Copertina
Autore Marija Gimbutas
Titolo La civiltà della dea - Vol. 2
SottotitoloIl mondo dell'antica Europa
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2013 , pag. 302, ill., cop.fle., dim. 22,3x26,5x2 cm , Isbn 978-88-6222-346-1
OriginaleThe Civilization of the Goddess: The World of Old Europe [1991]
CuratoreMariagrazia Pelaia
TraduttoreMariagrazia Pelaia
LettoreCristina Lupo, 2013
Classe storia antica , storia: Europa , archeologia , storiografia , miti , femminismo
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Indice


    PREFAZIONE: COS'È LA CIVILTÀ?                     7

7   RELIGIONE DELLA DEA                              11

8   SCRITTURA SACRA                                  99

9   STRUTTURA SOCIALE                               117

10  FINE DELL'ANTICA EUROPA:
    INVASIONE DEI PASTORI DELLA STEPPA
    DALLA RUSSIA MERIDIONALE
    E TRASFORMAZIONE DELL'EUROPA                    149

    NOTE                                            206
    GLOSSARIO DELLE CULTURE E DEI SITI PRINCIPALI   213
    GLOSSARIO DEI TERMINI TECNICI                   225
    CRONOLOGIA                                      229
    TABELLE DELLE DATAZIONI AL RADIOCARBONIO        230
    FONTI ICONOGRAFICHE                             292
    BIBLIOGRAFIA                                    294


 

 

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7. RELIGIONE DELLA DEA


Stando a una miriade di immagini sopravvissute nel lunghissimo periodo della preistoria umana nei continenti eurasiatici, è il mistero sovrano e il potere creativo del femminile come fonte di vita a manifestarsi ed evolversi nelle primissime esperienze religiose. La Grande Dea Madre che fa nascere tutta la creazione dalla sacra oscurità del suo grembo è diventata metafora della stessa natura: colei che ha il potere cosmico di dare e togliere la vita, sempre in grado di rinnovarsi nell'ambito di un eterno ciclo di vita, morte e rinascita.

Si è scoperto che la selce scolpita in sembianze femminili e animali risale a tempi antichissimi, cioè al periodo Aucheliano nel Paleolitico inferiore, più di 500 000 anni fa. A partire dal Paleolitico Medio (Epoca Mousteriana, tra i 100 000 e i 40 000 anni fa) si pongono deliberatamente pietre triangolari sulle sepolture e si intagliano coppelle nella pietra. Questo simbolismo religioso molto antico deve essere ancora studiato con sistematicità; la maggior parte della ricerca ha finora interessato il periodo del Paleolitico superiore, tra i 40 000 e i 10 000 anni prima della nostra epoca.

In questo lasso di tempo si è avuta una vera esplosione artistica, espressa in innumerevoli dipinti rupestri, intagli nella roccia e sculture. Caverne ornate con squisiti disegni e graffiti a soggetto animale diventano santuari per la celebrazione di riti stagionali, riti di iniziazione e altre cerimonie di partecipazione ai sacri cicli della vita. Tra il 27 000 e il 25 000 a.C. compaiono miniature di varie divinità scolpite in pietra, corno o osso. Circa tremila sculture vengono rinvenute in un enorme spazio che va dalla Francia meridionale alla Siberia centrale. Questo abbondante campionario ci dà un'idea della loro importanza figurativa. Le molteplici forme, gesti e attributi ritratti in queste sculture, oltre a fornirci indicazione della loro provenienza, si prestano a una classificazione tipologica che rappresenta vari aspetti e funzioni della Dea.

I simboli più antichi incisi su rocce e su oggetti di osso o corno riflettono la credenza profonda in una Dea dotata di facoltà generativa che rappresenta una fonte di vita unica anche se raffigurata in tante forme. Già a partire dal 25 000 a.C. viene rappresentata con seni, vulva e natiche di esagerate dimensioni che indicano i centri da cui emanano i suoi poteri procreativi. Uno studio sui simboli dell'arte paleolitica dimostra che la divinità della creazione era femminile piuttosto che maschile. Infatti nell'arte paleolitica non esistono tracce di una figura paterna. Il parto e il nutrimento della prole - vegetale, animale e umana - era il modello fondamentale per lo sviluppo dell'immagine della Dea come divinità onnigenerante.

Le sculture in miniatura di figure femminili scolpite nell'avorio e nella pietra tenera non sono Veneri, come si tendeva a identificarle nella letteratura specialistica, né sono "feticci della fertilità" progettati per eccitare la sessualità maschile. Le loro funzioni sono di gran lunga più importanti: dare la vita e proteggerla, nonché accompagnare nella morte e nella rigenerazione. La Dea personifica l'eterno rinnovamento ciclico della vita in tutte le sue forme e manifestazioni. Un'interpretazione delle funzioni scaturisce dall'attento studio dei particolari attributi di queste sculture primitive: posture, gesti, acconciature e simboli religiosi ad esse correlate. Numerose espressioni di un principio divino femminile sopravvissuto molte migliaia di anni vengono immediatamente in evidenza nei manufatti a noi pervenuti dal Paleolitico superiore.

Troviamo in quest'epoca un'iconografia della Dea in cui convergono vari tipi di simboli astratti o geroglifici: X, V, triangoli, meandri e forme analoghe; immagini emblematiche come vulve, seni e zampe d'uccello; e simboli animali che rappresentano i vari aspetti della Dea in cui si incarna il suo potere. La stessa iconografia accompagna essenzialmente questa religione fino all'epoca agricola, sebbene in forma evoluta e con riflessi di mutate condizioni economiche.

Durante il Neolitico si ha una rinnovata fioritura di espressione artistica. L'invenzione della ceramica nel 6500 a.C. ca. segna la comparsa di migliaia di statuette e vasi, templi e modelli in miniatura, dipinti murali, rilievi e un numero sterminato di oggetti rituali. Il numero di simboli religiosi si moltiplica mille volte, offrendo un'abbondanza di dati utili a decifrare l'iconografia della Dea. Inoltre, il simbolismo dell'antica Europa (6500-3500 a.C.) offre una chiave essenziale alla comprensione della religione paleolitica grazie a una continuità di immagini. La ricostruzione di tale sistema simbolico è da me descritta nel saggio Il linguaggio della Dea.

Le statuette rappresentano varie immagini della Dea, ritratta in modo peculiare con particolari dell'abbigliamento e dell'acconciatura, oppure ridotta a scarni contorni. In quest'ultimo caso molto probabilmente si tratta di ex voto o amuleti con la sua effigie. Le statuette sono state recuperate sugli altari dei templi, sulle piattaforme dei forni, in luoghi d'offerta appositamente preparati, in grotte e tombe. Sono state di frequente rinvenute in nascondigli, depositate in vasi o sotto forma di quadri in miniatura che rappresentano determinate attività religiose. Ovviamente, i gruppi di statuette erano usati per la celebrazione di rituali. La loro incessante produzione testimonia un processo energetico condiviso da tutti i partecipanti.

Abbiamo almeno venti tipologie antropomorfiche femminili e cinque maschili che differiscono in postura, tratti fisionomici, maschere, acconciature e simboli di accompagnamento. Queste immagini inconfondibili sono ritratte anche nei rilievi e dipinte sulle pareti di templi e caverne, nonché su vasi.

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CATEGORIE, FUNZIONI E SIMBOLISMO DELLE DIVINITÀ

I molteplici simboli, funzioni e categorie usati dai nostri antenati preistorici per esprimere il Grande Mistero costituiscono sempre aspetti dell'unità indivisa di una divinità, una Dea che in definitiva è la Natura stessa.

