Copertina
Autore Marija Gimbutas
Titolo La civiltà della dea
SottotitoloVolume 1
EdizioneNuovi Equilibri, Viterbo, 2012 , pag. 280, ill., cop.fle., dim. 22,3x26,5x2 cm , Isbn 978-88-6222-168-9
OriginaleThe Civilization of the Goddess: The World of Old Europe [1991]
CuratoreMariagrazia Pelaia
TraduttoreMariagrazia Pelaia
LettoreRossana Rosso, 2012
Classe storia antica , storia: Europa , archeologia , storiografia , miti , inizio-fine
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Indice


    PREFAZIONE: COS'È LA CIVILTÀ?                     7


1   ORIGINI E DIFFUSIONE DELL'AGRICOLTURA            13

2   CULTURE NEOLITICHE DELL'EUROPA
    CENTRALE E SUD-ORIENTALE                         23

3   CIVILTÀ DELL'ANTICA EUROPA AL SUO APICE:
    EUROPA CENTRO-ORIENTALE 5500-3500 a.C.           63

    TAVOLE                                          129

4   LE CULTURE NEOLITICHE DELL'EUROPA
    SETTENTRIONALE                                  145

5   LE CULTURE NEOLITICHE DELL'ADRIATICO
    E DEL MEDITERRANEO CENTRALE                     175

6   IL NEOLITICO DELL'EUROPA OCCIDENTALE            203


    NOTE                                            245
    GLOSSARIO DELLE CULTURE E DEI SITI PRINCIPALI   254
    GLOSSARIO DEI TERMINI TECNICI                   267
    CRONOLOGIA                                      271
    FONTI ICONOGRAFICHE                             272

    NOTA ALL'EDIZIONE ITALIANA
    DI MARIAGRAZIA PELAIA                           275


 

 

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PREFAZIONE

COS'È LA CIVILTÀ?


Con questa opera intendo riportare alla nostra coscienza aspetti della preistoria europea rimasti nell'ombra o semplicemente non abbastanza metabolizzati a livello paneuropeo.

L'acquisizione di tale materiale potrebbe finalmente modificare la nostra visione del passato, nonché la nostra percezione delle potenzialità del presente e del futuro.

La memoria collettiva umana va rimessa a fuoco. Questa necessità diventa sempre più impellente mentre prendiamo pian piano coscienza del fatto che il cammino del "progresso" sta soffocando le condizioni stesse di vita sulla Terra.

Il libro esamina i costumi, la religione e la struttura sociale dei popoli che hanno abitato l'Europa dal Settimo al Terzo millennio a.C., per i quali ho coniato la definizione di antica Europa in riferimento al Neolitico europeo, cioè la fase storica che precede l'arrivo degli indoeuropei. In quel periodo i nostri antenati hanno fondato comunità agricole stanziali, vissuto una importante esplosione demografica ed elaborato un'espressione artistica multiforme e sofisticata nonché un complesso sistema simbolico incentrato intorno al culto della Dea nei suoi vari aspetti.

Nell'area egea, nei Balcani e nell'Europa centro-orientale troviamo la corposa testimonianza di una cultura in rapido sviluppo che ebbe inizio nella metà del Settimo millennio a.C., oggi nota come Neolitico. Una seconda area geografica di centrale importanza per questa cultura è costituita dal mondo mediterraneo, nella cui zona costiera occidentale la transizione dalla caccia alla raccolta di piante edibili e poi all'agricoltura si è compiuta lungo l'arco dell'intero Settimo millennio a.C. Nella parte occidentale del Continente il passaggio dalla raccolta alla coltivazione ha avuto luogo soltanto all'inizio del Quinto millennio.

La prima metà della trattazione esamina caratteri, distribuzione e cronologie dei gruppi culturali che si sono succeduti nel periodo 6500-3500 a.C. (in Europa occidentale e settentrionale anche un po' oltre il 3500 a.C.). I gruppi regionali rivelano una sorprendente varietà di stile, inventiva e immaginazione nelle arti e nell'architettura. I successivi capitoli trattano la religione, la scrittura e la struttura sociale. L'ultimo capitolo si concentra sul declino di queste culture e sulle invasioni di popolazioni estranee dotate di un sistema ideologico, sociale ed economico completamente diverso che hanno gradualmente modificato il volto dell'antica Europa e il suo mondo. Questi eventi non soltanto spiegano la disintegrazione della civiltà dell'antica Europa, ma mettono a fuoco la transizione verso le società belligeranti patriarcali. Come confermato da ricerche interdisciplinari (in cui convergono dati archeologici, linguistica, mitologia e primi documenti storici) questa transizione coincide con l'indoeuropeizzazione del continente europeo.

L'uso del termine civiltà richiede un approfondimento. Secondo le ipotesi degli archeologi e degli storici la civiltà implica un'organizzazione politica e religiosa di tipo gerarchico, un'economia bellica, una stratificazione sociale e una divisione complessa del lavoro.

Questo modello è infatti tipico delle società androcratiche (dominate dall'uomo) come quella indoeuropea, ma non si applica alle culture ginocentriche (centrate intorno alla donna e alla madre) descritte in questo libro. La civiltà fiorita nell'antica Europa fra il 6500 a.C. e il 3500 a.C., e a Creta fino al 1450 a.C., ha goduto di un lungo periodo pacifico senza interruzioni, dimostrando di poter garantire una qualità della vita superiore a molte società androcratiche e classiste.

Io contesto la tesi che la civiltà si associ esclusivamente a società guerriere androcratiche.

Il principio su cui si fonda ogni civiltà si trova al livello della sua creatività artistica, nei suoi progressi estetici, nella produzione di valori non materiali e nella garanzia della libertà individuale che rendono significativa e piacevole la vita di tutti i cittadini, nel quadro di un equilibrio di potere equamente ripartito tra i sessi. Il Neolitico europeo non è stato un tempo "prima della civiltà" (per riecheggiare il titolo di un'opera sull'età del rame e sul Neolitico di cui è autore Colin Renfrew: Before Civilization, Cambridge University Press 1973 [edizione italiana: L'Europa della preistoria, Laterza 1996, ndt]). È stato invece una vera e propria civiltà nella migliore accezione del termine. Nel Quinto millennio a.C. e al principio del Quarto, poco prima della fine di questa civiltà nell'Europa centro-orientale, gli antichi europei vantavano città con notevoli concentrazioni demografiche, templi alti diversi piani, una scrittura sacra, case spaziose di quattro o cinque stanze, ceramisti professionali, tessitori, metallurgisti specializzati nella lavorazione dell'oro e del rame e artigiani che producevano un'ampia gamma di beni sofisticati. Esisteva una rete fiorente di vie commerciali su cui transitavano merci come ossidiana, conchiglie, marmo, rame e sale percorrendo migliaia di chilometri.

