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| << | < | > | >> |IndicePremessa VII Una dicotomia obsoleta? 3 Gli schemi delle teorie, e la complessità della storia 11 L'origine della politica moderna, e le sue conseguenze 25 L'età globale, e il caso italiano 63 Sul presente, e sul futuro. Conclusione provvisoria 77 Bibliografia essenziale 87 |
| << | < | > | >> |Pagina VIIC'è ancora da riflettere sul tema 'destra e sinistra'. Benché ampiamente dibattuto, l'argomento non è ancora consumato: questa distinzione, dislocata rispetto al suo spazio politico originario e anche rispetto alla contrapposizione — in qualche modo classica — fra capitale e lavoro, conserva efficacia e significato. La tesi che si vuole sostenere è che ci sono state e ci sono molte destre e molte sinistre, e che in questa pluralità si possono nondimeno individuare due insiemi categoriali al tempo stesso generali, utili e significativi. L'obiettivo, quindi, è di semplificare in modo sintetico, e non di classificare in modo analitico; di attingere un livello radicale di comprensione, non attraverso la nitidezza politologica dei tipi ideali, modelli costruiti secondo le esigenze del ricercatore, né attraverso la varietà storica delle forme concrete, né attraverso essenze o complessi ideali ontologicamente stabili (come libertà e uguaglianza, rischio e sicurezza, conservazione e rivoluzione); e nemmeno attraverso attitudini transepocali, psicologiche o antropologiche. Destra e sinistra verranno trattate piuttosto come modalità, distinte ma inscindibili, opposte ma complementari, di accesso all'energia originaria del Moderno, attraverso le quali si dispone – nella storia, nelle istituzioni, nelle idee politiche, nel sentire comune dell'opinione pubblica – la moderna vicenda della politica occidentale. E quindi destra e sinistra si comprendono radicalmente solo attraverso un procedimento genealogico, che risalga al punto zero dei dispositivi della politica moderna. Appartiene alla tesi anche la considerazione che le categorie di destra e sinistra sopravvivono oggi non in virtù della permanenza dello spazio politico moderno, insieme al quale sono nate; né perché descrivano una dicotomia fondamentale della società, che è ormai ben più articolata e frammentata. Ma perché in esse si manifesta ancora una forza e un problema – la soggettività, secondo le modalità che si indicheranno – che può forse essere qualcosa di più che non l'eco di un Big Bang originario, la radiazione fossile che pervade l'universo della politica, sì uno dei contributi del Moderno alla continuità storica della civiltà occidentale, come lo sono stati l' areté greca o lo ius romano o il cristianesimo. Certo, se la distinzione fra destra e sinistra non è ancora residuale, può nondimeno diventarlo: proprio come può perdersi il retaggio dell'Antico, così può smarrirsi del tutto anche la forza propulsiva degli apparati ideali dell'Occidente. Ciò può ben accadere, benché le principali potenze che vi sono germogliate – scienza, tecnica, modo capitalistico di produzione – si siano estese (certo, in modo differenziato, imperfetto, superficiale) a buona parte del mondo. Nelle categorie di destra e sinistra sono in gioco, infatti, specifiche determinazioni politiche, storico-culturali dell'Occidente – l'umanesimo secolarizzato, e la democrazia, in primo luogo – che non coincidono, benché vi siano implicate, con l'espansione planetaria delle sue capacità pratiche. | << | < | > | >> |Pagina 63L'età globale è caratterizzata da molte crisi: della normatività del soggetto, dei suoi diritti, del rilievo della dimensione del lavoro, dello Stato. Il tramonto della fabbrica fordista e del compromesso socialdemocratico; la nuova centralità dei consumi (la 'svolta linguistica' nella politica) e della soggettività debole, polimorfa e plasmabile che ne consegue; lo stesso crollo di quel modello iper-normativo che era stato il comunismo; tutto ciò