Copertina
Autore Alicia Giménez-Bartlett
Titolo Giorni d'amore e inganno
EdizioneSellerio, Palermo, 2008, Il contesto 19 , pag. 446, cop.fle., dim. 11,5x19,3x2,2 cm , Isbn 978-88-389-2266-4
OriginaleDías de amor y engaño
TraduttoreMaria Nicola
LettoreAngela Razzini, 2008
Classe narrativa spagnola
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Pagina 13

Era una storia senza corpo, senz'anima, senza mordente. Personaggi dai nomi improbabili si aggiravano senza sosta in scenari urbani. Amori, disamori, passioni non corrisposte, solitudine. Uno schifo. Niente che la interessasse o riuscisse a emozionarla. Così, dal divano dov'era seduta, Paula gettò via il libro, che cadde con la costola all'insù. Sembrava una piccola tenda canadese.

Se tutti i libri che aveva portato con sé in quell'angolo sperduto del mondo si fossero rivelati così, sarebbe stata costretta a ordinarne altri molto prima del previsto. Abbandonato sul tappeto, il libro aveva l'aria di essere caduto per caso. Il mattino dopo, Luz Eneida l'avrebbe amorevolmente raccolto senza domandarsi come fosse arrivato fin lì. Poi l'avrebbe posato sul tavolo e l'avrebbe spolverato. Luz Eneida spolverava tutto, anche i libri nuovi senza un solo granello di polvere. Non mostrava la minima curiosità per le cose che vedeva in casa, nulla sembrava attirare la sua attenzione. Compiva i suoi rituali domestici con lieta equanimità. Si sarebbe detto che in quel paese nessuno si ribellasse alla propria condizione. Certo. chi lo faceva, dispiegava tutto l'armamentario della rivoluzione: i baffini neri alla Pancho Villa i ¡viva México libre!, i volti nascosti dai fazzoletti e i fucili sovietici. Eppure, presi uno per uno, i messicani erano mansueti come brezza di primavera. In Spagna, l'atteggiamento era molto diverso. Nelle sue passeggiate solitarie per la città le era capitato di prendere l'autobus o il metrò e di osservare la gente. Donne che rientravano dal lavoro, sempre assorte nei loro pensieri, come assenti, la bocca contratta in una smorfia di amarezza. Operaie morte di sonno. Domestiche con le dita arrossate dai detersivi e dall'acqua bollente. Tutte covavano risentimento negli occhi. Spesso erano immigrate dal volto preoccupato. O giovani cassiere annoiate. Ma ora, per qualche anno, tutto questo sarebbe stato molto lontano da lei. Basta con le indagini antropologiche sulla vita della sua città, della quale in fondo non le importava niente.

Si accese una sigaretta, ma ricordò di non avere ancora fatto colazione e la spense subito nel posacenere. Era in Messico da un mese. Non era pentita di aver seguito Santiago fin lì, ma non poteva certo dirsi felice. L'effetto rigenerante che il paese prometteva non si era ancora manifestato. Ma si augurava che l'estraneità dell'ambiente la aiutasse a dimenticare un poco se stessa, a fuggire dalle quattro mura della sua personalità. Se lo augurava con poca convinzione, a dire il vero, perché in fondo era certa che prima o poi sarebbe tornata a rinchiudersi nell'angusta stanza della sua mente. Sapeva che la pretesa di ottenere un cambiamento profondo grazie a un nuovo ambiente si rivela troppo spesso illusoria. Non era la prima volta che accompagnava suo marito all'estero. Era stata al suo fianco durante la costruzione di una linea ferroviaria in Marocco, e per tre anni aveva vissuto a Hong Kong, quando lui era responsabile di un cantiere della metropolitana. Ma questa volta era diverso, molto piu tipico e coloniale. Qui viveva in aperta campagna, in un villaggio costruito appositamente per le mogli dei tecnici stranieri non lontano da una cittadina chiamata San Miguel. I mariti erano alloggiati a diversi chilometri di distanza, in baracche di legno presso la diga in costruzione. Le due comunità si riunivano soltanto nel fine settimana. Il villaggio era stato concepito secondo lo stile delle missioni dell'Ottocento: casette imbiancate a calce, una per famiglia, ciascuna circondata da un giardino privato con la sua recinzione di legno. Anche gli spazi comuni tentavano di imitare modelli d'altri tempi: giardini ben curati, campi da tennis, prati all'inglese e, ovviamente, il club.

