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| << | < | > | >> |IndiceL'odore dei libri 7 Lo strano caso di Sebezio 10 MaTitta e TemperamaTitta 19 Una poesia 22 Una fiaba 26 Osvaldo il tagliacarte 30 Il libro sdraiato 39 Il libro di zio Pantaleo 43 La laurea 49 La biblioteca del Castello di Massombrosa 57 La mia vecchia antologia 66 Quando il silenzio è un disagio 77 La porta chiusa 79 Nientemeno che un libro 87 Libri e afa 112 Nel paese dove tutti vogliono leggere 117 Celsius 232: la carta brucia 121 Il piacere di essere un libro 129 |
| << | < | > | >> |Pagina 7Per amore, solo per amore la signora Ada aveva rinunciato ai suoi sogni di musicista e di poetessa. Fin da ragazza, sorpresa nella sua tranquillità di studentessa benestante e di allieva prediletta di una vecchia maestra di piano, dall'inaspettato irrompere di un amore travolgente non corrisposto, aveva assecondato un irrefrenabile bisogno di scrivere poesie: poesie appassionate e struggenti, sognanti o disperate, dedicate e indirizzate al coetaneo amato, che non le avrebbe mai ricevute e lette perché rimaste sempre in un cassetto. Poi aveva scoperto, saltando la noiosa barriera dei manuali scolastici, le 'sue' letture, alle quali sarebbe rimasta fedele per tutta la vita. Nelle pagine degli scrittori francesi aveva trovato le sue stesse illusioni, le angosce, i sogni e, soprattutto, quella tensione che non sapeva e non avrebbe mai saputo spiegarsi. Si era così immersa con totale e assoluta dedizione in Flaubert e in Stendhal; aveva trovato la paziente forza di percorrere con emozione, dalla prima all'ultima pagina, Alla ricerca del tempo perduto; era rimasta stregata dalla razionale e lucida eleganza di Anatole France. Il desiderio di avvicinare gli autori preferiti in lingua originale l'aveva spinta a studiare con incontrollabile tenacia il francese, concludendo all'università il ciclo di studi con una tesi proprio su Anatole France. La famiglia l'aveva approvata e assecondata, trovando per il suo futuro professionale assai confacente e idonea l'attività di insegnante di letteratura francese. Un buon matrimonio — aveva pensato il padre — sopperirà alle carenze del deprimente stipendio di insegnante. Le nozze con un affermato medico sempre preso dal lavoro, ma pure premuroso e affettuoso, tre figli da allevare, la guerra, i disagi dello sfollamento, le avevano impedito di realizzare i sogni e i progetti di scrittrice, rimandati di anno in anno, di attesa in attesa: attesa che la guerra finisse, che i figli crescessero e diventassero indipendenti, che il marito si mettesse in pensione rallentando i tumultuosi ritmi di lavoro che coinvolgevano anche lei. Pure alla musica aveva rinunciato quando si era resa conto che le crescenti necessità di spazio del marito e dei figli non avrebbero mai consentito il sempre rinviato trasferimento dalla casa dei genitori del suo meraviglioso pianoforte Bluthner. Della insopprimibile passione per la poesia scriveva spesso all'amica Nora, che si era trasferita a Milano, confessandole i suoi segreti notturni. E quando il sonno metteva fuori combattimento il marito, le due rumorose figlie e il maschio sempre bisognoso di accudimento, Ada sedeva allo scrittoio di mogano del salotto. Alzava la vecchia calatoia della quale solo lei possedeva la chiave e apriva il suo mondo segreto di letture e di scritture. Uno spazio minuscolo e discreto dove tenere al sicuro e contenere la sua inespressa carica d'amore. Tirava il piccolo tiretto scrittoio e si abbandonava alle sue poesie e ai suoi diari. Nel segreto di quel mobiletto custodiva le lettere di Nora, i versi scritti su piccoli foglietti, l'amata stilografica Waterman, la boccetta d'inchiostro blu. Vi teneva anche una decina di piccoli libri di formato in ottavo, ai quali era particolarmente affezionata, di non grande valore bibliologico, quasi scompaginati a furia di essere letti e riletti e in uno dei quattro cassetti teneva pure gli amati e