ha aperto un'epoca per molti versi postmoderna, l'epoca di ferro della guerra globale, in cui hanno vigenza assai problematica le distinzioni categoriali politicamente centrali della modernità — interno/esterno, pubblico/privato, norma/eccezione, pace/guerra. È un'epoca di spazi politici sfumati e incerti, in cui coesistono e contrastano scale differenti — locali, statali, poststatali, regionali, universali, globali –; è un mondo liquido, fluido, instabile, frammentato, insicuro, attraversato da conflitti, paure, incertezze. In questo contesto la politica non si presenta con le coordinate ugualitarie di origine razionalistica e illuministica, e le istituzioni includenti dello Stato sociale, ma si struttura secondo molteplici contrapposizioni ed esclusioni (di fatto o di principio) sempre cangianti: la differenza fra amico e nemico, fra Occidente e islam, fra civiltà e terrorismo, fra cittadini e migranti, fra ricchi e poveri, fra istruiti e ignoranti, fra bianchi, neri e colorati. E lo spazio pubblico tende a presentarsi come casuale, come un assemblaggio di poteri sociali fondato sull'eccezione e sull'anomalia. Insomma, il passaggio dalla modernità alla contemporaneità è il passaggio dalla crescita al rischio, dal progresso al labirinto. È la crisi della capacità normativa di politica e diritto (centrata sulla soggettività), e il trionfo della normatività instabile e oltre-umana della tecnica e dell'economia. | << | < | > | >> |Pagina 64È in questa situazione di crisi delle neutralizzazioni moderne e tardo-moderne (lo Stato, nella sua forma di Stato sociale) che le forze politiche (le opinioni pubbliche) paiono collocarsi con nuova intensità intorno al cleavage destra/sinistra. Prima di tutto in questo spazio politico amorfo e anomico è stata la destra a riprendere forza e ritrovare in buona parte d'Europa la sua occasione storico-epocale, la prima dopo il 1945 (certo, negli anni Ottanta del secolo scorso vi era stata la Thatcher, ma il suo grande peso politico si era esercitato soprattutto nel mondo anglofono atlantico). Ben lungi dal voler ricostituire ordini del passato, del tutto immuni da nostalgie, le destre postmoderne – sono infatti tutte all'opera, oggi, quale più quale meno a seconda dei diversi contesti politici statali: carismatiche e tecnocratiche, fondazionistiche e nichilistiche, personalistiche e razziste (o biopolitiche), nazionalistiche e localistiche – agiscono con spregiudicatezza dall'interno della pluralità e della complessità delle società contemporanee. Su cui intervengono con politiche che assecondano divisioni corporative e paure allarmistiche, risentimenti sociali e frammentazioni culturali, chiusure ed esclusioni (o subordinazione) dei non-integrati, xenofobie aperte e mascherate. Organizzare provvisorie combinazioni gerarchiche delle differenze sociali; prospettare politiche contraddittorie – libertà del mercato (il neoliberismo, con la sua selvaggia potenza di mobilitazione) e libertà dal mercato (il neointerventismo statale, con la sua forza di stabilizzazione) –; far stare insieme la paura della concorrenza e del nemico con la speranza di vincere la lotta per l'esistenza o di scavarsi una nicchia protetta; esercitare l'individualismo egoistico mentre si coltivano identità collettive in comunità immaginate, col folklore e con le ronde volontarie che creano l'illusione che si possano ritrovare i territori e gli spazi sociali perduti; inventare un Altro minaccioso per scaricare su di esso le tensioni a cui non si dà una risposta razionale; tutto ciò significa che l'immagine di società che le destre promuovono non trova il suo centro in un progetto di emancipazione che abbia la propria norma nella uguale dignità dei diversi: la società, anzi, deve restare divisa nei differenti interessi e nelle variegate pulsioni che la attraversano e la scompongono, e deve trovare precari equilibri fondati sulla gerarchia e sulla esclusione (o