Per lo scopo che mi propongo in questo saggio le divinità saranno classificate in quattro gruppi. Primo, la Dea che personifica le forze generative della natura. A questa categoria appartengono i vari aspetti della Dea nella diffusione della vita, nell'atto di partorire, nelle attività di cura e di stimolazione della vita.

Secondo, la Dea che personifica le forze distruttive della natura - la Dea della morte, raffigurata come nudo rigido, serpente velenoso o uccello da preda: avvoltoio, civetta, corvo o cornacchia.

Terzo, la Dea della rigenerazione, che controlla i cicli della vita di tutto il mondo naturale. Le sue manifestazioni si associano ai vari simboli dell'utero, del triangolo pubico o del feto: rospo, rana, porcospino, bucranio, triangolo e doppio triangolo. Appare anche come insetto: ape, farfalla, falena.

Morte e rigenerazione sono inseparabilmente connessi nell'ambito del normale ciclo naturale, perciò la Dea della morte e della rigenerazione viene raffigurata come unica divinità, in virtù della funzione simultanea e della continuità ciclica di questi aspetti.

La quarta categoria raggruppa le divinità maschili preistoriche, che costituiscono soltanto dal 3 al 5% del corpus di sculture neolitiche.


La Dea generativa: Datrice di vita e Signora degli animali e delle piante

La Dea del Paleolitico e del Neolitico è partenogenetica, crea la vita da se stessa. È la primigenia, autofertilizzante "Dea Vergine", sopravvissuta in numerose forme culturali fino al giorno d'oggi. La Vergine Maria cristiana è una versione retrocessa della divinità originale. Non sappiamo se il ruolo del padre nella preistoria fosse noto, ma anche se lo fosse non vi è testimonianza archeologica che gli attribuisca alcuna importanza. Dai manufatti sembrerebbe chiaro che la capacità della donna di dare la vita e nutrire i bambini per mezzo del suo corpo fosse ritenuta sacra e venerata come metafora riassuntiva della Creazione divina.

Non era sempre necessario delineare l'intera figura della Dea, poiché nelle epoche preistoriche era tipico raffigurare soltanto le parti corporee che emettevano potenza generativa: vulva, triangolo pubico, natiche e seni. Era sufficiente scolpire la sua vulva nella roccia, trovare una pietra con la forma di un triangolo e fare un amuleto d'osso a forma di seni o natiche. Questi simboli rappresentavano la forza dei suoi poteri generativi.

I tentativi di spiegare la rappresentazione di vulve, seni e natiche hanno dato origine a ipotesi fantastiche. Nella maggior parte dei casi queste immagini sono state viste attraverso le lenti dei pregiudizi del Ventesimo secolo. Una spiegazione per l'"inizio dell'arte" è che circa 30 000 anni fa il gioco d'amore manuale - il toccamento della vulva, delle natiche e dei seni - stimolasse le creazioni artistiche. Concludere che i simboli paleolitici siano oggetti creati per la stimolazione sessuale dei maschi ignora completamente il contesto religioso e sociale. Si deve invece fare attenzione al modo in cui sono espressi, con quali altri simboli sono associati e se la raffigurazione si estende con continuità nel tempo.

Il simbolo della vulva non scompare con l'epoca aurignaziana: può essere rintracciato dal Paleolitico superiore fino a tutto il Neolitico, e passando per le età del Bronzo e del Rame fino a tempi storici. Viene raffigurato come triangolo soprannaturale, losanga oppure ovale, spesso insieme a oggetti acquatici - meandri, zigzag, linee parallele ondeggianti - o come semi resi da punti al centro di un cartiglio. A volte viene presentato in sostituzione il ramo di una pianta (alcune statuette neolitiche espongono un rametto o un albero gemmato al posto della vulva).

In tutta l'arte preistorica, la vulva non suscita mai l'idea di un oggetto passivo, essa è simbolo per eccellenza della stessa fonte di vita.

È il grembo cosmico, analogo alla fioritura di una gemma da cui si dispiega ogni nascita e nuova vitalità. Le statuette che rappresentano le forze generative della Dea sono sempre raffigurate con grandi vulve e triangoli pubici.

La Dea datrice di nascita, mostrata in posizione di parto, ha una vulva allargata e gonfia (figura 7-1).

Essa è diffusa nell'arte paleolitica e nell'arte dell'Antica Europa, compresi gli esempi provenienti da Malta (figura 7-2). La vulva e i modelli con seme, che ricorrono come emblemi a loro stanti, potrebbero rappresentare la Dea, oppure possiedono un carattere di amuleto, specialmente se raffigurati come pendenti.

La madre che dà la vita e partorisce è antropomorfica e zoomorfica. Le principali epifanie sono cervo, alce e orso (figura 7-3), madri gravide con cuccioli fra le braccia (numerose le sculture di cerve incinte), vasi rituali e rilievi con queste forme animali, che riproducono i loro particolari ruoli nei miti.

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Identità della Dea con tomba e utero

Come abbiamo visto, la forma e i simboli delle tombe megalitiche sono indubitabilmente legati con la formidabile Dea della Morte e della Rigenerazione. I suoi simboli sono i più vari: da nude ossa a uova e uteri, da nudi rigidi e avvoltoi, cinghiali e cani a occhi rigeneranti e spirali serpentine. Alcune tombe megalitiche fino a oggi sono considerate "grotte della Dea". La tomba a corridoio di Knockmary a County Tyrone, in Irlanda, viene detta "grotta di Annia". Sarà questo il suo nome? Dovremmo andare a indagare nel folklore e nelle fonti storiche. Nei racconti popolari Lei appare come Vecchia Strega o Gigantessa, ma viene identificata anche come Ana, Annia, Ami e Ankou. Da antiche fonti letterarie sappiamo che la bretone Ankou, o Maro, è la "Morte". L'irlandese Morrigan viene identificata con Ana, considerata "guardiana dei morti" o "madre degli dèi". Possiamo ipotizzare che questi nomi siano un'eredità dei costruttori megalitici.

La Dea della Morte e della Rigenerazione è signora dell'inverno e dell'oscurità. Nel folklore di tutta l'Europa appare come strega dalle gambe ossute, donna bianca o di neve. Le sue attività e il suo potere si dispiegano nel periodo invernale, in particolare tra fine dicembre e inizio gennaio. In Scandinavia questo periodo viene detto jol, o Yule, con nessuna attinenza alla credenza cristiana della nascita di Cristo.

Possiamo immaginare che in tempi preistorici la maggioranza dei riti necessari per il risveglio della natura e per la pacificazione della Dea dell'Inverno avvenisse in questo momento. All'inizio della primavera la spaventosa Dea dell'Inverno, o Strega, si trasforma in bellissima giovanetta nuda. Compare in torrenti, ruscelli, laghi e fiumi, pettinandosi i capelli dorati o cullandosi tra le braccia dei salici. La sua bellezza sensuale è espressione della trasformazione dell'inverno in una fase di rigenerazione. Questo motivo è ancora esistente nel folklore europeo e il suo immaginario simbolico rimanda all'epopea della morte e della rigenerazione sui monumenti funebri neolitici.