vietati confetti, goduti in tutta segretezza per sottrarsi alle reprimende del marito e dei figli, che le rimproveravano una colpevole indifferenza alla tendenza a ingrassare. I figli, cresciuti, erano diventati ormai indipendenti, ognuno avviato verso obiettivi professionali troppo impegnativi per essere condivisi, compresi da una mamma svampita e mangiona. Il marito era sempre fuori casa, distratto anche da una giovane amante della cui presenza Ada, dopo i primi lancinanti dolori, aveva preso serena e malinconica consapevolezza. A lei bastavano le sue due ore notturne allo scrittoio, libera di fantasticare, di sognare, di scrivere e di godersi il silenzio e i confetti. Morì come aveva vissuto, con discrezione, andandosene quasi in punta di piedi, senza creare il peso di lunghe degenze. I figli si divisero mobili e ninnoli, compreso lo scrittoio, del cui contenuto non si seppe più nulla. Qualche giorno fa, nelle mie scorribande tra bancarelle di libri, ho messo a segno un bel colpo. È un romanzo: Pierre Nozière, di Anatole France, Barion Editore, Milano, 1921, Lire 2. È sbrindellato e sta per perdere le pagine. Dovrò farlo rilegare. Sul frontespizio c'è una dedica, vergata con un pennino duro e appuntito: «Alla tenerissima Ada, con affetto, Nora». Da incorreggibile bibliomane ho portato il libro al naso, istintivo controllo dello stato di salute del libro. Ha un odore dolciastro, si direbbe di confetto. | << | < | > | >> |Pagina 117Nessuno poteva immaginarlo — ammise Mario Audig, decano dei librai della città, con un giornalista che lo intervistava —. Davvero nessuno avrebbe potuto prevedere, solo sei mesi fa, quello che sta accadendo. Guardi la mia libreria. Vuota! Mi hanno lasciato solo i dizionari. Ho venduto tutto e i distributori sono in crisi perché nella mia situazione ci sono tutti i librai. I miei impiegati non possono far altro che assicurare i clienti scontenti che presto le scaffalature saranno di nuovo piene e che tutte le prenotazioni saranno soddisfatte. Lo stupore di Mario Audig era più che motivato. In cinquanta anni di ininterrotta attività di libraio e di editore, dopo essersi battuto con tutti i mezzi per la promozione della lettura, con presentazioni, con dibattiti, convegni, con concorsi, dopo essersi inventato mille espedienti per coinvolgere le istituzioni pubbliche, sempre con risultati assai poco incoraggianti, si vedeva travolto da un fenomeno che sicuramente avrebbe segnato la storia dell'Occidente. Nelle altre librerie della città e dell'intero paese, la situazione non appariva diversa; il 'tutto esaurito' aveva fatto la sua prima comparsa nelle vetrine e sui banconi, i siti Internet di vendita per corrispondenza erano impazziti, non riuscendo più a dominare l'inarrestabile flusso delle richieste. Improvvisamente era stato recepito l'invito, tante volte andato a vuoto, ad abbandonare il torpore imbambolante della televisione, a non lasciarsi intrappolare dall'assuefazione ai videogiochi, a non farsi drogare da Internet per scoprire il piacere del libro e della lettura. Le sei emittenti televisive nazionali avevano cominciato a ridurre gli orari delle trasmissioni, tornando alle abitudini degli anni Cinquanta con apertura delle trasmissioni alle diciassette e chiusura alla mezzanotte con l'ultimo telegiornale. I contratti pubblicitari televisivi erano stati quasi tutti cancellati e tutti i produttori avevano cominciato a contendersi gli spazi sui libri. Le tipografie avevano cominciato a lavorare a ciclo continuo, con turni anche notturni, per fare fronte a una richiesta senza precedenti degli editori, subissati dalle richieste di sponsor per ottenere le quarte di copertina, annunci pubblicitari da inserire tra un capitolo e l'altro, fascette o loghi sui cellophane che avvolgevano i volumi. Erano diventati tutti lettori forti. Era divampata la voglia di leggere con la foga irrefrenabile della scoperta e con l'entusiasmo dei neofiti. I sociologi italiani non