meglio, sulla inclusione diseguale). Una rivoluzione perché nulla cambi; perché le differenze permangano.Questa strategia – modulata con diversa intensità – è possibile appunto grazie al fatto che la destra interpreta la realtà come ontologicamente instabile e anomica; le forme di unificazione e di stabilizzazione identitaria (la nazione, la religione, la Vita, la comunità locale) che vengono offerte al livello simbolico sono in verità mobilitanti, polemiche, organizzate sul conflitto contro un nemico, o sull'esorcismo di un fantasma comunista, islamico, terrorista (benché vengano raccolte anche da tradizionali agenzie di senso, come la Chiesa cattolica, che, prendendo sul serio alcuni di questi temi di propaganda, vi trovano occasione per intervenire sulla politica, sulla società e sugli individui). | << | < | > | >> |Pagina 67Il caso italiano è per certi versi paradigmatico delle nuove occasioni e delle nuove forme delle destre postmoderne, della loro capacità di plasmare il reale, senza essere costruttiviste in senso stretto. La fine lentamente maturata della doppia conventio ad excludendum generata fra il 1943 e il 1948 (il momento costituente della Repubblica, prima antifascista e poi anche anticomunista) ha portato già quindici anni orsono, dopo l'azzeramento del sistema politico dovuto all'azione della magistratura, a un governo in cui l'elemento normativo della politica – la soggettività repubblicana espressa dal nesso fra i partiti del Cln e lo Stato democratico-sociale – non era più l'elemento politicamente propulsivo. Nella ormai progredita consumazione di tratti decisivi della modernità – nell'anomia sociale e nell'obsolescenza della differenza fra pubblico e privato (una differenza che in sé non è né di destra né di sinistra, ma che le attraversa entrambe, come non è discriminante neppure l'alternanza del primato conferito ora all'un elemento ora all'altro, essendo decisiva solo la finalità politica a cui è orientato) – la destra attua oggi con successo (elettorale, almeno) una politica gestita secondo le logiche dell'eccezione e dell'anomalia, dando per scontata e acquisita la più piena plasticità del mondo: questo viene scomposto e ricomposto secondo molteplici possibilità combinatorie che fanno coesistere unità simbolica e frammentazione reale, populismo passivo e oligarchia gerarchizzante, tradizione e postmodernità, razzismo e retoriche della solidarietà, flessibilità reale e radicamenti comunitari immaginari, duro comando politico e dissoluzione mediatica della realtà. Una complexio oppositorum resa possibile, sotto il profilo intellettuale, dall'intima adesione delle destre all'instabilità del reale, alla sua radicale contingenza e quindi ai rapporti di forza che di fatto si producono nella società. Questa, in verità, è assai prossima a uno stato di natura (quello della destra è un individualismo egoistico e gnomico, è il privato che vuol essere immediatamente pubblico), mentre lo Stato politico – inteso come artificio razionale – è ridotto a puro potere (neppure tanto potente) e quasi dissolto nei fatti dal sistematico scavalcamento degli equilibri costituzionali e dello stesso principio di legalità.L'immanenza che caratterizza la destra sta tanto nell'aderenza al mondo com'è quanto nell'illusione compensatoria – continuamente alimentata – di un sogno di potenza individuale e di gruppo, di comunità fantasticata, di prosperità e felicità che, se fossero rimossi alcuni ostacoli (i 'comunisti', i terroristi, i migranti, i magistrati, i 'giustizialisti', i giornalisti, e quanti altri), si potrebbe realizzare. E gli italiani maggioritariamente condividono la percezione del mondo come privo di regole che non siano quelle che sanciscono il successo comunque perseguito, la subordinazione dei meno abili, e l'esclusione dei diversi. La stessa centralità del tema della sicurezza fa passare come ovvia una costruzione di fatto gerarchica della società, in