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8. SCRITTURA SACRA


Le offerte votive - doni alla divinità per propiziarsi un voto, un desiderio o una speranza - testimoniate da oggetti religiosi con iscrizioni e solitamente rinvenute in gruppi o file, sono reperti caratteristici del Neolitico e dell'età del Bronzo, in particolare nell'Europa centro-orientale. L'invenzione di una scrittura risalente a circa ottomila anni fa è sembrata fino a oggi così inverosimile che la sua possibilità è stata ignorata, trascurando gran parte delle testimonianze. Non cercherò di fornire un'analisi dettagliata dei segni di questa scrittura, né tenterò di "decifrarla", come un certo numero di dilettanti sta cercando di fare con l'aiuto delle lingue indoeuropee. Questa scrittura dell'antica Europa era indubbiamente non indoeuropea, come il geroglifico cretese, il Lineare A e il cipro-minoico, tutt'oggi indecifrati per la stessa ragione. L'unica speranza è l'attesa della fortunata scoperta di una pietra di Rosetta multilingue che traduca il suo messaggio in una lingua indoeuropea, cosa che non dovrebbe essere impossibile. In questo capitolo passeremo in rassegna questo straordinario progresso dell'antica Europa.

Sebbene si pensi che i sumeri siano gli inventori del linguaggio scritto, nell'Europa centro-orientale compare una scrittura circa duemila anni prima di quelle finora scoperte. Diversamente da quella sumera, la scrittura degli europei neolitici non è concepita per fini economici, legali e amministrativi. Si è invece sviluppata da una tradizione di simbolismo grafico che appare in relazione esclusiva con un culto sempre più sofisticato della Dea. Le iscrizioni compaiono soltanto su oggetti religiosi, indicando che i segni vanno letti come geroglifici sacri.


STORIA

I primi reperti archeologici contenenti segni di una possibile scrittura sono stati riportati alla luce nel 1874 a Turda (Tordos), sito Vinča della fase antica localizzato in Transilvania. Queste iscrizioni cominciano a destare interesse soltanto molti anni più tardi, nel 1961, quando tornano alla luce le tavolette di Tartaria, trovate in una fossa per sacrifici vicina a Cluj (sempre in Transilvania).

Ipotizzando una derivazione dalla ben nota scrittura sumera, le tavolette di Tartaria sono state così giudicate da M.S.F. Hood e altri studiosi: "Una imitazione incomprensibile di documenti scritti di popoli più civilizzati...". Sebbene da allora siano stati trovati centinaia di oggetti sacri con iscrizioni, la loro importanza continua a essere ignorata pur in presenza di una stratigrafia ben documentata.

La cronologia risultante dalla calibrazione al radiocarbonio dimostra che questo script è comparso durante la prima metà del Sesto millennio a.C. ed è stato usato con continuità per almeno due millenni. È certo che l'Old European Script è notevolmente più antico sia della scrittura sumera in Mesopotamia che dell'Indus script della civiltà Harappa, e precede cronologicamente il geroglifico cretese e il cipro-minoico di diverse migliaia di anni. L'idea che questo script sia stato importato dalla Mesopotamia va completamente scartata, poiché è chiaramente contraddetta da testimonianze cronologiche.

La presenza di una scrittura sacra è compatibile con la fase di sviluppo raggiunta dalla civiltà dell'antica Europa. Nell'epoca in cui la scrittura era in uso, gli europei centro-orientali disponevano di un'industria metallurgica, di un alto grado di sofisticatezza architettonica, di vaste relazioni commerciali, di una notevole e sofisticata perizia nella produzione di oggetti e di un sistema sempre più elaborato e complesso di pensiero e pratica religiosi.


DISTRIBUZIONE

Questa scrittura antichissima non rappresenta un episodio effimero in una località isolata, bensì un fenomeno diffuso. Ad oggi sappiamo che in circa un centinaio di siti si sono rinvenuti oggetti con iscrizioni, la maggior parte dei quali proveniente dai gruppi culturali Vinča e Tisza nei bacini dei fiumi Morava, Danubio e Tisza (Tibisco) in Jugoslavia, Ungheria orientale, Bulgaria nord-occidentale e Romania occidentale, e dalla cultura Karanovo nella Bulgaria centrale e Romania meridionale. Segni incisi o dipinti, in precedenza non notati, vengono ora riconosciuti su vasi delle culture Dimmi, Cucuteni, Petreşti, Lengyel, Butmir, Bükk e della ceramica lineare. Perciò, non è più il caso di parlare di "Vinča script" come di un caso eccezionale. Infatti questo script costituisce un tratto universale delle culture più avanzate dell'antica Europa nel Sesto e nel Quinto millennio a.C. I segni dello script si trovano talvolta anche su vasellame e su oggetti in osso dell'Italia neolitica meridionale, nonché della cultura megalitica dell'Europa occidentale.


CATALOGO DEI SEGNI

Un'analisi dettagliata delle iscrizioni provenienti da ventinove siti Vinča è stata proposta in un saggio di Shan M.M. Winn, The Signs of the Vinča Culture (1973), successivamente pubblicato nel 1981 come Pre-writing in Southeastern Europe: the Sign System of the Vinča Culture. Winn ha catalogato duecentodieci segni riconoscibili, comprendenti simboli, simboli modificati, linee, punti e curve. Lo studioso ipotizza la derivazione da cinque elementi base: 1) linea retta; 2) due linee rette intersecate al centro; 3) due linee unite a un'estremità; 4) punto; e 5) linea curva. Lo scopo di Winn non è quello di distinguere fra simboli e segni di scrittura. La sua classificazione presenta infatti un processo ipotetico di sviluppo grafico dal semplice al complesso.

Nel corpus dei duecentodieci segni Vinča, circa un terzo è costituito da simboli universalmente usati in tutta l'Europa. Essi compaiono isolati, non raggruppati in un'iscrizione, con l'eccezione di V, M, X (o +), e di un gruppo di segni comprendenti da due a quattro trattini o punti verticali, facenti parte dello script. Esistono circa trenta segni base (figura 8-1), mentre il resto della scrittura è composto di segni base associati a una, due o tre linee aggiunte, oppure di accoppiamenti tra due segni base (duplicati, invertiti, opposti) (figura 8-2).

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CONCLUSIONE

L'Old European Script in uso comune tra il 5300 e il 4300 a.C. circa era una forma di scrittura sacra che appare in iscrizioni su oggetti religiosi: statuette, troni, modelli di tempio, recipienti per offerta, altari, vasi da libagione, modelli di pane sacro, pendenti, piastre e fusaiole. Il suo fine era la comunicazione tra individui e divinità; non ha nulla a che fare con le scritture commerciali e amministrative molto più tarde della Mesopotamia o con il lineare miceneo B. Questa scrittura si è evoluta durante il periodo neolitico a partire dall'uso crescente di una varietà di segni simbolici, alcuni dei quali ricorrono con continuità da tempi molto antichi e potrebbero avere avuto un valore fonetico.

Intorno al 6000-5300 a.C. appaiono le prime forme composte: simboli con addizioni di segni lineari. Si suppone che i segni lineari geroglifici siano stati inseriti nell'Old European Script come valori fonetici, da cui poi sono stati ideati altri valori fonetici, sillabe o parole. Ciò si è compiuto con la trasformazione dei segni originali mediante aggiunta di linee rette o curve, punti, duplicazioni, inversioni o sovrapposizioni, arrivando infine a una scrittura complessa. In questo script ci sono circa trenta segni base e più di cento segni modificati, senza tener conto delle variazioni.

Dalla fine del Sesto millennio a.C. simboli e forme composte autonome sembrano essersi riuniti in una scrittura morfografica (logo-sillabica) con uso diffuso nei gruppi culturali Vinča, Tisza, Karanovo e altri ancora in tutta l'antica Europa. La sua sparizione verso la fine del Quinto millennio a.C. coincide con l'inizio dell'indoeuropeizzazione dell'Europa centrale. I discendenti di questa civiltà sono sopravvissuti per più di vari millenni a Creta e Cipro.