Tutto questo non è spuntato fuori ex nihilo. A due passi da qui, nella città di Çatal Hüyük in Anatolia, sorgeva una moltitudine di templi decorati con dipinti murari di straordinaria varietà e raffinatezza che precedono di un migliaio di anni l'architettura, la pittura parietale, la scultura e la raffinata arte ceramica apparsi poi in Europa. Prima di Çatal Hüyük ci sono stati tre millenni di transizione evolutiva verso l'agricoltura e una civiltà con uno stile di vita di tipo stanziale. L'ampia varietà del simbolismo religioso fiorito in Anatolia centrale e nell'antica Europa è parte integrante di un'evoluzione ininterrotta avviata ai tempi del Paleolitico superiore.

Considerare l'economia di guerra un fattore connaturato alla condizione umana è un'ipotesi priva di fondamento. La belligeranza diffusa e la costruzione di siti fortificati sono state effettivamente il pane quotidiano della maggioranza dei nostri antenati diretti a partire dall'età del Bronzo fino ai giorni nostri. Tuttavia, nel Paleolitico e nel Neolitico la situazione era ben diversa. Non esistono rappresentazioni di armi (usate contro gli esseri umani) nei dipinti delle caverne paleolitiche, né vi sono resti di strumenti bellici usati dagli uomini per colpire loro simili nel Neolitico dell'antica Europa. Dei circa centocinquanta dipinti sopravvissuti a Çatal Hüyük non ve n'è uno che rappresenti una scena di conflitto o di lotta, né di guerra o di tortura.

I siti dei villaggi dell'antica Europa non si distinguono per posizione difensiva, ma sono scelti per adeguata collocazione, disponibilità idrica, qualità del terreno e possibilità di pascolo per gli animali. Gli arroccamenti in altura in luoghi inaccessibili sono sconosciuti all'antica Europa, così come pugnali, lance e alabarde. I villaggi neolitici sono talvolta circondati da fossi, ma raramente da palizzate o mura di contenimento in pietra. Bastioni in muratura e altre strutture difensive appaiono soltanto nei siti del tardo Neolitico e dell'età del rame, quando si prendono misure per proteggere i villaggi dalle intrusioni di nuove genti. Questi cambiamenti si manifestano nell'Europa centrale soltanto verso la fine del Quinto e l'inizio del Quarto millennio a.C.

Anche il ruolo centrale della religione è significativo in tale contesto. Le precedenti opere sull'Europa neolitica privilegiano argomenti come l'habitat, l'utensileria, la ceramica, il commercio e i problemi ambientali, considerando la spiritualità "irrilevante". Si tratta di un'omissione incomprensibile poiché la vita secolare e sacra in quell'epoca erano una sola cosa inscindibile. Ignorando gli aspetti religiosi perdiamo di vista la totalità di questa cultura. Gli archeologi non potranno restare per sempre scienziati legati al dato quantitativo, trascurando l'approccio multidisciplinare. La collaborazione di varie discipline - archeologia, mitologia, linguistica e storiografia - offre la possibilità di calarsi sia nella realtà spirituale che in quella materiale delle culture preistoriche. Infatti struttura sociale e religiosa in età neolitica si intrecciano, essendo una riflesso dell'altra.

L'archeologia dell'ultima metà del nostro secolo [l'autrice si riferisce qui e nel seguito dell'opera al XX secolo, ndt] è afflitta da estremismi. "È necessario un cocktail equilibrato", ricorda James Mellaart, "che associ il meglio di entrambe le scuole (ovvero, quella che promuove scavi alla ricerca di 'detriti' e quella che promuove scavi per trovare 'templi'), evitando di alimentare una rivalità settaria fra approcci all'archeologia polarizzati da 'arte' e 'scienza'.

La divinità primordiale dei nostri antenati paleolitici e neolitici era femminile, riflettendo il primato della madre. Infatti non abbiamo trovato immagini di un Dio padre in nessun documento preistorico. I simboli e le immagini paleolitiche e neolitiche si raggruppano intorno a una Dea che genera se stessa e alle sue funzioni basilari di Datrice-di-vita, Datrice-di-morte e Rigeneratrice. Questo sistema simbolico rappresenta un tempo ciclico, mitico e non lineare.

La religione della Dea esprime un ordine sociale matristico, matrilineare ed endogamico che ha prevalso per gran parte della primitiva storia umana. Non si tratta necessariamente di un "matriarcato", che erroneamente evoca un "potere" delle donne come immagine specchio dell'androcrazia. La tradizione matrifocale ha continuato a tramandarsi in tutte le primitive società agricole europee, in Medio Oriente e nella Creta minoica. L'accento in queste culture è posto sulle tecnologie che sostengono le vite delle persone, ponendosi a netta distanza dalla predilezione androcratica per il dominio.

La struttura sociale dell'antica Europa è in diretto contrasto con il sistema indoeuropeo che l'ha sostituita. Come testimoniano i documenti archeologici, storici, linguistici e religiosi, la società dell'antica Europa è una comunità organizzata intorno a un tempio teacratico, guidato da una regina-sacerdotessa insieme a suo fratello o suo zio e un concilio di donne (organo governativo). Nonostante la posizione privilegiata delle donne nella vita religiosa, le testimonianze delle necropoli in tutto il Quinto millennio a.C. e gran parte del Quarto non rivelano squilibri di trattamento nei confronti dei due sessi o una sottomissione di un sesso all'altro. Suggeriscono invece una condizione di rispetto reciproco. I principali oggetti funerari per entrambi i sessi sono simboli dei sacri cicli di rigenerazione, sebbene il corredo funebre onori anche distinzioni personali nelle arti, nell'artigianato e in altre professioni.

La società dell'antica Europa è priva di una struttura centralizzata con una chiefdom di tipo indoeuropeo. Tuttavia, non è semplicemente composta da società frammentate di piccola scala per tutta la millenaria durata dell'età neolitica e calcolitica. La società dell'antica Europa si è evoluta a partire da piccole comunità costituite da villaggi agricoli nella prima fase del Neolitico fino a strutture composite di ampio respiro impostate su nuclei sociali nel Quinto millennio a.C. I siti europei centro-orientali sono molto più grandi dei tell protourbani del Vicino Oriente. La tarda cultura Cucuteni, ca. 4000-3500 a.C., raggiunge uno stadio urbano con città fino a 10.000 abitanti poste al centro di regioni circondate da villaggi di piccola e media ampiezza.