cui i penultimi trovano parziale sollievo al proprio status di subalternità grazie a leggi che sanciscono dure linee d'azione verso i non cittadini, gli ultimi: ciò che conta è che la linea guida della politica non sia più l'uguaglianza garantita dallo Stato ma l'eccezione. Al più, si accede all'idea che sia cosa buona e edificante, ove possibile, lenire col balsamo della compassione (ma come beneficenza, non in chiave di diritti) la dura legge delle disuguaglianze. Il sentimentalismo è il succedaneo dell'umanesimo. | << | < | > | >> |Pagina 70Ma se il successo della destra in Italia è garantito dalla sua capacità di servirsi in modo spregiudicato del potere dello Stato oltre l'orizzonte della statualità; se la forma della politica italiana è un esempio della forza rivoluzionaria della destra; non si può tacere che il suo successo è principalmente dovuto al suo leader Berlusconi, singolare esempio di affabulazione carismatica, di biopotere, di fiction, di rappresentazione, e di populismo televisivo. La proposta politica di Berlusconi è che la sua stessa persona, il suo stesso corpo – trasfigurato dall'apoteosi mediatica e virtuale – realizza la fusione dell'Uno coi Molti, e dei Molti con l'Uno, attraverso l'Amore; è questo un singolare rovesciamento del motto del Re Sole «lo Stato sono Io»: Luigi XIV si poneva infatti come l'inizio personale dell'attività impersonale della macchina pubblica, mentre il Cavaliere rende Legge la sua persona e i suoi interessi privati, proprio mentre rende il proprio Corpo identico al Tutto. Non è rappresentanza, questa, ma rappresentazione, frutto di un 'contratto emotivo' che si colloca fra la mistica religiosa e la teatralità; il Corpo mistico del Capo – che è al tempo stesso re e popolo – è la vivente e concreta figura di una moltitudine che in lui vede rappresentata se stessa, che in lui ama se stessa, potenziata sì ma non oppressa da sensi di inferiorità: il Capo è al contempo tutti e ciascuno, è un uomo comune, comprensibile, col quale ci si può identificare. È così istituita una radicale distanza fra l'essere cittadini e l'essere membri di un corpo mistico, e una forte concorrenzialità fra la rappresentazione e la rappresentanza (il Parlamento): quest'ultima è destinata a un ruolo politico sempre più marginale, perché essere cittadini è noioso e difficile, alienante e a volte deprimente, mentre essere parte del corpo mistico non costa fatica, e fornisce gioia e felicità: la fusione-trasfigurazione dell'Uno nei Molti e dei Molti nell'Uno, è vitale, ottimistica, espansiva (non a caso i militanti del Pdl sono stati definiti missionari della libertà, poiché devono portarne l'Immagine in partibus infidelium). Per di più – e questa è vera egemonia, unita a vero illusionismo – riesce al Capo di far credere che la difesa dei suoi interessi (e di quelli come lui) faccia anche gli interessi del popolo lavoratore, che infatti massicciamente lo premia in sede elettorale. E quindi il Cavaliere fa politica in senso forte proprio mentre trasmette l'illusione del superamento della politica nella pienezza della Vita della Nazione, grazie a un plebiscito mediatico quotidiano, così incorporando in sé l'antipolitica, la prepolitica e la (pretesa) postpolitica.Soprattutto, questa proposta politica è deresponsabilizzante. La trasfigurazione politica ha l'effetto di far coincidere, nella piena immanenza, ciò che è reale con ciò che è rappresentato: è abolito lo scarto – da cui prende inizio la politica moderna – fra essere e dover essere, fra situazione di fatto e progetto, fra natura e artificio; ciò che è reale è trasfigurato, ma lasciato sostanzialmente così com'è. Non la critica ma uno sforzo d'immaginazione e d'ottimismo, nonché l'iniziativa individuale, consente che i problemi siano superabili; se non lo sono, ciò è da imputarsi a capri espiatori, alle forze del Male, che si oppongono alle forze del Bene, che non amano né il Capo né il