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9. STRUTTURA SOCIALE


Le più antiche civiltà del mondo - in Cina, Tibet, Egitto, Vicino Oriente ed Europa - sono con tutta probabilità ispirate alla Dea matristica, e potremmo definirle "civiltà della Dea". Dato che l'agricoltura è un'invenzione femminile, il periodo neolitico offre condizioni ottimali per la sopravvivenza dei sistemi matrilineari ed endogami ereditati dai tempi paleolitici. Nella prima fase della rivoluzione agricola le donne raggiungono l'apice della loro influenza nella coltivazione, nelle arti e nelle attività artigianali, nonché nelle funzioni sociali. Nel frattempo prosegue il matriclan con princìpi collettivisti.

In tutta l'antica Europa non esistono tracce di chieftainate (governo dei capi di sesso maschile) di tipo indoeuropeo. Non si trovano tombe reali maschili e zone residenziali organizzate intorno a megaron costruite su alture fortificate. I riti di sepoltura e i modelli di insediamento riflettono una struttura matrilineare, mentre la distribuzione della ricchezza nelle tombe parla di egualitarismo economico.

Le prime ricerche sulle società del mondo antico, come le opere di J.J. Bachofen (1815-87) e R. Briffault (1873-1948), si basano sullo studio di antichi documenti storici, sull'archeologia, sul mito e sui parallelismi etnografici. Questi studiosi hanno concluso che la società dell'Europa antica era matrilineare (struttura secondo cui l'eredità si trasmette attraverso la linea femminile) e matriarcale. Nel Ventesimo secolo manca ancora uno studio interdisciplinare di ampio respiro, a parte l'opera di George Thomson, The Prehistoric Aegean: Studies in Ancient Greek Society (1949). Studi recenti prendono in esame singole regioni geografiche, in particolare dell'Europa occidentale o centrale.

Un ostacolo serio e ricorrente allo studio delle società antiche è la faciloneria con cui si ritiene che debbano somigliare alla nostra. Bachofen ha avvertito nel 1895 che "lo studioso deve essere in grado di rinunciare alle idee del suo tempo e trasferirsi in un punto medio di un mondo di pensiero completamente diverso", ma l'esistenza di un "mondo diverso" è la cosa più difficile da ammettere. La difficoltà della cultura antropologica del Ventesimo secolo con il termine matriarcato consiste nel volerlo rappresentare come immagine-specchio in tutto e per tutto del patriarcato o androcrazia: ovvero, una struttura gerarchica in cui le donne governano con la forza al posto degli uomini.

Siamo molto lontani dal vero: nell'antica Europa e in tutto il mondo antico non troviamo un sistema di governo autocratico delle donne accompagnato da repressione degli uomini. Troviamo invece una struttura in cui i sessi sono più o meno in posizioni paritarie, una società che potrebbe essere definita gilania, termine coniato da Riane Eisler (da gyne, riferito a 'donna', e andros, 'uomo', uniti dalla lettera l che sta per lyein, 'slegare', o lyo, 'liberare'). La gilania implica che i sessi sono "in mutua cooperazione" piuttosto che gerarchicamente "classificati". Il mio uso del termine matristico è inteso semplicemente a evitare il termine "matriarcale", includendo beninteso il concetto di matrilinea.

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Successione matrilineare degli etruschi e monarchia romana

La matrilinearità degli etruschi è cosa nota. Nelle iscrizioni bilingui il nome del padre è inserito soltanto nella versione latina, mentre il nome della madre, sempre citato in etrusco, a volte viene omesso in quella latina. È stato Bachofen a metà del Diciannovesimo secolo a notare per primo che la posizione delle donne etrusche, perlomeno nel periodo arcaico - dal Settimo al Quinto secolo a.C. - è sorprendemente elevata in confronto a quella delle donne greche e romane.

I dipinti funerari e le iscrizioni ci raccontano qualcosa di più sullo stile di vita lussuoso degli etruschi e sul notevole ruolo svolto dalle donne. I racconti degli scrittori greci e romani ci danno ulteriori testimonianze di questi fatti e, cosa più importante, segnalano come l'alto status delle donne li spaventasse. I loro scritti esprimono l'opinione che i rapporti tra uomini e donne e i loro diversi atteggiamenti nei confronti del sesso provocano conflitto, poiché le donne forti sono viste come minaccia al potere dello Stato. La storica Larissa Bonfante suggerisce che il primo "shock culturale" di Roma è che sta diventando troppo simile alla civiltà etrusca che rivaleggia con lei al di là del Tevere e da cui ha preso così tanta cultura esteriore: le lettere, le arti e i simboli della regalità. Per i romani gli etruschi avrebbero sempre rappresentato "gli altri"."

Ciò che conosciamo meglio degli etruschi è tratto dalla loro arte e letteratura, che descrivono il potere e la libertà delle donne nella loro società. Teopompo, storico greco del Quarto secolo a.C., ne è spaventato. Secondo la sua testimonianza le donne etrusche si prendono grande cura dei loro corpi, facendo ginnastica spesso nude con gli uomini e fra di loro, cosa di cui non si vergognano. Sono bellissime e non è raro per loro sdraiarsi pubblicamente a cena con uomini diversi dai mariti. Queste donne amano bere e partecipano persino al brindisi tradizionalmente riservato agli uomini nei simposi greci. La cosa più scioccante di tutte secondo Teopompo è che allevano i figli senza tenere conto della paternità. Il fatto di allevare i bambini senza riconoscimento formale dei loro mariti è probabilmente connesso al loro diritto alla proprietà privata.

Anche negli abiti non vi è segno di distinzione tra uomini e donne. Uno straniero può facilmente pensare che le donne etrusche vestano come uomini. Alla fine del Sesto secolo a.C. infatti indossano mantelli e calzature alte, simboli di cittadinanza e posizione elevata. Tutti questi elementi di eguaglianza scioccano i greci che li considerano segni di immoralità.

Ognuno degli ultimi tre re di Roma etruschi, deve il trono a una donna della medesima origine. I nomi personali delle donne etrusche indicano la loro posizione sociale e giuridica particolare, mentre una donna romana non ha nomi propri: è nota innanzitutto come figlia del padre e successivamente come moglie di suo marito. La successione da suocero a genero nella società romana è una modalità riconosciuta di eredità matrilineare, in cui la sovranità della regina passa da madre a figlia. Inoltre, apprendiamo dagli storici greci che gli etruschi e gli ateniesi preistorici hanno "mogli in comune" e "i loro figli non conoscevano i propri padri". In questo sistema la donna è libera di sposare l'uomo da lei scelto, o quanti ne vuole, e conserva il controllo dei figli senza considerazioni sulla paternità. Partendo da queste premesse George Thomson nella sua opera sulla società dell'antica Grecia formula l'ipotesi che nelle società preistoriche egee il matrimonio di gruppo si combini con la proprietà comune.


Europa occidentale e settentrionale

In Europa occidentale diverse isole culturali hanno continuato le antiche tradizioni neolitiche nel corso dei millenni, come vere e proprie roccaforti: i baschi nei Pirenei occidentali della Spagna settentrionale e nella Francia sud-occidentale, gli iberi nella Spagna sud-orientale e orientale e i pitti negli altopiani scozzesi. Anche i celti, i teutoni e i baltici hanno ereditato una grande quantità di aspetti dell'antica Europa nella loro struttura sociale.

