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| << | < | > | >> |IndiceRingraziamenti 6 Presentazione di Roger Penrose 7 Prefazione 9 Introduzione 11 Capitolo primo Limite di velocità in città 13 Capitolo secondo La conferenza sulla relatività, responsabile del sogno di Mr. Tompkins 21 Capitolo terzo Mr. Tompkins va in vacanza 33 Capitolo quarto Contenuto della lezione tenuta dal professore sulla curvatura dello spazio, sulla gravità e sull'universo 47 Capitolo quinto L'universo pulsante 61 Capitolo sesto Opera cosmica 73 Capitolo settimo Biliardi quantistici 85 Capitolo ottavo Giungle quantistiche 107 Capitolo nono Il diavoletto di Maxwell 119 Capitolo decimo L'allegra tribù degli elettroni 139 Capitolo undicesimo Parte mancante della lezione precedente, durante la quale Mr, Tompkms si è addormentato 157 Capitolo dodicesimo Dentro il nucleo 165 Capitolo tredicesimo L'intagliatore 179 Capitolo quattordicesimo Buchi nel nulla 197 Capitolo quindicesimo Mr, Tompkms assaggia un piatto giapponese 209 Postfazione di Franco Selleri Mr. Tompkins a testa in giù 219 |
| << | < | > | >> |Pagina 16[...] Mr. Tompkins non si rese conto che il ciclista aveva accelerato ma, come risultato di questo sforzo, quest'ultimo si accorciò ancora di più e proseguì lungo la strada, somigliando ad una figurina ritagliata da un disegno. Mr. Tompkins si sentì molto orgoglioso poiché riusciva a capire ciò che stava accadendo al ciclista: era semplicemente la contrazione di oggetti in movimento, di cui aveva appena sentito parlare. «Evidentemente, in questa città il limite di velocità della natura è inferiore», egli concluse, «ecco perché il poliziotto lì all'angolo è così tranquillo; non occorre che stia all'erta in attesa di coloro che oltrepassano i limiti di velocità». Infatti, un taxi che stava transitando rumorosamente in quel momento, non poteva procedere ad una velocità molto diversa da quella del ciclista, e stava appunto avanzando con estrema lentezza. Mr. Tompkins decise di raggiungere il ciclista, che sembrava un brav'uomo, e di chiedergli qualche chiarimento in proposito. Assicurandosi che il poliziotto stesse guardando dall'altra parte, prese in prestito una bicicletta sul bordo della strada e si affrettò verso il ciclista. Immaginava che si sarebbe immediatamente accorciato, e ne era molto lieto, perché la sua corporatura sempre più robusta gli aveva causato di recente qualche preoccupazione. Con sua grande sorpresa, tuttavia, niente accadde a lui o alla sua bicicletta. Al contrario, era il mondo intorno a lui ad essere completamente cambiato. Le strade erano diventate più corte, le finestre dei negozi assumevano la forma di sottili fessure, e il poliziotto all'angolo era diventato l'uomo più magro che egli avesse mai visto.«Per Giove!» esclamò Mr. Tompkins eccitato, «ora capisco il trucco. Ecco il perché della parola relatività. Qualunque cosa in movimento rispetto a me mi appare accorciata, chiunque sia a pedalare!». Era un buon ciclista, e stava facendo del suo meglio per raggiungere il giovane di prima. Ma si rese conto che non era affatto facile accelerare su quella bicicletta. Sebbene stesse spingendo sui pedali al massimo, l'aumento di velocità era quasi trascurabile. Le sue gambe cominciavano già a dolergli, eppure egli non riusciva ad oltrepassare un palo della luce collocato all'angolo della strada con velocità maggiore di quando aveva cominciato a pedalare. Sembrava che i suoi tentativi di muoversi più rapidamente non sortissero alcun effetto. Adesso capiva perché il ciclista e il tassì che aveva appena incontrato non potevano fare di meglio, e si ricordò delle parole del professore riguardo all'impossibilità di oltrepassare il limite di velocità della luce. Constatò, tuttavia, che gli edifici della città diventavano ancora più corti e il ciclista che pedalava davanti a lui non sembrava adesso poi così lontano. Raggiunse