Quest'ultimo, ospitato in un edificio piuttosto ampio, comprendeva una sala di lettura, un vasto ristorante, un salone per le feste e un bar. Vedendo per la prima volta il bar, aveva ringraziato Iddio. Che fortuna, un bar, un luogo neutro dove poter star sola con se stessa. Sarebbe stato scomodo dover raggiungere San Miguel ogni volta che voleva bersi una birra, e il pensiero di essere costretta a bere sempre e soltanto in casa sua le pareva terrificante. Se non altro, un bar. In casa propria è impossibile godere della tranquillità anonima dei bar. In casa ci si ritrova sempre in compagnia dello spettro di se stessi, irremovibile, come un cane cieco e sordo, fedele ma indifferente agli ordini.

Nel corso di quel primo mese si era recata spesso al club, sempre evitando gli orari delle altre mogli. Le conosceva appena, si limitava a salutarle in modo cortese. Quelle donne non le interessavano affatto. In gruppo, poi, le suscitavano un immediato fastidio. Sembrava che ritrovandosi insieme regredissero a uno stadio infantile. Non sapevano far altro che scambiarsi chiacchere complici e risatine. Tutte vivevano in Messico da più di un anno quando lei era arrivata, e non le era stato difficile accorgersi di quanta curiosità avesse destato la sua comparsa. Le novità non mancano di agitare le acque stagnanti della monotonia. La sola cosa da fare, in quelle circostanze, era mostrarsi cauta e segnare bene le distanze, in modo da crearsi uno spazio che nessuno potesse invadere. Per tenere lontano l'esercito delle signore, aveva agitato la bandiera del lavoro. La storia era sempre la stessa: uno dei motivi per cui aveva seguito suo marito fin laggiù era la possibilità di dedicarsi indisturbata alle sue traduzioni. In Spagna era difficile trovare un momento di pace, il mondo delle lettere era sempre più superficiale e mondano... troppi impegni, troppi incontri ai quali era impossibile sottrarsi. Naturalmente le era stato chiesto che cosa stesse traducendo, e allora aveva potuto fare la sua bella figura: «Seleziono e traduco i diari di Tolstoj; è un lavoro lungo, estenuante, un lavoro meticoloso di anni, una specie di sacerdozio». Di solito funzionava, e infatti funzionò. I diari di Tolstoj sono una cosa seria, non un passatempo per signore. Richiedono una concentrazione straordinaria. Tolstoj è uno dei padri della letteratura universale e non ammette improvvisazioni. Di sicuro l'avrebbero lasciata in pace, libera di difendere la sua solitudine e di sottrarsi a ogni manovra di avvicinamento. Nessuna delle sue vicine avrebbe potuto sentirsi offesa. E se poi qualche volta l'avessero vista seduta al bar o a gironzolare senza meta nei giardini della colonia, non le sarebbe stato difficile dire che era alle prese con un passaggio particolarmente spinoso, una pagina eccelsa che le richiedeva un'assoluta astrazione dal mondo. Si sa che la vita di Tolstoj non è come la vita di un torero o di un politico qualunque.