erano riusciti a spiegarsi un fenomeno che, nel quadro culturale europeo, appariva limitato al nostro paese. I quotidiani e i periodici stranieri davano notizia, con titoli giganteschi, dell'improvviso scatenarsi della voglia di leggere in una nazione, come la nostra, che aveva sempre espresso al riguardo le statistiche più deprimenti dei paesi occidentali. Un fenomeno inaspettato che, una volta tanto aveva accomunato il Mezzogiorno e il Nord. — Giornate indimenticabili — continuò Mario Audig, passandosi la mano su quel poco di capelli che gli restavano in testa, tentando anche lui di dare al giornalista tedesco una plausibile spiegazione di quanto stava accadendo. La libreria presa d'assalto. File interminabili all'ingresso del negozio. E, quando entravano, sembravano cavallette su un campo di grano. Hanno comprato di tutto, hanno chiesto di tutto, hanno ordinato di tutto. I telefoni erano impazziti, ci chiamavano dalle librerie più piccole per avere aiuto, anche loro non riuscivano a far fronte alle richieste. Cinema, teatro, sport, discoteche riuscivano, sia pur con qualche affanno a contenere la concorrenza del libro. Ma televisione e videogiochi erano in ginocchio. L'approvvigionamento stava diventando, per le librerie, un problema serio. Per far fronte alla richiesta, sempre più isterica, si erano vuotate anche le scorte di magazzino dell'usato. Nel corso di una agitatissima riunione l'associazione dei librai aveva deciso di arruolare degli agenti compratori, esperti nel porta-a-porta, che avrebbero tentato acquisti a domicilio, capovolgendo il consueto rapporto tra cliente e agente. I rappresentanti piombavano nelle case, non più per piazzare l'enciclopedia o la storia universale degli animali, ma per cercare di comprare libri con cui rifornire le librerie del richiestissimo usato a metà prezzo, e tacitare i lettori, in attesa che editori e tipografi facessero fronte all'incalzante richiesta. — Ci siamo illusi — confessò Mario Audig — che l'espediente funzionasse. Ma quasi nessuno ha voluto cedere i propri libri. O hanno fiutato l'affare e si ripromettono tutti di venderli personalmente oppure, il che mi sembra l'ipotesi più attendibile, nessuno vuole separarsi dai libri. Solo in rarissimi casi i vecchi rappresentanti più smaliziati ed esperti sono riusciti a procurare qualche buon pezzo, che è già stato rivenduto. Insomma — precisò col tono di chi sta per chiudere l'intervista — da un lato sono contentissimo che sia finalmente arrivato il nostro momento, quello che da anni i miei nonni e mio padre e io sognavamo, dall'altro sono molto preoccupato, perché, dobbiamo riconoscerlo, non eravamo preparati a un evento del genere. Che nessuno si sa spiegare e nessuno sa come andrà a finire. Durerà? La diffusione così straripante della voglia di leggere — dilagante come un'epidemia di cui nessuno sapeva spiegarsi l'origine e di cui nessuno poteva prevedere le conseguenze — aveva aspetti socialmente positivi, sui quali nessun esperto si sentiva di dissentire. Innanzitutto una visibile e inarrestabile tendenza alla calma. Le file nelle sale di attesa delle ASL, alle biglietterie dei treni e dei traghetti, alle fermate dell'autobus, non erano più frenetiche e stressanti come una volta: tutti aspettavano con pacata educazione il proprio turno, leggendo. Ognuno col suo libro in mano. Stando solo attenti, nelle grandi città, agli scippatori che avevano preso di mira i libri, che si piazzavano presso un buon ricettatore nel giro di pochi minuti. Ma ogni medaglia ha il suo rovescio. L'eccesso di lettura qualche problema lo aveva pur creato. I giovanissimi avevano scoperto la nuova droga della lettura, e intemperanti ed eccessivi come sempre, trascorrevano le nottate intere dei week-end a leggere, riuniti in ritrovi del libro, ricavati da vecchie discoteche in disuso. Poi, instupiditi dalla troppa lettura e con gli occhi stanchi, affrontavano alle luci dell'alba la guida dell'auto, provocando