La lingua basca è un relitto delle antiche lingue europee occidentali ed è non soltanto pre-latina, ma anche preindoeuropea. È la sola lingua indigena a sopravvivere alle invasioni e alle influenze culturali di almeno tremila anni. Il popolo basco ha dimostrato una grande abilità nell'integrare le influenze senza perdere la propria identità. Infatti, esso costituisce la grande eccezione a tutte le leggi della storia politica e culturale europea. Non vi è dubbio che i baschi vivano nello stile dell'antica Europa e le loro radici vanno cercate persino in tempi più antichi. I sostenitori che ne rintracciano le origini nel Paleolitico superiore sottolineano la persistenza di caratteristiche razziali di tipo Cro-Magnon e le durevoli tradizioni dei temi mitologici. La religione della Dea, l'uso del calendario lunare, le leggi sulla successione matrilineare e la gestione femminile del lavoro agricolo si perpetuano fino al Ventesimo secolo. L'alta posizione sociale attribuita alla donna basca dai codici giuridici, nonché il suo diritto di erede, giudice e arbitro nei tempi pre-romani, medievali e moderni sono stati ampiamente discussi per oltre un secolo. I codici della regione basca francese riflettono un sistema di leggi che governa la successione in cui vi è totale eguaglianza tra i sessi. Eccezioni a questa norma si trovano soltanto nella sparuta classe nobiliare di Labourd ed entro un certo limite tra alcune case non rurali di Soule. Nel sistema basco indigeno non si fa preferenza per il maschio rispetto alla femmina. Fino alla vigilia della Rivoluzione francese la donna basca era veramente la "Signora della Casa", custode dell'eredità e capo della dinastia. "Fra gli iberici", secondo Strabone nel Primo secolo a.C., "gli uomini portano doni alle donne. Da loro soltanto le figlie ereditano. I fratelli vengono dati in matrimonio dalle sorelle. In tutte le loro usanze la loro condizione sociale è quella della ginocrazia".

I pitti sono un altro gruppo dell'antica Europa circondato da parlanti indoeuropei che ha conservato le leggi matrilineari, la religione della Dea e i suoi simboli. Fra i pitti la trasmissione della proprietà è esclusivamente matrilineare, un bene passa ai figli della figlia in presenza di più fratelli di sesso sia maschile che femminile. Il sistema di parentela matrilineare dei pitti si è conservato fino all'842 d.C. Le donne non lasciavano la casa con il matrimonio, pratica sopravvissuta nelle Highlands scozzesi fino addirittura all'inizio del Ventesimo secolo.

I reperti archeologici hanno riportato alla luce le tombe incredibilmente ricche delle principesse celtiche dell'epoca Hallstatt e La Tène, databili fra il Settimo e il Quarto secolo a.C. (Francia meridionale e Renania). Esse alludono a tradizioni locali antecedenti, così come la conservazione del culto della Dea e della successione matrilineare in tutti i territori celtici. I primi storici lasciano osservazioni anche sulla ragguardevole posizione sociale delle donne galliche. Lo storico Diodoro Siculo, che scrive nel Primo secolo a.C., ci offre una descrizione delle donne galliche in cui afferma che esse "non soltanto erano simili ai loro uomini per statura, ma rivaleggiavano con loro anche in forza". Sappiamo inoltre che i britanni del Primo secolo d.C. avevano potenti regine. Una delle figure più sbalorditive descritte da Dione Cassio è Budicca, vedova di Prasutago, che resiste ai romani e sprona alla rivolta per recuperare la sua spettanza ereditaria: "Era enorme di costituzione, di aspetto terrificante... Una grande massa di chiari capelli rossi le arrivava fino alle ginocchia: indossava una grande torque (girocollo massiccio) attorcigliata e una tunica multicolore, su cui portava uno spesso mantello chiuso da una spilla".

Testimonianze di epoca successiva in Gran Bretagna e Irlanda sostengono la tesi che le donne galliche godessero di prestigio personale e disponessero del diritto di proprietà, nonostante il sistema giuridico patriarcale indoeuropeo. Dal racconto leggendario della fondazione di Marsiglia si capisce che le donne galliche possono scegliere il proprio sposo.

I racconti tradizionali irlandesi dimostrano che il matrimonio è essenzialmente matrilocale e la signora o moglie mantiene i propri privilegi. Nella letteratura dei celti britannici e irlandesi gli eroi sono rappresentati, come nelle antiche epopee greche, mentre lasciano le proprie case per andare alla ricerca di un'ereditiera in qualche tribù lontana dove possono contrarre matrimonio e condividere con la consorte il dominio delle sue proprietà. Le antiche leggi dell'Irlanda e del Galles rivelano un ruolo importante del fratello della madre che rappresenta la stirpe materna. Non c'è dubbio che la successione matrilineare è la regola dei popoli di lingua celtica da tempi immemorabili.

La sopravvivenza della matrilinearità dell'antica Europa è altrettanto bene attestata nelle regioni scandinave e tedesche. Il resoconto fattone da Tacito nella Germania nel Primo secolo a.C. afferma che "i figli di una sorella hanno la stessa posizione rispetto al loro zio e al loro padre". I ricercatori concordano che l'organizzazione sociale matrilineare germanica, ereditata dal substrato dell'antica Europa, è sopravvissuta fino al periodo storico. I cauci sono stati descritti come una libera società contadina che ha goduto fino al Primo secolo d.C. di un'equilibrata struttura sociale, riflessa da una situazione di eguaglianza rispetto al diritto di proprietà. Per millenni il rapporto con la madre è stato considerato di maggiore importanza di quello con il padre. Secondo le leggi dei turingi, se un uomo muore senza figli la sua proprietà passa a sua sorella o a sua madre, e lo stesso accade in Burgundia. Ci sono abbondanti testimonianze a conferma che la proprietà e i titoli nelle case reali si trasmettono attraverso linea femminile. Gli aspiranti al trono sassoni non ritengono di acquisire pienamente il proprio diritto finché non sposano la regina. Briffault offre un cospicuo numero di esempi nel suo saggio Le madri, tratti da varie tribù germaniche con successione matrilineare. È usanza comune che il regno sia ereditato sposando la regina o la principessa reale. Tra gli scandinavi il regno passa alle figlie e ai loro mariti addirittura fino all'Ottavo secolo d.C. Nei più antichi documenti nordici e germanici gli uomini sono spesso menzionati con il nome delle madri senza far riferimento al padre, come nelle tribù non indoeuropee dell'area egea.

L'uso della parola Geschwister per 'fratelli' [in tedesco schwester significa 'sorella', ndt], rivela l'importanza della prole femminile.

La cultura dei parlanti baltici, prussiani, lituani e lettoni nell'estremo oriente della costa baltica è una vera mescolanza di sistemi sociali e religioni dell'antica Europa e indoeuropei. Il patriarcato indoeuropeo si diluisce qui con elementi dell'antica Europa: matrilinearità, matrilocalità e matrifocalità. Il termine antico prussiano per nonna è ane (si confronti con l'antico irlandese anu o aria, 'vecchia strega' o 'guardiana dei morti'). Il ruolo importante del fratello della madre e della moglie, nonché le tracce di endogamia e di matrimonio in prova, sono ben documentati dal folklore lettone e lituano. Il pantheon matricentrico della Dea fra i baltici resiste a lungo, come tra i baschi. La cultura slava è ugualmente dotata di elementi matricentrici, con dee attinte dal folklore slavo e dall'arte popolare, così come accade nelle culture baltica e basca.

