la questione più delicata resti sempre la scelta del momento dell'intervento. Momento che, di primo acchito, non è mai così certo. Se infatti un'azione chirurgica correttamente messa a segno è spesso in grado di risolvere - o quanto meno controllare meglio - il sintomo dolore, non può dirsi altrettanto per l'eventuale danno alle strutture nervose. E ancora: se può essere agevole valutare l'entità di questo danno neurologico, così non è per le sindromi dolorose pure. Perché, com'è noto, la percezione del dolore è estremamente soggettiva, è una sensazione variabilissima da persona a persona, influenzata da mille fattori, anche psico-sociali e comportamentali. Del resto, è nostra convinzione che, eccetto rari casi, la patologia a carico del disco e il restringimento del canale vertebrale siano fenomeni di tipo degenerativo, e che tendano ad aggravarsi col passare degli anni. Così, obiettivo del chirurgo non è quello di risolvere definitivamente la situazione patologica, ma porre rimedio a un particolare aspetto della malattia, per così dire. In linea di massima, l'intervento non dovrebbe essere né così precoce da non concedere all'organismo la possibilità di superare spontaneamente l'episodio di sciatica (con o senza l'aiuto di un adeguato trattamento conservativo), né così tardivo da favorire la comparsa di un danno nervoso, assai spesso irreversibile. Una volta entrati nell'ordine di idee del trattamento chirurgico, meglio agire precocemente anziché tardivamente. Però dev'esser chiaro che l'opera del chirurgo non è un atto taumaturgico, in grado di annullare le cause all'origine della lombosciatalgia, ma un provvedimento che può alterare profondamente l'anatomia e l'equilibrio biomeccanico della colonna vertebrale. Ecco lo scotto da pagare per ottenere un miglior controllo di un dolore invalidante. Ci sono chirurghi che vantano l'eccellenza in determinate metodiche, altri che invece restano ancorati alla tradizione e considerano le tecniche classiche il trattamento ancor oggi più efficace e sicuro. Anche qui una doverosa precisazione: maggiore aggressività non è sempre sinonimo di una migliore e più efficiente terapia. Non esiste una procedura "migliore" di un'altra: ciascuno dei metodi che troverete citati in queste pagine presenta pro e contro, e, comunque, ognuno ha le sue ben precise indicazioni. E non ha senso considerarli l'uno alternativo all'altro. L'asportazione di un disco erniato secondo la tecnica standard non è un atto chirurgico complicato, anzi è forse più complessa la sua descrizione che non l'esecuzione stessa. Si tratta di uno dei primi interventi eseguiti dal giovane neurochirurgo od ortopedico. D'altra parte, anche il chirurgo più esperto, di fronte al precoce ripresentarsi di una sciatica in un paziente già operato, si trova talora in imbarazzo. Che decisione prendere? Reintervenire? Aspettare? Tentare un trattamento conservativo? O ricorrere a pratiche antidolorifiche d'altro tipo? C'è poi la famosa questione: a quali mani affidarsi? Esiste sulla piazza una pletora di "specialisti" nel trattare la lombosciatalgia: fisiatri, neurologi, ortopedici, neurochirurghi, fisioterapisti, massaggiatori sportivi, agopuntori, osteopati, chiropratici, omeopati, erboristi, pranoterapisti, "maghi" e "santoni"... Purtroppo la maggior parte di costoro non vanta una preparazione tale da poter formulare una corretta diagnosi, e individuare così le cause reali. Certo, molti dei rimedi proposti non arrecano comunque danno; a volte però ci fan perdere tempo e denaro preziosi. E spesso il fattore "tempo perso" è proprio quello che provoca una tale degenerazione del quadro clinico da rendere francamente ardue le mosse successive. Le considerazioni sin qui tratteggiate la dicono lunga su quanto sia variegato, insidioso e tormentato il capitolo "mal di schiena". Basterebbe anche citare il malcostume del paziente che, dopo aver provato - forse per anni - l'esperienza del dolore lombosciatalgico, nel momento in cui si sente finalmente liberato dalla sofferenza tende a considerarsi guarito senza mettere il necessario impegno a correggere tutte quelle alterazioni della statica della colonna che hanno aggravato (se non direttamente determinato) il problema... Nella nostra lunga pratica clinica abbiamo avuto la precisa sensazione che la confusione, nella persona alle prese con la lombosciatalgia, sia vieppiù crescente: oggi l'informazione "pseudoscientifica" rivolge maggiore attenzione ai "rimedi miracolosi" che all'informare onestamente il pubblico sulla natura di questa patologia, sui modi per prevenirla e tenere a debita distanza il rischio di ricaderci qualora le cure abbiano sortito un buon effetto. Ecco l'intenzione del libro che avete tra le mani. Un manuale pratico, divulgativo, semplice ma completo, aggiornato e scientificamente corretto. Uno strumento per fissare qualche illuminante paletto in un campo spinoso. Dedicato a tutti coloro che vogliano comprendere la natura del proprio mal di schiena. Per evitare inutili emorragie di tempo e soldi all'inseguimento di qualche falsa