il ciclista alla seconda curva, e quando si trovarono affiancati per un attimo, notò con sorpresa che il ciclista era in realtà un uomo normale, dall'aspetto sportivo. «Oh, deve essere perché non siamo in moto relativo», concluse; e, rivolgendosi a lui: «Mi scusi, signore!» disse, «Non è scomodo vivere in una città con un limite di velocità così basso?». «Limite di velocità?» lo apostrofò l'altro con sorpresa, «noi non abbiamo alcun limite qui. Posso muovermi a qualunque velocità io desideri, o almeno potrei farlo se avessi una motocicletta invece di questa vecchia e lenta bicicletta!». «Ma lei stava procedendo molto lentamente quando mi è passato davanti poco fa», disse Mr. Tompkins. «L'ho osservata con particolare attenzione». «Ah, davvero?» disse l'uomo, visibilmente offeso. «Suppongo che non abbia notato però che dal momento in cui mi ha rivolto la parola per la prima volta abbiamo oltrepassato cinque edifici. Non è abbastanza veloce per lei?». «Ma le strade sono diventate così corte», osservò Mr. Tompkins. «In ogni modo, che differenza fa se siamo noi a muoverci più velocemente o se sono le strade ad accorciarsi? Devo oltrepassare dieci edifici per raggiungere l'ufficio postale, e se io pedalo con maggior vigore tali edifici diventano più corti e io arrivo a destinazione più rapidamente. Infatti, eccoci arrivati», disse il giovane ciclista scendendo dalla sua bicicletta. Mr. Tompkins guardò l'orologio dell'ufficio postale, che faceva le cinque e mezzo. «Ecco!» replicò trionfante, «in ogni caso lei ha impiegato mezz'ora per percorrere questi dieci edifici; quando l'ho notata per la prima volta erano esattamente le cinque!». «E lei ha avuto la percezione di questa mezz'ora?» chiese il ciclista. Mr. Tompkins doveva ammettere che gli era parso in effetti che fossero trascorsi solo pochi minuti. Inoltre, guardando il suo orologio da polso notò che indicava solo le cinque e cinque. «Oh!» disse, «l'orologio dell'ufficio postale è avanti?». «Naturalmente lo è, o il suo orologio è troppo lento, proprio perché lei ha pedalato troppo velocemente. Qual è il suo problema, signore? Da dove viene, dalla luna?» e l'uomo entrò nell'ufficio postale. | << | < | > | >> |Pagina 47Capitolo quarto
Contenuto della lezione tenuta dal professore sulla curvatura dello
spazio, sulla gravità e sull'universo
Signore e Signori: oggi vi parlerò del problema dello spazio curvo e della sua relazione con i fenomeni di gravitazione. Non ho dubbi sul fatto che ognuno di voi riesca facilmente ad immaginare una linea curva o una superficie curva, ma di fronte all'idea di uno spazio curvo tridimensionale i vostri volti sono perplessi e siete inclini a pensare che si tratti di qualcosa di molto strano e quasi soprannaturale. Qual è il motivo di questo diffuso «orrore» per uno spazio curvo, e ancora, questo concetto è davvero più difficile del concetto di superficie curva? Molti di voi, se ci pensano un po', probabilmente diranno che trovano difficile immaginare uno spazio curvo perché non è possibile guardarlo «dal di fuori», come invece accade con una superficie curva di una sfera, o, per fare un altro esempio, con la superficie di una sella, che è curva in un modo piuttosto caratteristico. Tuttavia, coloro che affermano questo dimostrano di non conoscere il significato strettamente matematico di curvatura, che è infatti piuttosto diverso dall'uso comune della parola. Noi matematici chiamiamo curva una superfìcie se le proprietà delle figure geometriche disegnate su di essa sono diverse da quelle su un piano, e misuriamo la curvatura attraverso la deviazione dalle regole classiche di Euclide. Se voi disegnate un triangolo su un pezzo di carta piatto, la somma dei suoi angoli, come è noto dalla geometria elementare, è pari a due angoli retti. Potete piegare questo pezzo di carta per conferirgli una forma cilindrica, conica, o persino più complicata, ma