Copertina
Autore Giovanni Garroni
Titolo Elogio dell'imprecisione
SottotitoloPercezione e rappresentazione
EdizioneBollati Boringhieri, Torino, 2005, Saggi arte e letteratura , pag. 176, cop.fle., dim. 200x220x16 mm , Isbn 978-88-339-1569-2
LettoreRiccardo Terzi, 2005
Classe comunicazione , semiotica , psicologia , linguistica , architettura , fotografia , teoria dell'arte
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Indice

  7    Introduzione


       Elogio dell'imprecisione


 19 1. Odradek

    1. Un volto tra mille, 19
    2. Descrivere una forma, 20
    3. Descrivere un sentimento, 21

 22 2. Due cose in una cosa

    1. Doppia lettura, 22
    2. Papero o coniglio?, 24
    3. «Papà, mira toros pintados!», 28
    4. «Creature come quella non esistono!», 31
    5. Raddrizzare l'immagine, 36
    6. Piano e contropiano, 39
    7. Segni equivalenti, 41
    8. La forma invisibile, 46
    9. Disegnare con le nuvole, 47
    10. Prigionieri dell'alternativa, 48

 51 3. Forma ed economia

    1. Descrivere un paesaggio, 51
    2. Cosa manca in una fotografia, 61

 67 4 Simmetria

    1. Il fascino del lavoro meccanico, 67
    2. Il disegno del merletto, 68
    3. Rappresentare la simmetria, 73
    4. Simmetria e artificio, 84
    5. Imitazione e allusione, 90

 93 5. Fisionomia

    1. Il ritratto, 93
    2. Il volto tradito dal ritratto, 96
    3. Riconoscere una fisionomia, 100
    4. Posa e istantanea, 101
    5. Casualità e somiglianza, 105
    6. La fisionomia percepita, 108
    7. Sedurre l'osservatore, 109

111 6. Rappresentare il mondo

    1. La mappa perfetta, 111
    2. Leggere una mappa, 114
    3. Stare dentro la mappa, 121
    4. Dalla parte di chi disegna, 129
    5. Una nuova planimetria urbana, 137

149 7. L'ordine architettonico

    1. La genealogia della forma, 149
    2. La regola in architettura, 152
    3. L'innesto improprio:
       le maniche di San Pietro, 154
    4. L'elemento ambiguo, 163
    5. Le forme intersecate, 167

169 8. In conclusione


171 Letture utili
175 Indice dei nomi

 

 

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Pagina 7

Introduzione



    Dal quale, eccezionalmente, non si ricava nulla.


    Sull'Atlantico un minimo barometrico avanzava in direzione
    orientale incontro a un massimo incombente sulla Russia, e
    non mostrava per il momento alcuna tendenza a schivarlo
    spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si
    comportavano a dovere. La temperatura dell'aria era in
    rapporto normale con la temperatura media annua, con la
    temperatura del mese più caldo come con quella del mese più
    freddo, e con l'oscillazione mensile aperiodica. Il sorgere
    e il tramontare del sole e della luna, le fasi della luna,
    di Venere, dell'anello di Saturno e molti altri importanti
    fenomeni si succedevano conforme alle previsioni degli
    annuari astronomici. Il vapore acqueo nell'aria aveva la
    tensione massima e l'umidità atmosferica era scarsa.
    Insomma, con una frase che quantunque un po' antiquata
    riassume benissimo i fatti: era una bella giornata d'agosto
    dell'anno 1913.

                             Robert Musil, L'uomo senza qualità



È proprio vero che per capire un'architettura, ma anche un oggetto o una semplice forma, la precisione descrittiva è l'elemento determinante? La risposta più intuitiva è: sì, la precisione è la condizione per capire il senso delle cose. Eppure spesso la sola precisione, una volta realizzata, non ci spalanca le porte del significato, che resta in parte celato dentro le cose e le rappresentazioni delle cose.

In questo libro si cerca di evidenziare un aspetto della comunicazione — spesso trascurato anche dall'osservatore attento — che architetture, forme, sistemi di oggetti mettono in campo: l'indeterminatezza semantica, come dicono i linguisti, o, come più corsivamente diremo nel testo, l'imprecisione dei contorni.