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1. ORIGINI E DIFFUSIONE DELL'AGRICOLTURA


Il ritiro dei ghiacci dopo l'ultima glaciazione ha consentito l'intiepidimento del clima terrestre stimolando una proliferazione della vita selvatica vegetale e animale e a livello umano un boom demografico mondiale. Il passaggio dalla caccia e dalla raccolta a insediamenti permanenti grazie alla domesticazione di piante e animali è stato un'evoluzione graduale che ha avuto luogo fra il 9000 e il 6500 a.C. Le condizioni climatiche più miti del periodo boreale nel corso dell'Ottavo millennio a.C. oltre a determinare un incredibile aumento del livello del mare hanno esercitato una forte influenza sulle risorse vegetali e alimentari adatte a esseri umani e animali. Nelle regioni costiere e lungo i laghi sulla terraferma si sono formate paludi e torbiere che hanno preparato un habitat favorevole per pesci, molluschi, crostacei e uccelli acquatici. La concentrazione delle fonti alimentari insieme alla diffusione di foreste di quercia cedua hanno spinto gli esseri umani verso uno stile di vita più stabile. Nel bacino mediterraneo si è avviata la coltivazione di legumi e frutta.

Animali e cereali vengono addomesticati tutti nello stesso momento e nella stessa regione. Il cane era già stato addomesticato dal lupo nell'Europa centrale dalla cultura magdaleniana (Paleolitico superiore). Le pecore sono state addomesticate sulle pendici collinari dei monti Zagros (Iran, Iraq) e dei monti Taurus (Turchia) prima del 7000 a.C., mentre in precedenza venivano cacciate come animali selvatici. Fra il 7500 e il 6500 a.C. in Anatolia è stata la volta di bovini e suini, la cui domesticazione continua localmente in Europa dal 6500 al 5500 a.C. Il cavallo domestico è sconosciuto nel Vicino Oriente e nell'Europa centro-orientale fino alla fine del Quinto millennio a.C.

L'agricoltura primitiva si basa su tre specie di cereali - grano (Triticum monococcum), farro (Triticum dicoccum) e orzo distico nudo (Hordeum vulgare ssp. Distichum) - domesticate nell'Ottavo e Settimo millennio in insediamenti localizzati fra Europa sud-orientale e Afghanistan. Fino al giorno d'oggi il triticum selvatico (sia grano che farro) cresce spontaneamente tra Grecia e Afghanistan e l'orzo selvatico tra il bacino Egeo e il Belucistan.

Anche la vita stanziale nei villaggi è il prodotto di un'evoluzione graduale. Gli antenati degli agricoltori con sede fissa sono stati raccoglitori di cibo semisedentari per diversi millenni prima che l'agricoltura si sviluppasse, costituendo un link di transizione fra Paleolitico superiore e Neolitico.

I natufiani sono esseri umani biologicamente moderni, simili agli attuali mediterranei, che raccoglievano e immagazzinavano abbondanti raccolti di grano e orzo selvatici. Nei loro siti si trovano innumerevoli mortai e pietre per macinare cereali e semi, insieme a molte lame di falcetto dentato prodotte con la selce. Vi sono anche oggetti in osso: punteruoli, aghi, spatole, arnesi da mietitura, ami da pesca e arpioni - attrezzi che nei millenni a venire avrebbero connotato i tipici corredi neolitici. Le loro sculture d'osso con forme animali rappresentano un anello di continuità con le tradizioni del Paleolitico superiore, mentre le conchiglie di dentalium utilizzate come perline, importate dal Mediterraneo e dal Mar Rosso, segnalano la loro capacità di comunicare per via marittima con aree molto distanti. I natufiani cacciavano la gazzella, il cervo e il cinghiale; allevavano soltanto il cane e nessun altro animale domestico.

Verso l'8000 a.C. si completa la domesticazione dei cereali nel Mediterraneo orientale e la cultura natufiana viene sostituita in Anatolia e nel Mediterraneo orientale dal Neolitico pre-ceramico (una cultura che produce il cibo ma si distingue per l'assenza di ceramica). Intorno al 7000-6500 a.C. il Vicino Oriente e l'Europa sud-orientale condividono un sistema agricolo completo in cui tutte le comunità sono dipendenti da una grande varietà di cereali, legumi (piselli e lenticchie), pecore, capre, maiali e bovini. La ceramica viene scoperta in questo periodo. Poiché in teoria è indistruttibile, la ceramica costituisce il reperto più abbondantemente attestato del Neolitico.

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LA DIFFUSIONE DELL'AGRICOLTURA IN EUROPA

Le teorie esistenti


La "rivoluzione agricola"

L'ipotesi che dal Vicino Oriente sia stato importato un sistema agricolo già maturo non è più accettabile. Ai tempi di V. Gordon Childe era di moda considerare l'introduzione dell'agricoltura una "rivoluzione", ma la neoliticizzazione dell'Europa viene ora considerata un processo molto più complesso, lungo e non uniforme, con variazioni dovute a condizioni geografiche e naturali.


Un modello biologico di diffusione

Anche un'altra ipotesi è diventata particolarmente obsoleta dopo una ricerca intensiva negli strati mesolitici e in quelli della prima fase del Neolitico nella zona mediterranea occidentale. Nel 1936 il genetista R.A. Fischer ha proposto un modello biologico di diffusione che è stato sostenuto da un libro di A.J. Ammerman e L.L. Cavalli-Sforza intitolato La transizione neolitica e la genetica di popolazioni in Europa (Torino, Boringhieri, 1986 [1984]). La tesi di questi studiosi cerca di spiegare l'introduzione dell'agricoltura come processo diffusionista favorito dalla crescita della popolazione e dai movimenti migratori. Questo modello ipotizza che non sia l'idea di agricoltura a spostarsi, bensì gli stessi agricoltori. Gli autori affermano che se un aumento della popolazione coincide con un'attività migratoria locale, il risultato sarà un'onda di esplosione demografica che procede a una velocità radiale costante matematicamente misurabile. La distanza dell'attività migratoria viene considerata di 18 km per ogni generazione di 25 anni o di un chilometro all'anno. Sebbene questo metodo sia teoricamente impeccabile, specialmente quando gli aumenti demografici vengono associati a movimenti migratori, esso non può essere applicato a tutte le parti d'Europa. Dobbiamo invece basare le nostre congetture su dati archeologici certi associati alla datazione al radiocarbonio.