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Pagina 72

Erano in viaggio per le rovine di Montalbàn, a bordo di un minibus noleggiato per l'occasione. Allegre signore in gita culturale. L'alito caldo che usciva dalle loro bocche sapeva di caffè di ottima qualità. Era l'alba, ancora troppo presto per chiacchierare. Si lasciarono la città alle spalle e si inerpicarono per una stretta strada di montagna. Ovunque si vedevano misere catapecchie, raccolte a grappolo intorno a cortili separati da muriccioli semidiroccati. L'altezza dalla quale contemplavano il panorama consentiva di intravedere l'interno dei cortili: enormi giare, qualche maiale, galline... A un certo punto Paula vide di sfuggita una vecchia, completamente nuda, che si lavava. Fu un'immagine rapida, poiché l'autobus viaggiava a velocità piuttosto sostenuta. La donna era magra, accovacciata dentro una tinozza di zinco. Paula la vide di schiena, vide la lunga coda di capelli bianchi che le sfiorava la vita, e in quel momento, sebbene non riuscisse a spiegarsene il motivo, capì che mai, per quanto fosse vissuta, avrebbe dimenticato quella scena. Forse quei luoghi la stavano davvero spingendo verso la follia. Traumi e ossessioni che credeva sepolti germogliavano in lei come piante dalla terra. Lei non sarebbe mai stata una vecchia in una tinozza di zinco, tuttavia sarebbe stata una vecchia. Le vecchie l'avevano sempre disgustata, otri vuoti e maleodoranti, con le loro piccole manie, con i loro gesti meccanici, come rovistare continuamente nella borsa piena di cianfrusaglie per trovare chissà cosa. Cercò di concentrarsi sullo splendore del paesaggio: uno scenario così vasto che la vista ci si perdeva. Era convinta che si potesse godere pienamente soltanto della natura in cui si è nati e cresciuti, in cui si è trascorsa l'infanzia. Per questo non riusciva ad apprezzare a fondo quella terra: le valli sconfinate, le montagne, le pianure... tutto così eccessivo. Per un attimo desiderò ritrovare spazi alla portata dei suoi occhi: orti fittamente coltivati, vigneti sui versanti delle colline, aranceti. A ogni curva si sentiva spinta contro il finestrino, sempre più bruscamente. Susy, addormentata, sobbalzava al suo fianco, con la testa rovesciata di lato. Paula pensò che morire in quella circostanza, durante una gita di piacere, sarebbe stato assurdo. Qualunque morte era inconcepibile in quel paese, proprio come la sua vita lì. Perché c'era andata? Perché si era offerta di seguire Santiago? Era davvero il caso di prolungare l'agonia del loro matrimonio? Voleva avere l'opportunità di martirizzarlo ancora un po'? Neppure questo faceva, ormai. Non aveva aspettative per il futuro. Dopo quindici anni con Santiago, non poteva riporre alcuna speranza in quel viaggio. Il Messico non sarebbe stato né una parentesi né un finale. Ma stranamente trovava gratificante essere lì in qualità di moglie: adempiere ai suoi doveri era facile, un ruolo codificato da secoli. Bastava seguire il marito ovunque andasse, e tenere sempre pronte le aspirine nel caso gli venisse il mal di testa. Inoltre era capitata in un gruppo di signore capaci di dimostrarle con l'esempio che il matrimonio è senza dubbio una buona cosa. Non riusciva a immaginarsi il suo futuro con Santiago, ma nemmeno riusciva a intravedere una vita da sola. Quel variopinto gregge di mogli le trasmetteva una certa quiete, la rara impressione che qualcosa nella sua vita avesse senso. Se il gregge si fosse gettato in un precipizio, lei lo avrebbe seguito. Ma se fosse giunto al recinto dove il Signore pascola i suoi armenti, allora anche lei sarebbe stata fra le elette e avrebbe ricevuto tutte le meravigliose cure che spettano ai gigli nei campi, agli uccelli dell'aria, e alle pecorelle smarrite e poi ritrovate e messe in salvo. Mentre le mogli rimanevano all'ovile, i rispettivi mariti portavano avanti la loro opera di ingegneria nel bel mezzo della foresta, qualcosa di tangibile, un monumento al progresso e all'utilità. Indiscutibile vantaggio degli uomini: sono loro a dominare lo spazio riempiendolo di volumi reali.