In conclusione, le fonti come Erodoto nel Quinto secolo a.C. e Strabone nel Primo secolo d.C. fanno riferimento a:

1) struttura matrilineare, linea ereditaria femminile, linea di successione al trono femminile (la carica di regina passa da madre a figlia);

2) endogamia, matrimonio locale e matrimonio di gruppo associato a proprietà comunitaria;

3) matronimia (nome ereditato dalla madre, padre non riconosciuto);

4) importanza del fratello della regina, assenza di marito (che svolge semplicemente il ruolo di consorte);

5) posizione sociale generalmente elevata delle donne, in particolare nelle società etrusca e minoica.


Conclusione

Sommando testimonianze archeologiche, storiche, linguistiche e religiose, visualizziamo una società dell'antica Europa strutturata intorno a una comunità teacratica con rituali collettivi e posizione privilegiata delle donne nella vita religiosa. È una società endogama guidata da un'anziana molto rispettata, la Grande Madre del clan, e da suo fratello o zio, con un consiglio di donne come organismo di governo. La sua struttura è matrilineare, con linea di successione ereditaria e politica al femminile.

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10. FINE DELL'ANTICA EUROPA: INVASIONE DEI PASTORI DELLA STEPPA DALLA RUSSIA MERIDIONALE E TRASFORMAZIONE DELL'EUROPA


La decadenza dell'antica Europa coincide con il processo di indoeuropeizzazione del continente, complicato processo di trasformazione che porta a un cambiamento culturale drastico paragonabile alla conquista del continente americano. Le testimonianze archeologiche, supportate dalla linguistica e dalla mitologia comparate indoeuropee, suggeriscono uno scontro di ideologie, strutture sociali ed economie diverse portato avanti da istituzioni psicologicamente destabilizzanti. I protoindoeuropei o antichi indoeuropei, da me ribattezzati Kurgan, sono arrivati da oriente, dalla Russia meridionale, a dorso di cavallo. Il loro primo contatto con i territori di frontiera dell'antica Europa nella bassa regione del Dnepr e ad occidente del mar Nero avviene intorno alla metà del Quinto millennio a.C.: da allora inizia un flusso costante di influenze e persone verso l'Europa centro-orientale durato per due millenni.

In seguito a questa collisione di culture l'antica Europa si trasforma e la preistoria più recente e la storia europee diventano una "torta marmorizzata" composta di elementi non indoeuropei e indoeuropei. Non si può trascurare la successiva sopravvivenza di un substrato non indoeuropeo a livello linguistico e mitologico. Per comprendere questa situazione complessa sarebbe opportuna una riflessione in termini di strutture sociali e simboliche delle culture.

In questo capitolo esaminerò la cultura Kurgan delle regioni del Volga uralico e del Ponto settentrionale nei suoi rapporti con l'antica Europa: il diffondersi della sua influenza, la sua infiltrazione e la distruzione della civiltà preesistente giunta al suo apice di maturazione. La testimonianza linguistica suggerisce che l'antica patria indoeuropea fosse localizzata fra le aree occupate dalle famiglie linguistiche ugro-finniche, semitiche e caucasiche. L'esame della questione supera i limiti della trattazione e secondo me non è affrontabile per insufficienza di fonti archeologiche adeguate. I documenti dell'interfluvio volga-uralico e dei territori oltre il mar Caspio antecedenti al Settimo millennio a.C. sono finora insufficienti per una ricostruzione etnografica. Testimonianze più corpose compaiono soltanto intorno al 5000 a.C. Possiamo iniziare a parlare di "popolo Kurgan" dopo la conquista della regione delle steppe a nord del mar Nero intorno al 4500 a.C.

La parola russa "kurgan" (di per sé un prestito dal turco) significa letteralmente 'tumulo' o 'altura, collina' e il binomio "tradizione Kurgan" è stato introdotto dall'autrice nel 1956 per designare in modo generale la cultura dei pastori seminomadi che costruivano tumuli sepolcrali a forma di collinetta arrotondata.

Nei corredi funerari dell'antica Europa non si trovano armi, a parte gli attrezzi per la caccia, fino al 4500-4300 a.C. e non vi sono tracce di fortificazioni in altura di insediamenti dell'antica Europa. I gentili agricoltori, quindi, sono facili prede per i cavalieri guerrafondai Kurgan che sciamano su di loro. Gli invasori sono dotati di armi adatte a colpire di punta e di taglio: lunghi coltelli-daga, lance, alabarde, archi e frecce.

La tradizione Kurgan rappresenta un netto contrasto con la civiltà dell'antica Europa che è fondamentalmente pacifica, sedentaria, matrifocale, matrilineare e rispettosa dei generi. I Kurgan hanno una cultura guerrafondaia, patriarcale e gerarchica con riti di sepoltura particolari che includono tombe a fossa con strutture simili a tende e capanne di legno o pietra, coperte da un basso tumulo o da una collinetta di terra. La loro economia è essenzialmente pastorale con un'agricoltura rudimentale e insediamenti stagionali e transitori con case semisotterranee.

La tradizione Kurgan compare nei territori dell'antica Europa nel corso di tre ondate di infiltrazione risalenti la prima al 4400-4300 a.C. circa, la seconda al 3500 a.C. e la terza subito dopo il 3000 a.C. Questa cronologia non rappresenta l'evoluzione di un singolo gruppo ma di un certo numero di diversi popoli della steppa che condividono una tradizione comune, estesa su ampi parametri temporali e spaziali. Il popolo Kurgan della prima ondata proviene della steppa del Volga, quello della seconda ondata, culturalmente più avanzato, si sviluppa nell'area del Ponto settentrionale tra il corso inferiore del Dniester e il Caucaso; e quello della terza ondata ha nuovamente origine dalla steppa del Volga.

Gli archeologi russi utilizzano il termine "Yamna antico" per Kurgan I; "cultura Michailovka I" o "Maikop" per Kurgan II e "Yamna recente" per Kurgan III (yamna viene da yama, 'fossa', cioè tomba a fossa sotto un tumulo).

La vivacità e il dinamismo del popolo Kurgan si deve al cavallo addomesticato, mentre per gli agricoltori dell'antica Europa questo animale è sconosciuto.

L'economia pastorale, basata sull'allevamento di mandrie animali di grande dimensione, sulla cavalcatura di cavalli e sulla necessità di forza lavoro maschile per controllare le bestie, ha senz'altro contribuito alla transizione dal matrismo a un patrismo caratterizzato da particolare indurimento psicologico che si è manifestato inizialmente nella Russia meridionale andando poi oltre, al massimo intorno al 5000 a.C. (la cronologia esatta del processo è finora impossibile da stabilire, tuttavia è sicuramente iniziato prima del 4000 a.C., data proposta per la transizione verso il patrismo e la violenza in Saharasia sotto la spinta di una grave desertificazione, si veda Demeo 1991).

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LA TRADIZIONE ECONOMICA E SOCIALE PROTOINDOEUROPEA

La cultura protoindoeuropea (PIE), ricostruita sulla base della linguistica e della mitologia indoeuropee comparate e confermata dalle prime testimonianze storiche, trova rispondenza con i dati archeologici.

In questo paragrafo accenno alle testimonianze linguistiche e mitologiche relative alla questione dell'identità fra tradizioni Kurgan e protoindoeuropee.