spesso gravi incidenti. Non era più necessario far pubblicità ai libri, recensirli o stroncarli, era diventato inutile dare consigli su questo o quell'autore: pur di leggere la gente comprava e ingurgitava di tutto. Alle presentazioni nei circoli, nelle biblioteche e nelle sedi delle associazioni non andava più nessuno. Tutti preferivano la lettura al commento. Gli unici luoghi ormai nei quali si registravano scene di impazienza nelle file, erano gli ingressi delle biblioteche pubbliche, per accaparrarsi un posto a sedere e, anche agli sportelli degli uffici di prestito, nella speranza che fosse disponibile ancora qualche testo da portarsi a casa. Nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe accaduto quello che, con molta fantasia, aveva scritto un famoso umorista, paragonando la calca domenicale alle biglietterie dello stadio a quella dei lettori alle porte della Biblioteca Nazionale di un non precisato paese di Bengodi. Invece era accaduto davvero, c'era poco da scherzare. Tutti gli impiegati nelle sei emittenti televisive nazionali, i produttori di videogiochi e di programmi informatici, i recensori benevolenti e gli stroncatori, i saggisti che si erano battuti per la diffusione della lettura, tutti quelli, insomma, che non lavoravano più, si ponevano la stessa domanda che, con ben altro spirito, si facevano tutti quelli che avevano da sempre lavorato e tribolato con le sorti, un tempo incerte e oggi strabilianti, del libro e che avevano sempre più lavoro: — Durerà? | << | < | > | >> |Pagina 121Era una gioia appiccare il fuoco. Era una gioia vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. RAY BRADBURY, Fahrenheit 451 Dal monitor di controllo Raimondo Montagi, iniziando il suo turno di notte al blocco sei dell'Inceneritore Nazionale, cominciò a seguire con la consueta attenzione le copertine del nuovo contingente di libri, che sembravano contorcersi di dolore sotto l'aggressione implacabile del fuoco, sbatacchiando le pagine come ali di piccioni in agonia. Il numeratore digitale, che scorreva in una finestra dello schermo, lo rassicurava che gli accumulatori funzionavano perfettamente. Non c'era in lui solo il piacere e la soddisfazione di avere un buon posto, ma anche l'orgogliosa consapevolezza di lavorare per il bene comune, a uno dei centri di produzione dell'energia elettrica. Non era stato facile vincere il concorso di addetto all'Inceneritore Nazionale e risolvere difficilissimi test psicologici e attitudinali. Il nuovo lavoro era ben retribuito, la noia della ripetitività riscattata dalla consapevolezza dell'utilità del suo impiego. Il sindacato di categoria, la FALIN, Federazione Autonoma Lavoratori Inceneritori Nazionali, aveva rassicurato tutti gli addetti, assunti con un contratto di formazione a tempo determinato, che, quando fossero finite le scorte dei libri da bruciare per produrre energia, sarebbero stati tutti riqualificati per le nuove centrali in allestimento. Il sottosegretario al Ministero dell'Energia aveva garantito che gli studi per la produzione del nuovo propellente pulito erano in via di ultimazione, che erano quasi pronti i progetti per appaltare gli impianti e che il piano provvisorio, denominato I libri per la vita, dalla lettura all'energia, era solo un rimedio cuscinetto la cui conclusione, al momento della cremazione dell'ultimo libro esistente, sarebbe coincisa con l'avvio del nuovo sistema. Raimondo Montagi ripensava spesso ai giorni della sua disoccupazione, alle palpitazioni e ai timori patiti per tutto il tempo in cui, dopo aver vinto il concorso, i partiti di opposizione avevano disperatamente tentato di combattere il piano del governo I libri per la vita, dalla lettura all'energia, tuonando contro il rischio di perdere i valori della cultura, dell'identità di un popolo e della memoria storica. Alle proteste dei sindacati confederati, che avevano agitato lo spettro di una conseguente e tragica disoccupazione nel settore di