A un sobbalzo più violento dell'autobus, la testa di Susy le cadde su una spalla. La ragazza si riscosse per chiederle scusa e mormorare in inglese un insulto rivolto all'autista. Paula la guardò. Non vi era la minima eleganza nel suo modo di abbandonarsi al sonno. Senza una ragione precisa, provò una profonda avversione per lei. Era giovane, aveva ancora troppe cose da vivere, e questo bastava a farne un essere stupido. Il suo futuro si sarebbe ridotto a un giardinetto dove trastullarsi con passatempi futili e familiari. Come era successo a lei, come succedeva a tutti, Susy avrebbe commesso errori su errori, finché non fosse giunta all'età in cui non è più possibile porvi rimedio. In preda a questi pensieri, anche lei si addormentò.

Quando riaprì gli occhi, il verde brillante degli altipiani la lasciò senza fiato. Erano arrivati a Montalbàn. Il sito archeologico era adagiato su una cima pianeggiante ed estesa. Il luogo era circondato da montagne, enormi, verdi e misteriose, come uno scenario da leggenda. Era un paesaggio che dava i brividi. Le signore, ancora sedute sull'autobus, cominciarono a guardarsi attorno lanciando gridolini di stupore. Manuela, con i capelli scomposti dal viaggio, prese in mano le redini della spedizione. Corse fuori come se la claustrofobia le impedisse di rimanere un secondo di più su quell'autobus e saltò a terra cinguettando di gioia.

- Guardate che meraviglia! È incredibile!

Si agitava come una maestra che cerchi di trasmettere alla scolaresca il suo entusiasmo per il sapere. Le altre signore si mossero lentamente, ancora intorpidite dal sonno. Il luogo era solitario, strano, dava una sensazione di magica incertezza. Solo mentre scendeva dall'autobus, Paula si rese conto che il gruppo era accompagnato da una guida. Per tutto il viaggio l'uomo era rimasto seduto in prima fila, dietro l'autista. La targhetta appuntata al giubbotto con su scritto «Guida turistica» parlava chiaro. Era un messicano sulla trentina, con il fascino sfacciato dei maschi locali. Un paio di baffi gli copriva la bocca sprezzante. Portava in testa uno Stetson che gli dava un'aria ridicola da cow-boy bruciato dal sole. Se ne stava lì, seduto a gambe larghe, ad attendere che tutte le signore, come le monache di un convento istericamente felici di vedersi libere, fosseroon voltava nemmeno la testa. Quella voluta indifferenza conferiva al suo sguardo un che di insultante. Quell'uomo doveva vederle tutte come galline di un pollaio, pensò Paula, ragazzine troppo cresciute a un ballo delle debuttanti, turiste ridicole da intrattenere con mucchi di vecchie pietre. Immediatamente le venne voglia di pagarlo per scoparselo lì sul posto, fare di lui un oggetto, ridurre la sua persona alla mera struttura portante di un pene. Le sarebbe piaciuto farglielo venire duro e poi aizzare un cane che glielo staccasse di netto con un morso. Sarebbe stato divertente lanciare in aria quel brandello di carne sanguinolenta e passarselo di mano in mano, come nei giochi fra ragazze ai picnic. Quando tutte furono sparpagliate sul pianoro, gli sguardi si concentrarono finalmente sul sito archeologico. Templi e fortificazioni consumati dai secoli e dalle intemperie, sepolcri giallastri fra l'erba. L'autista riuscì a portare la sua pancia immensa fuori dall'autobus e la lasciò traballare sgranchendo le gambe da fauno. Solo a quel punto la guida si alzò e inforcò un paio di occhiali da sole che gli nascosero completamente lo sguardo. Scese con un balzo dall'autobus e si avviò con le mani infilate nelle tasche posteriori dei pantaloni. Paula sentì la sua voce calda, il suo accento strascicato e sensuale:

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Manuela riattaccò il telefono dopo aver parlato con sua figlia. Aveva sempre l'impressione che se non ci avesse pensato lei, tutto sarebbe andato male. Certo, i suoi figli, ormai tutti e tre adulti e sposati, non avevano più bisogno del suo aiuto, eppure non riusciva a liberarsi dai dubbi sulla loro capacità di cavarsela: erano in grado di risolvere nel modo migliore i problemi quotidiani? Chissà. In Spagna, quando andava a trovarli, si rendeva conto che la situazione era ben lontana dall'essere perfetta. Molti particolari venivano trascurati, alcune questioni venivano risolte in fretta e male. Non si trattava di cose importanti, del resto i suoi figli erano responsabili e per bene, eppure lei vedeva ovunque problemi da risolvere. Era abituata a puntare alla perfezione. Fin dall'inizio lei e suo marito avevano stretto una specie di patto: lui avrebbe procurato il denaro per vivere e lei si sarebbe dedicata all'organizzazione della casa e all'educazione dei bambini. Com'era da prevedersi, tutto aveva funzionato a meraviglia, perché quando i ruoli sono ben chiari nessuno perde tempo a lamentarsi per le cose che non potrà mai fare. La sua casa aveva sempre funzionato come un orologio; tutto era condotto nel modo più adeguato, tutto sottostava a regole stabilite secondo un ordine logico e razionale. Nessuno faceva storie, ribellandosi al ruolo che gli era stato assegnato nella struttura familiare. I suoi figli erano diventati ragazzi responsabili, di buon carattere, studiosi ed equilibrati. Le sue amiche glielo dicevano spesso: «Certo che hai avuto una gran fortuna con i figli!». E lei sorrideva in segno di assenso, ma nel profondo del suo animo sapeva che la fortuna non ha nulla a che vedere con la riuscita dei figli. Non è come ritrovarsi con il numero vincente di una lotteria, o come comprare un elettrodomestico che dà ottimi risultati senza rompersi mai! No, non se ne sarebbe mai vantata pubblicamente, ma i figli erano la grande opera della sua vita, un risultato completamente personale. Tuttavia, nessuno sembrava rendersi conto che per riuscire in un compito come quello era indispensabile una disciplina ferrea, prima di tutto con se stessi. Lei non si era mai permessa il minimo cedimento, la più insignificante debolezza. Ecco il segreto del suo successo come madre. Non si era mai mostrata compiacente, pigra o negligente, non si era mai commiserata. I sacrifici che si fanno per i figli vanno visti nell'ambito di un progetto più vasto, di un'architettura entro cui collocare tutti gli elementi dell'insieme che un giorno vedremo completato. La mancanza di una sua vita professionale, o di più tempo da dedicare a se stessa, non aveva mai rappresentato un peso per lei, né era mai stata fonte di frustrazione. La vita le aveva assegnato una missione importante e lei vi si era dedicata. Ora le sue incombenze erano più lievi, ma il suo ruolo non era mutato: si dedicava a suo marito, lo accompagnava, si assumeva i doveri propri della moglie di un dirigente. Per questo cercava di essere l'anima e il motore del villaggio, pur senza intralciare la libertà personale di nessuno.

Per tutte queste ragioni non poteva accettare che sua figlia, sposata e con una bambina piccola, avesse deciso di portare avanti la sua professione di architetto. Vedendo tutti i problemi che questa scelta creava, Manuela doveva mordersi la lingua per non ripeterle ogni volta: «Tesoro, non pensare di poter fare troppo, concentrati sulle cose più preziose che hai: un marito meraviglioso che guadagna molto bene, una bimba splendida, un mondo alla tua portata che puoi gestire nel migliore dei modi». Ma sua figlia per il momento non sembrava darle retta, e quando Manuela andava a trovarla, quel che vedeva non le piaceva affatto: una bambina che mangiava quando ne aveva voglia, una casa piena di domestiche e baby-sitter incapaci perfino di tenere in ordine i cassetti. E sua figlia! Sempre di corsa, sempre assalita dal timore di non dedicarsi abbastanza alla bambina, costantemente in preda ai sensi di colpa. Le donne della nuova generazione non si rendevano conto che il mondo possiede una propria armonia, che è inutile tentare di cambiare. Ma inculcare queste idee nella testa degli altri non era certo compito suo, non era tenuta a preoccuparsi per quel che poteva succedere nel futuro delle altre persone. Lei il suodovere l'aveva fatto.