In genere quando ci si occupa della rappresentazione delle cose si ha a cuore ciò che deve essere presente, i codici da adottare, gli schemi entro cui muoversi, le regole grammaticali da utilizzare. Si descrive ciò che si vede, o che si deve vedere, degli oggetti: il "pieno" delle cose. Questo porta a ritenere secondario ciò che nell'oggetto è sfumato, indeterminato o addirittura assente. Ma la comprensione di un oggetto, o di una configurazione di oggetti, è determinata sia dalla sua chiara e oggettiva presenza, sia da quanto è solo ambiguamente presente, sia da quanto è assente. Una configurazione evoca sempre qualcosa che materialmente non è presente e che, a sua volta, non è precisamente determinato.

Ciò che c'è di indeterminato negli oggetti costituisce quel bordo ambiguo che permette le sovrapposizioni, le allusioni e anche le confusioni. Questa instabilità sottrae gli oggetti alla solitudine, cui li condannerebbe una ipotetica precisione assoluta.

Questo libro non vuole essere una trattazione scientifica dell'imprecisione nella comunicazione, o di quanto discende dalla sua indeterminatezza condizionante. Sono le singole discipline specialistiche, da cui comunque il libro di volta in volta attinge, che studiano con impianti scientifici adeguati l'argomento: psicologia, estetica, linguistica, sociologia fino alla teoria del progetto. In questo senso il lettore potrà cogliere il debito che questo testo ha verso Ernst H. Gombrich e il suo uso della psicologia transazionale, Cesare Brandi, Tullio De Mauro, in particolare per il concetto di indeterminatezza semantica, e verso molti altri autori, risalendo fino a Heinrich Wölfflin e Alois Riegl per la notazione del gesto gratuito nella rappresentazione dello spazio.

A noi il compito di muoverci, con esemplificazioni e illustrazioni, evidenziando la forza dell'imprecisione nel mondo degli oggetti e della comunicazione.


Il presente libro prende quindi le mosse da due diversi luoghi: l'attività pratica e la riflessione.

Nel lavoro pratico comprendo la costruzione, il cantiere, la progettazione, il disegno, senza trascurare quella particolare attività che è la didattica, dove si sperimenta intorno a un prodotto comunicativo. Nella riflessione includo invece più propriamente lo studio intorno a un oggetto o un'opera non attuale, dove in qualche modo si sia fermato il primo fluire dell'intenzione originale per lasciare spazio alla nuova vita dell'osservazione. E in questo parte notevole ha la ricerca personale del modo in cui dare conto di che cosa abbiamo capito di un oggetto.

Per la presentazione del materiale ho scelto una via decisamente esemplificativa, cercando di compendiare i contenuti in descrizioni di oggetti o eventi. La scelta non è dovuta soltanto a una mia maggiore familiarità con gli oggetti legata alla mia formazione pratica, ma soprattutto all'aderenza che, in questo caso, le forme di concettualizzazione hanno con l'oggetto. Si parlerà infatti della possibilità che la forma con cui si manifesta l'atto percettivo non sia solamente la mediatrice tra cose e intelletto, ma abbia una sua capacità autonoma di "afferrare" il senso delle cose. Che la forma dell'atto percettivo sia, in qualche misura, comprensione.

Questo tema, già noto dagli anni sessanta attraverso l'opera di Gombrich, viene qui ripreso in una particolare declinazione: il rapporto tra la percezione e la precisione dell'oggetto percepito. Abbiamo detto come, nella considerazione comune, la precisione appaia un requisito fondamentale per ogni attività sia pratica che teorica. Nell'esercizio di queste attività - che peraltro sono meno distanti tra loro di quanto si creda, tanto che si implicano a vicenda - ci sembra che la precisione sia la tecnica migliore per guidare la mano nel disegno e la mente nello studio. Eppure spesso la precisione non porta a quel punto soddisfacente della progettazione che ci era parso di intravedere. Quel procedimento lineare, che sembrava il miglior viatico per un esito favorevole del nostro lavoro, risulta essere pieno di accidenti e di incongruenze; ma la cosa irritante è che accidenti e incongruenze non possono essere eliminati, è come se fossero parte integrante del lavoro stesso.