la somma degli angoli del triangolo disegnato su tale foglio rimarrà sempre uguale a due angoli retti. La geometria della superficie non cambia nonostante queste deformazioni e, dal punto di vista della curvatura «interna», le superfici ottenute (curve nell'accezione comune) sono piatte proprio come un piano. Ma, al contrario, non riuscite a modellare un foglio di carta sulla superficie di una sfera o di una sella senza forzarlo e, se provate a disegnare un triangolo su di un globo (cioè un triangolo sferico), i semplici teoremi della geometria euclidea perderanno di validità. Infatti, un triangolo formato, per esempio, dalle porzioni settentrionali di due meridiani e dalla porzione di equatore compreso fra questi, avrà due angoli retti alla base e un angolo arbitrario al vertice. Suppongo che tutti voi sappiate che una linea retta è genericamente definita come la più breve distanza che congiunge due punti; può essere ottenuta o tendendo una corda fra due punti o attraverso un processo equivalente, ma più elaborato, che consiste nel trovare, mediante una serie di tentativi, la linea fra due punti dati lungo la quale può essere collocato il numero minimo di regoli di lunghezza nota. Per mostrare che i risultati di questo metodo per determinare una linea retta dipendono dalle condizioni fisiche, immaginiamo una grande piattaforma circolare che ruota uniformemente intorno al suo asse, e uno sperimentatore {numero 2) che cerca di trovare la più breve distanza fra due punti sul bordo di questa piattaforma. Egli possiede una scatola, all'interno della quale si trovano numerosi regoli, ognuno lungo 10 centimetri, e cerca di allinearli fra i due punti utilizzandone il minor numero possibile. Se la piattaforma non fosse in rotazione, egli li disporrebbe lungo una linea che è indicata nella nostra figura dal segmento tratteggiato. Ma, a causa della rotazione della piattaforma, i suoi regoli saranno affetti da una contrazione relativistica, come vi ho spiegato nella mia precedente conferenza, e quelli che si trovano più vicini al bordo della piattaforma (e quindi possiedono velocità lineari maggiori) saranno contratti in maniera più consistente rispetto a quelli collocati vicino al centro. È quindi chiaro che, affinchè ogni regolo copra la maggior distanza possibile, tali strumenti dovrebbero essere collocati il più vicino possibile al centro. Ma, dal momento che entrambe le estremità della linea sono fissate sul bordo, è anche svantaggioso allontanare i regoli dalla metà della linea avvicinandoli troppo al centro. | << | < | > | >> |Pagina 85Capitolo settimo
Biliardi quantistici
Un giorno Mr. Tompkins stava rincasando, e si sentiva molto affaticato dopo la lunga giornata di lavoro in banca, avendo trattato un affare di amministrazione demaniale. Stava passando davanti ad un pub, e decise di entrare per bere un bicchiere di birra. Ad un bicchiere ne seguì un altro, e ben presto Mr. Tompkins incominciò a sentirsi piuttosto stordito. In fondo al bar c'era una sala da biliardo affollata di gente in maniche di camicia che giocava al tavolo centrale. Ricordava vagamente di essere già stato lì, insieme ad un suo collega che voleva insegnargli a giocare a biliardo. Si avvicinò al tavolo e iniziò a seguire il gioco. Era molto interessante! Un giocatore lanciava una pallina sul tavolo e la colpiva con la stecca. Guardando la pallina che rotolava, Mr. Tompkins notò con sua grande sorpresa che essa cominciava a «diffondersi». Era la sola espressione che riusciva a trovare per l'insolito comportamento della pallina che, muovendosi lungo il tavolo verde, sembrava diventare sempre più indefinita, perdendo i suoi netti contorni. Era come se varie palline, e non una sola, stessero rotolando sul tavolo, tutte in una reciproca parziale sovrapposizione. Mr. Tompkins aveva spesso osservato fenomeni simili prima di allora, ma questa volta non aveva