Pensò ad Adolfo. Avevano avuto qualche crisi, nulla di serio, come qualunque coppia con una convivenza così lunga alle spalle. Sapeva che suo marito non le era mai stato infedele, anche se non si era mai preoccupata di verificarlo. Adolfo era sempre stato un buon marito, gentile, accondiscendente, un gran lavoratore, un buon padre che non aveva mai interferito nell'educazione dei figli, lasciandola libera di decidere con la massima fiducia. In un bilancio che a qualcuno sarebbe parso un po' singolare, Manuela avrebbe potuto tranquillamente affermare che suo marito le aveva risolto più problemi di quanti gliene avesse creati. Un esito francamente positivo.

A volte si domandava come vedessero queste cose le sue amiche del villaggio. Non aveva mai osato entrare apertamente in argomento con nessuna di loro. Erano tutte più giovani di lei e sicuramente avevano opinioni diverse, magari avevano perso la capacità di apprezzare l'armonia dell'ordine tradizionale. Un vero peccato, perché era come rifiutare un regalo di cui tutte le donne potevano disporre! Tutte le donne con le spalle coperte da una buona situazione economica, s'intende, così vanno le cose. Nei primi tempi della sua permanenza in Messico, Manuela avrebbe preferito avere accanto qualche altra signora della sua età; è importante poter fare affidamento sui coetanei, si vedono le cose allo stesso modo. Certo, non poteva negare che fossero tutte ragazze adorabili, ma non avrebbe potuto condividere i loro interessi e le loro preoccupazioni. All'inizio Victoria le era sembrata la più simile a lei. Aveva figli già grandi, si era mostrata fin da subito tranquilla e disponibile, e non era mai di malumore. Tuttavia in lei c'era qualcosa di distante, come se una parte della sua mente fosse sempre altrove. E l'americana, era simpatica ed entusiasta, ma così giovane e con una cultura così diversa dalla sua! Per non parlare di Paula. Cosa nascondeva quella donna? Nella vita Manuela aveva imparato a non giudicare; si possono commettere grossi errori valutando una persona senza conoscere l'ambiente da cui proviene. In ogni caso era chiaro che quella ragazza era disperata. Manuela non riusciva a capirne il motivo: aveva un marito impeccabile, e lei stessa, a parte il problema dell'alcol, dimostrava grande intelligenza e senso dell'umorismo. Un senso dell'umorismo un po' particolare. Non avevano figli, e questo è sempre motivo di attriti in una coppia. Magari era proprio questo il motivo per cui era disperata. Non si poteva sapere; certo quella smodatezza nel bere, quella loquacità pazzoide che s'impadroniva di lei... In fin dei conti, non erano affari suoi. Manuela si considerava una donna fortunata, ed era proprio questo a renderla comprensiva. E comprensiva voleva dire tollerante, non voleva certo dire che potesse capire cosa pensassero o provassero le donne della nuova generazione. Sembravano tutte impegnate in un processo il cui scopo era complicare le cose più semplici. Il mondo poteva anche andare avanti, ma esistevano alcuni punti fermi, inamovibili. Ci sarebbero sempre stati genitori e figli, gli uomini e le donne avrebbero continuato a innamorarsi e le coppie a vivere insieme, sarebbero nati nuovi bambini che crescendo avrebbero avuto bisogno di un'educazione, e il sole sarebbe sorto su nuovi giorni nei quali tutti avrebbero dovuto fare colazione, andare al lavoro e a scuola... Sarebbe sempre esistita la vita quotidiana, con il suo ordine inesorabile di compiti da svolgere. E l'organizzazione delle piccole cose della vita è la base su cui poggiano quelle grandi; ma di questo nessuno sembrava accorgersi. Correre, fare cento cose insieme, guauagnare, dimostrare professionalità. Ah! Povere donne, stavano perdendo la consapevolezza di ciò che è davvero fondamentale! E, peggio ancora, stavano perdendo il loro regno, il potere che avevano sempre esercitato senza alcuna difficoltà. Eppure lei si sentiva felice, e quando, di notte, ascoltava il respiro di suo marito, distesa accanto al suo corpo tranquillo, provava un orgoglio che le riempiva l'anima e ringraziava il cielo di essere esattamente lì e in nessun altro posto del mondo. Almeno, così era stato fino ad allora. Negli ultimi giorni le capitava di pensare che le fosse mancata una sua libertà. Ma libertà per cosa? Per ubriacarsi, come faceva Paula? Chiuse gli occhi e si sforzò di allontanare quel pensiero. Andava tutto bene. O no? Sì, andava tutto bene. Ciascuno ha le proprie vicissitudini, e le sue l'avevano portata fin lì.