La trasformazione dei raccoglitori in agricoltori e la diffusione della migrazione contadina

Le prime tracce di una transizione da un'economia di caccia-raccolta a un'economia di produzione del cibo in Europa si trovano nell'area mediterranea. Il processo di neoliticizzazione è avvenuto in due modi: attraverso la conversione dei raccoglitori di piante edibili locali in agricoltori nella regione mediterranea centrale e occidentale; e attraverso la diffusione dell'agricoltura con la migrazione contadina da sud-est a nord-ovest nell'Europa centrale e sud-orientale, in conseguenza della quale si è avuta una conversione delle popolazioni locali.


Area mediterranea centrale e occidentale

Adozione graduale dei metodi di domesticazione vegetale da parte delle popolazioni mesolitiche nella Francia meridionale e in Spagna

A lungo si è creduto che il Neolitico in quest'area cominciasse con la diffusione della ceramica cardiale o impressa (vasi impressi con il bordo della conchiglia del Cardium edulis, che emergono con frequenza dagli scavi nell'area del Mediterraneo centrale e occidentale) proveniente dal Mediterraneo orientale. Negli anni Ottanta si è infine accertato che la neoliticizzazione delle regioni costiere del Mediterraneo occidentale è avvenuta con graduale adozione della domesticazione da parte della locale cultura mesolitica castelnoviana nella Spagna orientale e nella Francia meridionale. Inoltre, la coltivazione di legumi e verdure era già iniziata nella Francia meridionale circa 10.000 anni fa. L'uso di verdure fra cui valerianella, lenticchie, piselli, veccia capogirlo, cicerchia e ceci è attestato in vari siti mesolitici in Provenza e Linguadoca. La presenza di pecore e capre e l'uso di legumi e verdure, nonché la continuità di tecnologie dal Paleolitico superiore non evidenziano grandi differenze fra cacciatori-raccoglitori e primi agricoltori. Gli scavi stratigrafici in caverne e ripari rocciosi con l'ausilio della datazione al radiocarbonio hanno dimostrato nella Spagna costiera orientale e nella Francia meridionale che il processo ha avuto luogo nel Settimo millennio a.C. (per approfondimento si veda il Capitolo 6). Molti fattori hanno svolto un ruolo nel processo: il miglioramento del clima, la maggiore sedentarietà dei pescatori e dei raccoglitori di molluschi e l'ambiente naturale.

Il materiale rinvenuto nella penisola iberica e in Francia ha dimostrato che la domesticazione di animali è iniziata notevolmente prima della coltivazione dei cereali e dell'uso della ceramica.

Pecore e persino bovini e maiali compaiono negli strati del periodo preceramico all'inizio del Settimo millennio a.C. e forse anche prima.

Ceramica e cereali sono sicuramente attestati negli strati datati fra 6500 e 6000 a.C. I complessi litici in questi strati mesolitici, o più precisamente preneolitici, segnalano una continuità graduale senza interruzioni. Quindi, il totale dei dati raccolti suggerisce che il Neolitico mediterraneo occidentale è il risultato di un'evoluzione avvenuta per mezzo di meccanismi culturali autoctoni.

Anche se lo sviluppo culturale graduale non può essere contestato, non si possono negare influenze orientali. Le pecore e le capre addomesticate ritrovate negli strati mesolitici non hanno diretti predecessori locali. Le pecore rimandano al muflone del Vicino Oriente e le capre non derivano dalla locale Capra ibex o Capra pirenaica, ma dalla Capra aegagrus del Vicino Oriente. Quindi gli archeologi restano a questo proposito nel regno delle ipotesi. Spetta a future ricerche stabilire quando e come queste specie siano arrivate. Un'ipotesi è che i caprovini siano arrivati attraverso le regioni costiere centromediterranee e non direttamente dal Vicino Oriente. È noto che navigatori che trasportavano le prime ceramiche e i caprovini dall'area egea hanno raggiunto le isole a occidente della Grecia (esempio, l'isola di Corfù, si veda il Capitolo 5). Nella zona mediterranea occidentale i caprovini non hanno mai acquisito la grande importanza economica che avevano nel Vicino Oriente, nell'Egeo e in tutto il Neolitico europeo sud-orientale.


L'adozione graduale dell'agricoltura nel Mediterraneo circumadriatico e centrale

I raccoglitori del Mesolitico e del Paleolitico superiore della regione circumadriatica si distinguono per industrie litiche che non segnalano interruzioni di continuità della tradizione fino all'inizio del Neolitico ceramico impresso. L'importazione dell'agricoltura dal Vicino Oriente e persino dall'area egea è quindi abbastanza improbabile. La Corsica e la Sardegna sono state abitate da gruppi neolitici al più tardi a partire dall'Ottavo millennio a.C. (le più antiche datazioni al radiocarbonio della Corsica provengono da Strette, 9149 B.P. [ Before Present - cioè prima del 1950, ndT], e da Araguina Sennola presso Bonifacio, 8650 B.P.]). Qui la cultura neolitica con ceramica viene datata alla fine del Settimo millennio a.C. A poco tempo dopo risale la scoperta dell'ossidiana sarda, che verrà ampiamente commerciata diventando un vero elemento catalizzatore per la comunicazione fra regioni mediterranee occidentali e regioni adriatiche (si veda il Capitolo 5).


Europa sud-orientale

L'economia di produzione del cibo si insedia nel bacino dell'Egeo prima della metà del Settimo millennio a.C. Non sappiamo ancora fino a che punto l'economia neolitica sia stata diffusa da nuovi arrivati o se queste idee sono arrivate dall'Anatolia nel corso di varie generazioni senza migrazioni di ampia dimensione. Le popolazioni mesolitiche sono state assorbite da nuovi popoli? Il materiale documentario testimonia che tutti questi fattori possono aver contribuito in qualche misura. È generalmente vero che in quest'epoca gli animali d'allevamento più diffusi, pecore e capre, erano già completamente addomesticati nei siti neolitici dell'Europa sud-orientale. La percentuale estremamente alta di animali addomesticati rispetto alla fauna selvatica nei primi siti neolitici a noi noti sembra indicare un'iniziale invasione extraeuropea, sia di bestiame che di popolazioni.