[...]

Per quanto riguarda l'opera d'arte esiste ormai un'importante mole di studi che mette a punto le condizioni entro le quali è possibile tentare di comprenderla, senza travisarla in un'attualizzazione cannibalesca. Ci restano le cose più comuni da considerare ancora semplici oggetti; ma anche con questo artificio classificatorio non possiamo sfuggire al fatto che, almeno in parte, l'opera d'arte è una cosa tra le cose. E come cosa opera d'arte entra nel vortice dell'attualizzazione.


Perché abbiamo parlato finora di oggetti e non, come sembrerebbe ovvio, di narrazione? La narrazione prevede la trascrizione dell'esperienza, quindi la capacità di costruire qualcosa che va al di là dell'oggetto in quanto tale. Nulla è più comprensivo di una narrazione che rinvia a cose ed emozioni, e nulla è più difficile da puntualizzare, senza svilirne i contenuti, della narrazione.

Non è qui tuttavia il caso di affrontare analiticamente questo campo, che richiede grande cautela. Ciò che ci interessa è vedere se nella comunicazione, e in particolare in quella legata principalmente alla visione, è possibile reperire qualcosa di simile all'allusione che ci è così abituale nel linguaggio. Se, in altre parole, anche la visione, considerata come un caso particolare di comunicazione, legata essenzialmente alla percezione, sia in qualche modo intrecciata all'imprecisione. Ci domandiamo se, perché possa verificarsi una comunicazione di questo tipo, occorra che l'oggetto non sia puntualmente definito e che la vaghezza non sia solo dei sentimenti, ma anche dei sensi.

[...]

Cercheremo di vedere se ciò che vediamo e tocchiamo è impreciso, sfuggente, e forse per questo interessante. Ma vorremmo anche capire se a essere imprecise sono le cose o la nostra organizzazione sensoriale, o ambedue.


Se le cose stesse, per così dire, non sono così precise come talvolta crediamo, forse non è un male che i nostri sensi non siano dei meccanici registratori di fenomeni. La loro imprecisione può rivelarsi la chiave per penetrare nel significato delle cose, per alimentare la macchina interpretativa. Perché un fenomeno susciti in molti i medesimi sentimenti è necessario che esista una condizione che permetta di intenderli. E questa condizione è l'imprecisione stessa: un ambito dove si raccolgono le infinite sfumature del significato. In altre parole: l'indeterminatezza semantica che è propria anche del linguaggio verbale.

Se poi, per controprova, sostituiamo a questa precisa imprecisione l'imprecisione a cui siamo più abituati, cioè l'approssimazione, verifichiamo che quest'ultima è una forma inferiore o riduttiva di precisione e, per certi versi, il suo opposto. L'approssimazione infatti riduce la realtà e riduce la percezione stessa, stabilisce dei confini, approssimativi appunto, e diviene lo strumento della prevedibilità.

In questo senso l'approssimazione talvolta può rivelarsi tecnicamente utile; è una procedura che consente l'abbreviazione, ma se fuori controllo minaccia direttamente quell'imprecisione non riduttiva che costituisce il "fondale" e il senso dell'esperienza. Perché il mondo percepito sia sensato e vitale è necessario che i nostri sensi ci permettano di comprendere che cosa sia e dove stia una cosa, ma anche quale altra cosa possa essere e in quale altro luogo possa stare.


Il libro è articolato in due parti: la prima (capp. 1-4) orientata alla messa a punto di alcuni problemi della percezione posti in relazione alla restituzione del significato di un'esperienza; la seconda (capp. 5-7) incentrata su esemplificazioni relative a oggetti e luoghi dell'esperienza quotidiana.