aspettativa. Gli Autori | << | < | > | >> |Pagina 113Eccoci al punto cruciale. Alla fase che ci vede impegnati a "riabilitarci". A risollevarci dai colpi del mal di schiena. La riabilitazione: una disciplina medica come la cardiologia, l'ortopedia e tutte le altre branche specialistiche del sapere medico. Ma da tutte queste si differenzia per una sua unica peculiarità: non si occupa dell'organo ma della funzione. Per capirsi, focalizziamoci sul cuore: se compito del cardiologo è prendersi cura del cuore in quanto "pompa muscolare" colpita da una certa patologia, i fisiatri, nel cardiopatico, si occupano della disabilità che può derivare dalla patologia cardiaca, con l'obiettivo di restituire la funzione che in quel paziente e in quel momento è carente (per esempio, un deficit delle performance respiratorie). Programma riabilitativo che spesso prevede la "somministrazione" di un esercizio terapeutico. Ebbene, nel caso della lombalgia avviene esattamente questo: ovvio che bisogna lavorare per risolvere il dolore, ma altrettanto vero è che, archiviato il disagio doloroso, occorre recuperare la funzione compromessa, ovvero la "stazione eretta" (che significa alzarsi precocemente dal letto dopo l'episodio acuto) e la deambulazione normale. Ma soprattutto bisognerà intervenire in modo che questo maledetto mal di schiena non si ripresenti più. E quindi sfatiamo un altro falso mito: non servono a nulla i famosi "due cicli all'anno di terapia riabilitativa", come spesso si sente dire e prescrivere, per lo più consigliati in primavera e in autunno. È come se, nel caso d'un mal di denti, ci venisse consigliato di prendere un analgesico due volte l'anno, ad aprile e a novembre! E così il dentista è bell'e dimenticato! Magari fosse così facile... Perciò: a) serve prima risolvere il sintomo dolore; b) occorre porsi nell'ottica di una prevenzione efficace, per scongiurare altre crisi dolorose, attraverso l'esercizio terapeutico. Il sintomo dolore può dipendere da diversi elementi scatenanti. Compito del fisiatra è capire, nel fotografare la lombalgia, se il dolore dipende da un muscolo contratto, da un'articolazione, dal nervo sciatico compresso da una semplice protrusione o da un'ernia franca del disco intervertebrale. Affrontato di petto l'episodio acuto, scatta poi l'esercizio terapeutico. Che agisce come lo spazzolino per i denti: se, nell'edificio Uomo, l'igiene dentaria assicura la salute della nostra "sala da pranzo", la costante e quotidiana attività di un esercizio guidato garantisce benessere ai muri e alle strutture portanti. Noi sappiamo anche dalla letteratura medica internazionale che il "mal di schiena" colpisce circa l'80 per cento degli adulti, ma solo nel 20 per cento dei casi deriva da vere e proprie patologie vertebrali. Per la maggior parte dei soggetti le cause del dolore lombare consistono generalmente in: • atteggiamenti posturali non corretti protratti per lungo tempo; • movimenti del corpo ed esercizi eseguiti in maniera incongrua; • eccessiva tensione muscolare derivante dallo stress fisico e psicologico; • scadente tono muscolare (addominale, lombare e dorsale); sovrappeso... Insomma, la sedentarietà la fa da padrona nella genesi della lombalgia. E si può ben dire che il dolore lombare è figlio dei tempi moderni e del benessere. L'esercizio, dunque, serve a prevenire. Ma bisogna tener ben presente che alcuni esercizi e posizioni possono comportare carichi e stress vertebrali assai elevati, a volte più stressanti dei sovraccarichi. Quindi attenzione: affidiamoci a mani esperte. Anche una banale attività fisica, spesso sottovalutata, può esser fonte di problemi. Perché il concetto basilare è che l'esercizio terapeutico e i suoi effetti sono esattamente paragonabili al comportamento di un farmaco. E non c'è bisogno di rimarcare la nozione che la cattiva gestione di una medicina può causarci guai. Perciò, non sottovalutiamo il problema: l'esercizio terapeutico è una "terapia farmacologica" per l'apparato muscolo-scheletrico. Impariamo allora a tributargli il giusto peso e spessore. Basterebbe, per comprendere quanta "potenza" l'esercizio può sortire sul nostro apparato osseo e muscolare, soffermarsi su alcuni aspetti di biomeccanica. Nelle diverse situazioni della vita quotidiana i dischi, gli ammortizzatori naturali della nostra schiena, sono costantemente sollecitati (fig. 11.1). La forza che agisce sulla terza vertebra lombare (L3), nelle varie circostanze in cui può trovarsi un soggetto di circa 70 chili, è evidentemente enorme!
Quando dormiamo, in posizione supina, il disco sopporta
soltanto 30 chili di carico, che diventano direttamente 70
chili quando si sta in piedi, 85 chili nel camminare, 100 chili
se stiamo seduti in ufficio, magari incollati allo schermo di
un computer, 120 chili col tronco piegato in avanti di soli 20
gradi (in ufficio succede semplicemente nell'inchinarsi verso uno scaffale basso
per prendere una pratica), fino a 210 o addirittura 340 chili quando solleviamo
un peso di appena 20 chili.
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