Sfortunatamente l'epoca che precede il Neolitico è scarsamente attestata nelle testimonianze archeologiche. Il riscaldamento climatico associato al periodo post-glaciale ha prodotto un aumento del livello del mare che potrebbe aver sommerso molti siti mesolitici nelle isole e nella zona costiera dell'area egea. Strati con abitazioni mesolitiche e neolitiche sono stati rinvenuti soltanto a Franchthi, una caverna nella regione argolide del Peloponneso, sebbene anche qui non sia chiara una continuità culturale. Il materiale osseo trovato nella caverna propone due possibilità: la popolazione primitiva potrebbe discendere dal ceppo mesolitico oppure essere di origine orientale.


Tipo fisico eterogeneo

Il materiale fisico-antropologico rinvenuto più a nord, nel sito di Nea Nikomedeia nella Macedonia greca, è tassonomicamente eterogeneo. Secondo Angel erano presenti tipi diversi: dinarico-mediterraneo e cosiddetto tipo bianco base con caratteristiche Cro-Magnon. Questa variabilità viene spiegata come un graduale mescolamento delle popolazioni agricole con i cacciatori-raccoglitori nel corso dei secoli. Il tipo fisico eterogeneo è attestato anche nella cultura Starcevo nei Balcani centrali e settentrionali (vedi Capitolo 2).

Nella regione danubiana della Porta di Ferro la continuità culturale si evidenzia dal Paleolitico superiore e attraverso tutto il Mesolitico, come dimostrano una stabile popolazione locale (Cro-Magnon), le industrie litiche, la religione e l'arte. Si tratta della cosiddetta "cultura mesolitica ed epigravettiana balcano-danubiana" o "cultura di Lepenski Vir" (il sito è uno dei quattordici riportati alla luce, famoso per i suoi sacrari e sculture a cui torneremo nei Capitoli 2 e 7).

L'economia di produzione del cibo appare qui soltanto con l'arrivo della popolazione neolitica centro-balcanica (Starčevo) intorno al 6000 a.C. I robusti Cro-Magnon in questa regione sono stati o sostituiti dai gracili mediterranei provenienti da sud o progressivamente assorbiti dai nuovi arrivati.


Navigazione e commercio: elementi catalizzatori decisivi per la nascita della cultura

Le arti marinare, il commercio e il baratto, propizi ai contatti umani, sembra siano stati importanti elementi catalizzatori per l'inaspettata nascita della cultura neolitica. A partire dall'Ottavo millennio a.C., quindi già prima del Neolitico, si trovano tracce del commercio di selce e ossidiana.

Con l'instaurarsi di un'economia basata sulla produzione del cibo, la continua crescita di comunicazioni si deduce dall'importazione di ossidiana, marmo, pietre colorate e conchiglie di spondilo. L'ossidiana - un vetro vulcanico che si forma da lava ricca di silice - era l'ideale per le lame delle falci e altri attrezzi da taglio. Era quindi molto richiesta e viene ritrovata a centinaia di chilometri dalle aree di estrazione originaria. La fonte principale di ossidiana per l'area egea e per tutta la Grecia era l'isola di Melos nell'Egeo meridionale. I luoghi di approvvigionamento per l'area mediterranea centrale, la regione circumadriatica e la Jugoslavia interna occidentale erano la Sardegna (Monte Arci) e il vulcano Lipari a nord della Sicilia, mentre per il bacino carpatico e i bassopiani danubiani erano i Carpazi, sul versante ungherese nord-orientale al confine con la Romania nord-occidentale. Il marmo - usato per ciotole, piatti, ornamenti e statuette - era disponibile in vari siti, ma le isole di Paros e Skyros nell'Egeo meridionale e settentrionale potrebbero essere state le maggiori fornitrici, poiché i siti neolitici sono stati trovati in quelle zone. Le conchiglie di spondilo erano richieste per la manifattura di collane, pendenti e braccialetti. Sono diffuse in grandi quantità dal mare Egeo fino alla Bulgaria e alla Romania a nord e poi lungo il Danubio fino all'Europa centrale. Le conchiglie dell'Adriatico si sono propagate nella Jugoslavia occidentale e nell'Italia meridionale.


Un'economia neolitica matura in Grecia intorno al 6500 a.C.

Intorno al 6500 a.C. la Grecia costiera con le aree pianeggianti interne della terraferma ha sostenuto un'economica neolitica matura che produceva ceramica e addomesticava pecore, capre, bovini, maiali e cani. Un sistema di allevamento domestico maturo è comparso qui cinquecento anni prima che nell'Asia sud-occidentale. Si coltivavano frumento, orzo, veccia, lenticchie, piselli e lino. Il farro, il grano tenero e gli ovini probabilmente sono stati importati dall'Anatolia, mentre bovini e suini sono stati addomesticati in modo indipendente dall'Europa sud-orientale. Gli strumenti agricoli includevano zappe di pietra o palchi di corna di cervo usate a tale scopo, falci di legno o d'osso con parti di ossidiana, pietre focaie anche in selce (figura 1-1) e mole, mortai e pestelli.

La diffusione della tecnologia neolitica nell'Europa centro-orientale è stata relativamente rapida dopo che l'economica neolitica si è insediata stabilmente nella zona dell'Egeo e del Mediterraneo. Il clima mediterraneo di quell'epoca era migliore di oggi e offriva dunque condizioni favorevoli per l'agricoltura.


La diffusione dell'agricoltura dall'Europa sud-orientale all'Europa nord-occidentale

Il progresso dell'agricoltura in Europa ricostruito visivamente nella mappa (figura 1-2) evidenzia che le vie marine sono determinanti per una diffusione più celere delle innovazioni neolitiche.

La navigazione nell'Egeo e nel mare Adriatico e lungo le coste mediterranee non era difficile. Il commercio di ossidiana e di conchiglie lo testimonia. Sulla terraferma la comunicazione era più lenta. Ci sono voluti cinquecento anni perché l'agricoltura si diffondesse dall'Egeo al Danubio e altri cinquecento anni per passare dal bacino medio del Danubio alla Francia orientale e all'Olanda. L'Europa settentrionale dalla Danimarca alla Lituania si è convertita all'agricoltura soltanto intorno al 4000-3500 a.C.