popolo. Naturalmente, i fini di questa politica sono quelli delle rivoluzioni della destra: cambiare tutto perché tutto resti com'è. Il che oggi significa un disegno, piuttosto efficiente, di andare oltre la democrazia parlamentare verso un esecutivo forte e legittimato dal carisma e dal potere del Capo, perché il progetto di uguaglianza democratica e di emancipazione della Costituzione repubblicana si fermi, perché le attuali contraddizioni della società si blocchino, perché il crescente dislivello di potere e di ricchezza fra i cittadini non venga colmato, e anzi non venga avvertito, soffocato e trasfigurato nella nuova comunità di destino che si impersona nel corpo del Capo: e poiché in una comunità non si ragiona in termini di diritti, è alla Sua compassione che si deve se nessuno sarà «lasciato indietro». In concreto: questa rivoluzione, in queste forme, serve perché la persona e gli interessi del Capo siano salvaguardati, perché la crisi economica non venga governata in senso progressivo e di sviluppo, e i suoi effetti vengano sopportati dal popolo il più lietamente (o distrattamente) possibile. Dal punto di vista pratico-empirico, il successo di questa politica costruita come una Gefolgschaft (un seguito) non eroica ma ammiccante e complice – in cui il re taumaturgo incrocia il satrapo, e sprigiona la potenza futurista di un immaginario populista, che fa del popolo il protagonista della politica (ma solo a parole, perché di fatto è sempre più passivo) – è reso possibile dal controllo pressoché totale delle televisioni e di buona parte della carta stampata: la destra si è sempre trovata a proprio agio nel servirsi della tecnica in modo innovativo. Non necessariamente, però, si deve dire che oggi il mondo è di destra; la vittoria di Obama negli Usa – per quanto determinata essenzialmente dalla crisi economica, imputata dall'opinione pubblica statunitense alla destra al governo – sta a smentire questa affermazione. Eppure, dall'esperienza italiana – singolare, certo, ma significativa –, è chiaro che in un mondo postmoderno la destra è meglio appaesata, perché sa giocare con energia la percezione moderna dell'instabilità profonda del reale: è questo il motivo per cui è in grado, di fatto, di realizzare egemonia politica, sociale e culturale. Il suo pensiero sbrigativo – preparato negli anni Ottanta, dalla critica filosofica del Moderno, ma molto più dalle fiction della tv commerciale – intercetta il senso comune, lo manipola, e, senza trascenderlo, lo forma e lo avvalora. | << | < | > | >> |Pagina 75Mentre al contrario la sinistra è spaesata perché ogni sua affermazione è controfattuale, alludendo al mondo non com'è ma come dovrebbe essere, ed essendo al contempo ancora carente di molti degli strumenti teorici e politici indispensabili per la prassi; solo quando saprà orientarsi su ciò che davvero vuole dalla politica potrà cercare credibilmente, nelle circostanze di volta in volta date, di realizzare quello che non può non essere il proprio obiettivo: la costruzione di una forma politica orientata dall'intrinseca normatività del fiorire, in uguale dignità, dei singoli e dei gruppi, nelle loro concrete differenze. Il suo appello alle soggettività consapevoli, ai diritti, a quanto rimane dello Stato sociale, alla sfera pubblico-statuale, può suonare attardato e ineffettuale: benché in qualche contesto e in qualche circostanza sia sembrato più realistico e ragionevole delle fantasie della destra, le elezioni europee del 2009 hanno dimostrato che la sinistra c'è, che è diversa dalla destra, ma che a differenza di questa non riesce a evolvere adattativamente rispetto al mutato ambiente ecologico, ad appaesarsi con la necessaria duttilità e multiformità nel nuovo contesto profondamente anomico della crisi economica. Questa lentezza, d'altra parte, ha di fronte a sé la rapidità della destra (che però è anche altamente instabile nelle sue soluzioni).| << | < | |