Più in particolare, il capitolo 1, Odradek, attraverso un espediente paradossale affronta il problema dei contorni sfuggenti dell'esperienza emotiva. Il capitolo 2, Due cose in una cosa, sfrutta alcuni classici esperimenti della psicologia della percezione sull'ambiguità per evidenziare i punti di contatto e di divergenza tra ambiguità percettiva e indeterminatezza semantica. L'esclusività dei meccanismi di questi esperimenti, tale da porre l'alternativa secca: o un'interpretazione o l'altra, da un lato ci dice qualche cosa su come vediamo, mentre dall'altro suggerisce che l'ambiguità percettiva non coincide con l'indeterminatezza necessaria all'interpretazione. Nel capitolo 3, Forma ed economia, la descrizione di un paesaggio è usata come spunto per interrogarsi sull'inefficacia di strumenti descrittivi non sostenuti da una rete di relazioni, comuni al narratore e ai suoi ascoltatori. Il capitolo 4, Simmetria, mostra che la simmetria imperfetta, quindi una generica corrispondenza tra parti, è lo strumento principale della comprensione e della descrizione delle forme; mentre la simmetria perfetta è il dominio assoluto dello strumento meccanico. Nel capitolo 5, Fisionomia, si evidenzia come le riproduzioni meccanicamente determinate non siano, di per sé, una garanzia di riconoscibilità. Il capitolo 6, Rappresentare il mondo, esamina il problema della rappresentazione del mondo; quindi del rapporto che intercorre tra la tecnicizzazione dell'esperienza (la misurabilità delle cose) e la descrizione dello spazio fisico (l'immagine delle cose). Tema del capitolo 7, L'ordine architettonico, è la tensione tra l'idea di un meccanismo interno alle cose, la regola, e la capacità dell'oggetto architettonico di articolare lo spazio in base a un senso.

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Pagina 90

5. Imitazione e allusione


Torniamo ora al tema del merletto e a quell'universo di pattern che sono il sale del lavoro artigianale: il pavimento cosmatesco, il pluteo medievale, il capitello a cestello, l'inferriata moresca ecc. Una formazione intellettualistica può far pensare che gli artefici di tali opere per realizzarle si siano serviti di un progetto come lo intendiamo oggi: un modello o un disegno, tipo il cartamodello della sarta principiante o il disegno dell'architetto. Questa è una proiezione, sul lavoro minuto dell'artigiano, della nostra radicata abitudine alla segmentazione in fasi della costruzione dell'oggetto: ideazione, progettazione e realizzazione. Tale partizione del lavoro corrisponde al grande rilievo in cui teniamo il sistema di apprendimento e di comunicazione incentrato sull'elaborazione concettuale. Nel lavoro dell'artigiano affiora invece un sistema operativo, e di apprendimento, non solo diverso ma anche più antico e radicato; un sistema in cui i sensi e le manipolazioni giocano un ruolo preminente.

Va detto che se così non fosse, se cioè il lavoro artigianale fosse di tipo propriamente concettuale, saremmo circondati non da oggetti, ma da documenti e descrizioni di oggetti. Oggi, con il diffondersi dell'informatica, si delinea proprio una condizione di questo genere: le descrizioni e le elaborazioni intorno agli oggetti superano di gran lunga i prodotti. I pattern dell'artigiano non vanno confusi neanche con le proliferazioni tematiche, come gli scarabocchi che si fanno durante le telefonate. Sono piuttosto regole che non permettono imprecisioni, e per questo motivo è così difficile e tedioso rappresentarli in un disegno o in una descrizione verbale. Tale precisione, perfettamente percepibile e indagabile, è l'impedimento principale alla descrizione e alla rappresentazione: se non abbiamo capito e memorizzato a perfezione la «trasformazione» che ha generato quel disegno, sapere che esiste una regola ci è di scarso aiuto.

Il pattern si presta, per la traduzione in rappresentazione o in descrizione, a due forme poste agli estremi di una scala comunicativa: o lo ricostruiamo esattamente (imitazione) o cerchiamo di trasferire questo compito sull'interlocutore (allusione).

La differenza tra la simmetria semplice, vicina alla nostra percezione dell'ambiente, e la simmetria complessa, difficile da elaborare ma così vicina alla realtà fisica, rispecchia due modalità fondamentali dell'apprendimento e della comunicazione.

Le simmetrie concepibili a livello dell'ambiente in cui viviamo (la simmetria bilaterale, nonché, con le dovute precisazioni, la simmetria di traslazione e di rotazione) servono per organizzare lo spazio, descriverlo, restituirlo in altre forme e traduzioni; semplificando gli schemi della psicologia diremmo che sono strumenti della conoscenza intellettuale (apprendimento simbolico-ricostruttivo).