produzione e di consumo del libro — buttando sul lastrico tipografi, editori, librai, bibliotecari, scrittori, giornalisti, recensori — il Ministero dell'Energia aveva contrapposto la necessità della sopravvivenza, il bisogno di tutelare gli alberi non distruggendoli più per produrre libri e giornali, il proposito di scovare i piromani e utilizzare per una giusta causa la loro naturale tendenza ad appiccare il fuoco. L'azione dell'opposizione era stata, però, rallentata dall'indecisione degli ambientalisti che, dopo tormentati dubbi, alla fine tra l'albero e il libro avevano scelto l'albero. Il presidente della Commissione Permanente per la Nuova Cultura, in un memorabile discorso alla nazione trasmesso a reti unificate, aveva affermato con orgoglio e con commozione che mai i libri avevano dato un contributo così determinante e costruttivo a una giusta causa e aveva lanciato l'appello La carta per la Patria. E mai appello aveva avuto un così entusiasmante seguito. Ogni domenica nelle piazze principali delle città intorno ai camion dell'esercito si era radunato un inimmaginabile numero di patrioti, che portavano i loro libri al sacrificio per il bene della collettività. Ma la prima domenica di La carta per la Patria la polizia era dovuta intervenire a Milano, a Firenze, a Napoli e a Roma per impedire ai donatori di carta di linciare i soliti contestatori, esperti in blocchi stradali. A Napoli, in piazza del Plebiscito, alcuni librai, si erano stesi a terra davanti alle ruote dei camion militari carichi di libri per impedirne la partenza. La polizia aveva tenuto a bada i donatori inferociti per quest'azione di sabotaggio al piano energetico; il questore in persona aveva tentato di dissuadere i dimostranti. Alla fine i librai dissidenti erano stati costretti a lasciare la loro posizione di paracarri umani, per l'intervento degli idranti dei vigili del fuoco. A Firenze, in piazza della Signoria, un editore aveva tentato di darsi fuoco con la benzina gridando: — Nel forno crematorio dei libri bruciate anche noi e fate energia anche con i nostri corpi! Era stato prontamente soccorso e ricoverato d'urgenza con ustioni guaribili in trenta giorni. A Milano un gruppo politico aveva dato vita a un vivace corteo che scandiva lo slogan: «Togliete i libri dal futuro, e ci diventerà sempre più duro». A Roma i tipografi avevano organizzato un girotondo di protesta intorno all'Inceneritore Nazionale di Cinecittà, le forze dell'ordine li avevano lasciati fare fino a che, dopo otto ore di girotondo, i più anziani avevano cominciato a perdere i sensi per la stanchezza: a quel punto erano intervenuti in aiuto i carabinieri con bottiglie di acqua minerale e bombole di ossigeno. La televisione aveva trasmesso nel telegiornale immagini festose di donatori, che applaudivano alla partenza degli autocarri carichi di libri destinati all'energia. La ripresa più suggestiva era stata quella delle sagome scure di dieci camion incolonnati sul lungomare di Napoli, con lo sfondo di uno spettacolare tramonto infuocato, diretti a ovest, alla volta dell'Inceneritore di Bagnoli. Il successivo lunedì era cominciata in televisione la maratona di Bibliotheleton, presentata da un simpaticissimo intrattenitore, garbato e sornione, con la partecipazione del sottosegretario al Ministero dell'Energia, il quale aveva con soddisfazione preso nota che in tutta la nazione, la domenica precedente, era stata attuata la prima vera grande festa del libro. — Siamo certi — aveva detto tra il tripudio del pubblico e il sorriso spensierato delle bellissime ballerine — che non saremo costretti, se non in casi assai sporadici, ad azioni di forza nei confronti di chi non vorrà cedere i libri. Ma siamo ottimisti, la nazione intera ha capito il problema. Tutti presenteranno spontaneamente il loro contributo cartaceo. Nel frattempo non stiamo con le mani in mano e siamo già pronti ad attingere alla grande riserva delle biblioteche pubbliche del paese. |