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Sedette sull'unica poltrona che possedeva con la ferma intenzione di bersi una birra gelata e guardare il soffitto. Aveva trascorso l'intera giornata a fare conti e si sentiva stordito, incapace di leggere o anche solo di guardare la televisione. Desiderava starsene tranquillo, sentire quel sapore amaro e vivificante scendergli giù per la gola. La vita era una gran seccatura. Così come la società l'aveva impostata, una noia mortale. Un susseguirsi di tappe pesantissime e inevitabili. L'infanzia trascorsa a sopportare i genitori, la giovinezza a studiare. Poi, la ricerca del lavoro. Più tardi, il matrimonio, i figli, i nipoti! E tutto per arrivare sempre allo stesso identico finale: la morte. Ma neanche la morte ti esenta da ogni dovere: devi pagarti la tomba e il trasporto con il carro funebre, devi lasciare tutte le carte in ordine, e niente debiti, se non vuoi che i discendenti ti maledicano. Sembrava un sistema ideato da un sadico. Ma la cosa più sorprendente era che tutti ci si adattavano senza protestare. Be', non tutti; c'era chi viveva ai margini, chi andava per la propria strada e si arrangiava da sé. Ma a lui era stata inculcata l'idea che se non sei ricco, qualunque tentativo di uscire dal cammino tracciato conduce inevitabilmente a una vita grama. Se vuoi fare a modo tuo e non segui le regole, finisci per morire solo come un cane, senza un'anima che versi una lacrima per te. Bevve un buon sorso di birra. Non era poi tanto sicuro che fosse così grave se nessuno avesse pianto al suo funerale. In fin dei conti, con o senza lacrime, una volta morto sarebbe finito sottoterra. Quante storie! Ricco non lo sarebbe mai stato, e se proprio doveva vivere con poco, tanto valeva essere felice, no? Lo diceva anche quella storia del Vangelo che gli ripeteva sua nonna quand'era piccolo: «guardate gli uccelli dell'aria, che non seminano e non mietono...». Non ricordava esattamente che cosa desse da mangiare il Signore agli uccelli dell'aria, ma la morale era che senza mangiare, senza mangiare nel vero senso della parola, non ci rimani mai; quindi chi non è troppo esigente riesce sempre a cavarsela in un modo o nell'altro. A lui bastava avere da mangiare. Riso e lenticchie, o manicaretti d'alta cucina, non faceva nessuna differenza. Pur di avere qualche soldo per scopare... solo a questo non poteva rinunciare. Niente è come una bella scopata. Ripensò alle ragazze del Cielito e a quanto si divertiva con loro. Cosa importava che le dovesse pagare? Spesso, poi, non gli chiedevano nulla e, per dirla tutta, anche con Yolanda aveva la sensazione di dover pagare, ma un prezzo molto più alto: appartamenti da centoquaranta metri quadrati, mobili, lampade, banchetti di nozze... Si era persino messa in testa di rivolgersi a un arredatore per sistemare la casa. Una sua amica lo aveva fatto ed era entusiasta del risultato. Un arredatore! Uno che ti organizza la casa senza neanche conoscerti, un estraneo che decide come devi vivere. Ma che senso aveva? Chi aveva messo in testa a Yolanda quelle manie di grandezza? Non era possibile che in due anni di lontananza la sua ragazza fosse cambiata tanto. A meno che non fosse sempre stata così e lui non se ne fosse accorto. La distanza gli aveva aperto gli occhi? Di colpo, quei pensieri lo spaventarono. Doveva finirla di fare storie, Yolanda era la donna che avrebbe sposato, e basta. Questa era una realtà immutabile. Ormai non poteva giocarle il brutto tiro di lasciarla, con i preparativi per le nozze già in corso. Certo, quando uno si sposa già pieno di dubbi, poi succede quel che succede. Aveva davanti l'esempio dell'ingegnere, che andava a letto con la moglie di un altro. Di sicuro anche lui aveva avuto i suoi dubbi prima di fare il grande passo. Meglio non pensarci. Si sarebbe fatto un'altra birra.