Le simmetrie complesse, non gestibili attraverso la visualizzazione che ci offre la memoria, presenti in modo diffuso nel lavoro artigianale, servono a operare nella materia e si apprendono per imitazione; in questo caso, semplificando, diremmo che sono strumenti dell'esperienza (apprendimento senso-motorio). La presenza massiccia delle simmetrie complesse nei lavori artigianali ci offre qualche informazione circa la capacità dell'uomo di padroneggiare le regole attraverso i sensi, cosa confermata sperimentalmente attraverso le prove di abilità manuale su sequenze complesse di eventi.

Una medesima regola, la simmetria, attraversa quindi i modi fondamentali dell'esperienza. Se ci poniamo nel campo dell'imprecisione, dove la simmetria bilaterale guida la percezione ma la sua regola geometrica è solo un'aspirazione, il nostro prodotto riesce in qualche modo a incorporare l'ambiente e a costruire lo spazio per il significato. Se ci poniamo nel campo della precisione assoluta, che da un lato domina il mondo della fisica e dall'altro certi manufatti artigianali e i prodotti industriali, la regola diventa direttamente forma; essa si fa ambiente senza che resti spazio per l'interpretazione.

Per tornare agli esempi iniziali è come cercare un senso nei fiocchi di neve o in un caleidoscopio. Essi ci attirano solo per un attimo con la loro geometria precisa che crea stupefacenti variazioni; ma, se non siamo degli alienati, rapidamente il nostro interesse decade e lo sguardo volge verso la vitalità dell'imprecisione.

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Pagina 105

5. Casualità e somiglianza


La fotografia istantanea ha sottratto il ritratto alla sua forma codificata per cogliere, appunto, la vita in transito. Per trovare l'origine di tale concezione dobbiamo risalire alla cultura figurativa del mondo greco: è con l'epoca classica dei greci che il tempo irrompe nella cultura figurativa occidentale. I soggetti non sono più identificati in base ad attributi che ne determinano lo statuto, come la posizione, l'abito, i simboli (che qui abbiamo definito rappresentazione denotativa), ma principalmente in base alla loro forma accidentale (rappresentazione connotativa).

Questo significa che una divinità, come ad esempio Hermes con il piccolo Dioniso conservato al museo di Olimpia (fig. 114), appare prima di tutto come un bel giovane appoggiato a un tronco che stuzzica un bambino. Tutte le attribuzioni di statuto e di inquadramento della vicenda ci devono essere già note. L'artista ci propone un attimo, e non necessariamente quello simbolicamente più significativo. È possibile che l'evento significativo sia già avvenuto o debba ancora avvenire; a noi è affidato il compito di tenere a mente una storia entro cui inserire quella rappresentazione. Con i greci l'arte figurativa inizia a proporci una realtà che da un lato è fortemente naturalistica, un bel ragazzo e un bambino rappresentati al vero, dall'altro è ampiamente incompleta e omissiva; ricorrendo a un ossimoro: è precisamente imprecisa.

È con l'allusione e l'omissione che si attua pienamente il naturalismo. Non che la cultura del simbolo scompaia, tutt'altro, ma viene incastonata nella montatura di un'esperienza percettiva diretta. La comprensione è ora filtrata dall'allusione dell'esperienza. E tanto più si allarga il campo del naturalismo tanto meno sono determinati i rapporti tra i segni e il loro significato, la scena si fluidifica e richiede all'osservatore un massiccio investimento emotivo.

Quando per esempio il pittore raffigura un frammento di vita quotidiana, come nella Fanciulla che coglie i fiori, piccolo affresco di Pompei conservato al Museo archeologico di Napoli (fig. 115), non fa che creare un campo entro cui riversare le nostre esperienze percettive. Ciò che la nostra esperienza sensibile ha elaborato viene calamitato dalla rappresentazione.