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2 CULTURE NEOLITICHE DELL'EUROPA CENTRALE E SUD-ORIENTALE


L'Europa centrale e sud-orientale ospita le più eminenti culture del Neolitico europeo. Anche se molte tradizioni sono condivise con l'Anatolia e il Vicino Oriente, queste culture si distinguono per la loro creatività artistica e architettonica e per la loro capacità di sperimentazione e adattamento a una grande varietà di condizioni ambientali.

Si rileva un intenso scambio culturale fra l'area egea (Grecia) e l'Anatolia (Turchia). Esiste una forte connessione fra la pianura europea sud-orientale e danubiana e la regione situata a nord e ovest. Il movimento di diffusione dell'agricoltura si è spostato da sud-est a nord-ovest con ramificazioni a oriente e occidente. Il suo andamento è simile a quello di un fiume attratto da territori fertili, che si arresta nei punti montuosi o li aggira. Questo flusso si articola in fasi: all'inizio interessa le regioni costiere e le pianure dell'Egeo e dei Balcani meridionali (ca. 6500 a.C.); poi si diffonde lungo il corso medio e inferiore del Danubio (ca. 6000 a.C.); e infine risale lungo il corso superiore del Danubio raggiungendo le valli fluviali a nord di questo (ca. 5500 a.C.).

Il Neolitico in Europa centrale e sud-orientale è attestato da centinaia di siti scavati - a differenza di quello anatolico, testimoniato soltanto da pochi esempi. È perciò possibile parlare di distribuzione di gruppi culturali e seguire l'evoluzione di singoli tratti per un millennio e più. L'analisi di questa enorme varietà di documenti culturali è una vera benedizione e una sfida per gli studiosi della preistoria europea, che non si possono certo lamentare di una monotona uniformità.

Nell'ambito di questa mole di dati eterogenei un'espressione stabile e ricorrente dello stile di vita sono il sistema delle credenze, i rituali, i simboli e la struttura sociale: più o meno gli stessi in quest'epoca fra l'Egeo e l'Europa centrale. La collaborazione fra i vari gruppi culturali nell'ambito di questo territorio è il risultato di un graduale afflusso di nuovi arrivati dal sud che mescolandosi ai popoli di pescatori e cacciatori locali hanno esercitato un'influenza sopravvissuta in aree come il bacino superiore del Tibisco (Tisza), la regione danubiana delle Porte di Ferro e i bacini del Dniester.

Presentiamo qui sei gruppi, a partire dall'area egea nel sud per finire con i bacini del Dniester e del Bug in Moldavia e Ucraina.

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5 LE CULTURE NEOLITICHE DELL'ADRIATICO E DEL MEDITERRANEO CENTRALE


I primi abitanti delle coste e delle isole dell'Adriatico vivono cacciando piccoli animali fino a circa il 7000 a.C., quando si compie una transizione verso un'economia di raccolta dei molluschi. Nelle isole dell'Adriatico e nelle regioni costiere dell'Italia meridionale, Grecia, Albania e Jugoslavia il miglioramento della tecnica di navigazione potenzia gli scambi comunicativi.

Tre insediamenti all'aperto trovati a Sidari, nella punta nord-occidentale dell'isola di Corfù (Grecia occidentale), sono eccellenti esempi di influenze provenienti da aree diverse. Ogni insediamento nella sequenza stratigrafica appartiene a "marinai" di origine diversa. Il primo strato mesolitico, attribuito al Settimo millennio a.C. con datazione al radiocarbonio, è caratterizzato da un fitto deposito di gusci di cardium edule (canestrello) e arnesi microlitici in selce fatti con una pietra di provenienza esterna. Le analogie più somiglianti si trovano con una serie di siti costieri nell'Italia meridionale e in Sicilia, la striscia costiera dell'Adriatico in Jugoslavia e il Peloponneso nord-occidentale.

Lo strato successivo, descritto come cultura della ceramica lineare egea, indica una cesura con il passato, la manifattura dei microliti cessa e compaiono ceramica e ovini addomesticati. Il contrasto radicale fra queste due culture suggerisce nel 6500 a.C. l'arrivo di un gruppo umano diverso, probabilmente dalla Grecia meridionale. Il sito viene presto abbandonato e segue un periodo di alluvioni.

Intorno al 6400-6300 a.C. l'area è occupata da una popolazione che produce ceramica impressa (ovvero, ottenuta premendo gusci di cardium edule) cotta con molta maggiore perizia rispetto ai suoi predecessori. L'argilla rosacea è impastata con graniglia e polvere di selce, mentre le superfici esterne delle ceramiche sono lisce e decorate con impressioni delle unghie o stampigliate con uno strumento smussato. Compaiono anse perforate e le basi dei vasi sono rotonde o piatte.

Le forme, la tecnologia e la decorazione di questa ceramica sono molto simili a quelle della cultura della ceramica impressa nella Jugoslavia occidentale (fase antica). Per tutta la lunghezza della costa adriatica orientale della Jugoslavia si allineano una serie di siti della ceramica impressa, che si trovano anche sulle isole costiere, con datazioni risalenti a una sequenza di tempo che va dal 6500 al 5500 a.C. (tabella 17 delle datazioni al radiocarbonio). I ripari rocciosi sulla costa adriatica della Jugoslavia hanno restituito depositi culturali che vanno dal Paleolitico al Neolitico, e questi ultimi comprendono ceramica impressa con conchiglie, sigilli dentellati e unghie.

Una seconda fase di sviluppo è documentata a Smilčić, vicino Zadar in Dalmazia, da strati appartenenti a una cultura della ceramica impressa in fase più avanzata. Smilčić era un insediamento all'aperto con palafitte di paglia e fango in cui sono rimaste tracce di allevamento domestico di pecore, capre e bovini. Le macine trovate qui possono far ipotizzare la coltivazione di piante. Sono presenti grandi quantità di arnesi in osso, palchi di cervo e pietra scheggiata, nonché cardium, spondilo e altre conchiglie. La ceramica è decorata con impressioni di conchiglia, organizzate in formelle a fasce o modelli ad andamento ondulatorio (rocker). I recipienti sono semiglobulari e ovali, mentre i piatti sono conici, tutti con basi schiacciate o ad anello, generosamente impastati con sabbia e decorati prima della cottura.