Si alzò per andare al frigo, poi tornò a sedersi, un po' turbato. Ora avrebbe pensato a qualcosa di diverso, qualcosa di più piacevole, avrebbe pensato a Rosita. Era ancora libero di pensare a chi gli pareva. Gli vennero in mente i suoi seni grandi e scuri, le protuberanze quasi nere dei capezzoli. Infilò una mano nei pantaloni, ma proprio in quel momento il campanello suonò. Imprecò sottovoce. Ne aveva tutti i motivi, conosceva bene quella scampanellata insistente e spiritosa. Tirò fuori la camicia dai pantaloni per nascondere il suo stato di eccitazione e andò ad aprire.

- Per l'amor del cielo, ragazzo mio! Cosa fai chiuso in casa in una così bella serata? Stavi bevendo una birra? Ne berrei volentieri una anch'io, non è una cattiva idea. Ho bisogno di parlarti.

- Ma prego, donna Manuela.

- Sediamoci sotto il portico, è meglio.

- Vado a prenderle la birra.

Tornò con un'altra birra per lei, sforzandosi di non dare a vedere la gran voglia che aveva di assassinarla.

- Mi spiace disturbarti nel tempo libero, figliolo, ma sai bene che qui l'orario di lavoro è un po' elastico. Stavi riposando?

- Mi stavo rinfrescando, come vede.

Lei lo guardò con comprensione materna. Era convinta di leggergli nell'animo.

- Un po' tristanzuolo, vero?

Dario non capiva dove volesse arrivare. Tentò una risposta vaga.

- Sa com'è...

- Non preoccuparti, ragazzo. In fin dei conti, rimarrete lontani ancora per poco. Dopo starete insieme, e per tutta la vita. Se poi, una volta sposato, tu avessi di nuovo l'occasione di trasferirti all'estero, il mio consiglio è che Yolanda ti accompagni. Anche con i bambini piccoli, è meglio che lei venga con te. Mio marito ed io abbiamo sempre fatto così ed è andata a meraviglia. Le lunghe separazioni non fanno bene, inducono pensieri strani, soprattutto in voi uomini. Per la moglie seguire il marito è un piccolo sacrificio, perché significa lasciare la propria casa, riorganizzarsi lontano dalle comodità abituali, ma ne vale la pena, te lo assicuro. Nella vita ogni cosa deve avere il posto che merita, e la solidità della coppia è quello che conta.

- Certo - disse timidamente Darío, incapace di mostrarsi entusiasta.

- Bene, ma non sono venuta qui per farti le mie prediche da vecchia signora. Voglio chiederti un consiglio.

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