La distanza da un'icona o da una rappresentazione arcaica è enorme: in quel caso l'adeguamento al codice comunicativo vuole essere stringente. Ogni cosa rinvia, secondo un codice, a un significato e questo cerca di essere in qualche modo univoco. Ma la Fanciulla che coglie i fiori, o l' Hermes che regge Dioniso fanciullo come possono rinviare a un significato univoco? Per loro natura queste rappresentazioni si affidano proprio all'esperienza trascorsa dei singoli. E, anche se apparentemente stimolano in tutti il medesimo significato, in realtà a essere confrontabili non sono le esperienze, ma il loro simulacro incarnato nella rappresentazione.

Mentre l'icona vuole irradiare significato, le figure della rappresentazione naturalistica rappresentano il luogo dove i contenuti percettivi dei diversi soggetti che osservano la figurazione, irriducibili tra loro, convergono e si condensano. Il luogo di questa convergenza deve essere sufficientemente impreciso per inglobare esperienze dissimili che però richiamano sentimenti simili.

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Pagina 149

7.

L'ordine architettonico


1. La genealogia della forma

Il problema della relazione logica tra i componenti del partito architettonico, e più in generale della costruzione, è una delle ossessioni dell'architettura occidentale, almeno a partire dal XVIII secolo, quando l'autocoscienza raggiunge livelli ipertrofici. Questo avviene, in qualche modo, in concomitanza con il declino dello stesso concetto di architettura, così come si era andato configurando a partire dal rinascimento italiano.

C'è nel neoclassicismo, ma più in generale in tutto il periodo, la ricerca di una regola che permetta di affrontare qualsiasi incombenza. Non meno classificatori sono gli stili neomedievali e, in genere, il gusto del revival. L'idea stessa di stile comporta un concetto ordinatore che la preceda: concetto che deve fornire il prontuario delle regole identificative, delle esclusioni e delle inclusioni e, principalmente, la grammatica con cui far risorgere quelle lingue morte. È esemplare il fatto che questa frenesia classificatoria sia sfociata, nel XIX secolo, in quella sorta di superstile rappresentato dall'eclettismo.

Le teorie dell'architettura sono oggetto di una mole sterminata di studi, dalla storia dell'arte alla filosofia; qui intendiamo avvicinarle esclusivamente nel loro aspetto ordinatore: la ricerca ossessiva di una regola che si opponga alla possibilità dell'arbitrio.

Con un apparente paradosso, la teoria dell'architettura si fonda sulla convinzione che un atto all'origine della storia delle forme, che può essere anche arbitrario o casuale, debba costruire un sistema determinato da una sorta di struttura logica. In sintesi, si tende a concepire la vicenda storica della forma architettonica come un anelito a una ragione prescrittiva tra logica e sistematica.

La ricerca di un fondamento della forma architettonica, almeno a partire dal neoclassicismo, cioè dalla definitiva consunzione dell'ordine architettonico e del suo essere elemento ovvio della composizione, ha spesso ragionato, nel linguaggio degli architetti, intorno a due temi che, diversi e analoghi, si oppongono tra loro:

a) la forma come esito necessario di una sorta di percorso logico;

b) la forma come rappresentazione, più o meno allusiva di un ordine strutturale e di una logica già data. (Il termine «logica» va inteso non nel senso della logica formale, ma come un sistema coordinato di regole che sovraintendono a una determinata forma culturale).

In parte si tratta dell'aggiornamento del rapporto natura-artificio sviscerato nel XVII secolo: la natura come forma esteriore (l'imitazione), contro la natura come regola (la geometria). Ma ora è un dibattito più specializzato, con dei perimetri più ridotti, perché cerca il fondamento, e in sostanza la motivazione ultima, dell'aspetto esteriore delle architetture. Nel XIX secolo l'architettura è una disciplina che ha già perso pezzi importanti: l'ingegneria, l'idraulica, i ponti, le opere stradali, le difese militari ecc. Ognuna di queste escissioni ha prodotto un'arte dall'apparenza pragmatica, dove la forma sembra costituire solo la parte residuale del compito progettuale. Meglio sarebbe dire che nell'ingegneria la forma poteva sembrare co-generata dalla somma delle risposte tecniche. Inevitabilmente l'architettura, via via privata della tecnica, ha esasperato la riflessione sulle motivazioni dell'aspetto esteriore.