Le lingue, e anche le culture, si comportano come organismi viventi: mutano costantemente e vivono periodi di convergenza e divergenza. Anche se non possiamo spingerci più indietro del Neolitico ed Eneolitico del Volga nel Sesto e Quinto millennio a.C., possiamo ricostruire alcune caratteristiche di questa cultura basandoci su elementi linguistici e mitologici. Il periodo intorno al 5000-4500 a.C. è contrassegnato da mobilità e commercio in fase sempre più espansiva. Perciò propongo l'ipotesi di un consolidamento linguistico in corso in questo periodo, proprio prima dell'esplosione protoindoeuropea in Europa.

L'ipotetico linguaggio protoindoeuropeo non riflette condizioni pre-agricole. In base alla ricostruzione linguistica, animali domestici (compreso il cavallo), mobilità e società gerarchica patriarcale sono tra i fenomeni caratteristici della cultura protoindoeuropea. La cultura Kurgan del Quinto millennio a.C. nella steppa e silvosteppa del Volga e nel territorio a nord del mar Nero di più recente acquisizione concorda in gran parte con l'area protoindoeuropea ricostruita dalla linguistica.

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COLLISIONE DI DUE IDEOLOGIE

Il sistema di credenze dell'antica Europa e quello degli indoeuropei sono diametralmente opposti. La società indoeuropea è bellicosa, esogamica, patriarcale, patrilineare e patrilocale, con forte organizzazione clanica e società gerarchizzata, che dà preminenza alla classe guerriera. I loro dèi principali sono maschili e descritti come guerrieri. Non vi è possibilità che questo modello di organizzazione sociale possa essersi sviluppato a partire dalla società dell'antica Europa: matrilineare, matricentrica e con sistemi di controllo endogamici. Perciò la comparsa degli indoeuropei in Europa rappresenta una collisione tra due ideologie, non un'evoluzione.

La costruzione di templi, tradizione dell'antica Europa di vecchia data, si arresta con le incursioni Kurgan in Europa, a esclusione delle regioni egee e mediterranee. Scompaiono anche i parafernalia religiosi prodotti con grande maestria: splendidi vasi, recipienti sacrificali, modelli di tempio, altari, sculture e scrittura sacra. Non è noto nessun tempio direttamente associato al popolo Kurgan, sia nella steppa del Ponto che in quella del Volga, né nelle zone europee a influenza Kurgan durante e dopo le migrazioni. L'assenza di qualunque tempio e persino di rozzi altari è coerente con lo stile di vita dei pastori.


Nuovi simboli e divinità d'Europa

Il culto antico europeo della Dea è parzialmente interrotto dalla prima ondata Kurgan verso la fine del Quinto millennio a.C. A Dobruja e in quasi tutto il bacino del Danubio compaiono scettri a testa equina e vasi con motivi solari a impressione cordata, ma la religione dell'antica Europa continua a essere praticata nell'Egeo e nel Mediterraneo, nella cultura Cucuteni in Moldavia e Ucraina occidentale, nell'Europa centrale e nord-occidentale del bicchiere imbutiforme e in tutte le culture dell'Europa occidentale neolitica.

Nella seconda metà del Quarto millennio a.C. si verifica un nuovo cambiamento di simbolismo e immaginario mitici. Non soltanto compaiono i simboli del sole e del cavallo, ma anche immagini di divinità maschili con armi e animali.

La religione della Dea dell'ancora esistente popolazione dell'antica Europa viene soppressa. Un sistema simbolico completamente nuovo senza radici europee è uno degli argomenti più forti per la tesi della presenza di nuovi signori con proprie credenze in Europa centrale.

Le migliori testimonianze della nuova religione, tipizzata da divinità maschili, armi e simboli solari, sono le stele in pietra incisa della seconda metà del Quarto millennio a.C. nelle valli alpine, in Bulgaria e in Romania, con forti analogie a nord del mar Nero e nel Caucaso. Il loro simbolismo differisce in modo stridente da quello di statue-menhir che ritraggono Dee femminili con volto di civetta, prima che fossero mascolinizzate nell'età del Bronzo.

Le stele Kurgan raffigurano simboli solari e parafernalia maschili, tra cui pugnali, alabarde, asce, archi, faretre, frecce, cinture, pettorali, pendenti a doppia spirale; stalloni, cervi maschi e caproni; carri e gruppi di buoi che tirano aratri (figure 10-41 fino a 10-44).

Le stele sono fonte primaria per la ricostruzione dell'immaginario mitico e sono di grande valore per l'accurata rappresentazione di pugnali con elsa, alabarde e asce con immanicatura, archi, faretre, carri, cinture e pettorali: oggetti raramente conservati nelle tombe. Pendenti a doppia spirale, pettorali, pugnali di bronzo con lame triangolari, asce piatte e lame per alabarda in selce come appaiono sulle stele sono attestati nei depositi e nelle tombe della cultura Baden e Remedello (pianura Padana).

Le incisioni su stele rivelano molte cose della nuova ideologia. Infatti, esse costituiscono le fonti più ricche per lo studio del simbolismo indoeuropeo arcaico e delle immagini di divinità maschile. Questi simboli sono raggruppati in modo caratteristico, il che rende possibile uno studio interpretativo. La loro associazione coerente su stele rozzamente antropomorfiche non lascia nessun dubbio che armi, animali e simboli solari incisi siano reciprocamente connessi e che la loro concomitanza non sia casuale. Sono attestati i seguenti simboli: segni solari incisi nell'area della testa (cerchi, soli radianti e cerchi con gruppi di lunghi raggi); pettorale (semicerchio con linee multiple concentriche); pendente a doppia spirale, da solo o in coppia sul petto o sul simbolo solare; cerchio a ogni lato del sole radiante; pugnale con elsa - uno, due, cinque, sette pugnali o più - raffigurati nella parte centrale della stele; alabarda con manico, da sola o in più esemplari; ascia con manico, singola o multiple; [...]

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CONCLUSIONE

L'Europa centro-orientale nel periodo fra 4500 e 2500 a.C. è in uno stato di continua trasformazione, dovuto a ripetute incursioni Kurgan dalla zona delle steppe del Volga e del Ponto settentrionale.

Vi sono varie fasi importanti nel cambiamento delle configurazioni etniche.

1. Intorno al 4300 a.C. pastori a cavallo provenienti dalla Russia meridionale (prima ondata) con la loro invasione determinano lo shock iniziale che dà origine agli spostamenti della popolazione nel bacino danubiano. La fioritura dell'antica Europa viene interrotta e comincia l'ibridazione di due sistemi culturali completamente diversi. Più interessate dal rivolgimento sono le culture del litorale del mar Nero (Varna), Karanovo-Gumelnita, Vinča, Lengyel e ceramica lineare. La cultura Cucuteni sopravvive. In Europa occidentale, segni della cultura Kurgan (sepoltura singola sotto collinette rotonde) appaiono in Inghilterra e in Irlanda orientale prima del 3500 a.C.

2. Nella seconda metà del Quarto millennio a.C., forti influenze provenienti dalla regione pontica settentrionale e dal Caucaso settentrionale accelerano la trasformazione dell'Europa centrale.

La conversione di ciò che è ancora antica Europa in struttura sociale e ideologia indoeuropee ha notevole successo. L'Europa centrale viene ora governata da fortezze collinari e pugnali di metallo duro (lega rame-arsenico). È in corso la transizione dal sistema matricentrico e matrilineare al sistema patrilineare e patriarcale.

3. La massiccia terza ondata Kurgan, proveniente dalla regione inferiore del Volga dopo il 3000 a.C. e diretta all'Europa centro-orientale è causa di nuovi spostamenti etnici. La popolazione indoeuropeizzata dell'Europa centrale migra a nord-est verso il Baltico orientale e la Russia centrale, a nordovest verso la Scandinavia meridionale e a sud verso la Grecia (espansione della ceramica cordata e di Vučedol).