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NOTA ALL'EDIZIONE ITALIANA

di Mariagrazia Pelaia


Sono felice di mettere a disposizione del pubblico italiano, dopo averla tradotta, un'opera che meriterebbe maggiore attenzione e discussione da parte degli addetti ai lavori di molte discipline di quanta non ne abbia comunque ottenuta finora: l'archeologia, in particolare neolitica, la linguistica, la mitologia, la storia del folklore, la storia della religione e la stessa storia dell'Europa con particolari implicazioni sulla questione delle sue radici (M. Pelaia, Le radici europee della poetessa – The European Roots of the Woman-Poet, a cura di J. Koller, Coyote Books 2008), e molte altre ancora. In tutti questi ambiti la scoperta dell'antica Europa neolitica compiuta dalla Gimbutas dovrebbe aprire grandi e profonde discussioni. 0 meglio, come osserva Ernestine S. Elster in un articolo commemorativo (Marija Gimbutas: Setting the Agenda, in Archaeology and Women. Ancient and Modern Issues, Left Coast Press, 2007), il contributo della Gimbutas alla questione indoeuropea è stato approfonditamente discusso dalla comunità scientifica fin dagli anni Cinquanta, e cioè l'ipotesi che una popolazione di cultura e lingua protoindoeuropea, dalla studiosa indicata come Kurgan (dal nome delle sue tipiche sepolture a collinetta), si sia spostata dalle steppe russe meridionali verso l'Europa centro-orientale, determinando la fine di una preesistente cultura (l'antica Europa neolitica), che aveva raggiunto un alto grado di sviluppo. Il lettore italiano troverà due libri di recente stampa in cui è affrontata la questione: M. Gimbutas, Kurgan. Le origini della cultura europea (Medusa 2010), e I. Lebedynsky, Gli indoeuropei. Fatti, dibattiti, soluzioni (Jaca Book 2011), qui lo studioso dedica un intero capitolo alla teoria della Gimbutas, riconoscendola valida ancora oggi. Come afferma l'illustre storico: "La 'teoria dei Kurgan' è, allo stato attuale, la soluzione più coerente ed esaustiva che sia stata proposta al problema indoeuropeo" (p. 149).

Ma la "comunità archeologica, tuttavia, ha trovato controversa la sua teoria di una dea e di un pantheon paneuropei", e qui le discussioni si sono arenate (Marija Gimbutas, 1921-1994, in "American Journal of Archaeology", 98-1994, pp. 755-57). Auspichiamo una ripresa in questo senso. Un caso emblematico è quello di Joseph Campbell che nell'introduzione a Il linguaggio della Dea afferma di rimpiangere che nella sua ricerca sulle culture neolitiche negli anni Sessanta non fosse disponibile l'opera della Gimbutas, altrimenti avrebbe rivisto di sana pianta il suo The Masks of God (1962-1968). Molte sono le opere che in futuro andranno probabilmente riesaminate in questa chiave. L'antropologo Ashley Montagu considera l'opera di Marija Gimbutas una pietra di rosetta per il futuro dell'archeologia e dell'antropologia.

La civiltà della Dea (1991) è l'opera più importante di Marija Gimbutas, in cui la studiosa ricostruisce il mondo dell'antica Europa neolitica in base a un ricco repertorio di dati archeologici, molti dei quali scaturiti da numerose campagne di scavo da lei dirette o codirette nel bacino balcanico e mediterraneo meridionale.

Il libro presenta una tesi rivoluzionaria, che potrebbe cambiare la consueta visione della storia del continente europeo e le sue prospettive: viene rintracciata la realtà di un'antica Europa pacifica, egualitaria e portatrice di una spiritualità fortemente legata alla terra, il che potrebbe cambiare gli attuali paradigmi culturali e scientifici, che considerano la guerra e il dominio maschile una connotazione di progresso della civiltà. In questa nuova ottica la nostra civiltà indo-europea e patriarcale costituirebbe un regresso... e la svolta epocale sarebbe quella di tornare a considerare questo passato dimenticato per elaborare una nuova civiltà umana del futuro.

In uno dei numerosi articoli dedicati al valore delle sue scoperte, Understanding Marija Gimbutas di Kristina Berggren e James B. Harrod (pubblicato in "Journal of Prehistoric Religions", X:70-73, 1996), la prima specializzata nella ricostruzione di religioni e sistemi semiotici preistorici, in particolare mesolitici e paleolitici, e il secondo specializzato nell'età del ferro in Italia, leggiamo quali sono i suoi principali contributi scientifici:

1) L'identificazione di una serie complessa e varia di divinità femminili neolitiche (dea uccello, dea civetta, dea doppia, signora degli animali eccetera) che invalida l'ipotesi semplicistica di una divinità detta Grande Madre: la Dea neolitica è una realtà numinosa molto sfaccettata e complessa. E l'identificazione di una serie di divinità maschili, presente in un numero di raffigurazioni nettamente inferiore.

2) L'identificazione e decifrazione di un sistema di ideogrammi (o meglio logogrammi), composto di almeno cinquanta segni geometrici e astratti (v, w, zigzag, spirali, doppie asce eccetera) e simboli animali.

3) Il chiarimento delle differenze tra iconografia dell'Antica Europa e sistemi simbolici della successiva età del bronzo, attribuiti ai Kurgan, popolo indoeuropeo proveniente dalle steppe caucasiche che in varie ondate ha invaso l'antica Europa neolitica portando con sé un simbolismo solare, la dominanza di divinità maschili e un'ideologia basata su strumenti e armi per la guerra, che si sono andati sovrapponendo al precedente sistema iconografico dell'antica Europa.

Dunque Marija Gimbutas ha offerto un'ampissima mole di documenti archeologici che ha studiato ipotizzando un'organizzazione della società matrifocale, da lei definita "matristica" per distinguersi dal termine "matriarcale", che implica un dominio rovesciato, con donne al potere al posto degli uomini. Invece nella società matristica neolitica emerge un sistema cooperativo ed egualitario, che non privilegia un sesso ai danni dell'altro.

Molti studiosi tuttavia respingono le tesi di Marija Gimbutas per l'entusiastica accoglienza da esse trovate nei circoli femministi della Dea, che a partire dall'America si sono diffusi anche in Europa e altre parti del mondo, dagli anni Ottanta in poi e che hanno fatto delle opere della Gimbutas una loro icona. Ma come affermano Berggren e Harrod "non si può contestare la teoria della relatività di Einstein perché alcune persone indossano magliette con l'immagine dello scienziato".