Nel primo caso, la forma come esito di un percorso logico, l'architettura si pone il problema di un'adesione puntuale al procedimento che fa aggio anche sulla percezione della forma. Sono opere in cui prevale l'aspetto enunciativo rispetto a quello interpretativo. Nel secondo caso, la forma come rappresentazione di una struttura logica, l'architettura si pone il problema di una sorta di traduzione e narrazione di queste regole; sono quelle forme architettoniche ispirate a un atteggiamento pragmatico, che si accordano con la natura eterogenea dell'opera e che utilizzano gli strumenti in funzione di un risultato comunicativo.

Questa schematizzazione si applica a molte delle coppie della modernità: neoclassicismo filologico e neoclassicismo interpretativo, variante dell'opposizione tra classico e romantico; funzionale, o razionale nell'accezione italiana, e organico; realismo e postmodernismo.

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Pagina 169

8.

In conclusione


    A metà d'una frase, il principe Andréj tacque e sentì
    inaspettatamente le lacrime fargli nodo alla gola, cosa
    della quale non sospettava di essere capace. Guardò Natala
    che cantava e qualcosa di nuovo e di lieto gli sorse
    nell'anima. Era felice e insieme si sentiva triste. Non
    aveva assolutamente nessun motivo di piangere, eppure si
    sentiva sul punto di piangere. Su che? Sul suo antico amore?
    Sulla piccola principessa? Sulle sue delusioni?... Sulle sue
    speranze per il futuro?... Sì e no. Più di tutto avrebbe
    voluto piangere su quella terribile contraddizione, che gli
    era apparsa tutt'a un tratto così viva, fra quello che c'era
    in lui d'infinitamente grande e d'indefinibile e quel non so
    che di angusto e di corporeo che era in lui e che era anche
    in lei. Questa contraddizione lo tormentava e lo rallegrava
    durante il canto di lei.

                                      Lev Tolstoj, Guerra e pace



Abbiamo pensato questo libro come un percorso esemplificativo all'interno di una interpretazione della comunicazione, che la vede come un evento dai contorni sfumati e dai contenuti indeterminati. Abbiamo cercato di mostrare come l'indeterminatezza non sia esclusiva del linguaggio, ma sia caratteristica di tutte le forme comunicative a cui attribuiamo un valore di conoscenza e non un semplice contenuto di informazione tecnica.

Oggetti quotidiani, architetture, spazi, rappresentazioni sono stati esaminati sotto il particolare profilo della possibilità di comunicare, senza dare per scontata l'esistenza di una regola stringente, uno schema interpretativo, che fa, di volta in volta, di quell'oggetto un'opera d'arte, di quell'altro un'architettura monumentale, di quell'altro ancora un oggetto tecnico.

Le categorie che usiamo per classificare fatti e oggetti hanno uno scopo funzionale, sono comode o utili per un fine pratico o teorico, permettono analisi specialistiche, delineano concezioni o ipotesi scientifiche. Ma proprio per questa voluta caratteristica riduttiva, non possono delimitare l'evento sintetico che si manifesta con l'atto percettivo e restituirci i multiformi contenuti della comunicazione.

Il mondo degli oggetti - e oggetto è anche un pezzo di natura coinvolto in un evento comunicativo - ha un senso proprio perché nulla si può chiudere definitivamente in categorie predeterminate. Lo schema che in un dato momento può essere utile per delimitarli e interpretarli è subito dopo pronto per essere scardinato da nuove interpretazioni. Gli oggetti non entrano in relazione comunicativa tra loro, e con noi, attraverso degli schemi, ma direttamente attraverso l'esperienza; e mantengono alto il nostro interesse proprio per la loro disponibilità ad assumere sempre nuovi significati, che si stratificano, si occultano, si contraddicono restituendoci qualche cosa che va molto più in là dell'oggetto stesso. Con un'immagine, possiamo dire che il significato si manifesta attraverso un sistema di relazioni, mai riducibile a schema, che costruisce un reticolo spaziale, continuamente variato, dove facciamo fluttuare il senso di un esperienza. Perché ci sia comunicazione dobbiamo essere in grado di restituire questo spazio, al tempo stesso impreciso e determinato.

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