4. Il popolo guerrafondaio del bicchiere campaniforme (seconda metà del Terzo millennio a.C.), spostandosi a cavallo si diffonde in Europa occidentale, probabilmente originato da fusione dei resti del popolo Vučedol con i colonizzatori Yamna (dopo la terza ondata Kurgan) in Jugoslavia e Ungheria. La loro cultura originaria è chiamata Vinkovci-Samogyvár. Questa è la più grande e ultima emigrazione dall'Europa centro-orientale all'Europa occidentale, fino al Mediterraneo occidentale e alle Isole britanniche, prima della nascita di un periodo più stabile con la formazione delle unità culturali dell'età del Bronzo.

Nella seconda parte del Terzo millennio a.C. (fra 2500 e 2250 a.C. per la precisione), quasi tutte le zone dell'antica Europa sono ormai trasformate dal punto di vista economico e sociale. Il pastoralismo e il seminomadismo si sono affermati e la coltivazione è diminuita. Gli antichi modelli abitativi scompaiono, a eccezione dei territori e delle isole che non sono mai stati completamente indoeuropeizzati. La religione indoeuropea diventa ufficiale, ma la religione della Dea arriva fino al giorno d'oggi insieme a frammenti della cultura dell'antica Europa.

Le funzioni e le immagini delle divinità dell'antica Europa e quelle indoeuropee, le credenze in una vita dopo la morte e la serie completamente diversa di simboli dimostrano l'esistenza di due religioni e mitologie contrastanti. La loro collisione in Europa porta all'ibridazione di due strutture simboliche, fra cui prevale quella indoeuropea, mentre quella dell'antica Europa sopravvive come una corrente sotterranea. Senza il riconoscimento delle due diverse strutture simboliche, le ideologie dei popoli europei e la genesi e significato di simboli, credenze e miti non possono essere compresi.

Lo scontro fra queste due ideologie e strutture socio-economiche porta a drastica trasformazione dell'antica Europa. I cambiamenti si esprimono come transizione dall'ordine matrilineare a quello patrilineare, da teacrazia dotta a patriarcato militante, da società sessualmente equilibrata a gerarchia dominata dal maschio, e da religione della Dea ctonia a pantheon maschile indoeuropeo orientato verso il cielo.

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CRONOLOGIA


Profilo cronologico: eventi di maggiore rilevanza


7000-6500 a.C. Fasi iniziali di produzione del cibo associata a stile di vita sedentaria nei villaggi (zone costiere del mar Egeo e di Creta).

6500-5500 a.C. Neolitico maturo con ceramica nelle seguenti aree: mar Egeo, Balcani centro-orientali, mare Adriatico e Mediterraneo. Coltivazione di grano, orzo, veccia e piselli, e presenza di tutti gli animali da allevamento, a parte il cavallo. Compaiono villaggi di case rettangolari costruite con mattoni di fango e legno. In Europa sud-orientale vengono eretti i primi templi a due stanze.

5500-5000 a.C. Diffusione di un'economia di produzione del cibo dall'Europa centro-orientale all'Europa centrale. Inizi della metallurgia del rame in Jugoslavia, Romania e Bulgaria. Aumento delle dimensioni dei villaggi e affermazione delle culture Vinča, Tisza, Lengyel, Butmir, Dando e Karanovo, seguite da Hamangia, Petreşti e Cucuteni. Appare una "scrittura sacra" su oggetti cerimoniali per uso religioso.

5000-4300 a.C. Apice culturale in Europa centro-orientale e sud-orientale. Fioritura dell'arte ceramica, della lavorazione del rame e dell'oro e dell'architettura (compresi i templi in edifici a due piani). Compaiono le tombe megalitiche in Europa occidentale e i primi agricoltori nelle isole britanniche e nel Nord-Europa.

4300-3500 a.C. Prima ondata di pastori patriarcali della steppa, che danno inizio alla disintegrazione delle culture Varna, Karanovo, Vinča, Petreşti, Lengyel, Tisza, Butmir e Danilo-Hvar. Indo-europeizzazione iniziale (kurganizzazione) del bacino del Danubio: cambiamenti vistosi nei modelli abitativi, nella struttura sociale, nell'economia e nella religione. Regressione dell'arte dell'antica Europa: scompaiono statuette, ceramica policroma e architettura sacra. Le culture europee mediterranee, occidentali e settentrionali continuano le tradizioni dell'antica Europa.

3500-3000 a.C. Il processo di indoeuropeizzazione dell'Europa centrale avanza. Nuove influenze Kurgan provenienti dal nord del mar Nero. Fine della cultura Cucuteni. Formazione delle culture Baden-Ezero e dell'anfora globulare nell'Europa centrale con elementi indigeni e Kurgan. La cultura dell'antica Europa continua nell'Europa mediterranea e occidentale. Questo è il periodo dei templi maltesi, l'epoca delle tombe megalitiche dalla penisola iberica alla Scandinavia, degli straordinari tumuli con strutture megalitiche in Irlanda (Newgrange, Knowth) e dei cerchi di pietra monumentali in Inghilterra.

3000-2500 a.C. L'ondata Kurgan (Yamna recente) dalla Russia meridionale all'Europa centro-orientale determina ulteriore inquietudine: la popolazione della ceramica cordata (che succede all'anfora globulare) si diffonde dall'Europa centrale all'Europa nord-occidentale, Baltico orientale e Russia centrale.

La popolazione Vučedol si sposta dalla Jugoslavia nord-occidentale lungo la costa adriatica verso la Grecia nord-occidentale e la popolazione del vaso campaniforme (probabile fusione delle culture Vučedol e Yamna) si diffonde nel periodo 2500-2200 a.C. dall'Europa centro-orientale fino alla penisola iberica e alle isole britanniche.


Note sulla cronologia

La datazione al radiocarbonio, adottata negli anni Cinquanta, ha rivoluzionato i concetti di cronologia più antichi e ha esteso l'orizzonte temporale dell'età Neolitica e del Rame di oltre tremila anni. Questo moderno metodo di datazione è stato ulteriormente affinato confrontando il contenuto radioattivo del carbone o di altri campioni organici ritrovati nei siti preistorici con la dendrocronologia, metodo di ricerca messo a punto con ricerche sui pini dai coni setolosi (Balfourianae) della California.

Secondo questa calibrazione le attuali datazioni del Neolitico e dell'età del Rame sono approssimativamente più antiche di 500-1.000 anni rispetto a quelle indicate dal solo radiocarbonio. Attualmente, la datazione archeologica si basa su tecniche combinate di datazione al radiocarbonio e dendrocronologia.

In questo studio le datazioni al radiocarbonio sono presentate come B.P. (Before Present), basate sulla emivita convenzionale del carbonio radioattivo, che è di 5568 anni; come a.c. con sottrazione di 1950 anni, data convenzionale per l'adozione del metodo di datazione al radiocarbonio (a.c. è minuscolo perché non indica un'età effettiva); e come A.C. (data vera approssimata). Nelle tabelle in cui sono riportate le "distribuzioni di probabilità dell'età calibrata A.C.", si suppone che queste siano le datazioni effettive con un'approssimazione variabile nell'arco di un secolo o più. In nessun caso possono essere considerate date calendariali fisse. In questo testo tutte le datazioni archeologiche non diversamente designate si suppone siano A.C.

I gruppi di date al radiocarbonio 14 sono elaborati graficamente e seguono relative tabelle.

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