Custode dell'archivio di Marija Gimbutas è Joan Marler, sua allieva e collaboratrice che le ha dedicato vari interventi e un libro commemorativo, In the realm of the Ancestors (1997). La sua biblioteca è ospitata dalla Joseph Campbell and Marija Gimbutas Library presso il Pacifica Graduate Institute. In circolazione c'è un film, Signs out of time, documentario di Donna Read e Starhawk che tratteggia vita e opere della Gimbutas attraverso le parole di chi le è stato più vicino, con testimonianze di amici (fra cui Colin Renfrew) e famiglia.

L'Institute of Archaeomythology diretto da Joan Marler promuove soprattutto l'aspetto interdisciplinare che rappresenta la novità del metodo archeologico di Marija Gimbutas e attualmente le ricerche focalizzate nell'area accademica balcanica puntano soprattutto verso il riconoscimento dell'esistenza di una scrittura neolitica europea, precedente quella sumero-babilonese finora reputata la più antica, così come ipotizzato dalla Gimbutas che ha iniziato a raccoglierne le lettere-simbolo, seguita da Shan M.M. Winn, che ha completato l'inventario dei segni base (Pre-Writing in Southeastern Europe, 1973). In An Introduction to the Study of the Danube Script (pubblicato in "The Journal of Archaeomythology", vol. 4, n° 1, 2008) la Marler insieme a Harald Haarmann, linguista specializzato nelle ricerche sull'Old European Script, propone l'interdisciplinarietà come metodo di convalida delle nuove scoperte e ipotesi formulate da Marija Gimbutas che modificano la nostra visione delle radici della civiltà. Anche questa ricerca è impantanata nel pregiudizio degli studiosi dell'antichità accecati dal paradigma dell'inizio babilonese-egizio della civiltà, che non vedono questa possibilità nemmeno davanti all'evidenza della datazione al radiocarbonio (il celebre caso delle tavolette di Tartaria)... Gli studiosi che intendono modificare il paradigma puntano quindi sull'interdisciplinarietà, e cioè sostanzialmente un cambiamento di punto di vista. Come scrivono la Marler e Haarman: "Non ci si può aspettare un progresso nella scienza, e nella storia della scrittura in particolare, se si aderisce alla descrizione di quanto è già noto e accettato dall'establishment accademico. Il consenso non è una chiave che apre prospettive rivoluzionarie nel mondo scientifico. Il progresso è determinato da un'esplorazione di nuovi orizzonti che provoca discussioni su temi controversi, e non un'onda di silenzio che avvolge le questioni sul tappeto non ancora risolte".

Nel saggio L'eredità di Marija Gimbutas: una ricerca archeomitologica sulle radici della civiltà europea (in Le radici prime dell'Europa: gli intrecci genetici, linguistici, storici, a cura di L.L. Cavalli Sforza, G. Bocchi e M. Ceruti, Bruno Mondadori 2001, p. 109) la Marler descrive chiaramente la posta in gioco: "La formazione della civiltà occidentale, e il suo successivo sviluppo, non può essere adeguatamente compresa senza il riconoscimento della ricca base culturale indigena dell'Europa antica, del complesso processo di amalgamazione con le tradizioni indoeuropee e della profondità temporale di questa problematica unione che è stata portata alla luce grazie al lavoro pionieristico di Marija Gimbutas".

La sociologa Riane Eisler ha applicato le scoperte di Marija Gimbutas all'intero corso della storia umana, rileggendola come successione e alternanza di una civiltà della partnership e della dominanza, nell'ambito delle quali rimangono evidenti i segni della civiltà precedente, che sembra tentare di riemergere. Queste teorie sono esposte in Il calice e la spada (1987) e Il piacere è sacro (1996). Applicando la teoria del caos alla nostra attuale fase storica, la Eisler sostiene che il cambiamento del paradigma può avvenire improvvisamente grazie a elementi imprevisti e trascurabili detti attrattori strani (il battito d'ala di farfalla), e le ricerche della Gimbutas potrebbero essere considerate in questa luce.

In Europa Heide Göttner-Abendroth con la sua accademia Hagia ha avviato gli studi matriarcali, ricerca che parte da una base filosofica e antropologica, riconoscendo il contributo di Marija Gimbutas ma contestandone l'uso del termine matristico a favore di matriarcale, che andrebbe inteso etimologicamente come 'antiche madri'. Nonostante alcuni convegni mondiali questa corrente di studi non ha ancora un riconoscimento accademico, anche se trova simpatie e appoggi istituzionali (in Lussemburgo e in Svizzera, dove si sono tenuti alcuni dei convegni).

Tra gli allievi di Marija Gimbutas che hanno proseguito su questo percorso di ricerca interdisciplinare vi è anche Miriam Dexter, che nel saggio Whence the Goddesses: A Source Book (1990), trova le tracce dell'iconografia della Dea neolitica ricostruita dalla Gimbutas nella comparazione con i pantheon del mondo antico, da quello lituano e lettone a quello slavo, iraniano, irlandese, fino a quello greco-romano. Si tratta di pantheon di età successiva a quella neolitica, quando ormai era avvenuto un cambiamento irreversibile verso società androcentriche. L'opera della studiosa si distingue per una chiarezza e un'accuratezza filologica che rende molto convincente l'ipotesi di una parziale sopravvivenza-riemergenza degli antichi culti della Dea neolitica nel mondo antico ormai indoeuropeizzato.

Luigi Luca Cavalli Sforza in Geni, popoli e lingue (1996) riconosce la fondamentale validità dell'ipotesi della Gimbutas, che associa i primi popoli di origine indoeuropea alla civiltà kurgan delle steppe asiatiche, con date intorno al 3000-3500 a.C. Tale cronologia viene contestata da Colin Renfrew, amico di Marija Gimbutas, il quale ipotizza che le lingue indoeuropee siano state diffuse dagli agricoltori neolitici a partire dal Medio Oriente intorno al 7000-7500 a.C. Secondo Cavalli Sforza le due teorie non si escludono a vicenda, ma probabilmente si integrano e si rinforzano in un quadro comune.

L'archeologia italiana riconosce il contributo di Marija Gimbutas, in particolare Giovanni Lilliu (che la cita ad esempio a profusione nel saggio Simbologia astrale del mondo prenuragico, in L'uomo antico e il cosmo, Atti dei convegni Lincei n° 171, Roma 15-16 maggio 2000). La Gimbutas ha condotto campagne di scavo in Puglia a Scaloria, nell'ambito del programma di ricerche sul Neolitico del sud-est dell'Italia coordinato da lei e da Santo Tiné per conto dell'Università di Genova, della University of Southern Mississippi e della University of California. Sito che purtroppo è stato abbandonato al degrado...

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