bevuto una sola goccia di whisky e non riusciva a capire perché ciò stesse accadendo. «Beh», pensò, «stiamo un po' a vedere in che modo questa "molteplice" pallina ne colpirà un'altra». Il giocatore che colpì la pallina era evidentemente un esperto, ed essa, rotolando, ne colpì frontalmente un'altra, proprio come doveva accadere secondo le intenzioni del tiratore. L'impatto produsse un rumore forte e secco, ed entrambe le palline, quella ferma e quella incidente (Mr. Tompkins non poteva con sicurezza affermare quale fosse la prima e quale la seconda), furono deviate «in tutte le possibili direzioni». Sì, era molto strano; non c'erano più due palline dai contorni solamente un po' sfocati, ma, al contrario, sembrava che innumerevoli palline, tutte molto indistinte e disordinate, fossero deviate entro un angolo di 180° intorno alla direzione iniziale dell'impatto. Assomigliava piuttosto ad una tipica diffusione di un'onda dal punto di collisione. | << | < | > | >> |Pagina 187«Guardi», continuò il vecchio falegname, mostrando a Mr. Tompkins due grandi scatole di legno che si trovavano vicino al tavolo, «qui dentro conservo i materiali con cui costruisco i vari nuclei. La prima scatola contiene i protoni, queste palline rosse. Essi sono abbastanza stabili e conservano il loro colore permanentemente, a meno che lei non lo graffi via con un coltello o qualcosa di simile. Ho molti più problemi con i cosiddetti neutroni della seconda scatola. Essi sono normalmente bianchi, cioè elettricamente neutri, ma hanno una forte tendenza a trasformarsi in protoni rossi. Finché la scatola è ben sigillata, tutto è a posto, ma non appena lei ne estrae uno, guardi un po' cosa succede».Aprendo la scatola, il vecchio intagliatore estrasse una delle palline bianche e la collocò sul tavolo. Per un po' non accadde nulla, ma proprio quando Mr. Tompkins stava per perdere la pazienza, la pallina improvvisamente si animò. Striature irregolari di colore verdognolo e rossastro apparvero sulla sua superficie, e per un breve istante di tempo la pallina sembrò una di quelle biglie colorate che piacciono tanto ai bambini. Poi il colore verde si concentrò su un lato e, infine, si separò del tutto dalla pallina, formando una goccia di un verde brillante che cadde sul pavimento. La pallina iniziale era ora completamente rossa, assolutamente simile ai protoni rossi contenuti nella prima scatola. «Ha visto cosa succede», disse, raccogliendo la goccia di vernice verde, ora piuttosto solida e rotondeggiante. «Il colore bianco del neutrone si divide nei colori rosso e verde e l'oggetto stesso si scompone in due particelle distinte, un protone e un elettrone negativo». «Sì», aggiunse, vedendo l'espressione sorpresa sul volto di Mr. Tompkins, «questa particella color giada non è nient'altro che un semplice elettrone, proprio come ogni altro elettrone in qualunque atomo o in qualunque altro luogo». «Perdiana!» esclamò Mr. Tompkins. «Questo certamente supera ogni gioco di prestigio con i fazzoletti colorati che io abbia mai visto. Ma è possibile ora mescolare di nuovo i colori a ritroso?». «Sì, posso spalmare la vernice verde sulla superficie della pallina rossa e farla diventare di nuovo bianca, ma ciò richiederebbe una certa energia, ovviamente. Un altro modo potrebbe essere quello di raschiare il colore rosso, il che comporterebbe ancora una certa spesa di energia. La vernice graffiata via dalla superficie del protone darebbe quindi origine ad una gocciolina rossa, cioè un elettrone positivo, del quale lei ha probabilmente sentito parlare».
«Si, quando ero anch'io un elettrone...», incominciò Mr. Tompkins, ma si
interruppe subito. «Volevo dire, ho sentito parlare del fatto che elettroni
positivi e negativi si annientano reciprocamente quando si incontrano», disse.
«Può mostrarmi come avviene questo fenomeno?».
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